Francesco, Eugenio e la coscienza

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di Costanza Miriano

Qualcuno per favore avvisi il Papa. Prima di proseguire lo deve sapere che è Scalfari che vuole convertire lui. A occhio e croce per me non ce la fa: il Papa è uno che dice “chi non predica Gesù Cristo predica Satana”, che  contro il nemico consacra il Vaticano a san Michele Arcangelo, che ama Teresina di Gesù Bambino, la santa dei piccoli, che raccomanda la novena a Maria che scioglie i nodi (e, sinceramente, lo dico io che sono cintura nera di novena, quella è veramente roba da calli alle ginocchia), che ha messo in piazza centomila persone digiune a dire il rosario, senza manco un gentile a dialogare.

Però è bene che Francesco sappia che Eugenio I “non ha la fede ma neppure la cerca”, quindi se gli scrive evidentemente è lui a volerlo portare di là. Che poi, se per assurdo ci riuscisse, dove lo mettono a Largo Fochetti? Quello che officia tutte le mattine dal soglio c’è già; a redigere encicliche dall’ombra c’è l’emerito. E Bergoglio? Stagista?

Il Papa invece vuole dialogare non perché pensi che ci sia da contrattare sulla verità, ma semplicemente perché un buon cristiano sa che ogni uomo non è che un cieco, a meno che non riceva la grazia di guardarsi dentro: in quel caso non vedrà che fango. Siamo tutti nani con i trampoli, e un nano, se sa di esserlo, non penserà di essere superiore a nessuno.

In questo desiderio di farsi fratello ai lontani, Francesco ha presupposto una bona fides sulla quale non sarei pronta a scommettere, infatti sono piovuti fraintendimenti. Il lettore medio passi, ma Hans Kung, per esempio, è troppo colto per non sapere di cosa parla un cattolico quando parla di coscienza.

Per la Chiesa la coscienza non è sinonimo di dimensione soggettiva, ma “è la capacità di verità dell’uomo”, e va sempre rettamente formata (Ratzinger dixit). Se io in coscienza do ai miei figli una medicina sbagliata, non chiamo la pediatra né leggo il foglietto, io sbaglio, perché non mi sono informata prima di fare un errore di cui sarò responsabile (non vale dire che avevo sonno, si sa che le malattie vengono ad almeno tre figli per volta, alle quattro di notte, quando il padre è oltreoceano per lavoro, e non si può mettere la testa sotto il cuscino).

Quando il Papa parla di obbedienza alla coscienza, punto nodale della teologia morale oggi, parla dunque di ricerca personale della verità. Verità che, scrive Bergoglio, è una persona incarnata. Nessuna dirompente rottura rispetto al discorso fatto da Ratzinger per i 750 anni dell’università di Siena nel ’91, quello in cui cita Newman: “io brinderei per il Papa, ma prima per la coscienza e poi per il Papa.”

Detto questo, Gesù Cristo è morto per molti, per tutti quelli che lo riconoscono, e fino a che Scalfari è vivo c’è speranza anche per lui. Magari andrà in paradiso. “Dio – gli ha scritto il Papa – ha misericordia per chi si rivolge a lui con cuore sincero e contrito”. Spero che Scalfari vada in cielo, spero di andarci anche io; agli operai dell’ultima ora il padrone del campo darà la stessa paga che agli altri, lo so, ma che fastidio: essere figli di Dio ci piace, ma essere fratelli un po’ meno. Comunque, magari, se pure non dovessi capitare seduta vicino a lui in paradiso, ecco, diciamo che me ne farei una ragione.

fonte:  IL FOGLIO del 14 settembre 2013

Le otto domande di Eugenio Scalfari

Lettera di risposta del Papa

Risposta di Eugenio Scalfari

67 pensieri su “Francesco, Eugenio e la coscienza

    1. Alessandro

      “Scalfari: un nano borioso sui trampoli del giornalismo”. Proprio così. Tutto ciò è noto, la risposta a Papa Francesco lo conferma, quindi è davvero inutile maramaldeggiare. Una volta constatato, con Costanza, che “Francesco ha presupposto una bona fides sulla quale non sarei pronta a scommettere”, e che certo pure Scalfari può salvarsi, se segue la propria coscienza RETTA (e non se segue la propria coscienza purchessia: la coscienza boriosa porta dritto al’inferno), satis est.
      Prego astenersi quelli che “Gesù ha detto che giudicare gli altri è peccato, e la pagliuzza e la trave, ecc.”. perché il comando di Dio ingiunge di non emettere mai un giudizio di condanna irreversibile (“tu sarai certamente dannato!”, “da questo peccato non ti emendarai mai!”), di non ritenere mai ineluttabilmente sottratti alla salvezza quanti peccano e peccano forte, e di procurare di non dannarsi mentre si è intenti ad almanaccare sulla dannazione altrui. Il comando non mira a creare cristiani inebetiti e ciechi, incapaci di distinguere il bene dal male e resi inetti a riconoscere il peccato e chi lo commette (se così fosse, la correzione fraterna – ineludibile comando divino – sarebbe impossibile, perché condizione indispensabile al darsi della correzione è la constatazione affidabile dell’aberrazione in cui il fratello è incorso). Una volta ribadito che va odiato il peccato e amato cristianamente (fino alla Croce) il peccatore, e che è sovente arduo riconoscere la gravità del peccato che Tizio commette, perché la gravità del peccato dipende non di rado da circostanze che per lo più sono ignote a noi (ma non a Dio), auguro di cuore a Suo egocentrismo Scalfari che, smaltita la sbornia di boria e burbanza cui s’è abbandonato dopo la missiva papale (la quale, se capita, avrebbe dovuto sospingerlo piuttosto al digiuno, all’autocritica e al silenzio) si converta a Cristo e si lasci umilmente e docilmente purificare nel grembo rigeneratore della Chiesa di Cristo. Che è poi l’augurio che faccio a tutti, e che spero fratelli e sorelle rivolgano anche a me, corredandolo di preghiere per dargli efficacia.

  1. “Non è lontano il tempo in cui la Repubblica era il quotidiano laicista per antonomasia. In quel tempo Papa Eugenio sconfessava Wojtyla e poi Ratzinger e criticava l’ingerenza della fede, dei papi e della Chiesa. Ora, fondando il movimento di Comunione e Laicizzazione, la Repubblica si allunga sempre più verso lo Stato Vaticano e pubblica editoriali di teologia e fritto mistico. Una perfetta svolta clericale se non fosse per un dettaglio ingombrante che ancora divide il nuovo organo della Santa Sede dalla sua Ragione Sociale: quel Dio che si frappone tra la Conferenza Episcopale di Repubblica e la Chiesa cattolica e apostolica. A cui si aggiunge anche la molesta invasività della
    tradizione cattolica, l’impronta solenne della dottrina cristiana, il rito e la liturgia, e poi quella plebe di babbei oscurantisti denominati credenti, o se ancor più fessi, devoti.”

    [Marcello Veneziani]

  2. Carlo

    La Repubblica è un quotidiano molto coerente con la sua visione del mondo; anche nelle sue ricchissime pagine culturali, dalla scienza, alla letteratura, storia, filosofia ed anche teologia e misticismo, è sempre stata, è e sempre sarà, assolutamente lontana dalla chiesa cattolica e dal cattolicesimo. Anche quando sembra avvicinarsi o interessarsi sinceramente di questo mondo, diciamo che “trucca un po’ le carte”, nel senso che cerca sempre di svuotarene le basi, i fondamenti.

  3. 61Angeloextralarge

    Quando il Papa parla di coscienza… parla di coscienza pulita, a posto… non di quella coscienza maliziosa ed interessata. M pare ovvio! 😉

    1. angelina

      Parliamo di coscienza, sì, ma probabilmente ognuno tende a darne una propria definizione. E anche qui, difficile definire ‘coscienza’ se non in relazione a ‘verità’, ‘giudizio morale’, ‘libertà’: la coscienza non è un assoluto, come non lo è la libertà. Anche se un po’ lunga, mi pare pertinente la citazione dalla Veritatis Splendor. L’esperto di Magistero naturalmente è Alessandro, spero di azzeccarci 😉
      “Cosa è la libertà e qual è la sua relazione con la verità contenuta nella legge di Dio? qual è il ruolo della coscienza nella formazione del profilo morale dell’uomo? come discernere, in conformità con la verità sul bene, i diritti e i doveri concreti della persona umana? (…)
      …si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. (…) Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l’imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di «accordo con se stessi», tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale. (…)
      Persa l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt’uno con un’etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri (…)
      …Così si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull’universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per «esortare le coscienze» e per «proporre i valori», ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.”
      Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis Splendor

      1. Alessandro

        Perfetto, Angelina, 😉 è il n. 32 della Veritatis Splendor che chiarisce perfettamente in quali fraintendimenti incorra Scalfari nel leggere la lettera del Papa.

        Scalfari legge “Peccare è andare contro la propria coscienza” e non capisce che sì, come dice anche Veritatis splendor al n. 60, “il giudizio della coscienza ha carattere imperativo: l’uomo deve agire in conformità ad esso”, ma che ciò non significa che “la coscienza sia un giudice infallibile: può errare” (Veritatis splendor, 62), sicché va seguita/assecondata la coscienza RETTA, e non la coscienza ERRONEA.

        Scalfari insomma compie l’errore perfettamente denunciato in Veritatis Splendor 32, da te più che opportunamente citato, consistente (permetti che lo riscriva, data l’importanza del punto) in questo, che “All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza”. Questa seconda affermazione è soggettivismo allo stato puro, nel quale “alla coscienza dell’individuo” si arriva a concedere il privilegio “di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt’uno con un’etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri”. E ancora: “Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male”. E invece la coscienza, per generare atti moralmente buoni, deve riconoscere e applicare alle circostanze particolari quella “verità universale sul bene” che non è lei a stabilire quale sia, ma che a lei compete solo riconoscere e onorare, ponendosi al suo servizio.

            1. Angelina

              http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/09/12/nel-gentile-cortile-di-la-repubblica/

              Grazie Angela e Alessandro. 🙂 Aggiungo il link all’articolo di Magister, dove riporta la corrispondenza tra i due ed aggiunge una citazione di Benedetto XVI, che chiarisce magistralmente: ” Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza: un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. […]

        1. Davide

          Alessandro e Angelina concordo con voi,

          desidero aggiungere che questa che si sta dibattendo è una questione centrale e ne approfitto per ricordare i seguenti passi della Sacra Scrittura che così ci aiutiamo un po’ con la Parola di Dio  :

          Gv 18,37-38
          Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re? ”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato: “CHE COS’È LA VERITÀ? ”. E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui nessuna colpa.

          Gv 19, 4-5
          Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “ECCO L’UOMO! ”.

          Non dico di avere compreso nella sua interezza questo dialogo ma, senza fare filosofia ne tanto meno esegesi (c’è gente molto più competente di me che può farla) volevo solo ricordare che mi è stata trasmessa e insegnata e che io cerco di accogliere nella mia vita:

          La VERITÀ è una: nato, morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza!

          E come dice San Paolo:

          1Cor 1,22-25
          … mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

  4. Lidia

    Io ringrazio di tutto cuore il Papa. Grazie di scrivere così spontaneamente, grazie di andare nelle periferie dell’ateismo intellettuale che tanta influenza ha sulla società (ahimé)grazie di mostrarci la retta via del dialogo. Grazie di mostrarci lui la strada, di fare lui la fatica per noi che magari avremmo voglia di scrivere solo sul Foglio o sulla Bussola.
    Se lo fa lui dobbiamo farlo anche noi, no?
    Senza temere fraintendimenti: tanto, chi vuole capire capisce e chi vuole fraintende lo stesso, che sia Repubblica o l’Osservatore Romano. Occasioni in più per spiegare. E per non lasciare la Repubblica in mano a Mancuso, scusate.
    Tra l’altro, già da parecchi anni Joaquin Navarro-Valls scrive saltuariamente sulla Repubblica, il che prova che se una persona scrive cose intelligenti e ben motivate lo pubblicano anche sulla Repubblica (con un po’ di fortuna e qualche aggancio, ammetto).

    1. Alessandro

      Lidia, non peccarmi di ingenuità 😉

      Joaquin Navarro-Valls scrive sulla Repubblica mica perché se una persona scrive cose intelligenti e ben motivate lo pubblicano anche sulla Repubblica, ma perché è famoso e “vende”. Repubblica è una corazzata programmaticamente laicista e anticattolica, a cui non importa mettere in pagina cose intelligenti e ben motivate, ma cose che possano far male alla Chiesa.

      I cattolici sono rigorosamente banditi, a meno che non siano eterodossi (Enzo Bianchi) o in dissenso frontale con la Chiesa (Mancuso, appunto).

      1. Lidia

        Io cerco di essere meno ingenua, Ale, ma tu non rinchiuderti nel ghetto, dài.
        Navarro-Valls vende, ma certo non vende perché è un cretino, o eterodosso. Famoso ci è diventato dicendo cose intelligenti e ortodossissime – e per un pizzico di fortuna. Il che vuol dire che se noi cristiani – come Navarro-Valls – ci mettiamo d’impegno, diventiamo gente importante che dice cose intelligenti – ci pubblicano su Repubblica.
        Persino il Papa scrive alla Repubblica!
        Il Papa dà l’esempio, adesso mettiamoci anche noi di buzzo buono a cercare occasioni di dialogo (e non svendita delle proprie posizioni, sia chiaro).
        Io credo che il Papa sappia benissimo chi è Scalfari e com’è la Repubblica: forse siamo noi quelli che mettiamo infiniti paletti.
        Il Papa dà l’esempio: evidentemente, vuole che noi si dialoghi più con la Repubblica che con l’Osservatore Romano o con la Bussola (entrambi giornali di tutto rispetto, ma non c’è bisogno di evangelizzarli ulteriormente).
        Mettiamoci umilmente alla scuola del Papa e obbediamo alle sue richieste: più esplicito di così: “dialogo con le periferie”, scrive a Scalfari…che aspettiamo di più, che ci chiami personalmente al telefono? 🙂

        1. Alessandro

          Lidia, ma io non ho mai detto che Navarro sia cretino o eterodosso (Bianchi è eterodosso, e non è cretino, anzi è scaltrissimo).
          Se lo dice il Papa… va bene, dialoghiamo, dialoghiamo, qualcosa di buono ne potrà sortire (ne dubito, ma cmq se lo dice il Papa…)

          1. Lidia

            certo certo che non l’hai detto, era solo per enfatizzare la mia posizione, tranquillo! 😉
            San Josemaria Escriva diceva “sognate e i vostri sogni supereranno la realtà”.
            Il Papa ha buttato il cuore oltre l’ostacolo: seguiamolo, non lasciamolo solo in questa bella tappa di evangelizzazione.
            ti dirò: ho una zia anti-clericale, agnostica, anti-tutto, che ha il culto di Repubblica. Ebbene, l’altro giorno mi fa “che bello, il Papa che scrive…ho conservato la sua lettera a casa”.
            Ecco: mia zia questo blog non lo leggerebbe mai, la Bussola non la leggerebbe mai, in chiesa non ci va. E allora è il Papa che va da lei a Repubblica.
            Il papa secondo me non ha scritto per Scalfari – non solo. Ha scritto per mia zia.
            E QUESTO è ciò che dobbiamo sempre ricordarci 🙂

  5. pietro77

    Eugenio chi? Ecco una raccolta di “chicche” del barbuto copiata dal sito Fides et Forma:

    …scriveva, sì, proprio lui, Eugenio Scalfari, il 2 Dicembre 2007 su Repubblica:

    “A Benedetto XVI il relativismo non piace ed è comprensibile in chi amministra la verità assoluta (la sua). Non c’è niente da dire su questo punto. Certo, anche la Chiesa cambia spesso di opinione su fatti peccati e peccatori. E’ umano. A rileggere la sua storia ci si accorge che è anch’essa immersa nel relativismo. Anche questo è umano.”

    Non pago di questo suo rutilante giudizio, il 13 Gennaio 2008 elargiva questo commento su Repubblica:

    “Al di là della palese inconsistenza politica e culturale di papa Ratzinger, che da Ratisbona in qua si comporta come un allievo di questo o quel dignitario della sua corte spostando la barra del timone secondo i suggerimenti che gli vengono da chi di volta in volta lo consiglia, esiste più che mai un disagio profondo nella Chiesa e nel laicato cattolico. La Chiesa di Benedetto XVI, ma anche quella di Giovanni Paolo II, non riesce ad entrare in sintonia con la cultura moderna e con la moderna società. Questo è il vero tema che dovrebbero porsi tutti coloro che si occupano dei rapporti tra la società ecclesiale e la società civile all’inizio del XXI secolo.”

    Rincarava la dose il 22 Ottobre 2009 sull’Espresso:

    “I Papi poi rappresentano un fenomeno a se stante. Ce ne sono stati di grandissimi, di mediocri, di viziosi, di esemplari. Direi che gli ultimi esemplari sono stati Giovanni XXIII, Paolo VI, Papa Wojtyla. Quello attuale [Benedetto XVI] è un modesto teologo che fa rimpiangere i suoi predecessori.”

    Rifletteva poi il 22 Aprile 2010 sull’Espresso:

    “Il Vaticano II ha rappresentato l’estremo tentativo di considerare il messaggio cristiano come un lievito da inserire nella cultura moderna, in una concezione pluralistica della società che preservasse la dignità della persona indipendentemente dalla sua fede religiosa. I diritti e i doveri della persona, la sua libertà, la sua responsabilità, la radice morale e l’amore del prossimo a confronto con l’egoismo e con la volontà di potenza. Questa visione metteva in discussione la gerarchia e il primato dell’istituzione. Perciò il Vaticano II fu dapprima frenato e poi reinterpretato; gli episcopati ricondotti entro la guida della gerarchia, gli equilibri ristabiliti all’insegna della continuità. Il quinquennio di Benedetto XVI ha avuto finora questo significato. Lo scandalo dei preti pedofili è stato affrontato dal Papa con apprezzabile anche se tardiva severità; ma non ha inciso sul tema di fondo e non ha proposto la domanda decisiva: la Chiesa è il luogo dove si attua il messaggio di Cristo o dove si amministra in suo nome il potere della gerarchia?”

    Dopo un anno di meditata sosta scagliava i suoi definitivi fendenti il 27 Maggio 2012 su Repubblica:

    “Benedetto XVI non è un grande Papa anche se l’ingegno e la dottrina non gli mancano. Non è un attore, anzi è il suo contrario. Wojtyla aveva un guardaroba grandioso perché tutto era grandioso in lui. Il guardaroba di Ratzinger è invece lezioso perché è il Papa stesso ad esser lezioso, come si veste, come parla, come cammina. Scrive bene, questo sì, i suoi libri sul Cristo si fanno leggere, le sue encicliche non sono prive di aperture ed anche alcuni suoi discorsi. La sua rivalutazione di Lutero ha suscitato sorpresa e qualche speranza di progresso verso la modernità, contraddetto però dalle sue scelte operative, dalla conferma di Sodano in segreteria e poi all’avvicendamento con Bertone: dal mediocre al peggio. Bertone: un Ruini senza l’intelligenza e la duttilità dell’ex vicario ed ex presidente della Cei. La gerarchia è ridiventata onnipotente ma spaccata in molti pezzi. L’ecumenismo è ormai è un fiore appassito anzitempo. Benedetto XVI ha riesumato in pieno la tomistica di Tommaso d’Aquino con tanti saluti ad Origene, Anselmo d’Aosta e Bernardo. Agostino sembrava uno degli ispiratori di Ratzinger, ma quale Agostino? Il manicheo, il coadiutore di Ambrogio o l’autore delle Confessioni? Agostino fu molte cose insieme arrivando fino a Calvino, a Giansenio e a Pascal. Se volesse dire qualche cosa di veramente attuale Papa Ratzinger dovrebbe dare inizio alla beatificazione di Pascal ma mi rendo conto che nel mondo dei Bertone, della Curia romana e delle attuali Congregazioni, questo sì, sarebbe un gesto radicale verso la modernità. Non lo faranno mai. Il pontificato lezioso andrà avanti finché potrà, poi non ci sarà il diluvio ma una pioggia da palude piena di rane, zanzare e qualche anitra selvatica. Quanto di peggio per tutti.”

    Esultava infine il 17 febbraio 2013 a dimissioni avvenute:

    “Infine il processo di secolarizzazione di tutto l’Occidente e in particolare in Europa e nel Nord America. Nessuno di questi problemi è stato risolto da Benedetto ed è questa la vera ragione che l’ha indotto alla sua clamorosa rinuncia. Questa decisione ha rotto la sacralità, ha messo a nudo la natura lobbistica della gerarchia, ha indebolito il ruolo del Papa innalzando quello della Chiesa conciliare. Il Concilio sarà d’ora in poi un’istanza suprema, il colloquio con la modernità risveglierà probabilmente una Chiesa minoritaria e depositaria di un’etica meno ingessata dai dogmi.”

    1. Alessandro

      MIca per niente ho dato ragione ad Alvise che ha definito il Fondatore “nano borioso sui trampoli del giornalismo”!

    1. Alessandro

      “Queste esperienze mi hanno portato ad una conclusione. Se i giovani vengono aiutati a riflettere, con amore e senza arroganza, sono pronti ad accogliere quella verità universale che è scritta nel cuore di ogni essere umano.

      All’inizio, forse, possono opporre qualche resistenza, perché sono fortemente influenzati dal relativismo morale imperante. Ma alla fine, inevitabilmente, raggiungono la meta dell’autentica verità, perché nel loro cuore ricercano ideali grandi e importanti.”

      Si vede che i giovani sono più spregiudicati e intellettualmente onesti di Scalfari 😉

  6. Pingback: Cronachesorprese » Repubblica, assolutamente scorretta

  7. JoeTurner

    spiace ammetterlo ma Scalfari è fantastico nel raggiungere il proprio scopo: lui scrive e i cattolici si accapigliano e si dividono. Chapeau!

    1. vale

      infatti. basterebbe non leggerlo( lui e repubblica). oltretutto, con i salti della quaglia che ha fatto in vita sua,al massimo, può apparire come un modello di qualunquistica ricerca di potere. ad ogni costo.e con chiunque.

  8. Nelle cose, cosiddette del mondo, supponiamo, alla fine, ci fosse due parti.
    Una credenti cattolici e l’altra relativisti (cosiddetti). I Paolo Pugni e gli Eugenio Scalfari.
    Mettiamo che dovessero, queste parti, decidere, per esempio, l’eutanasia o sì o no.
    Che senso ci avrebbe che Pugni volesse convincere Scalfari dell’esistenza di Dio e della vita come dono sacro
    e inviolabile, e che Scalfari pretendesse che invece Dio non c’è e la vita è solo nostra e decidibile da noi stessi?
    Per la quale Scalfari si dovrebbe convincere che esiste persone che credono e che decidono secondo la lora coscienza nell quale c’ è la credenza in Dio eccetra. Pugni invece constatasse questo fatto innegabile che c’è gente di opinione contraria. Ovviamente ognuno protestasse contro l’altro per il mezzo della ragione. Pugni dice che è lui che ragiona secondo ragione, Scalfari uguale.
    C’è, nelle cose del mondo, tutte e due queste parti: chi potesse squalificare (arrogantemente) l’una o l’altra?

    1. Alessandro

      Alvise, poni la questione in modo astratto, troppo astratto.
      Se Tizio e Caio discutono e non sono d’accordo, e stanno parlando di faccende importanti (aborto, eutanasia, matrimonio, educazione ecc.) e non di quisquilie , non puoi limitarti a dire: io non mi permetto di squalificare nessuno dei due. Devi immischiarti, ascoltare gli argomenti rispettivi, esaminarli con attenziuaone, finendo per parteggiare per l’uno o per l’altro (o per nessuno dei due), assumendo una posizione motivata. Si può parteggiare per Caio senza “squalificare arrogantemente” Tizio (e viceversa), ascoltando Tizio con lealtà, e con lealtà riconoscendo che i suoi argomenti non convincono e si trovano più convincenti quelli di Caio.

      1. Davide

        Alessandro,

        mi hai fatto tornare alla mente questo passo che mi ha sempre colpito molto:

        Ap 3,15-22
        Conosco le tue opere: tu NON SEI NÉ FREDDO NÉ CALDO. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

  9. Matteo D

    Io non avrei perso tempo con Scalfari. E’ una “scimmia pensante”. Pensasse le risposte da solo.
    Ma io non sono il Papa.

    1. Lidia

      🙂 bello questo commento, Matteo
      i santi e i grandi uomini fanno sempre cose che gli altri non farebbero mai, e aprono vie che prima si ritenevano impossibili. Mi rendo conto di come il Papa abbia una visione grande, grande, che io – rinchiusa nei mie paletti – non ho….

  10. Roberto

    Non riuscirei mai a “fare la corte” a Scalfari o alla pseudo “”civiltà”” “”illuministica””. Mi parrebbe così facendo di venire trasformato nell’imbranato protagonista di un famoso film d’animazione di Burton di un po’ d’anni fa 😉

    1. Lidia

      per favore, leggi il commento su mia zia che ho lasciato sopra, Roberto.
      Non dobbiamo fare la corte, credo: dobbiamo evangelizzare. E se scriviamo solo su blog cattolici…facciamo bene, perché ci rincuoriamo, ma a mia zia e a quelli come lei che non hanno parenti cristiani non ci arriviamo. Il Papa, invece, ci è arrivato…
      un caro saluto, non preoccuparti: il film non l’ho visto e non so chi sia il personaggio, ma non credo tu ti trasformerai mai in alcunché di stupido, tranne che in un testimone di Cristo (con le modalità che tu preferisci e che senti tue, ovvio).

      1. Roberto

        Solo una battuta ironica, Lidia. Per conseguire meglio lo spunto ironico ho certamente perso in chiarezza. Mi riferivo a un personaggio che si trova per errore impalmato a una “sposa cadavere”.
        Comunque, parenti cristiani/cattolici non li avevo neppure io. Sono senz’altro fatto per altre strade, non c’è alcun problema in questo.
        Un caro saluto anche a te.

      2. Davide

        Lidia,

        Belli i tuoi due commenti, sia quello delle 9:59 (“Ecco: mia zia questo blog non lo leggerebbe mai, la Bussola non la leggerebbe mai, in chiesa non ci va. E allora è il Papa che va da lei a Repubblica. Il papa secondo me non ha scritto per Scalfari – non solo. Ha scritto per mia zia. “) che quello delle 10:04 (“E se scriviamo solo su blog cattolici…facciamo bene, perché ci rincuoriamo, ma a mia zia e a quelli come lei che non hanno parenti cristiani non ci arriviamo. Il Papa, invece, ci è arrivato…”), li condivido e pensavo la stessa cosa.

        Mi avete aiutato un po’ tutti in questo post (in particolare Costanza, Alessandro, Roberto, Andreas Hofer, Giusi e non ultima tu Lidia)

        Ho provato un po’ a tirare le fila del discorso e volevo condividerle con voi 🙂 :

        1) Il Papa non è ingenuo, se fa quello che fa sa anche quello a cui va incontro!
        2) Non tutti (purtroppo) abbiamo la stessa caratura o forza morale e spirituale per scrivere ad un giornale come Repubblica, ma chi la possiede (personalmente credo che Papa Francesco sia tra questi) e reputa buono farlo è giusto che lo faccia, ma sottolineo chi ne la forza e non tutti perché se no si rischia di non reggere alle conseguenze!
        3) A volte la conversione comincia da un piccolissimo gesto, ad esempio osservando un atto di amore disinteressato o ancora leggendo una lettera, magari dove lo scrivente ha volutamente evitato di toccare i punti che più lo distanziano dal destinatario/i, e poi come il granellino di senapa del Vangelo cresce fino diventare una meraviglia ai nostri occhi!

        Io spero che in questo caso sia così, siamo “servi inutili” e come dice San Paolo ai corinzi: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (1Cor 3,6-7). I frutti li conosce solo Dio per evitare che montiamo in superbia. 😉

  11. Io invece devo confessare che è stato esaltante leggere il Papa su “Repubblica”. Mi è subito venuto in mente l’episodio degli Atti in cui Paolo annuncia il Dio ignoto ai filosofi dell’Areopago. Secondo me ha fatto benissimo a scrivere a “Repubblica”, proprio per i motivi elencati da alcuni. Visto che su quelle colonne imperversano i “maestri” del falso dialogo era necessario che qualcuno desse un esempio di autentico dialogo, a viso aperto ma senza sconti sulla verità. In ogni posizione teorica c’è un seme di verità che può essere ricondotto alla verità cattolica. È un approccio cui non siamo molto abituati, ma perfettamente legittimo, per cui prima di condannare l’errore si cerca di far leva, manifestandoli e correggendoli, sugli elementi di verità già presenti quantomeno come potenzialità, allo stato latente.
    Occore sempre tener conto, come ha scritto in maniera mirabile Michele Federico Sciacca, «che l’eresia sorge sul tronco dell’ortodossia ed è deviazione; appunto per questo, non tutto in essa è eretico e quel che non lo è, è quanto dell’ortodossia ancora vi si conserva e senza di cui non sarebbe neanche eresia. Per esempio: nel giansenismo è eretica la dottrina del peccato e della grazia nella formulazione teologica data dal Giansenio e dai teologi di Port-Royal, ma ciò non significa che tutto vi sia di eretico: non eretici il rigorismo morale, l’ardore mistico e l’intensità del sentimento religioso se non si fondano sugli eretici presupposti teologici, ad essi non indispensabili, tanto che possono essere accettati, staccati dall’eresia, dentro l’ortodossia, cessando di essere eretici. In tal caso, solo per incomprensione o per spirito polemico, si può dire che chi li accetta sia inquinato di eresia» (M. F. Sciacca, Studi sulla filosofia moderna, Marzorati, 1964, p. 265).
    In questo senso trovo particolarmente riuscito il passo in cui il Papa “disinnesca” di fatto una delle armi retoriche dell’entourage di “Repubblica”: l’accusa di assolutismo rivolta a chiunque parli di verità e principi indisponibili all’arbitrio umano. Al tempo stesso però non cade certo nel soggettivismo. Fa leva sul seme di verità presente anche nel nichilismo (a scanso di equivoci rimando a quanto scrive a questo proposito Josef Pieper nel suo Sulla fine del tempo) per mostrare che l’uomo non può vivere senza la verità. Certo, facendo questo si espone a dei rischi, ma è coerente con la sua insistenza sulle periferie esistenziali.

  12. Ma che senso avrebbe cominciare un discorso, per esempio, in Parlamento, su temi bioetici, dicendo: “la Verità è che Cristo e resusiscitato”, con quello che ne consegue?

    1. Giusi

      Sarebbe l’unica cosa che avrebbe senso invece e il mondo andrebbe benissimo. Poichè invece purtroppo imperversa quell’altro ciò non avverrà mai ma alla fine i conti, tutti quanti, li faremo con Quello che è resuscitato e quanto ci sembrerà sciocco e senza senso l’aver vissuto di ca……..te!

      1. Certo, è vero, se si fosse tutti santi (in ipotesi) si sarebbe tutti santi, ma resurrezione e meno, resta il fatto, per ora, che il tuo voto (in parlamento, dicevo) varrebbe lo stesso che di quello di un non credente, né di più, ne di meno.
        Il diavolo ci ha messo la coda?

  13. Alessandro

    Sul dialogo Benedetto XVI ha detto cose importanti. Mi pare che le più rimarchevoli siano queste che mi permetto di condividere qui:

    “Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:
    1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione.

    2. Conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri.

    Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità.
    Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità.

    Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità. Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri.
    Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura.
    Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità.”

    Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012

    “Oggi, poi, una delle questioni fondamentali è costituita dalla problematica dei metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici. Anche essi devono riflettere la priorità della fede. Conoscere la verità è il diritto dell’interlocutore in ogni vero dialogo.
    È la stessa esigenza della carità verso il fratello. In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco.
    È importante inoltre offrire un’interpretazione corretta di quell’«ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica», rilevato nel Decreto Unitatis redintegratio (n. 11), che non significa in alcun modo ridurre il deposito della fede, ma farne emergere la struttura interna, l’organicità di questa unica struttura […] Un’ultima questione che vorrei finalmente menzionare è la problematica morale, che costituisce una nuova sfida per il cammino ecumenico. Nei dialoghi non possiamo ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace. Sarà importante parlare su questi temi con una sola voce, attingendo al fondamento nella Scrittura e nella viva tradizione della Chiesa. Questa tradizione ci aiuta a decifrare il linguaggio del Creatore nella sua creazione. Difendendo i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato.”

    Discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 27 gennaio 2012

    “Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa.
    Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.”
    Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2009

    1. Davide

      Strepitoso Benedetto XVI, in particolare “…almeno come Sconosciuto.” è da un punto di vista comunicativo eccezionale! E pensare che lo hanno bollato, oltre al resto, anche come un cattivo comunicatore!
      Grazie Alessandro.

    2. “Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa.
      Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto.”

      In tutto il discorso si parla sempre di avvicinamento a qualcosa da parte del non credente.
      Il non credente è monco di qualcosa alla quale tuttavia potrebbe cercare di avvicinarsi anche senza conoscerla.
      Il credente invece, pur con tutte le sollecite dichiarazioni di miseria e umiltà (Domine non sum dignus!) sarebbe già in possesso di quella cosa (sic et simpliciter!) di cui gli altri invece sono monchi.
      Non vi è mai nemmeno lontanamente intravista la la possibilità, invece, dei credenti, di avvicinarsi a essere non credenti.
      E questo sarebbe un “dialogo”?

      1. Giusi

        Alvise il più contiene il meno. Non credenti possiamo esserlo tutti, non c’è bisogno di sforzarsi. Basta nascere, prendere a vita come metro la nostra miseria, vivere più o meno di istinti magari cercando in qualche modo di nobiltarne qualcuno giusto per non sembrare delle bestie ed è fatta. Il credente non è che valga di più del non credente semplicemente, avendo accettato di ricevere la Luce di Dio, avendo aperto (come invitava a fare il prossimo futuro santo Giovanni Paolo II) le porte a Cristo, riceve la sua grandezza. E poichè quando si riceve Cristo si riceve l’amore per antonomasia ecco che sorge il desiderio di parteciparlo. Che deve partecipare il non credente? Quel poco che ha ce l’abbiamo tutti. O credi veramente che un uomo possa essere superiore a un altro uomo?

        1. …il tuo discorso è completamente sballato! Come se un non credente non potesse essere capace di lavorare dentro (e fuori) di sé fino a raggiungere dei risultati di incivilimento e di dignità non inferiori a quelli di qualsisi altro uomo…
          Il più contiene il meno, dici, dando allora per scontato che te, che credi (con tutti i soliti Domine non sum dignus ) saresti da più di quell’altri tapini, perché non credono (trasformando quindi il “non” grammaticale in uno spazio geometrico più piccino)
          Ma allora, digià che ci siamo, potresti anche aggiungere, nel caso delle scelte politiche, in senso lato, ubi maior (te) minor cessat (me) per esempio….Grande-Piccino!
          “Ma se il mondo fa schifo vuole dire che gli uomini non sono poi così saggi come pretenderebbero (a volte) di di voler darla a bere….”
          Ma fra gli uomini ci siamo TUTTI, io, te e Paolo Pugni e Berlusconi e Bertoglio eccetra eccetra.

          1. Alvise, almeno di grazia Bergoglio, se è a lui che ti riferivi…

            Sennò “grande-piccino”, arriviamo a bertoglio e bertoglino…

        2. @Giusi scrivi: “Basta nascere, prendere a vita come metro la nostra miseria, vivere più o meno di istinti magari cercando in qualche modo di nobiltarne qualcuno giusto per non sembrare delle bestie ed è fatta.”

          Non è che per forza si debba stare o alle stelle… o alle stalle! 😉

          Direi che certo non-credenti possiamo esserlo tutti (e tutti lo siamo stati in qualche modo e misura), ma già essere Uomini, degni di tal nome, è un bel successo 😉

          1. Giusi

            Alvise e Bariom intendevo dire che noi di per noi non valiamo nulla, che tutto quello che facciamo di buono viene dallo Spirito, che non bastano le definizioni. Non è che se io mi dichiaro credente sono automaticamente migliore di Alvise magari lui dice di non credere e poi impronta più di me la propria vita al Vangelo, non parlavo di singoli individui, parlavo di concetti, poi bisogna vedere se siamo in grado di assurgere al di là delle nostre convinzioni e definizioni. Non siamo noi: è Dio che fa la differenza e Dio non esclude nessuno! Alvise il “Domine non sum dignus” non è una dichiarazione di finta umiltà da parte di chi si ritiene invece superiore (allora tutti i santi erano dei finti umili?), è il riconoscimento della grandezza del Signore che ti porta a capire che non sei mai arrivato, che sei sempre in ascesa che per assomigliare a Lui devi sempre migliorare, è tutto il contrario dello schemino che ti sei fatto in testa. Il credente non è colui che si ritiene superiore, è colui che ha ricevuto un dono, un dono talmente bello, talmente grande che non lo può contenere, che gli strasborda da tutte le parti e che vorrebbe condividere con tutti poi può essere che nella foga annzichè porgerlo con gentilezza lo sbatta in faccia (qua dovrei fare parecchia autocritica) della serie: ma non lo vuoi, ma com’è possibile, ma non vedi quant’è bello?

      2. Alessandro

        Alvise, concretamente che accade in un dialogo tra un cattolico e un non credente?
        Il cattolico crede e quindi, dialogando, prenderà le mosse dal suo essere credente (se non lo facesse sarebbe insincero, ipocrita: uno porta nel dialogo quello che è, il credente deve portare nel dialogo il suo essere credente, altrimenti ingannerebbe l’interlocutore, e il dialogo sarebbe pregiudicato in partenza).

        Ovviamente spera che l’interlocutore possa diventare credente: che altro dovrebbe fare, visto che la fede in Dio è per il credente il bene più prezioso? Come potrebbe rispettare l’interlocutore se non sperasse che anch’egli possa partecipare del bene più prezioso di cui, secondo il credente, possa godere l’uomo, e cioè la fede in Dio? Come potrebbe dire che sta esercitando carità cristiana nei confronti del fratello non credente se non sperasse che anch’egli possa partecipare di ciò che, a suo avviso, consente ad ogni uomo di accedere alla piena realizzazione, e senza di cui, a suo avviso, l’uomo rimane monco e incompiuto? Per dirla con Benedetto XVI: “Conoscere la verità è il diritto dell’interlocutore in ogni vero dialogo. È la stessa esigenza della carità verso il fratello”.

        Naturalmente, nel dialogo il credente non deve bluffare o sottovalutare deliberatamente gli argomenti incisivi, magari imprevisti, che l’interlocutore non credente adducesse. Se bluffasse o deliberatamente sottovalutasse, significherebbe che la sua fede non è abbastanza salda e matura da resistere alle obiezioni di chi la revoca in dubbio; inoltre, il bluff o la deliberata sottovalutazione sarebbero condotte scorrette che, per colpa del credente, inficerebbero il dialogo stesso. (Va da sé che possa accadere che le medesime condotte dannose se non esiziali per il dialogo siano tenute dal non credente)

        E’ innegabile che sia accaduto e possa sempre daccapo accadere che il credente (come il non credente) sia riluttante ad avventurarsi nel dialogo, a causa del timore (più o meno consapevole) di “essere messo in difficoltà”, di vacillare nella propria fede, o di non riuscire ad avere la meglio, a convincere l’interlocutore.

        A non avere paura di “immischiarsi” nel dialogo invita Benedetto XVI (parlando del dialogo ecumenico; ma l’invito si applica bene anche al nostro caso) in quel passaggio citato in cui afferma, se ben intendo, che chi recalcitrasse ad avventurarsi nel dialogo o vi si concedesse solo trincerandosi dietro una corazza di veti e riserve preventivi – che di fatto incepperebbero il sano svolgimento del dialogo stesso – mostrerebbe di essere un cristiano che TEME che la verità di cui è testimone possa essere vinta, defettibile, confutabile, cioè mostrerebbe di essere un cristiano assai poco… cristiano, perché evidentemente non si sentirebbe convinto della verità che egli stesso professa e testimonia:
        “Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità. Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano.”
        Cioè, se intendo bene, Benedetto XVI sta dicendo al cristiano: “non sai che chi sta con Cristo non potrà mai naufragare nel mare della verità? Ossia: non sai che a chi sta con Cristo non può accadere in alcun modo che qualsivoglia ancora inavvistata zona del vasto mare della verità contrasti il suo stare con Cristo, sveli – una volta conosciuta, sperimenata – che l’affidamento a Cristo è vano e illusorio?”

        E perciò Benedetto XVI può proseguire: “L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri.
        Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo APERTAMENTE e SENZA PAURA.
        SICURI, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità.”

        Ovviamente, da un punto di vista fattuale è possibile (la stora lo attesta) sia che l’esito del dialogo sia la perdita di fede del credente, sia che il dialogo concorra a persuadere il non credente ad abbracciare la fede.

        1. fortebraccio

          Francamente ho sempre temuto che il richiamo alla fede (Cristiana o laica che sia) fosse usato come scusa per non trovare un compromesso. Perché trovare un’accordo su ciò che è riconosciuto da entrambi come vero, è facile.
          Il problema sono le mediazioni – è questo che solitamente (ed erroneamente) si percepisce come un’annacquamento della propria fede.
          E per inciso, è qui che si vede la differenza tra un vero politico ed un “principiante”.
          Ed è anche, se ben ricordo, la differenza tra “pulpiti” e “cortili”: il primo è una roccaforte dalla quale ci si slancia (eventualmente), il secondo è un primo approdo dal quale si comincia una ricognizione (è una terra di mezzo). In questo senso i “cortili” sono un po’ più difficili: si tratta di ascoltare le ragioni degli altri – senza temere di rimanerne affascinati – tutt’al più nel tentativo di cogliere un punto di vista, un primo passo per una convivenza, un reciproco spiegamento. Ma soprattutto, un primo passo.

          1. Alessandro

            il compromesso non sempre può essere trovato e non sempre è buono. Il politico cattolico deve cercare un compromesso se esso è compatibile con il suo essere cattolico, non un compromesso sempre e comunque. Sui valori non negoziabili è vietato negoziare.

            Così la Congregazione per la dottrina della Fede

            “In questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti.
            Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta.

            Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o COMPROMESSO alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona.”

            “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, 2002, n. 4

            1. Roberto

              “E’ qui che si vede la differenza tra un vero politico e un principiante”, nel momento in cui si accetta come postulato il pattume illuminista che comporta, tra le tante cose, l’accettazione acritica di “democrazia totalitaria”, si accetta un pragmatismo esistenzialista, che di fatto ormai domina il pensiero contemporaneo, negando almeno nei fatti, se non addirittura sul piano teorico, l’esistenza di qualsivoglia Verità immutabile; o quantomeno si pretende che il cosiddetto “vero politico” per essere tale sia costretto ad agire come se non appartenesse ad alcuna Verità, pur riconoscendola nel proprio interiore. Ciò è del tutto inaccettabile per il cattolico che voglia definirsi tale, come ha ben chiarito Alessandro qua sopra.

  14. …secondo me alla fine è proprio il credente a essere monco, perché, essendo credente, resta chiuso dentro il segno del percorso escatologico. Questo è un bene e un male. Un bene perché lo fa stare bene e gli dà speranza. Un male perché chiuso. Che poi tutti alla fine siamo chiusi dentro qualche idea fissa o almeno ne “le tre disposizion che ‘l ciel non vole, / incontenenza, malizia e la matta / bestialitade,”

    Per tornare al discorso sulle decisioni politiche: ogni scelta, alla fine, vale sempre lo stesso che un’altra (un voto).
    Sarebbe fuori luogo (nel vero senso) che qualcuno pretendesse (dagli altri) che le sue convinzioni fossero quelle “vere” (da votare) e quelle degli altri no!

    1. “…secondo me alla fine è proprio il credente a essere monco, perché, essendo credente, resta chiuso dentro il segno del percorso escatologico.”

      Secondo me Alvise invece è proprio il contrario. Non mi pare che dare un senso “escatologico” alla propria vita ponga dei termini di chiusura… anzi.
      La chiusura per eccellenza poi nell’uomo si realizza con la paura della morte (che non è solo quella fisica, ma anche quella ontologica che coincide con la paura del soffrire – sofferenza=morte=sofferenza) e quella, dalla Fede è sconfitta.

      Al di là poi di tanti “paroloni”, la mia esperienza di provenienza da non-credente in età adulta, è che la Fede mi ha aperto spazi e orizzonti… Per come sono, ti posso assicurare che mai avrei accettato un’idea (prima ancora che una fede…) che “limitasse” i miei orizzonti. 😉

      Dovresti fare un salto da là a qua, per poter dire esattamente come stanno le cose, seppure – questo te lo concedo – in modo soggettivo 😉

      1. “Dovresti fare un salto da là a qua, per poter dire esattamente come stanno le cose, seppure – questo te lo concedo – in modo soggettivo”

        Proprio così!

  15. Luca Del Pozzo

    Concordo in pieno con Costanza. Tra l’altro, fossi in Scalfari, che per sua ammissione la fede non ce l’ha e manco la cerca, e ciò nonostante – o forse addirittura grazie al suo ateismo – pensa di aver già inquadrato papa Francesco, non sarei così sicuro che il papato di Bergoglio si ponga in controtendenza rispetto a quelli di Woityla e Ratzinger, e che perciò stesso segni un ritorno allo spirito del Vaticano II per quanto attiene al rapporto tra fede e modernità. Per un motivo molto semplice: che il Vaticano II che tanto pace a Repubblica e in generale alla cultura ed al cattolicesimo progressista, è quello che viene letto e interpretato secondo i canoni – per citare l’ormai celebre discorso di Benedetto XVI alla Curia del 22 dicembre 2005 – dell’”ermeneutica della discontinuità e della rottura”, che poco o nulla a che vedere con quello vero, che invece corrisponde, per dirla ancora con Benedetto XVI, ad un evento da leggere all’insegna dell’”ermeneutica della riforma”, ovvero di un rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa. E non è certo un caso se papa Ratzinger, parlando della prima ermeneutica, ebbe a dire che ha “causato confusione” e che “non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna”. Parole sante. E attualissime.

  16. Cara Costanza,

    ti ho letto solo oggi, purtroppo. Ma ne è valsa la bene.

    Grazie per le tue parole apparentemente lievi e scanzonate, ma di una profondità e di una fede ammirevoli.

    Un abbraccio!

  17. iaia

    ma perchè non possiamo prendere questo scambio di domande e risposte per quello che è: un dialogo tra un credente e un non credente.
    “Però è bene che Francesco sappia che Eugenio I “non ha la fede ma neppure la cerca”, quindi se gli scrive evidentemente è lui a volerlo portare di là.”
    perchè dobbiamo pensare che un uomo che non ha la fede e non la cerca non sia comunque portato a farsi delle domande??
    a me ha fatto un immenso piacere leggere questo dialogo.,vedere un ateo che comunque si interroga su cose che “ci” riguardano. vuol dire che il messaggio della chiesa è universale e in qualche modo continua ad interpellare tutti.
    mi ha fatto immensamente piacere la risposta di papa francesco, che si mette in dialogo con una persona che la pensa diversamente da lui e che gli ha posto delle domande.
    penso che con tutto quello che c’è di bello in questo scambio di dubbi,domande,risposte,esperienze personali mettersi a fare polemica su chi sia scalfari sia da miopi. lo dico con molto rispetto,ma mi dispiace vedere su cosa si è focalizzata la discussione.
    io vedo due peccatori che dialogano, e non dovrebbe importarci il trascorso di chi pone le domande, perchè dovrebbe essere così la chiesa,perchè è così Gesù, perchè di fronte a Dio il trascorso di tutti noi è pieno di buche e mancanze!
    Sinceramente Scalfari ha rivolto domande che io trovo interessanti, per me, per i miei amici credenti e non credenti.
    Faccio l’educatrice in parrocchia e molto spesso mi sono trovata a chiedermi che “fine” faranno alla fine i ragazzi che hanno rinunciato a venire in parrocchia. La maggiorparte dei miei amici è atea, come vorrei condividere il paradiso o il purgatorio con loro, l’esperienza del perdono… come ci c’entra il “mio” Dio con la loro vita???con i loro peccati??
    ho trovato tutto lo scambio tra Scalfari e Francesco veramente interessante e attuale…perchè ridurre tutto alle probabili intenzioni di Scalfari, la storia di Repubblica e il diritto di chiedere??
    ringraziamo piuttosto di questo dialogo!!

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