di Andrea Torquato Giovanoli
Ultimamente mi è capitato di notare tra i miei due figli una cosa strana, bella, ma strana. Tra il grande ed il piccolo passano circa quattro anni di differenza ed il minore ha da poco festeggiato il suo primo compleanno, per cui non si può propriamente affermare che esista tra i due una vera interazione fraterna, almeno non ancora, tuttavia, a parte un residuo di gelosia da parte del maggiore che in particolari circostanze si fa più esplicito, si vogliono evidentemente bene e vanno tutto sommato d’accordo, anche quando il minore manifesta le sue pretese sull’attenzione genitoriale per le quali il fratello maggiore ritiene non abbia diritto.
C’è però un frangente nel quale i miei figli sanno impartirmi in maniera speciale una magnifica lezione di vita: e cioè nel provare una profonda empatia l’uno per l’altro in quegli estratti della quotidianità che per loro sono “drammatici”. Ad esempio capita che a volte il grande, mentre mangia, si morda la lingua (è un talento che ha ereditato da mia moglie); in quei casi scoppia in lacrime per il dolore ed il fratellino, vedendolo, inizia ad immagonire, così, per simpatia, e se quello non smette più che alla svelta di piangere anche questo apre i rubinetti, seppure non abbia nessun motivo reale per farlo. Per contro capita invece che il piccolino, nei suoi primi tentativi di rizzarsi in piedi ed abbozzare degli scoordinati passetti, perda d’improvviso l’equilibrio e si ritrovi pesantemente seduto sul suo patello, ma poi, essendo botolo, come una trottola a fine corsa si sbilancia e rovina a terra pestando fragorose quanto innocue capocciate sul pavimento e sperimentando così che il mondo non è tutto morbido; per lo spavento, però, scoppia in un pianto a dirotto ed il fratello maggiore, se è nei paraggi, subito accorre per consolarlo e lo coccola fino a quando non riesce a farlo smettere.
Un altro momento caratteristico, poi, è quando il grande combina qualche birbantata, o più semplicemente non obbedisce, e quindi viene rimproverato: se il piccolo assiste alla reprimenda ecco che subito sgrana gli occhi e, se i toni si alzano, ancora si fa prendere dal magone e subito si avvicina al fratellone, quasi per prenderne le difese od intercedere a suo favore nell’unica maniera che gli è possibile, ossia intenerendo il genitore. Ecco: è in questi episodi di domestica fraternità che il sottoscritto si sente fortemente richiamato, poiché in effetti è come se i miei figli sentissero come proprio il disagio l’uno dell’altro e, visceramente commossi, non riuscissero a trovar pace fino alla pacificazione dell’altrui animo.
È come se l’uno, davanti al profondo disagio di sapere l’altro nella tribolazione, non potesse fare a meno di adoperarsi per la sua consolazione, poiché solo facendo ritrovare a questo il benessere riuscisse ad acquietare le contrazioni del proprio cuore.
Proprio questo, imparo, è farsi prossimi, essere fratelli: ritenersi provocati dal turbamento dell’altro, com-patire fino a sentirsi in dovere di prendersi cura di chi si trova in uno stato di gravità nel ripristinare il suo stato di benessere per poter stare bene in se stessi, concepire la propria felicità come condizionata dalla felicità altrui. Ed i miei due bimbi, con questo loro modo di farsi prossimi l’uno all’altro, mi interloquiscono profondamente e mi svelano ad un tempo quel medesimo sentimento che ha mosso e muove tuttora Gesù a prendere su di sé il peccato del mondo perché questo sia salvo.
La medesima compassione che dovrebbe muovere me verso quel prossimo che, in Cristo, è mio fratello.
Forse questo è l’Amore. Quello che ti fa correre a consolare chi soffre, che ti fa piangere con l’altro. Che bello! Grazie.
I miei due figli sono ormai grandi,grandi, sono diversissimi fra loro sia oggi come ieri, ma certe loro caratteristiche, siamo prima di tutto due fratelli e come tali ci dobbiamo volere bene, rispettare e aiutare a vicenda nel momento del bisogno, sono rimaste nel tempo nei loro cuori. Alvaro.
Anche un neonato sa distinguere il bene dal male:
http://www.ilsussidiario.net/News/DonnaeMamma/2013/6/18/IL-CASO-Anche-un-neonato-sa-distinguere-il-bene-dal-male-ecco-le-prove/403862/
“il contatto tra feti non è il risultato accidentale della prossimità spaziale, ma deriva da una pianificazione motoria. A partire dalla 14ª settimana di gestazione, i feti pianificano movimenti diretti verso il gemello. Questi movimenti hanno caratteristiche diverse rispetto ai movimenti diretti verso la parete uterina e verso se stessi e, tra la 14ª e la 18ª settimana, tendono a aumentare di frequenza…
Sembra esistere già un’organizzazione funzionale motoria in grado di differenziare i movimenti diretti all’esterno,
verso il proprio corpo o verso il corpo del fratello. Una delle conseguenze è che ogni feto si muove più “delicatamente” quando lo fa verso il suo simile.”
http://www.scienzaevita.org/rassegne/ade33fceacee0246d845ae02629f0f3b.pdf
Ho letto con molta invidia questo post! Magari avessi questo tipo di rapporto con uno solo dei miei familiari, soprattutto una che appartiene ad una specie rara e particolare…
Va be’… tutto serve… se no come si fa ad esercitare le virtù… ovviamente fallendo miserabilmente 99 volte su 100.
Mi sono ricordata di un documentario visto anni fa, uno dei più belli che abbia mai visto. I protagonisti erano due bambini della Mongolia, il grande di circa sei anni, il piccolo di tre. Abbandonati dai genitori a vivere in strada in un paese poverissimo, vivevano di espedienti, dormendo sui marciapiedi e mendicando cibo, in un paese che ha troppi bambini mendicanti per occuparsene. Il grande si prendeva cura del piccolo in un modo che spezzava letteralmente il cuore. Anche se i miei figli negli ultimi tempi vivono in un clima che chiamo BP (baruffa perpetua), spero che nel momento del bisogno saprebbero trovare un po’ dei sentimenti dei due piccoli del documentario.
@ Daniela,
i miei figli tra loro reclamano l’esclusiva del litigio, nel senso che “mio fratello/sorella lo picchio solo io, se qualcuno osa sfiorarlo o insultarlo, guai a lui”; così come ho avuto modo di vedere sin dall’asilo che, anche giocando con compagni diversi, se capitava qualcosa a uno di loro, l’altro se ne preoccupava subito e non se ne allontanava finchè non lo vedeva tornare a giocare.
Conoscendo i tuoi figli, sono sicura che nella difficoltà si farebbero custodi uno dell’altro 🙂
Questa dimensione di profonda e innata comunione, che si sperimenta sin da tenerissima età, dovrebbe far riflettere tutti coloro che sono fautori del “figlio unico a priori”…. “perché un figlio basta” (basta a chi?).
Al proprio egoismo, caro Bariom, basta solo al proprio egoismo per il quale ormai non si vuol piu’ rinunciare a nulla. Quando ci siamo sposati, io avevo 23 anni e mia moglie 18 ancora da compiere, abbiamo rinunciato a qualche cena con gli amici, a qualche cinema, ma siamo cresciuti insieme ai nostri due figli e ancora adesso ce ne ricordiamo con piacere ed anche quando siamo in loro compagnia. Uno puo’ anche andare bene ma meglio, molto meglio due e/o…..Alvaro.
…i gemelli sono ancora più radicati in questo com-patire (piangono sempre in coppia!)….Lasciamo perdere!
” ritenersi provocati dal turbamento dell’altro, com-patire fino a sentirsi in dovere di prendersi cura di chi si trova in uno stato di gravità nel ripristinare il suo stato di benessere per poter stare bene in se stessi, concepire la propria felicità come condizionata dalla felicità altrui.”
Ho l’impressione che ci sia un significativo passaggio dall’osservazione della propria prole ad una riflessione sulla fraternità universale. La mia felicità è legata alla felicità dell’altro, di qualcun altro, infine di tutti. È questo che spinge alcuni folli (santi?) a prendere su di sé il dolore altrui, fino ad offrire la vita. A imitazione del fratello universale che è Gesù. La sua medesima compassione: bello, direi anche massimalista, davvero una misura alta e non mediocre dell’amore.
Angelina, mutuando AngeloXL:
Smack!
😉
🙂
Grazie,ho bisogno di imparare la compassione,sempre.E’ che qui si corre troppo!!!Mirabile come la natura umana;colpita dal peccato,sappia pero’ essere cosi’ capace di tenerezza.I bimbi ce lo ricordano.