La sacralità e il culto

di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle!

Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva  penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.

In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.

A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di Colonia, Londra, Zagabria, Madrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).

Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.

Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen.

90 pensieri su “La sacralità e il culto

  1. matrigna di cenerentola

    mi stupisce sempre il modo in cui papa Benedetto riesce a ordinare e chiarire pensieri e sentimenti che appartengono ancora al popolo di Dio, ma che decenni di benaltrismo hanno cercato di sotterrare -spesso con successo. Nel risorgere della cultura dell’adorazione eucaristica c’è il ritorno al sacro di cui abbiamo bisogno per mantenere o ritrovare la fede. O trovarla: non è di fronte all’adorazione che André Frossard si converte, entrando per caso in una chiesa? Come ci sentiamo spesso dire -anche in campo strettamente cattolico- non è più lecito fare “proselitismo”, tutte le religioni vanno bene per salvarsi eccetera… Ma le persone in adorazione possono convertire senza parlare affatto. Sant’Anastasia a Roma, e l’adorazione perpetua sono un esempio.

  2. “E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.”

    PANTEISMO?

    1. No, Incarnazione.
      Il confine può apparire labile, ma non ci son due cose più diverse.
      “Dio si è fatto come noi per farci come Lui”

      1. Velenia

        Nell’Eucarestia non siamo noi che assimiliamo il cibo,ma è Lui che ci assimila a se.
        (sto studiando ,sto studiando)

        1. ma questo è Agostino, che l’Autore del post segue fin da quando era ragazzo, come don Fabio segue lui… va da sé che Agostino è ancora più giovane di entrambi (e probabilmente più di tutti noi messi insieme) 😉

        2. Alessandro

          “Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18).
          Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria.”

          (Benedetto XVI, omelia nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 23 giugno 2011)

          http://costanzamiriano.wordpress.com/2011/06/26/un-unico-corpo/

          1. Velenia

            Grazie Alessandro,Grazie Cyrano,oggi l’argomento trattato è proprio per me,che devo prepararmi alla mostra (e che sono molto ignorante).

      2. È facile confondersi con il panteismo quando si trattano certi argomenti del cristianesimo (ricordo benissimo di essere stato panteista, tra l’altro), ma se si può dire che Cristo è “il tutto” è solo perché tutto il resto è “un nullaj”, fumo di fumo.
        Le cose iniziano a farsi molto interessanti quando si arriva a riflettere su quell’immagine biblica in cui Dio “soffia” lo Spirito nell’uomo, e della conseguente creazione ad “immagine e somiglianza”.
        Tra l’altro avevo scritto un post proprio su questo, ma non so quantificare l'”eresia” che ci avrò messo dentro 😛

  3. 61Angeloextralarge

    Grazie Costanza, grazie Admin! 😀
    Concordo sul fato che l’autore di questo post farà strada, anzi, spero che sia mooolto lunga ancora! 😉

    1. Lo seguo fin da quando era ragazzo e posso testimoniare del suo talento, sebbene sia ancora molto giovane (certamente più di me)

  4. Velenia

    Grazie, questo post devo studiarlo e ristudiarlo,intanto vi invito tutti,quelli di voi che vivono a Palermo e quelli che si troveranno a passare da qui,alla mostra:”L’ Eucarestia,la grazia di un incontro imprevedibile” allestita a palazzo Bonocore,piazza Pretoria,Palermo,aperta fino al 17 giugno con ingresso libero. Si tratta di 36 pannelli che illustrano l’ Eucarestia attraverso l’arte e la letteratura.Vi assicuro che vederla è impiegare un ora in maniera fruttuosa.

  5. « Mistero della fede! ». Con questa espressione pronunciata immediatamente dopo le parole della consacrazione, il sacerdote proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana.

  6. Pistis

    Posso chiedere una cosa? Sono una nuova, interessata lettrice di questo blog… mi ha colpito la tua costante presenza nei commenti. Perchè ti dai tanta pena per ribattere a affermazioni che suppongo il 99% degli altri lettori giudica essenziali se non ovvie? Certo, in questo modo li rendi “pronti sempre a rendere ragione della speranza che è in voi”… ma da parte tua è un atteggiamento per lo meno bizzarro, estenuante, direi. Semplice curiosità, ovviamente. 🙂

    1. Alvise è la nostra spina nel fianco, ci tiene svegli, vigili e desti… nel coro di questo blog il contrappunto (che come si sa è l’anima della musica) è affidato quasi interamente a lui 😉

          1. admin

            ma non tutti stonano allo stesso modo e con la stessa frequenza.
            Purtroppo molti pensano che “cantare fuori dal coro” significa stonare

    2. Pistis: (strano nome per una che suppongo credo che creda nei misteri della fede!) forse era meglio pistis-sophia…
      Te lo dico subito perché. Perché essendo io, oltre che a muratore (non massonico!)un appassionato di religione e filosofia mi serve chiarire a me stesso, attraverso i chiarimenti e lo critiche che fo a voi, discutendo le vostre affermazioni, la composizione sia logica che storica che filosofica che misterica di tutta una serie di discorsi che voi venite facendo.Perché non è mica scontato che qualunque affermazione di qualunque tipo di un credente derivi da universali concatenazioni logiche teologiche. Io mi interesso di queste concatenazioni e ne vo a cercare l’origine (da miserabile che sono, ovviamente)
      Piuttosto mi sono tante volte interrogato sul fatto che qui quasi tutti parlano e si lodano a vicenda con WOW SMACK
      YUM YUM SLURP eccetra, e dicono sì il Papa è grande, sì il Papa è un genio, sì noi abbiamo ragione, siamo perseguitati ma resisteremo atc etc. Una specie di training autogeno autoconfermativo. Ma in fondo credo che tu questo che io ti dico tu lo sappia benissimo da te e che la tua domanda abbia solo l’intento di continuare il discorso di ieri di Paolo Pugni che diceva, a me “tu rompi i coglioni” e basta.

      1. 61Angeloextralarge

        Alvise Maria: non concordo sul modo di Paolo ma lo capisco perché è uno “tosto” e quelli “tosti” come lui a volte s’in… ma a buon motivo. Concordo su quello che ha detto: a te sembra di non romperli? Betao te che fai finta di crederci. Chiudo qui perché se no te ne approfitti come il solito per lasciare altri commenti degni poi di un altro commento tipo quello di Paolo di ieri! 😉

          1. 61Angeloextralarge

            Alvise Maria: non esigere da altri quello che tu per primo non fai… Quando ci vuole ci vuole!

          2. Giusto. Invece per essere stronzo non c’è bisogno di essere tosto.
            Il linguaggio grezzo è sconveniente e mi assumo tutte le responsabilità dell’uso scortese che ne faccio, anche per te ma soprattutto verso la padrona di casa.
            Mi chiedo solo e non so la risposta ho solo solo molti dubbi e nessuna punteggiatura se il rispetto, che tu sembri praticare solo verso te stesso e le tue idee, debba implicare per forza lo stare ad ascoltare discorsi che giudico volgari violenti e aggressivi. Certo, metti alla prova il nostro redde rationem il nostro porgi l’altra guancia, il nostro sette volte sette, il nostro sopportare pazientemente le persone moleste, ma non so se ci sia un limite. Qualche volta temo di essere il Pietro che mette mano alla spada, e ci fa una figura di m…. peraltro. Peró è anche cero che lo zelo per la Casa contro gli insulti reiterati è l’unica cosa che fa rovesciar tavoli a Gesù… Non so. So solo che faccio veramente molta molta fatica a perder tempo ascoltando i tuoi frequenti vaneggiamenti che le poche cose sagge che dici finisce cheme le perdo. E non rimbalzarmi addosso la critica perchè a pare rompere le scarole non vedo quale altro motivo ti tenga qui. Non vedo non vuol dire che on ci sia, dico che non riesco a vederlo. Certo che l’ironia pesante verso persone che stimo e/o conosco la trovo di cattivissimo gusto e mi inalbera proprio.

              1. 61Angeloextralarge

                Alvise Maria: “tosto” per me è un complimento! Vuol dire che secondo me ha le spalle quadrate e robuste e che è coerente tra quello che dice e quello che cerca di mettere in pratica. A lui e ad altri ,che impunentemente attacchi, va tutta la mia stima, ma non perché li attacchi, sia chiaro! Solo perché sono persone degne di questa stima e sopratutto perché anche se non c’è una conoscenza personale, voglio loro bene e NE SONO FELICE!!

            1. ,,,non ti ritengo uno “tosto”: In quanto a Gesù rovesciò i tavoli dei mercanti nel tempio, cambiavalute o che altro.
              Io non sono un cambiavalute.

              1. paolopugni

                la cosa mi getta nel più profondo sconforto, non so se riuscirò a dormire questa notte adesso che ho scoperto che non mi consideri un tipo tosto…

      2. Pistis

        Non capisco perché trovi strano Pistis… è solo un nickname come un altro (un soprannome/gioco di parole affidatomi tanti anni orsono dal mio prof di filosofia). Niente pistis-sophia, gnostici ed altro, grazie (minuscolo, poi!).

        Quante parolone nel tuo post, non ho mica capito, sai? 😉

        La mia domanda era semplice semplice: in altre parole, ma chi te lo fa fare? 😛

        Senza nessun intento di continuare discorsi di persone che non conosco o altro. Perché il fervente “training autogeno autoconfermativo” – come lo chiami tu – posso anche comprenderlo: quando le persone si ritrovano e si riconoscono in quello che dicono, è facile (e anche bello, e giusto!) esaltarsi e confermarsi a vicenda. Senza escludere il confronto, il dialogo e anche la polemica.

        E’ l’accanimento fine a se stesso, sempre e comunque, che ti richiede una quantità notevole di energie, tempo e anche nervosismo (a quanto ho potuto leggere), che non capisco proprio…

        Tutto qui. 🙂

    3. 61Angeloextralarge

      Pistis: benvenuta! Alvise Maria (questo è il suo nome) serve a far crescere nella pazienza! Potremmo farne a meno? A volte penso proprio di sì ma poi mi viene in mente che lui “ormai” lo si conosce bene ed evitando volutamente di entrare nei suoi commenti, si può riuscire a non “schiattare” e a non fare alzare i toni più del dovuto. Quando ne arriva un altro (come è già successo per qualche post… perché i troll non mancano mai in internet) si surriscalda il clima fraterno.
      Forse è meglio tenerci il “vecchio brontolone” (con affetto, Alvise Maria, eh!)? Come dire: chi lascia la via vecchia per la nuova sa cosa lascia ma non sa chi trova! 😉

      1. Pistis

        61Angeloextralarge: grazie del benvenuta! 🙂

        Spero di potere in futuro contribuire con qualcosa di più utile… comprendo quanto hai scritto: i troll sono delle brutte bestie. 😉

        E’ proprio perché non mi sembrava che Alvise Maria rientrasse in questa categoria, che ho voluto chiedere… e sono ancora curiosa di sapere. Perché, si sa, la fede può germogliare anche nelle maniere più inaspettate. 🙂

        1. 61Angeloextralarge

          Non ho detto che Alvise Maria è un troll ma che i troll non mancano mai in internet… E’ un vecchio brontolone, una specie di pentola a vapore, di caffettiera in fase di parto. il suo è comunque il tipico atteggiamento trolleggiante… -)

  7. Velenia

    OT, chi se lo ricorda: CRASH,GULP ,BANG I FUMETTIIFUMETTITTITTI IN TV.?
    Alvise, ssssssh questo è il mio rumore il sibilo della vipera.

  8. Mi ha colpito molto questa frase del Papa:
    “pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli”
    In linea di principio ho capito, ma non mi è molto chiaro cosa intenda per “fede desacralizzata”. Me lo spiegate?

    1. è la “fede” disincarnata di quelli che dicono che «alla fine, la fede è ‘na cosa di cuore, cioè, capito, te lo devi senti’ ddentro…» e a queste (non del tutto sbagliate) considerazioni non aggiungono altro.

    2. Alessandro

      Per come ho capito io.
      Alcuni cattolici dicono: basta con il sacro e i sacrifici con i relativi riti, il culto ormai non sta più nei templi e nei riti, perché Gesù ha detto “Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. (Gv 4, 23s).
      Ma è vero che Gesù (e penso che il Papa voglia rettificare soprattutto una sviata interpretazione del succitato passo giovanneo) ha abolito il sacro? No: perché, se è vero che “che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale”, è anche vero che Cristo: “non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale [qui ci vedo il riferimento a quel passo di Gv], ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22)”; “Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso”.

      Se prevalesse la “fede desacralizzata” (cioè, per intenderci, una lettura errata di quanto Gesù dice alla Samaritana secondo Giovanni), non celebreremmo il sacrificio eucaristico, non praticheremmo l’adorazione eucaristica né parteciperemmo a processioni eucaristiche (poiché verrebbe meno sia il sacro che riposa nell’Ostia consacrata sia il rito che è incentrato su Cristo sacramentato). Ma, una volta eliminati i riti, l’uomo, che ha bisogno di compiere gesti rituali e prendere parte a riti (quale che ne sia il conio e l’indole), si volgerebbe a “surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli”, poiché, venendo a mancare il sacro autentico da adorare, lo si rimpiazza con un succedaneo inautentico, con un idolo da idolatrare.

      1. Alessandro

        Ecco, “alla fine, la fede è ‘na cosa di cuore, cioè, capito, te lo devi senti’ ddentro…” è l’interpretazione sballata, cui mi riferivo, del giovanneo “adorare in spirito e verità”.
        Ottimo, Cyran’ 🙂

      2. “Se prevalesse la “fede desacralizzata” (cioè, per intenderci, una lettura errata di quanto Gesù dice alla Samaritana secondo Giovanni)….”
        chi sei tu per dire questo?

          1. … non ti voglio impedire proprio nulla. Volevo solo dire, come fai te a essere così sicuro che è come dici te o invece Gesù non volesse proprio dire che era finito il tempo dei riti sacri?

            1. Alessandro

              solo per dirne due, se avesse voluto la fine dei riti sacri Gesù:

              – non avrebbe impartito il comando “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, BATTEZZANDOLE nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28, 19);

              – non avrebbe impartito il comando di ripetizione (“Fate questo in memoria di me”: Lc 22, 19) a riguardo del banchetto eucaristico (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20; 1Cor 11,23-30).

                1. Alessandro

                  Ma anche nel vangelo di Giovanni è chiaro che Gesù desidera e comanda che ci si cibi del suo corpo e si beva il suo sangue (“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”). Insomma, anche in Giovanni il banchetto eucaristico è chiaramente evocato, così come la sua ripetizione in memoriale:

                  “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
                  Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”.
                  Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
                  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
                  Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
                  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
                  Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
                  Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
                  (Gv 6, 51-58)

    1. Alessandro

      I Paesi fortemente secolarizzati sono felici?
      Quanti sono lì i suicidi? E l’uso di psicofarmaci? E quanti aborti vengono praticati? (aborto è segno di paura di mettere al mondo una nuova creatura, non è segno di felicità e fiducia nel futuro)…

    2. lidia

      allucinante davvero…quel che dà fastidio poi è la sicumera dell’autore. Comunque sia, il fatto che i paesi più sviluppati economicamente siano anche i più atei è vero. E questo fa sorgere un’interessante questione: perché?
      da una parte, la tesi dell’articolo, e cioè che maggiore sicurezza economica = minor bisogno di credere in un aldilà “rassicurante” e giusto potrebbe essere vera. D’altro canto, la morte, l’ingiustizia, esistono anche i quei paesi (che hanno peraltro un tasso di suicidi altissimi). IO, per la verità, ribalterei l’assioma: minore fiducia in un Dio Padre = maggior necessità di cercare sicurezze materiali.
      Che poi quelli siano paesi civili è indubbio. Ma viene da pensare se ciò non sia piuttosto una conseguenza dello spirito cristiano, o religioso in generale.
      Forse la povertà rende (può rendere) l’uomo sanamente umile )a volte lo abbrutisce, invece, e qui cmq l’uomo diventa ateo lo stesso), cioè più pronto a riconoscere i propri limiti e l’autorità divina. Al contrario la panza piena basta a se stessa, e l’uomo si crede Dio stesso. Allora, a che serve Dio?

        1. Pistis

          E in tempi di crisi economica? E di catastrofi naturali? O la risposta al significato della vita (secondo l’articolo = ricchezza e benessere) è valida sempre e comunque, oppure è solo un abbaglio che vela gli occhi fino al mutare delle circostanze. 🙂

  9. Velenia

    Sapete che secondo Feuerstein,un grande pedagogista israeliano,autore del metodo di arricchimento strumentale che porta il suo nome,i riti hanno una funzione psicologica fondamentale per la persona,tanto che si accorse che gli immigrati somali riuscivano in poco tempo ad integrarsi nella società israeliana a differenza degli immigrati russi che avevano vissuto in una società completamente deritualizzata.

    1. Il rito è alla base di qualsiasi comunicazione umana (ma anche animale, solo che il rito umano è culturale e i simboli umani s’ha da apprenderli), è fondamentale ai fini del contenimento delle pulsioni pericolose (l’aggressività e la sessualità in primis, si noti che i comportamenti non ritualizzati sono sempre considerati socialmente inaccettabili), ma soprattutto è indispensabile al mantenimento e all’evoluzione di una cultura, tanto che se si perdono i riti ed i simboli relativi ad una cultura, si perde la cultura stessa.
      Chi propone di “deritualizzare” selvaggiamente non sa cosa dice, non si rende conto del ruolo che il rito svolge a livello individuale (quanta sicurezza vi infonde la ripetizione di movimenti abituali? Quanto siete stressati quando per un motivo o per l’altro dovete adottarne altri?) e nemmeno si rende conto del fatto che l’uomo, essendo un essere culturale, crea riti in continuazione.
      Certo, la fede non è il rito, ma noi siamo pur sempre umani e come tali viviamo in un mondo che comprende necessariamente anche i riti, e non possiamo continuare a vivere in questo mondo senza riti (a meno che non vogliamo incorrere in qualche nevrosi, nel migliore dei casi). Questo non vuol dire che un rito non possa cadere o cambiare, semplicemente un rito ci sarà sempre, a prescindere dalle idee religiose, politiche, o quel che è.
      Forse un giorno supereremo la dimensione culturale e con essa quella dei riti, ma è un giorno ancora piuttosto lontano. Per quel che so, fare a meno della ritualità potrebbe essere possibile per personalità che raggiungono un livello di consapevolezza “superiore” (sto pensando alla santità cristiana) e che quindi non hanno più bisogno di tutta quella vanità che abita il mondo sotto il sole. Però so anche che queste persone, nonostante non abbiano più bisogno dei riti, continuano comunque a farne uso per vivere insieme alle altre.

      “Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22)”

      Leggendo questa frase non posso che concludere, dunque, che Ratzinger abbia proprio colto nel segno, al contrario di tanti “desacralizzatori” che non capiscono come il sacro serva principalmente all’uomo, che per natura e costituzione non può farne a meno proprio come non può fare a meno di sorridere alla vista di una persona amica: entrambi sono riti, uno è culturale e l’altro è fisiologico, ed entrambi sono indispensabili alla salute interiore dell’essere umano.
      Prima che qualcuno venga a ribattere, nemmeno gli atei sono esenti, loro malgrado, magari, dal sacro e dalla ritualizzazione, semplicemente trattano come “sacro” oggetti ed idee diversi.
      Io preferisco servire solo “Colui che è”.

    1. Ci vengo troppo, io abito a pochi km da Rapallo! Trascinerò la mia panza di 9 mesi e prometto solennemente che non romperò le acque alla presentazione!

  10. Erika

    L’unica cosa che si ottiene cercando di contrastare un rito e’ di sostituirlo con un altro.
    Tutta la nostra vita si basa sulla ritualità.
    Semmai quello che si deve cercare e’ di “riempire” il rito, di viverlo consapevolmente.

  11. Alessandro

    “in Emilia Romagna, anche il Corpo eucaristico di Cristo, nel tabernacolo, è rimasto in alcuni casi sotto le macerie”. Lo ha detto oggi il Papa all’Angelus.
    Cristo sotto le macerie, come le vittime. Che le vittime risorgano, come Cristo.

    1. Alessandro

      Non perdi mai occasione per fare apprezzamenti sgarbati e stonati.
      Chi crede non può che vedere in quel Cristo sotto le macerie un Dio che condivide le afflizioni degli uomini e può trarli con Sé nella beatitudine eterna.

  12. Prima cosa non sono stato sgarbato, stonato forse sì, se per stonato intendi non dello stesso tono di quello che hai detto.Seconda cosa che “chi crede non può che vedere in quel Cristo sotto le macerie un Dio che condivide le afflizioni degli uomini” non è che sia vero per tutti, uno può anche credere e dubitare , a volte, della infinita misericordia di Dio, come anche fece Gesù sulla croce.Il tuo “non può che vedere” è, come al solito, la sovrapposizione del tuo vedere a quello possibile degli altri.

    1. Marco De Rossi

      Un momento.
      Gesu’ non ha mai dubitato, nemmeno sulla croce.
      Cerco la stupenda catechesi del Papa che spiega meglio il tutto e la inserisco.

      1. Marco De Rossi

        Eccola qui.
        Riporto solo una piccola parte, per chi vuole leggerla tutta, c’e’ il link alla URL originale.

        http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120208_it.html

        BENEDETTO XVI

        UDIENZA GENERALE

        Aula Paolo VI
        Mercoledì, 8 febbraio 2012

        “… omissis …
        Ma che significato ha la preghiera di Gesù, quel grido che lancia al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato», il dubbio della sua missione, della presenza del Padre? In questa preghiera non c’è forse la consapevolezza proprio di essere stato abbandonato? Le parole che Gesù rivolge al Padre sono l’inizio del Salmo 22, in cui il Salmista manifesta a Dio la tensione tra il sentirsi lasciato solo e la consapevolezza certa della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il Salmista prega: «Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele» (vv. 3-4). Il Salmista parla di «grido» per esprimere tutta la sofferenza della sua preghiera davanti a Dio apparentemente assente: nel momento di angoscia la preghiera diventa un grido.

        E questo avviene anche nel nostro rapporto con il Signore: davanti alle situazioni più difficili e dolorose, quando sembra che Dio non senta, non dobbiamo temere di affidare a Lui tutto il peso che portiamo nel nostro cuore, non dobbiamo avere paura di gridare a Lui la nostra sofferenza, dobbiamo essere convinti che Dio è vicino, anche se apparentemente tace.

        Ripetendo dalla croce proprio le parole iniziali del Salmo, “Elì, Elì, lemà sabactàni?” – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46), gridando le parole del Salmo, Gesù prega nel momento dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono; prega, però, con il Salmo, nella consapevolezza della presenza di Dio Padre anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte. Ma in noi emerge una domanda: come è possibile che un Dio così potente non intervenga per sottrarre il suo Figlio a questa prova terribile? E’ importante comprendere che la preghiera di Gesù non è il grido di chi va incontro con disperazione alla morte, e neppure è il grido di chi sa di essere abbandonato. Gesù in quel momento fa suo l’intero Salmo 22, il Salmo del popolo di Israele che soffre, e in questo modo prende su di Sé non solo la pena del suo popolo, ma anche quella di tutti gli uomini che soffrono per l’oppressione del male e, allo stesso tempo, porta tutto questo al cuore di Dio stesso nella certezza che il suo grido sarà esaudito nella Risurrezione: «il grido nell’estremo tormento è al contempo certezza della risposta divina, certezza della salvezza – non soltanto per Gesù stesso, ma per “molti” » (Gesù di Nazaret II, 239-240). In questa preghiera di Gesù sono racchiusi l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a noi incomprensibile. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo così: «Nell’amore redentore che sempre lo univa al Padre, Gesù ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”» (n. 603). Il suo è un soffrire in comunione con noi e per noi, che deriva dall’amore e già porta in sé la redenzione, la vittoria dell’amore.

        Le persone presenti sotto la croce di Gesù non riescono a capire e pensano che il suo grido sia una supplica rivolta ad Elia. In una scena concitata, essi cercano di dissetarlo per prolungarne la vita e verificare se veramente Elia venga in suo soccorso, ma un forte urlo pone termine alla vita terrena di Gesù e al loro desiderio. Nel momento estremo, Gesù lascia che il suo cuore esprima il dolore, ma lascia emergere, allo stesso tempo, il senso della presenza del Padre e il consenso al suo disegno di salvezza dell’umanità. Anche noi ci troviamo sempre e nuovamente di fronte all’«oggi» della sofferenza, del silenzio di Dio – lo esprimiamo tante volte nella nostra preghiera – ma ci troviamo anche di fronte all’«oggi» della Risurrezione, della risposta di Dio che ha preso su di Sé le nostre sofferenze, per portarle insieme con noi e darci la ferma speranza che saranno vinte (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35-40).
        … omissis …”

    2. Alessandro

      Alvise.
      “uno può anche credere e dubitare , a volte, della infinita misericordia di Dio, come anche fece Gesù sulla croce”.
      Ti ha già risposto Marco citando il Papa, che spiega benissimo che senso avesse sulla croce quel “Elì, Elì, lemà sabactàni?”.
      Oltretutto, Cristo è Dio e quindi non può dubitare di Suo Padre, poiché ne ha una conoscenza talmente perfetta che lo mette al riparo dal dubbio. ” Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Lc 10, 21-22).

      1. Alessandro

        Quanto alla sofferenza, non c’è bisogno di dubitare di Dio Padre perché Cristo soffrire. Gesù è vero uomo, come avrebbe potuto non soffrire con tutte le torture subite? Nonché prevedendo che gli sarebbero state inflitte. E si noti che il dolore di Cristo è grande anche perché Egli, che prova un amore infinito per ogni uomo, soffre per il peccato umano (peccato che è rifiuto dell’amore divino) che, nella Sua passione, s’è manifestato in modo tanto imponente e terribile.

      2. Molto nteressante anche il tuo modo di interpretare la scena, come è anche molto bello lo stile del linguaggio di Luca che ricorda un po’ i rigiri concettuali di Giovanni (il mio preferito, ma forse no, anche Matteo, Luca, Marco…)

  13. Io invece la interpreto così:
    Anche Gesù ha dubitato, se non avesse dubitato non sarebbe mai arrivato al limite della sofferenza, chi non dubita non soffre VERAMENTE, E poi, sempre nel racconto del vangelo, è morto e resuscitato, come doveva essere, ma è dovuto passare per l’estremo della sofferenza e della morte. E in quel momento era solo. non c’era nessuno a dirgli che in quella sofferenza non poteva che vedere etc…
    Lasciamogli almeno, alla gente, il possesso della loro sofferenza.

    1. Marco De Rossi

      Era solo e’ un conto, ed e’ vero: e’ stato abbandonato.
      Ha sofferto veramente, certo.
      Ha dubitato: no.
      Che chi non dubita non soffre veramente non e’ vero nemmeno questo.
      Facendo un esempio banalissimo, se ho una carie e mi fa male un dente e sto dal dentista, anche se ho la certezza che dopo la cura staro’ meglio, il dolore lo sento ugualmente.
      Se vengo esposto al pubblico ludibrio, anche se ho la certezza che ho qualcuno che mi vuole bene e che non crede all’opinione dominante, soffro lo stesso.

          1. Marco De Rossi

            Hai ragione …. siamo seri, il mal di denti e’ una passeggiata a confronto:

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