Qualche giorno fa il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo dichiarava di essere favorevole ad una limitazione dei compiti a casa per gli studenti, innescando l’inevitabile polemica.
Quello che segue è il parere di Costanza pubblicato dal settimanale Famiglia Cristiana. Voi cosa ne pensate?
«Lo studio fatto in classe non serve a nulla senza il corpo a corpo con i libri e l’esercitazione a casa nel pomeriggio, possibilmente da soli, che permette di impadronirsi della materia, acquisire un metodo di studio che poi servirà in futuro e soprattutto capire quello che l’insegnante ha spiegato a lezione, dalla matematica all’analisi logica e grammaticale alla comprensione dei testi.
Per questi motivi, afferma Costanza Miriano, giornalista, madre di quattro figli e autrice del best seller Sposati e sii sottomessa, non condivido affatto questa proposta perché rappresenta un passo ulteriore verso l’abbassamento della qualità degli studi, da un lato, e un indebolimento del senso di responsabilità dei genitori, dall’altro, i quali, forse, sentendosi troppo gravati dall’impegno di seguire i propri ragazzi (che comunque i compiti li dovrebbero fare da soli, con sempre maggiore autonomia, come si faceva fino a qualche anno fa) si lanciano in improbabili e dannose iniziative come questa. In compenso, però, molti bambini vengono poi sovraccaricati dalla famiglia di una serie di impegni, dallo sport al teatro a corsi di ogni genere, disperdendo tempo ed energie per la scuola.
Proposte del genere, continua, sono figlie di una cultura anti nozionistica nata dall’onda lunga di quello che convenzionalmente chiamiamo il Sessantotto, ma le radici sono più profonde. Il risultato è che oggi prevale l’idea, pericolosissima, che sia sbagliato o addirittura dannoso costringere gli studenti a imparare nozioni e regole e che sia meglio evitare di fargli fare le aste o i tondi. Di conseguenza, ci sono oggi molti bambini che hanno problemi di disgrafia e deficit di attenzione. Il compito di noi genitori, conclude, non è quello di boicottare ma di favorire lo studio personale a casa senza le distrazioni della tecnologia come Internet o la Tv. Basta avere la forza di dire no e imporre qualche regola».
Tutto condivisibile, a parte l’improbabile (almeno per me) nesso tra disgrafia, disturbi dell’attenzione e “cultura antinozionistica”…
Bisognerebbe però tener conto anche del fatto che si può imparare pure fuori dalle classi…. Insomma, la scuola è maestra di vita, ma anche la vita può essere maestra di scuola! 😉
Sono passati ormai cinque anni dagli ultimi “compiti per casa” , ma me li ricordo ancora bene eheh! Certo certi insegnanti esagerano nell’assegnare eccessivi esercizi, pagine da studiare ecc… Se sono troppi alla fine sono controproducenti, la testa non ci sta più comunque e non si riesce a capire lo stesso più nulla. Ma l’intervento del ministro mi sa tanto che era più radicale, e non voleva essere un semplice consiglio alla moderazione rivolto agli insegnanti… quindi concordo pienamente con la signora Miriano.
Se un bambino alle elementari non fa i compiti a casa, se non impara a memoria le tabelline, se non si esercita nella grammatica, se non impara la logica nel risolvere i problemi di matematica, se non inizia ad imparare come si studia veramente – più o meno- già dalle elementari, quando imparerà?quando eserciterà la propria mente? quando crescerà?quando imparerà il senso del dovere (e poi il piacere)? ecc… ecc
Io i compiti per casa li ho sempre fatti e son rimasta viva; le basi, quelle che non si dimenticano più, le ho apprese alle elementari e poi un po’ anche alle medie; la grammatica (penso sia abbastanza “nozionistica”) l’ho imparata alle elementari e alle medie e non vedo in quale altro modo, oltre ai compiti per casa, si potrebbe memorizzare qual è il plurale di “camicia” o se si scrive “sta” o “stà” ecc… A scuola si impara, ma a casa si memorizza meglio. Il tempo per le altre attività si trova pure, guai se non ci fosse il tempo di giocare, e fare altre belle attività anche utili, ma il tempo per imparare gli accenti e il resto…poi non lo trovi più! Basta leggere certi commenti che si trovano in giro (e i compiti erano obbligatori!) e vien da chiedersi se chi li ha scritti abbia frequentato almeno le elementari (poi magari scopri che è anche laureato o quasi). “c’è nè” di roba da mettersi le mani tra i capelli! “ho” se ci è o ci “fà”. Chissà com’è che passano l’ “hanno”…
E che dire di ” fargli fare” usato al plurale?
io penso che i compiti a casa occorrano. io ricordo che a scuola intuivo ma non riuscivo a mantenere l’attenzione tanto a lungo. semmai bisognerebbe trovare qualcosa per cui i compiti a casa non creino troppi squilibri tra chi ha genitori attenti e preparati e chi invece è lasciato allo sbando. (opinione di uno ancora senza figli quindi molto molto modificabile in futuro)
Sono assolutamente d’accordo con Costanza anche se mi sembra di sentire le imprecazioni di un paio di miei figli mentre scrivo. Ha toccato tasti essenziali come integrazione scuola casa, autonomia, l’importanza della nozionistica, sovraccarico di attività extrascolastiche. La mia esperienza da studente era che i compiti erano uno stimolo a combattere la mia pigrizia, a responsabilizzarmi e a riflettere su quanto leggevo aumentando il mio spirito critico. A scuola se il professore espone un pensiero legato ad un testo non sempre hai il tempo materiale per metabolizzarlo, rielaborarlo e criticarlo mentre a casa si. Saper organizzarsi il tempo poi è una scuola di vita. Devo dire che ho trovato molto simpatico anche questo articolo di Annalena benini : http://www.ilfoglio.it/soloqui/13052
Che ne pensate invece della scuola fatta a casa. Ho conosciuto un paio di famiglie la cui madri insegnano a casa ai propri figli, non so ho dei seri dubbi…..manca tutta la parte importantissima della socializzazione e delle dinamiche che inevitabilmente nascono in una classe di venti bambini e che altro non sono che dinamiche che poi si riproporranno amplificate nel mondo dei grandi.
Buona giornata
La trovo una cosa pericolosa anche dal punto di vista didattico. Molti professori esortano a non ” dare spiegazioni casalinghe ” con il rischio di confondere le idee ( mamma e papà sono volenterosi, 2+2 fa sempre 4, ma il metodo di studio in 20 anni è cambiato ), chiedono piuttosto di esortare il bambino a chiedere in classe il giorno dopo, affinché possa essere utile a lui e agli altri.
Io, però, vedo bambini di scuola primaria faticare sui libri per tre o quattro ore – specialmente se hanno qualche difficoltà – e genitori che cercando doposcuola pomeridiani come forsennati perché non si sentono all’altezza di compiti sempre più complicati e con un’unica modalità di soluzione spesso sconosciuta a loro (“no, mamma: la maestla ha detto che non è questo il plocedimento giusto” ).
Non parliamo poi della scuola secondaria di primo grado o media o come altro si chiama. Lì si fatica come facevo io ai tempi del liceo classico. Ed è normale, perché le materie sono strutturatissime, gli insegnanti, accusati di non essere all’altezza, devono dimostrare di non essere cattivi docenti (e spesso questo si traduce in un surplus di compiti assegnati) e persino i libri di insegnamento della religione cattolica ora sembrano più simili a libri di storia, pieni di nozioni come sono.
Per madri e padri che lavorano, spesso, i compiti per casa sono davvero un impegno troppo gravoso, soprattutto se hanno più figi in età scolastica e se la loro cultura non è granché.
Sai cosa mi diceva la mia più cara professoressa? ” Alla fine della lezione non devo chiedere agli alunni se hanno capito, ma se io mi sono spiegata bene “.
Incredibile! Per la prima volta nella storia il “best seller Sposati e sii sottomessa” fa la sua comparsa su Famiglia Cristiana.
Questa è la notizia!
Infatti! Non credo ai miei occhi! Come è possibile? Cambierà il tempo?
ahahah! grande Ale! è la prima cosa che ho pensato aprendo il Blog! caspita…. dopo più di un anno dalla pubblicazione, FC cita Sposati e sii sottomessa e la sua autrice…. per la serie, non è mai troppo tardi per fare i compiti….
Sposati e sii sottomessa: best seller… a dispetto di Famiglia cristiana 😉
secondo me aver definito Sposati e sii sottomessa un “best seller” è quasi un modo elegante di ammettere il buco giornalistico di Famiglia Cristiana per aver sempre ignorato un libro che si è fatto abbastanza notare in ambito cattolico e del quale si sono occupati Osservatore Romano, Avvenire, il Pontificio Consiglio per i Laici, Tempi, Tracce, Il Timone, La Bussola Quotidiana, Il Messaggero di sant’Antonio, TV2000, Tele Padre Pio, Radio Maria, Radici Cristiane, La Porzione, Zenit, etc
E ha “smosso” le acque in Portogallo e in Spagna…. 😉
Condivido totalmente!
Sono completamente d’accordo. Sono una “vecchia” insegnante e lo sperimento ogni giorno. Se il lavoro in classe non viene assimilato a casa con un lavoro personale NON si impara. Lo svolgere i compiti a casa serve proprio come verifica se quanto spiegato la mattina in classe è stato capito o meno. Se non c’è questo passaggio NON si impara. Soprattutto alle elementari. Insegno in un istituto tecnico commerciale e mi accorgo che molti allievi non hanno fatto delle buone “elementari” perchè stentano addirittura a leggere, non conoscono il sistema metrico decimale, non conoscono il significato di parole come “costo, guadagno, ricavo” “peso lordo, peso netto, tara”. Tutti concetti che dovrebbero essere acquisiti nei primi anni di scuola. Non riescono a svolgere semplici problemi con i calcoli percentuali non perchè non studiano, ma perchè non capiscono il testo in italiano! Cari genitori, lasciate che i vostri figli lavorino a casa, è per il loro bene. Lamentatevi di quegli insegnanti che sono troppo morbidi, accomadanti, non di quelli che “pretendono” : è per il loro bene. Si abituano a lavorare e impareranno anche ad organizzarsi per fare tutte quelle attività che soddisfano più i genitori dei ragazzi!
Sposo assolutamente la tesi di Profumo, ma vi siete resi conto della realtà che stiamo vivendo? addirittura accanirsi contro la tecnologia! Vi prego riguardo l’educazione è necessario un vero e proprio cambio di paradigma! Al riguardo scrivo sul mio blog riguardo il “ritardo” del nostro intero sistema educativo basato ancora sulle abilità accademiche.
Da madre ed Educatore mi pemetto di esprimere le mie idee in modo assolutamente diverso:
http://rtarsitano.wordpress.com/
Perchè limitare le possibilità dei vostri figli???
Ciao Rita, ho letto con attenzione il tuo post, ma mi sorge uno spaventoso dubbio… non sarà mica che, a forza di paradigmi tagliati ad hoc sul tipo di società in cui ci troviamo a vivere, si finisca poi sempre a rotolare nello stesso gigantesco inganno? Insomma, dalla padella nella brace, prima non andava per le ragioni che spieghi, domani non andrebbe altrettanto perchè il nuovo sistema sarebbe basato sulle medesime istanze di adeguamento a ciò che mercato/società/mondo del lavoro ci richiedono… Sarà davvero l’unico parametro su cui basarsi? Che poi la società e le sue istanze, chi le avrebbe generate, alla fine dei conti? Non una provocazione, davvero solo una domanda preoccupata… Credo che la scoperta dei propri talenti sia fondamentale, ma non mancava di certo, quand’ero piccola io, e nemmeno la creatività… Soluzioni al mio dubbio? 🙂
E perché non scrivere perché con l’accento giusto? 🙂
La domanda era per rtarsitano, che spero mi perdoni se la considero un’educatrice (e non un Educatore) 😀
però poteva essere pure per me 🙂 Nonostante io sia un’amante della lingua italiana e una conservatrice ad oltranza (cosa non necessariamente positiva…) mi ostino per pigrizia a concedermi – refusi a parte – il lusso del perchè con accento storto 😀 Giuro che smetto! (no non è vero…)
rtarsitano: se accanirsi contro la tecnologia è limitare l’uso dei videogiochie e del pc a scopo ludico… abbasso la tecnologia! Ma sai quanti bambini dipendenti ci sono? Si stanno facendo corsi per “disintosicare” gli adulti e si lasciano i bambini attaccati ore ed ore a tv, videogiochi e altro ancora! Roba educativa? Due domeniche fa, alla Messa, davanti a me c’era una mamma co una bellissima bambina, tutta piena di boccoli d’oro e due occhi azzurri incredibili: espressione molto sc… e iperattiva, quindi la mamma per tenerla buona l’aveva rifornita di un videogioco con la quale ha “rotto” tutto il tempo che la bimba l’ha usato… Bip…bip…bip. Sai che raccogliemento per chi stava vicino! Ringrazio ancora il Signore perché ad un certo punto, la bimba, sempre più sc…, ha letteralmente tirato il videogioco almeno oltre di due panche… purtroppo colpendo la nuca di un uomo, ma almeno l’ha piantata di r… !
Ciao Angelo,
spero tu abbia il tempo di leggere il mio blog così capisci che quando parlo di tecnologia non mi riferisco solo ai “video giochi” come li chiami tu, anche se ti assicuro i bambini oramai trovano assai più divertente avere un blog a 10 anni! (vedi Iene della scorsa settimana con il servizio di enrico lucci) o sapere come si chiamano le stelle. Di solito pensano solo a videogiochi proprio gli adulti che, peccato per loro, hanno problemi con la tecnologia.
A tale riguardo ti consiglio di leggere questo articolo
http://rtarsitano.wordpress.com/2012/04/03/e-tu-sei-una-mamma-2-0/
Il problema è di noi adulti che non ci adeguiamo, adattiamo a questo “nuovo modo di comunicare” perché no anche con i nostri figli. Se ci facciamo coinvolgere anche noi ti assicuro la tecnologia è molto più utile e gestibile di quello che sembra.
Ti saluto
Roby
Roby: l’avevo capito che non ti riferivi solo a quello. L’esempio che ho portato era proprio per sottolineare che comunque, riguardo ai video giochi ed altro, non sono i bambini il problema, ma noi adulti. 😉
Mi chiamo Angela 😉 ed entrerò nel tuo blog!
grazie mi fa piacere sentire tante opinioni, se poi ti interessa metti Mi Piace sul box FB Roberta Tarsitano Advising
Ti saluto
Roby: per scelta non uso facebook, etc., etc. Anche se sono tecnologica perché collaboro con un paio di siti ed elaboro altre cosette con le quali cerco di fare evangelizzazione online (per ora sta funzionando più che bene,isti i risultati numerici). Non ho blog, quindi non posso lasciare il “mi piace”. Lascio tantissimi smack! Fino a far venire la nausea, ma questo solo da qualche mese, cioè da quando ho conosciuto questo blog. Poi mi sono “allargata” (per adeguarmi al fisico…) e all’oggi ne “bazzico più di uno (ancora non sono arrivata però alle dita di tutte e due le mani).
Ho letto il post del link che hai lasciato e leggerò prossimamente anche altro. Non so se ho letto troppo velocemente ma mi ha colpito lo stimolo che dai a “prendere le decisioni future in base alle tue passioni”. Non sono un’educatrice con tanto di targa ma, oltre ad avere prestato servizio nel campo giovanile-vocazionale, ho fatto per lunghi periodi servizio di volontariato tra giovani, tossici, portatori di handicap anche grave, quindi penso di aver meritato una “laurea sul campo”. Battute a parte, credo molto nell’esperienza personale. Oltre che alla formazione scolastica SE FATTA AD HOC… così siamo certe di essere in linea con il tema del post.
Sai perché mi ha colpito il tuo stimolo? Perché, da cristiana praticante, credo sì, che occorra decidere sul futuro basandosi sulle passioni, anche se invece di usare il termine “passioni” preferisco usare “predisposizioni”. ma soprattutto credo che occorra anche fermarsi un attimo e chiedere al Signore: “Ma Tu, per me, che cosa hai preparato?”. Personalmente ho un metodo spicciolo spicciolo quando devo fare scelte veloci eo/ meno veloci. Me lo ha insegnato anni fa un sacerdote:
1, la cosa che più mi piace
2. la cosa che mi costa di più
3. la cosa più utile (ovviamente non a me ma a tutti)
La scelta la indirizzo verso la cosa che ha tutte e 3 queste caratteristiche.
Come vedi il punto 1 è un po’ quello che dici tu: “passioni”. Ma non mi basta. ho bisogno anche degli altri 2. Questo per me, poi ognuno è libero di fare ciò che vuole. Anche il Signore ci lascia liberi… 😉
E se invece (mettiamo) non ci fosse il numero 2? Non sarebbe anche meglio? La numero 2 mi sembra una condizione né necessaria nè sufficiente. O sono il solito provocatore?
Alvise Maria Vincenzo: 1 2, 3 stella! 😉
Ognuno ha il suo metodo. Quindi fatti quello che ti viene meglio, no?
Alvise Maria Vincenzo:
1. la cosa che più mi piace… “Il Signore ama chi dona con gioia”
2. la cosa che mi costa di più… “Se uno mi ama prenda la sua croce e mi segua”.
3. la cosa più utile (…)… LA PARABOLA DEI TALENTI
Le citazioni puoi cercarle che non ti fa male. 😉
Mi piace molto la tua risposta, peccato non poterla mettere nel mio blog, comunque sia il metodo come arrivi alle tue scelte è importante che siano fatte assolutamente in linea con le nostre REALI inclinazioni.Il problema è che molte persone, soprattutto i giovani non sanno quali siano, o meglio pensano di non saperlo perché offuscati dalle aspettative altrui o eticamente più ammirabili…ed allora ….arrivo io ;-)..Ti saluto caldamente!
Roby: in fondo andiamo d’accordo. Non sempre le inclinazioni dei figli sono stimolate e/o considerate, non dico fondamentali, ma importanti. I giovani, te lo garantisco, spesso sanno meglio di noi quali sono le loro inclinazioni. Infatti, girando la frittata agli adulti, spesso sono condizionati da questi. Non è raro che i genitori, in buona fede e pieni di progetti ai loro occhi positivi, tentano di far fare al figlio quello che loro non sono riusciti a realizzare. Ne abbiamo tanti esempi.
Hai un bel da fare! Cerca di farlo unita al Signore, e ti verrà molto meglio di come potresti farlo da sola. 😉
Anche questo te lo dico per esperienza personale. Smack! 😀
Ciao a tutti, sono nuova di zecca qui sul blog, anche se da un po’ vi leggo in silenzio… Ecco, per quel che vale, avendo dato ripetizioni per la totalità dei miei anni di liceo ed università (oltre ad esser stata a lungo capo scout, il che ti mette a contatto continuo con la rapidissima evoluzione dei ragazzi in una determinata fascia di età), la vedo da un lato “altro” e posso dire che i problemi comuni, che ho sempre riscontrato in tutti i miei “allievi”, erano sostanzialmente due: l’imperativo categorico del tuttoesubito (corollario: e senza fatica) e la presenza onnipervasiva dei genitori.
Che, detta fra noi, stressa quasi più loro dei ragazzi stessi.
La prima questione temo proprio non sia appannaggio esclusivo degli studenti. La cultura del tutto e subito e senza fatica mi sembra permeare ormai buona parte degli ambiti della nostra società, la fatica non è un valore, non è una sfida, non è uno strumento per crescere e formarsi – talvolta perfino divertirsi, o battere la pigrizia (come scrive benissimo qualcuno qui sopra, santa verità per la sottoscritta! :D), per fare uno scalino in più. E la curiosità, che secondo me è madre di qualunque apprendimento – scolastico o meno – che conti e rimanga, bè, boh, mah… la curiosità mi par proprio data per dispersa. Mica sempre mica in tutto mica per tutti. Ma così, come linea di condotta generale.
In effetti vuoi mettere la semplicità della tv o del videogioco rispetto a tutte quelle righe che ci sono in un libro?! Mica di scuola, dico anche un romanzo d’avventura, eh. La maggior parte dei ragazzi non arriva a leggere nemmeno i fumetti. E non riesco a dar loro tutta la colpa…
Per il secondo problema, secondo me, c’era quel vecchio adagio del prima il dovere e poi il piacere che da piccola odiavo tanto ma che, con un po’ di concentrazione, consentiva di finire i compiti alle quattro e sparire in parrocchia a giocare fino alle otto di sera. O anche a fare tutte quelle menate che dice Costanza (le mie erano ginnastica ritmica, nuoto, lezione di chitarra, scout e acr. Con un rientro pomeridiano, alle medie!). Ma con due regole due, ci entrava tutto…
Oggi i ragazzi si riducono a studiare alle dieci di sera (io alle nove ero a letto…) isterici e svogliati, e i genitori sono ovviamente sempre chiamati in causa per riuscire a tenerli seduti sulla sedia, far ripetere cose che la stanchezza non aiuta a capire e trattenere, portando l’intera famiglia a livelli di isteria collettiva da manuale. E le mamme sono le prime a lamentarsi dicendo che non vogliono più vedere compiti a casa, che la colpa è degli insegnanti e che i ragazzi dovrebbero solo pensare a giocare. Lo fanno, lo giuro, le ho sentite io! 😉
In tutto questo, c’è il proliferare di scuole a tempo pieno, che sono necessarie alla sopravvivenza di tutti, ma non rendono un servizio in quest’ottica. D’altra parte temo siano figlie delle stesse rivoluzioni che ci spingono a lavorare tutti e sempre 37 ore al giorno, con gli annessi e connessi che di solito Costanza spiega tanto bene. Dove li metti, sti benedetti bimbi, fino all’uscita dall’ufficio!? Ed è vero, non c’è che dire. Il che non lo rende giusto, solo vero.
Qualcuno sa spiegarmi poi perchè oggi non c’è praticamente più un ragazzo che stia messo normalmente sulla sedia? Si abbarbicano in ginocchio, diagonali, in piedi, storti, accucciati… di star seduti non se ne parla proprio. E , da ultimo, nessuno gli insegna più cosa siano i nessi, i ragionamenti, le relazioni tra concetti e nozioni che loro, poveretti, ripetono a pappagallo, non trovando altri appigli per fermarli nel cervello. Facendo il quadruplo di fatica e dimenticando tutto due giorni dopo! Chi dovrebbe insegnare la sottile arte in questione, che poi credo sia la stessa roba che i latini chiamavano forma mentis? No, non la mamma o l’insegnante. Ma gli stimoli, quelli sì. E ho la brutta sensazione che inizi ad essercene una carenza pericolosissima. Di quelli sani, perlomeno… Insieme alla capacità di rielaborazione personale…
E la paura sottile è che quello che impari a scuola, buono o cattivo che sia, il modo di affrontare le cose e la vita che ti costruisci là, poi sarà il filtro con cui affronterai il resto della tua vita adulta.
Uh è uscito un commento troppo lungo e pessimista? Guido me lo casserà! 😀
Un saluto a tutti!
Ti capisco, da piccola facevo di tutto: danza, il coro, il corso di ceramica, quello di chitarra, e i giochi con gli amichetti…..ma dopo i compiti, insomma le due cose non si escludono a vicenda. Una questione allarmante è quella dei genitori: una volta mi è toccato dire ad una mamma ansiosa che suo figlio non aveva bisogno delle ripetizioni perché matematica la capiva benissimo. Ok, ci ho rimesso in guadagni, ma ho trovato che fosse meglio non rimetterci in onestà e sopratutto cercare di far capire alla mamma che ” pressare allo sfinimento i figli ” non li aiuta, sopratutto se il figlio in questione sta bene ed apprende facilmente. Due amiche di mia madre sono così solo che più loro tormentano i figli meno quelli studiano.
già… non che si possa mai fare di tutta l’erba un fascio, per carità, ma sta cosa di tenerli al riparo da tutto e render loro le cose semplici… io mi pigliavo certe sgridate! 😀 E credo mi sian servite. E poi boh, sarò noiosa, ma a me continua a puzzare di marcio l’abbandono in massa della lettura in favore di ammennicoli spegni-cervello… 😀
Purtroppo i videogiochi non gli fanno usare la testa, usano quella di chi lo ha creato. Purtroppo non riesco a far leggere i miei fratelli, ma preferisco vederli correre dietro ad un pallone che buttati sul divano. L’altro giorno ho sgridato il più grande perché faceva i compiti con il pc; quando gli ho fatto presente che noi non lo avevamo mi ha guardata come un’aliena….e pensare che avrei volentieri scritto la tesi a mano!
Stella Polare: la fatica è considerata un peso, un fastidio da togliere assolutamente! Benvenuta! 😀
Grazie mille! 🙂
Io sono la masochista del gruppo… però vuoi mettere il mezzo litro di birra sulla cima di una montagna col mondo ai tuoi piedi dopo ore di cammino e schiena rotta per arrivare su? Mica ha lo stesso sapore di quando la prendi la sera al bar! 😉
Ah, e w i palloni all’aria aperta, le altalene e le corse a perdifiato. Quasi meglio dei libri, in effetti!!!
No pain, no gain, come dicevano gli assiro-babilonesi.
…o erano gli Ittiti?
Gli Osseti?
…ecco, loro!!!
Vede che sui classici ci si trova d’accordo 😉
Al riguardo sposo pienamente la tesi del Pedagogista inglese Ken Robinson: “il nostro intero sistema EDUCATIVO è ancora basato sull’idea di abilità accademiche” e questo per una ragione fondamentale: tutto il sistema è stato inventato – in tutto il mondo non c’erano scuole prima del XIX secolo – secondo lo stile economico dell’epoca, infatti il 20° secolo era caratterizzato da una economia dominata dal pensiero di Frederick Taylor e il suo lavoro THE SCIENCE OF PRODUCTIVITY, secondo cui la produttività proveniva da una maggiore efficienza per cui anche il SUCCESSO era correlato alla possibilità di creare beni e servizi nel modo più VELOCE ed ECONOMICO possibile con una forza lavoro che riuscisse a TESTA BASSA a sopportare cicli di lavoro incessanti e che incoraggiassero sempre maggiore velocità e precisione.
L’intero sistema educativo quindi era stato progettato e strutturato per venire incontro ai fabbisogni industriali, per creare cioè una massa di persone che fossero in grado di funzionare secondo criteri di MECCANICA ed EFFICENZA, ma I TEMPI SONO CAMBIATI!
Sarebbe interessante anche sapere cosa ne pensa a questo proposito il promotore pedagogico Paolo Pugni.
Mi scusi, non vorrei sembrare impertinente ma… “in tutto il mondo non c’erano scuole prima del XIX secolo”? Ma da quale mondo alternativo viene, Ken Robinson? 🙂
Propongo la lettura del libro di Ivan Illich : “Descolarizzare la società”.
Buon Giorno Ragazzi! Faccio una breve premessa: sono stata alunna fino a pochi mesi fa. Non ho nulla contro gli approfondimenti e lo studio a casa, ma ora da professoressa mi rendo conto che è il metodo ad essere sbagliato.
Esempio personale. Il più piccolo dei miei fratelli fa le medie.
Ogni volta che ci sono le vacanze ogni professore gli lascia una tale mole di compiti che in 5 giorni non ne farebbe così tanti neanche se andasse a scuola e dopo facesse i compiti a casa.
Altra premessa, il piccolo è un genio, il problema non è farli, è la mole di lavoro.
Infatti ogni professore dà per la sua materia i compiti che ritiene giusti, senza consultarsi con gli altri docenti. Il risultato è quindi moltiplicato per almeno 12 materie. Così i colleghi non si rendono conto che il carico eccessivo sarà smaltito….dai genitori, che saranno costretti a fare quello che per motivi di tempo il pargolo non può fare, anche se fosse il figlio di Einstein ( perché il giorno ha sempre 24 ore e lui/lei devono mangiare e dormire). Tra l’altro nessun bambino di questo mondo tiene alta l’attenzione per 5 ore filate.
Se poi non finisce i compiti deve farli quando rientra dalle vacanze insieme ai compiti quotidiani ( assegnati secondo la modalità di quelli per le vacanze, senza criterio per la mole di lavoro e senza considerare che il bimbo è già stato 8 ore a scuola ).
Anche se Andrea è autonomo e non faccio più i compiti con lui è comunque sbagliato ( a mio parere ) impegnare i figli a scuola e poi pretendere che facciano altre 4 ore a casa ( sinceramente, cosa pensate che ne capiscano già ” cotti “?).
Quando studiavo per gli esami o per la tesi, se andavo nel ” pallone ” uscivo a passeggiare o facevo ginnastica, insomma, come dicevano i nostri avi ” mente sana in corpo sano “. Lo sport fa bene anche allo studio, perché rilassa la mente, sempre dopo i compiti, magari un giusto numero di compiti.
Ecco, anche questo è verissimo, mi ricordo quanto imprecavo io al liceo esattamente per questo problema. Un po’ di buonsenso e coordinamento tra insegnanti sarbbe doveroso (ma i miei si facevano la guerra perchè ognuno aveva la materia più importante delle altre, quella fondamentale!), almeno una volta di maestra ne avevi una sola, e per quei 5 anni eri salvo da questo punto di vista. Ora non ci si salva più nemmeno da piccini! 😀
Scherzi a parte penso che tu abbia sottolineato un altro correttissimo lato della questione…
Grazie, spero solo che i genitori durante gli incontri con i docenti siano un tantino più incisivi, mio fratello ha un’infinità di materie che dovrebbero….fare pace per il bene mentale dei piccoli.
C’era un genitore che insisteva per fargli fare ancora più compiti e ho scoperto che il figlio li copiava il giorno dopo in classe, per questo sembrava velocissimo.
Hai ragione Alessandro, la vera notizia è quella della pubblicazione su Famiana Cristiglia.
“il parere di Costanza pubblicato da Famiglia Cristiana”: wow! A quando la recensione dl Sposati e siis ottomessa, su questo giornale? 😉
Torno dopo… Ciao, ragazi! 😀
Ortografia: -5
AAA cercasi istruttore di buona volonà e di poco costo! 😀
Scusami per la grammatica, ma scrivevo tutta presa dall’argomento…..
Paperella: il commento sull’ortografia è rivolto a me stessa! 😉 Quando faccio troppi errori mi “riprendo” da sola, cercando di ricordami di stare più attenta nei prossimi commenti, Per ora nessun miglioramento! 🙁
Non ti preoccupare, scusami ma come si dice dalle mie parti ” non ne imbrocco una “, nel senso che dato che anch’io ne faccio di continuo pensavo fosse un suggerimento. Un bacio!
Paperella: bacio ricambiato! Smack! 😀
Grazie!
Mi stupisce che famiglia cristiani ti abbia pubblicato, devo complimentarmi con l’autore 😀
Rielaboro qui di seguito un mio vecchio post, uscito su Canone Occidentale, per spiegare – a chi interessa – come la vedo io; è lunghissimo e me ne scuso in anticipo.
La scuola nei paesi occidentali ha subito un lungo periodo di trasformazione, almeno a partire dagli anni 1960. Si tratta di capire però la direzione che hanno preso tali cambiamenti e di contestualizzarli nella nostra società.
La tendenza, nella scuola, è di assecondare istanze “anti-autoritarie”, rendendo l’insegnamento “democratico” e, ancora meglio, puntando sull’autoformazione, sulla formazione tra pari, ecc… Inoltre si è insistito a lungo sull’apprendimento delle “competenze” che dovrebbero sostituire una cosa tanto antiquata e oppressiva come le “nozioni”, infatti “nozionistico” nella scuola è l’insulto massimo, il ricettacolo di ogni male.
Per ottenere tali risultati è stato fondamentale spostare tutto il dibattito sulle “metodologie”, tralasciando completamente la domanda sui contenuti da trasferire alle nuove generazioni.
La cultura post-sessantottina ha contribuito alla diffusione di alcuni luoghi comuni – egualitarismo, scuola di massa, compresa l’università di massa, cultura del politicamente corretto, divisione del curriculum scolastico dalla pratica lavorativa, indifferenziazione di genere – che hanno reso la scuola un potente mezzo di trasmissione di una visione frammentaria e disgregata del mondo e della società.
Ci sono precise tendenze pedagogiche che promuovono l’autoistruzione degli studenti, prevedendo gli adulti solo in funzione di “facilitatori”: attenzione alla neo-lingua orwelliana, è essenziale per diffondere a macchia d’olio concetti che vanno contro la ragione! In questo contesto non ha più nessuna importanza “cosa” vale la pena di essere trasmesso, ma assume invece il massimo rilievo il processo di “facilitazione”, che troppe volte significa spezzettamento, omogeneizzazione, togliere ogni fatica dallo studio, cancellare la dimensione dell’impegno personale, attendendo di essere facilitati, appunto. Si sposta così l’accento dai contenuti ai procedimenti, le famose “competenze”. Essere competenti non è ovviamente un male in sé. Ma se alla conoscenza di Dante sostituisco la “competenza” di poter leggere un manuale di istruzioni o il piano di evacuazione di un edificio pubblico, ottengo certamente una formazione molto diversa. Senza parlare di un fatto che dovrebbe essere più che evidente: se riesco a leggere Dante, difficilmente avrò difficoltà con il piano di evacuazione (ma non viceversa).
I fautori delle competenze auspicano una modalità di pensiero che si applichi sul nulla, pensiero critico senza la conoscenza dei fatti, senza dati precisi da pensare, senza rilevanza della realtà, una specie di “internet” del sapere, dove tutto è ugualmente valido, ugualmente rilevante, dunque – di fatto – ugualmente irrilevante. Sono quasi completamente andati perduti il pensiero critico, le capacità di approfondimento, la gerarchia delle fonti, quindi non c’è più autorevolezza: tutto il sapere è sullo stesso piano, ugualmente in rete, quindi ugualmente dispensabile dall’essere nelle singole teste degli studenti. Se non ci credete, fate una prova: prendete un qualunque libro di testo in uso fino alla metà degli anni 1960 e provate a proporlo ai ragazzi della stessa fascia di età per cui era pensato in origine. Scoprirete che risulta incomprensibile. Fino a qualche generazione fa Moby Dick e Ivanohe erano letteratura per ragazzi delle medie inferiori, oggi si possono appena provare a proporre a un liceale maturando.
Nel credo dei moderni pedagoghi l’ossessione per le competenze nasconde l’orrore per i contenuti.
L’Europa, in questo contesto, non sa e non vuole prendersi la responsabilità di indicare contenuti, essendo i contenuti significativi di valori e gerarchie. L’Europa vive con disagio le proprie radici culturali, non solo quelle giudaico-cristiane, ma anche quelle (collegate alle prime) razionali e scientifiche, finisce quindi per proporre profili minimi, competenze generiche, scatole (teste) vuote. Sulle teste vuote, ovviamente, si governa meglio. L’ideologo di riferimento, per tutta una generazione di pedagoghi è Edgar Morin, che è il paladino delle “teste ben fatte” contro le “teste piene”. L’impressione è che, ovviamente, solo i super-pedagoghi-tecnici sappiano cosa è una testa ben fatta, ce la plasmeranno loro, la plasmeranno ai nostri figli mentre tenteranno di mantenerla ben vuota. Da qui nasce l’ostilità ai compiti.
Che poi qualcuno dica che c’è anche una patologia dei compiti, che ci sono insegnanti sfaticati che usano i compiti per sostituire la lezione, o sadici, che li usano per mantenere i ragazzi in uno stato di sottomissione, è tutt’altro problema. Ed è, ovviamente, vecchio come la scuola. Ma eliminare i compiti dalla scuola per questi problemi sarebbe come togliere il cuore a una persona sana, perché potrebbe ammalarsi. I compiti, cioè il lavoro personale, affrontare in un corpo a corpo un testo, un problema, una serie di dati da memorizzare, fa tutta la differenza tra ciò che davvero sappiamo e ciò che possiamo sempre trovare da qualche parte su Wikipedia. Ovviamente, i compiti divengono una vera maledizione biblica, quando le famiglie sono prese da altre attività e quindi non disposte a spendere tempo e fatica sulla formazione dei figli.
Il ministro e i sostenitori dell’abolizione dei compiti a casa partono da alcune vere difficoltà delle famiglie contemporanee, la compressione del tempo passato in comune, ad esempio, per suggerire che i bambini non imparino soltanto a scuola: meglio un museo, un concerto, una gita nei boschi, che un verbo irregolare in più da memorizzare. Non sarei completamente contraria a questo argomento, se però fosse realistico. Come pensa il ministro di poter organizzare o anche solo incoraggiare tali attività alternative? Non crede che semplicemente aumenterà statisticamente il parcheggio dell’infanzia davanti a televisori e videogiochi? Bisognerebbe prima rafforzare le famiglie: è in grado il ministro o il governo di farlo?
Non credo che se ne possa uscire semplicemente con una riscrittura di programmi e orari scolastici.
Se ne esce guardando la scuola con occhi completamente nuovi.
In primo luogo, prendendo atto che il concetto di scuola per tutti, obbligatoria e gratuita è relativamente recente. Di fatto, un lascito della Rivoluzione francese. E, come tutto ciò che è stato diffuso e introdotto a seguito di tale Rivoluzione, non nasce certo priva di pre-giudizi e fini politici.
Fa parte di un processo di limitazione della sovranità della famiglia sull’infanzia, a favore di politiche statali che creino uniformità forzata. La famiglia, con tutti i suoi limiti, è il luogo dove il bambino apprende ogni cosa all’interno di un reticolo di senso, di valori, di condizioni (di tempo, di luogo) specifiche. Apprende il linguaggio che ascolta, conosce i mestieri che osserva, conosce la sua strada, il suo campo, il suo vicino, il clima in cui vive, gli uccelli che nidificano nel bosco accanto a casa. La famiglia è il luogo in cui le generazioni si incontrano, in cui si scoprono il senso della vita, della malattia, della fatica, della festa, della morte. La scuola, al contrario, è il luogo delle informazioni più generali, del mondo più ampio, del confronto con altri luoghi e tempi. Gli studenti sono misurati tramite compiti e test, attraverso un voto di comportamento, raramente in base a doti, particolarità, capacità creative, o umane che non siano standardizzate.
Tale dicotomia funziona fintanto che funziona il contesto famigliare e sociale che aggiunge all’educazione dei ragazzi quei tasselli che la scuola inevitabilmente non può dare. Purtroppo invece quel contesto non c’è più. Le famiglie sono letteralmente sbranate, fragili, decomposte, isolate. Nella nostra società sono necessari due stipendi per vivere in una grande città, i genitori sono costretti ad affidare a estranei i propri figli fin dalla nascita, per molte famiglie superare la soglia dei due figli significa accedere alle statistiche sulla povertà.
Le famiglie si spaccano con sempre maggiore facilità, le madri sono assenti quasi quanto i padri. Potrebbe sembrare una conquista, il lavoro femminile, ma il suo rovescio di medaglia è l’abbandono dell’infanzia nelle mani dei “professionisti”.
Per il mondo del lavoro molto meglio due lavoratori senza figli, magari qualificati e a basso costo, senza troppi legami famigliari, senza anziani da accudire. Semplici cellule da comporre e scomporre a piacimento, sradicate da ogni comunità, dal territorio, da legami forti, pronte a consumare e funzionare secondo gli interessi di gruppi di potere troppo forti, troppo anonimi, troppo subdoli, per poter essere contrastati. Se viste in questa prospettiva, le politiche su aborto, divorzio, contraccezione ed eutanasia, assumono un significato sinistro.
Nella stessa direzione va il continuo smantellamento dei programmi scolastici, in modo che nulla di preciso e definito venga davvero insegnato: la sensazione di appartenere a una forte tradizione culturale, di essere radicati, la capacità di comprensione profonda, di studio e pensiero critico, sono cose non troppo funzionali allo spezzatino sociale che siamo diventati. Si passa dunque dalla scuola dei programmi e dei contenuti alla scuola dei metodi e delle competenze, cioè al nulla organizzato.
Ci sono momenti storici in cui non è facile dare un giudizio lucido sull’epoca in cui si vive. Forse non lo è mai. L’unica similitudine che mi viene in mente è quella con la fine dell’Impero Romano, lo dicevo già qui. Una civiltà è finita, quella che la sostituirà per ora non si distingue (ci sono sicuramente frammenti, dettagli, ma non è facile separare ciò che è significativo da quello che non lo è). Per continuare la similitudine, il compito necessario è quello che fu allora dei monasteri: conservare ciò che ha valore, avere una grande sete di senso, prendere il buono delle novità, preparare il futuro.
Da parte mia vorrei proporre, o ricordare, o appoggiare -fate voi – alcune cose molto semplici:
1 promuovere la famiglia come nucleo fondamentale della società e, per questo, anche principale agente dell’educazione dei giovani (quindi chiedere prima di tutto più famiglia, non più scuola);
2 considerare la scuola come uno degli strumenti a disposizione della famiglia, quindi al servizio del piano educativo di questa, non parte di un programma ministeriale di omologazione sociale;
3 favorire il reincanto dell’infanzia, educando al bello e al bene;
4 ritornare al reale (per dirla con il famoso titolo di Gustave Thibon), anche limitando l’uso della tecnologia come babysitter virtuale:
5. promuovere la trasmissione dei punti cardine della tradizione occidentale (i grandi testi letterari e scientifici che la compongono, conoscenza di greco, latino, matematica, filosofia), valorizzando il pensiero logico rispetto a quello irrazionale, i fatti a fronte delle opinioni;
6. forte rivalutazione del lavoro manuale e artigianale, riscoperta della sua dignità di fondo rispetto allo studio teorico, in modo da poter davvero mettere a frutto i talenti di ciascuno.
Infine si tratta di scendere a patti con una semplice realtà: che le necessità dei bambini non sempre si possono accomodare con quelle degli adulti e a volte è necessario fare scelte decisamente pro-infanzia, anche se questo vuol dire ripensare, ad esempio, l’organizzazione del lavoro femminile.
Letture per approfondimenti:
Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, Milano 2010.
Giorgio Israel, Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativo e culturale e documenti
Daniela: grazie!
Molto bello, Daniela!
Lungo ma molto puntuale e chiaro, grazie Daniela
“Anche un fautore dei “metodi attivi” come Lucio Lombardo Radice metteva in guardia contro l’idea di «una scuola in cui è sempre domenica», ridotta «a escursione, esercitazione, libera ricerca, lettura occasionale» a scapito di «un momento non eliminabile, per un solido sviluppo intellettuale in una direzione quale che sia, per la acquisizione di un permanente patrimonio culturale comunque configurato: lo studio-lavoro, la lettura-riflessione, lo sforzo di comprensione tenace, l’applicazione disciplinata, organica, paziente, la faticosa organizzazione della propria mente e del proprio sapere».
Colpisce anche che, mentre si parla continuamente di autonomia scolastica e di ridare dignità alla funzione docente, si avanzi un dirigismo soffocante che riduce gli insegnanti a burocrati. Non è consono a una visione liberale indicare soltanto gli obbiettivi ineliminabili nell’istruzione e poi lasciare a scuole e docenti piena libertà metodologica? Qualcuno darà più compiti, altri meno o niente: il confronto tra i risultati dirà chi ha operato meglio (non dovrebbe consistere in questo la valutazione?). E invece no. Il ministero sforna a getto continuo metodologie di insegnamento e ora appresta un “modello nazionale” per la certificazione delle competenze con annesse “linee guida” e parla addirittura di una campagna pluriennale di rieducazione autoritaria delle menti dei docenti alla didattica per competenze. Come non bastasse, ora si vuol prescrivere a scuole e insegnanti se e quanti compiti a casa debbano assegnare.”
http://gisrael.blogspot.it/2012/04/i-compiti-casa-doveri-e-valori-in.html
“Se, in questo momento, parlando a voi, Insegnanti medi, abbiamo portato il discorso in un terreno più vasto, qual è quello della educazione, lo abbiamo fatto nel pensiero che ormai può dirsi superata, almeno in massima, la erronea dottrina che separava la formazione dell’intelletto da quella del cuore.
Dobbiamo anzi deplorare che negli ultimi anni si sono oltrepassati i limiti del giusto nell’interpretare la norma che identifica insegnante ed educatore, scuola e vita. Riconosciuto alla scuola il potente valore formativo delle coscienze, alcuni Stati, regimi e movimenti politici vi hanno scorto uno dei mezzi più efficaci per guadagnare alla loro parte quelle folle di sostenitori, di cui abbisognano per far trionfare determinate concezioni di vita. Con una tattica tanto astuta quanto insincera, e per scopi in contra sto con gli stessi fini naturali dell’educazione, alcuni di quei movimenti del passato e del presente secolo hanno preteso di sottrarre la scuola all’egida delle istituzioni che ne avevano, oltre allo Stato, un primordiale diritto — la famiglia e la Chiesa (cfr. Pii XI Enc. Divini illius Magistri, 31 dec 1929) — e hanno attentato o attentano di impossessarsene esclusivamente, imponendo un monopolio, che é, tra l’altro, gravemente lesivo di una delle fondamentali libertà umane…
Formate uomini forti, che siano in grado di diffondere intorno a sè il bene e di dirigere gli altri con chiarezza di principi. I nostri tempi vogliono che le menti degli alunni siano rivolte verso un senso di giustizia più effettiva, scotendo da loro l’innata tendenza a considerarsi una casta privilegiata e a temere e schivare la vita del lavoro. Si sentano e siano lavoratori oggi stesso nell’adempimento costante dei doveri scolastici, come dovranno essere domani nei posti direttivi della società. È ben vero che nei popoli tormentati dal flagello della disoccupazione le difficoltà sorgono non tanto dal difetto di buon volere, quanto dalla mancanza di lavoro; rimane tuttavia sempre non meno indispensabile che gl’insegnanti inculchino la laboriosità ai loro discepoli. Si abituino dunque questi al severo lavoro dell’intelletto, e del lavoro imparino a sopportare la durezza e la necessità per godere i diritti della vita associata, al medesimo titolo dei lavoratori del braccio”
(Pio XII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Nazionale della Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi, 4 settembre 1949)
Ale: a te il grazie è ormai sottinteso! 😀
attenzione attenzione! ho un annuncio importante da fare: ho fatto una montagna di compiti dalle elementari fino al liceo, ho sostenuto 22 esami universitari (con un paio di stroncature) E NON SONO MORTA!
ho imparato poesie a memoria, ho letto tutta la Commedia di Dante, i Promessi Sposi, e pure L’Adalgisa di Gadda. E sono qui, e godo di ottima salute. Se ho una tara mentale magari è congenita, ma non certo dovuta ai troppi compiti. Se detesto lo sport non è perchè mia mamma non ha insistito, ma perchè le ho provate tutte, dal basket, al nuoto e non sono mai riuscita a cavarne grandi soddisfazioni.
Il signor Profumo parla di “altri canali” ma non credo si riferisca necessariamente allo sport libero e agli interessi personali dei ragazzi. Parlino scopertamente e dicano chiaro e tondo dove vogliono arrivare: ad organizzare la vita dei nostri figli per intrupparli in qualche attività organizzata dallo Stato, sotto le mentite spoglie dell’adeguamento culturale verso le innovazioni tecnologiche e altre baggianate. La verità è che lo studio fatto come si deve apre il cervello, e fose a lorsignori tecnici la cosa non garba affatto. Fuori dai piedi Dante, chè è omofobo, fuori dai piedi Manzoni chè è cattolico, fuori dai piedi Pasolini, e pure Vittorini (e sono certa che troveranno qualcosa che non va anche nei classici latini). Non sia mai che i ragazzi acquisiscano senso critico. Guai alle peosie a memoria, non sia mai che gustino la bellezza!
Certo ci saranno genitori entusiasti a sentire che troveranno un posto dove parcheggiare i figli mentre loro sono al lavoro! ho sentito con le mie orecchie un padre rimangiarsi le cose dette 2 settimane prima, quando diceva di voler iscrivere un figliio a tempo ridotto alle elementari per seguirlo nei compiti, asserendo che aveva deciso di metterlo a tempo pieno per essere lui e la moglie più liberi e senza l’ansia dei compiti all’ora di cena…. Avendo fatto lezioni private in passato, posso dire con una certa sicurezza che la preoccupazione di molti genitori è non avere rotture di scatole dai figli. (non vorrei essere rozza ma sono un po’ come i genitori dei Soliti Idioti, i ragazzini col grembiulino che uscendo di casa dicono “esco, vado a p….” e la voce materna da lontano “ok, ma non fare tardi!”).
I figli non sono e non saranno pronti alla fatica, al lavoro personale, e anche alle frustrazioni, senza esercitarsi fin dall’età scolare ad affrontare almeno quello che viene chiesto loro dalla scuola. Ma non è colpa loro se sono i genitori per primi a voler togliere loro dei pesi perchè infastidiscono prima di tutto la propria comodità.
condivido in pieno… soprattutto l’analisi sulla manovra sottesa che lo stato porta avanti. Ma poi, sarà mica che la fatica spaventa un po’ più i genitori di oggi di quelli di ieri, oltre ai ragazzi? Solamente che, rebus sic stantibus, o ci svegliamo fuori tutti o è proprio la situazione in cui viviamo oggi a legrci le mani a monte e andrebbe rivoluzionata dalle fondamenta…
“Non sia mai che i ragazzi acquisiscano senso critico. Guai alle peosie a memoria, non sia mai che gustino la bellezza!” veramente.
cara Stella Polare, ho apprezzato molto il tuo intervento, specialmete il primo che hai fatto, e spero che tu intervenga sempre qui su questo blog! mi sei piaciuta moltissimo! (è verissimo quello che dici sul fatto che i bambini e i ragazzi non sanno stare neanche seduti composti!)
Quanto allo svegliarsi tutti, hai ragione! ma che fatica! siccome anche io a parlare sono bravissima, ma a fare cose concrete lentissima…. noto che è davvero un lavoro serio e che richiede amore e attenzione quello di educare i figli, ma proprio a partire dalla base! dallo stare a tavola per cena a portare avanti una attività scelta per il pomeriggio per più di 10 minuti. Credo che da un lato siano iper-stimolati, nel senso che recepiscono mille cose in pochi istanti senza decidere di portarne a terimne una sola per volta, e dall’altro lato noi genitori siamo distratti, non riusciamo a dedicare loro un tempo ragionevole, presi come siamo da questa e quell’altra cosa. Ma la profonda verità è che abbiamo davvero timore di andare in fondo alle cose perchè non vogliamo davvero misurarci col limite, siamo terrorizzati dall’idea che trovandosi davanti all’ostacolo sia quello a determinarci. Non siamo capaci di “buttare il cuore oltre l’ostacolo”. E quanto sarebbe bello e affascinante e immensamente umano farlo! e come ci farebbe assaporare la realtà!
che sia questo che il potere non vuole? farci sentire un cuore che vuole andare oltre?
non è un problema solo dell’oggi, ma di sempre….. è però venuto Uno, duemila anni fa ed ogni giorno viene, a dirci che è possibile!
meravigliose parole. A volte mi scopro a cercare le soluzioni ai problemi senza ricordare che noi abbiamo una (enorme) marcia in più. Ma sono tanto scema e presuntuosa da ignorarlo troppo spesso, me lo vedo là con la soluzione in mano che bussa come un matto, magari un po’ si incavola anche, poi gli viene il magone, e io che non apro mai! 😀 Poveraccio, sto Gesù. Con sta cosa dello “sto alla porta e busso” s’è un po’ fregato da solo…
Io poi nello specifico, Giuliana, parlo da sposata ma non ancora mamma (a proposito, vi avanza mica una preghierina…?) e non oso immaginare il macello dell’essere genitori. E continuo a pensare che oggi sia più complicato di ieri.
Condivido in pieno la tua analisi sull’iper-stimolazione e sul potere che un po’ marcia sulle nostre debolezze.
Ah e grazie per le belle parole che hai speso per me! 🙂
Sara
(stella polare è solo un nomignolo risalente alla prima iscrizione a wordpress)
Giuliana: incredibile! Se non ti sentissi così VIVA non ci crederei! 😉
Concordo in pieno con Costanza. 😉
Disgrafia e deficit di attenzione sono problemi neurologici, e non vi è un nesso scientifico tra le astine e la difficoltà di concentrazione.
mi par di caoire che in quest’ultima si contesti il genio cosmico…..anatrema sit!
il termine deficit di attenzione designa probabilmente una specifica patologia (pardon, non sono del settore), ma lei non crede che, pur se a livello meno grave, ci si trovi veramente di fronte ad un’accresciuta incapacità di concentrazione di giovani e giovanissimi? Forse perchè troppo stimolati, come si diceva più sopra.
Non le sembra che “le astine” (che immagino siano solo una sineddoche per intendere la disciplina, l’attenzione, lo sforzo mirato, l’allenamento, regole sane e sensate, ecc.), possano essere un sistema funzionale al recupero di questa concentrazione smarrita? Messa in modo molto semplicistico e breve, spero capirà cosa intendo dire…
Nella mia limitata esperienza di insegnante alla primaria zona nord-est italia, ciò che auspica il ministro è già in atto:
1) Tempo pieno = assolutamente niente compiti, qualcosina si dà il venerdi per il lunedi successivo (sabato niente scuola). Una maestra di Italiano che ha chiesto ai genitori di far comunque leggere qualcosa ai bambini per 15 minuti (!) al giorno si è sentita rispondere la solita trafila: “Sono stanchi!” “Deve andare a Calcio/Danza/Nuoto/Basket/Corso di Musica e chipiùnehapiùnemetta etc..” “E’ impensabile etc…”
2) Tempo modulare o comunque non tempo pieno: niente compiti nelle giornate con rientro pomeridiano, negli altri giorni darli “Solo se strettamente necessario e non in carichi eccessivi” (più o meno così le parole di un dirigente scolastico in una circolare)
Ergo (parlo per la mia realtà), non c’è niente da auspicare, già lo si sta facendo…
Da un’estremo all’altro. Sarà che la sera leggo ancora, anche prima di andare a dormire. Purtroppo non ho potuto contagiare i miei fratelli. Dato che con il più grande ho fatto le stesse scuole e avuto gli stessi docenti, inizio a credere che l’affetto per il libro è più una questione personale.
Dopo 8 ore di scuola spero però che i docenti con una mano sul cuore cerchino di concordare i compiti, perché altre 4 ore sono inutili se hanno deficit di attenzione. Una mia professoressa andò a dire al preside che 6 ore consecutive di storia sono una follia, anche per noi, anche se è una materia che adori. Ci abbiamo provato, ma dopo la 4 ora il mio cervello entrava in modalità automatica e prendevo appunti senza sapere quello che scrivevo. Alla 5 ora iniziavo a chiedermi se avevo chiuso bene casa, dato da mangiare ai pappagalli e quando avrei visto la fine di quella giornata.
Guardandomi intorno ho visto occhi vitrei. Siamo andati a chiedere un cambio nei turni delle lezioni, anche una materia che adori è bella in dosi accettabili.
@perfectioconversationis: ho letto molto di quello che scrivi sull’educazione nel tuo blog.
Condivido molte delle tue idee, soprattutto la necessità di evitare l’omogeneizzazione a tutti i costi, le varie “facilitazioni”, “metodologie” e “competenze”.
La scuola avrebbe bisogno di essere più viva, non più burocratizzata.
Altre cose, invece, mi lasciano perplessa.
Ad esempio, cosa intendi per differenziazione di genere, all’interno della scuola?
E poi, per me la scuola pubblica obbligatoria e gratuita (quella dell’obbligo, per l’università è un’altra cosa) per tutti, è una conquista della civiltà, da qualunque parte la si guardi. (Ad esempio, al di là delle innumerevoli iniziative, sarà solo grazie alla scuola pubblica se fra 10-20 anni dei problemi di integrazione con gli immigrati resterà solo il ricordo).
Certamente la famiglia deve avere un ruolo primario nell’educazione dei figli, ma non possiamo ignorare il fatto che le famiglie non sono sempre all’altezza di occuparsi dell’educazione scolastica.
I figli di persone senza (o con poca) istruzione, anche nel contesto familiare più sereno ed equilibrato, non potranno dare ai loro figli l’opportunità di scoprire tutte le loro potenzialità.
La differenziazione di genere all’interno della scuola può essere proposta nella sua versione “hard”, come nelle scuole Faes, di cui forse Paolo Pugni ti può dire di più. Ma c’è una differenziazione più elementare, più comune, che viene sistematicamente negata dalle menti più “evolute” della pedagogia: ci sono scuole di pensiero che danno precise indicazioni perché ad esempio nelle illustrazioni e nel testo non siano presentati uomini e donne secondo “stereotipi” di genere, ad esempio donne che fanno le mamme e papà che vanno a lavorare. Oppure donne che stirano e uomini che hanno una valigetta in mano. Questo è il primo passo, poi viene quello di presentare “famiglie non convenzionali”, e si arriva dritti dritti alla storia del piccolo uovo adottato dalla coppia omosessuale di pinguini: come diceva un comico qualche tempo fa, sembra di essere su ri-educational channel!
Per quanto riguarda la scuola pubblica e gratuita, sono d’accordo con te che è stata un grande elemento di promozione sociale nell’Italia del secondo dopoguerra. Ma perché continui ad esserlo, deve essere appunto una scuola di qualità, capace anche di dire chiaramente che “aperta a tutti” significa “a tutti quelli che hanno voglia e talento di studiare”, perché ora la scuola superiore, licei compresi, è un posteggio di gioventù che la intende come svacco comodo e obbligatorio. Chiaro che all’ingresso dell’università si scopra che i più non hanno neppure le competenze di base per leggere e comprendere un testo di media difficoltà.
Lo dico proprio in tutela dei più poveri (italiani o stranieri che siano) perché è a loro che serve una scuola selettiva in base al merito. Agli altri, i ricchi e i figli di papà, va bene così: se sono dotati, frequenteranno scuole private, master all’estero, ecc… se sono zucconi, avranno comunque i mezzi per trovare il loro posticino caldo a prescindere della scuola. Sono i miei figli, quelli che avrebbero bisogno di una scuola di alto livello. Lo credo bene che invece il ministro Profumo se ne infischi, non si tratta certamente di un suo problema personale.
Per quanto dici delle famiglie che non sono al livello: lo so, molte volte è vero. Ma non credo che deresponsabilizzarle e stritolarle sia la soluzione. La mia impressione è che se lo stato mettesse in mano ad ogni famiglia un buono scuola per ogni figlio, da spendere come preferisce, scuola privata, pubblica o educazione paterna, immediatamente le famiglie si chiederebbero come ottenere il massimo dal proprio buono: cercherebbero buone scuole, le finanzierebbero, le controllerebbero. Certo, alcuni farebbero anche delle sciocchezze, ma mediamente si chiederebbero molto più di oggi come fare per dare una buona formazione ai propri figli. La famiglia, come gli uomini, non è naturalmente buona, ma è il nucleo di base della società umana, quindi il luogo di gran lunga migliore per prendere decisioni sull’educazione dei figli.
Anche educazione paterna, quindi, o materna, in casa, a partire da che età, e fino a che età?
Suggerirei, a questo punto, anche l’Università in casa (con i buoni statali) e naturalmente l’abolizione del valore legale dei titoli di sudio, ordini eccetra. Chi più saprà più avanzerà! Per non parlare dell’abolizione della classe parassitaria dei professori universitari!!!
Anticipo Alessandro:
Concordo in tutto con Daniela. Quanto alla deresponsabilizzazione della famiglia, si tratta di un processo ben noto: la progressiva intrusione, in ogni campo della vita, di “tecnici” che pretendono, con la scusa del “benessere” e della “liberazione” apportati dai “prodigi della tecnica” (Elio docet), di insegnarci come vivere, muoverci, mangiare, educare i figli. Così descrive Christopher Lasch l’ascesa di questo nuovo potere sociale: «Con il sorgere delle “professioni assistenziali” nei primi trent’anni del Novecento, la società, camuffata da “nutrice” affettuosa, invase la famiglia, la roccaforte dei diritti privati, rilevandone in gran parte le funzioni. La diffusione della nuova ideologia dell’assistenza sociale ebbe l’effetto di una profezia che si realizza. Persuadendo la massaia, e alla fine anche il marito, ad affidarsi alle tecniche e ai consigli di esperti esterni, l’apparato della tutela di massa, che in una società laica aveva preso il posto della chiesa, indebolì la capacita della famiglia di fare da sé, giustificando cosi la continua proliferazione dei servizi medici, scolastici e assistenziali. Monopolizzato il sapere necessario a socializzare i giovani, le strutture della riproduzione sociale passarono a ridistribuirlo un po’ alla volta “rieducando” i genitori. Come si espressero nel 1934 due pedagogisti, “le funzioni di assistenza e educazione della prole sono finite nelle mani di sociologi, psichiatri, medici, economisti e altri scienziati alle prese con i problemi del benessere. Educando i genitori, la somma dei loro esperimenti e conoscenze ritorna ai genitori accogliendo la loro richiesta di aiuto.” Dopo aver tacciato i genitori di incompetenza ad allevare la prole senza aiuto esterno, i patologi sociali “restituirono” il sapere di cui si erano appropriati in una forma mistificata che rese i genitori più impotenti che mai, quasi spregevoli nella loro mancanza di autonomia» (C. Lasch, “Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio”, Milano, 1962, pp. 25-26).
d’accordissimo
Papa GIOVANNI PAOLO II (1920.1978-2005)
«…il bene dell’individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d’altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male. L’uomo così è ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l’ordine sociale. Da questa errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto che definisce la sfera di esercizio della libertà, nonché l’opposizione alla proprietà privata. L’uomo, infatti, privo di qualcosa che possa «dir suo» e della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua iniziativa, viene a dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la controllano: il che gli rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di persona ed inceppa il cammino per la costituzione di un’autentica comunità umana” (enciclica ‘Centesimus annus’, 1991, n. 13).
Andreas: smack! 😀
Daniela: smack! 😀
la sciura costanza ha evidenziato con la consueta levità ciò che poi perfectioconv. ha -ma l’aveva già accennato anche in questo blog,se non ricordo male- ampliato. il problema di fondo è il perché si sta facendo tutto ciò,in Italia ed Europa( con qualche eccezione).
se si parte dal presupposto che -chiunque sia,singolo,élite,oligarchia,avanguardia intellettuale o chi vi pare,-fa questo sapendo ciò che sta facendo, né si può presumere altrimenti visto i titoli- e non mi riferisco alle “parole” che iindirizza loro la gente comune-dei quali-ed anche pomposamente-si fregiano,pertanto ampiamente coscienti di quel che stanno ponendo in essere.
l’unico risultato come nel 1984 di orwell et similia di altri scrittori è il dominio di un ristretto circolo di persone sulla massa.
una massa ignorante è più facilmente manipolabile-in special modo oggi dove l’accesso all’informazione è virtualmente illillimitato ( quello non strategico) ma ,contemporaneamente “annegato” in una marea di informazioni inutili e ,quindi, le “info utili” difficilmente individuabili da chi non abbia i mezzi culturali per riconoscerle ed intrpretarle.
quindi va corretto anche Totò: caporali non solo si nasce. ma ti ci fanno anche diventare:
L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera
Ben detto!!!!!!
Una critica fondamentale mossa nei confronti della scuola consiste nella discriminazione ingiustificata che si crea tra individui formalmente istruiti e non. Tale discriminazione infatti viene basata solo sul loro differente pedigree scolastico e non sulle loro effettive conoscenze e abilità.
E visto che non si è ancora trovato il modo di istruire con la forza chi non voglia farsi istruire, non resta che mantenere tutti nella stessa meticolosa ignoranza: ecco la vera democrazia!
Noi a parte, ovviamente!!!
ovviamente….
tutti nella stessa meticolosa ignoranza: ecco la vera democrazia!
tutti iloti….o anche ex presidenti della Bocconi. tanto non sembra ci sia una gran differenza!( ma li avrà fatti mai i compiti a casa,lui? o è nato “imparato” o “caporale”?)
Maffeo PANTALEONI (1857-1924)
«Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese».
Milton FRIEDMAN (1912-2006)
Se paghi le persone per non lavorare e invece le tassi quando lavorano, non sorprenderti se c’è la disoccupazione”.
«Se l’Italia si regge ancora in piedi è grazie al lavoro nero e all’evasione fiscale… l’evasore in Italia è un patriota”.
Ma com’è che allora NOI siamo diventati così saputi?
Una maglia del SISTEMA rotta?
Quanto a Monti, lui i compiti a casa li faceva di certo, e i risultati si vedono!!!
Tu sei saputo perché hai studiato latino dai preti
ALESSANDRO, sei GRANDE!
😉
Daniela: Br….. !!!!
discriminazione e ignoranza persisteranno fino a che il solo criterio di valutazione di un individuo rimarrà il livello di scolarizzazione. Forse è ora di far giocare un ruolo più rilevante ai mille altri talenti che abbiamo in saccoccia. Ma sai che fatica generare un sistema di valori che non ci sta proprio, incasellato tra il 3 (asino somaro capra) e il 10 e lode? Qui in Veneto si dice massa fadiga! 😉
@perfectioconversationis: grazie per le tue precisazioni.
Per quanto riguarda le differenziazioni di genere, non so. A livello accademico non capisco a cosa serva, e a livello educativo non saprei…ho conosciuto un paio di ragazze che avevano fatto scuole femminili e mi è parso che avessere un atteggiamento un po’ morboso verso l’altro sesso (ma naturalmente non dispongo di una casistica che mi permetta di giudicare con cognizione).
Riguardo all’educazione paterna, poi, sono abbastanza contraria.
La scuola è il primo contatto che i bambini hanno col mondo esterno, con le sue sfaccettature e contraddizioni.
Mi sembra importante proprio perché si viene in contatto anche con idee diverse da quelle della famiglia.
Forse sbaglio, ma secondo me passare troppo tempo in casa con la mamma può fare quasi altrettanti danni che passarcene troppo poco.
Dipende da come avviene l’insegnamento. Giusto stamani sul bus sentivo una mamma sconvolta perché il figlio in seconda elementare non sa ancora scrivere in corsivo perché l’insegnante evidentemente non va a ritmi utili e fa copiare senza mostrare come si ‘disegnano’ le lettere.
Ai miei tempi (ovvero 25-26 anni fa) in prima elementare avevamo finito tutto l’alfabeto e avevamo fatto anche il corsivo. E non si può pretendere di insegnare una lingua straniera se i bambini non sanno nemmeno scrivere la loro. Infatti il tedesco, da altoatesina, l’ho iniziato in seconda elementare e con un’insegnante di madrelingua.
Ho avuto la fortuna di avere quasi tutti gli insegnanti dei tre cicli, preparati e bravi, nonostante le varie supplenze. E nel mio caso, alle superiori abbiamo chiesto ai professori di non bombardarci di compiti durante le ‘vacanze’. In quel consiglio di classe noi chiedevamo ai singoli professori di diminuire il carico di ciascuno perché per un ponte di vacanza ricevere 3-4 versioni di latino, 3 capitoli di storia, 1-2 libri di italiano più relativi riassunti, 30 equazioni di matematica, 4-5 batterie di esercizi di inglese, qualcosa in meno di tedesco, e quant’altre materie avevamo, non ci si stava materialmente nei tempi. Si scatenò il putiferio con alcuni professori mentre la nostra responsabile di classe sostenne la nostra posizione: si chiamano vacanze per qualcosa e va bene mantenersi allenati ma non soccombere.
Allo stesso modo credo che sarebbe molto importante che a scuola si dia il massimo in modo tale che a casa si riescano a gestire i compiti più o meno autonomamente e non lasciare che siano i genitori a dover reinsegnar tutto come ho sentito stamani in bus.
In più, quando ho fatto il quarto anno di liceo in Baviera, alloggiavo in un convitto insieme ai ragazzini di altre classi. Il loro sistema scolastico era quasi continuo e non ripetitivo come il nostro, avevano libri più piccoli e comunque tante lezioni. I compiti a casa e quelli in classe erano adeguati al programma, sia in numero sia in voti. E c’era tempo per seguire hobby, giocare o divertirsi un po’.
Sì ai compiti ma in numero adeguato: i bambini al mattino vanno a scuola, al pomeriggio studino pure ma trovo importante che possano anche giocare. In fondo sono ancora bambini.
Dimenticavo: è vero che oggigiorno i ragazzini sono sovraccarichi di mille altre attività, ma anche ai miei tempi si facevano. Io facevo scuola a tempo pieno eppure riuscivo a far tutto, anche il corso di nuoto o di pattinaggio o di sci. Ma avevo una mole di compiti che me lo permetteva (oltre forse all’indipendenza nel fare i compiti da sola)
“L’intima connessione tra la famiglia e la società, come esige l’apertura e la partecipazione della famiglia alla società e al suo sviluppo, così impone che la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa.
Certamente la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è «una società che gode di un diritto proprio e primordiale» («Dignitatis Humanae», 5), e quindi nelle loro relazioni con la famiglia sono gravemente obbligati ad attenersi al principio di sussidiarietà.
In forza di tale principio lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono ugualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l’iniziativa responsabile delle famiglie. Convinte che il bene della famiglia costituisce un valore indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti – economici, sociali, educativi, politici, culturali – di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità.”
(Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 45)
“Proposte del genere, continua, (Costanza Miriano)sono figlie di una cultura anti nozionistica nata dall’onda lunga di quello che convenzionalmente chiamiamo il Sessantotto, ma le radici sono più profonde.”
Si tornasse, invece ai bei tempi (quali?) che i figlioli erano pieni di compiti, invece che giochi, corse, capriole, sport vari,
pallone in testa, che poi si vede quali danni che provoca nella nostra società il gioco del pallone!!!
p.s. ma non ce l’avevate tutti, a partire dalla padrona, come il fumo negli occhi “Famiglia Cristiana” , e poi uno/a ci si fa anche mettere sopra l’intervista? Quanto sa di sale lo pane altrui….
La famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante: la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell’uomo esige e conduce ad un’opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri (cfr. «Gravissimum Educationis», 3).
Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante.
Dev’essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa.
Lo Stato e la Chiesa hanno l’obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l’aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile.
Ma complementare al diritto, si pone il grave dovere dei genitori di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuole.
Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d’anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l’inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale.
(Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 40)
Tiriamoci su il morale, dai! 😉
“I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza.
D’altra parte, tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare in modo conveniente alla cultura e si preparino adeguatamente all’esercizio dei doveri e dei diritti civili. Sempre lo Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla salute degli alunni ed in genere promuovere tutto l’ordinamento scolastico tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico. Tale monopolio infatti contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini ed anche al pluralismo, che è oggi la regola in moltissime società.
Il sacro Sinodo esorta dunque i fedeli a collaborare generosamente sia nella ricerca dei metodi educativi idonei e dell’ordine degli studi, sia nella formazione dei maestri che sappiano bene educare i giovani e, soprattutto attraverso le associazioni tra genitori, ad aiutare positivamente e costantemente il compito della scuola e in particolare quell’educazione morale, che essa deve fornire.”
(Paolo VI, Gravissimum educationis, n. 6)
“ed anche al pluralismo, che è oggi la regola in moltissime società.!
…appunto!!!
Oltre a concordare in tutto e per tutto con Costanza ritengo anche che i compiti a casa siano necessari per abituarsi gradualmente a studiare da soli e acquisire un metodo di memorizzazione. Altrimenti si rischia che i ragazzi si ritrovino al liceo o all’università senza saper da dove iniziare per svolgere un’interrogazione, un compito o un esame!
Non è che lo rischiamo, è già così. Basta fare il pendolare su un treno qualunque frequentato da studenti liceali e universitari e sentire i discorsi che fanno.
…perché NOI, invece!!!
Mah, parlando per me, quando andavo sia al liceo sia all’università mi sono spesso trovata a non sapere quali pesci pigliare per svolgere un’interrogazione, un compito o un esame (e non parliamo della tesi); però almeno ero consapevole che la responsabile ero io. Ora non c’è Lucignolo che si astenga dal trinciar giudizi sull’inadeguatezza dei suoi professori: a volte non mi riesce di star zitta e gli chiedo come mai continuano ad andare alle lezioni di simili incapaci, loro tanto saputi…
Se i giovani sapessero e se i vecchi potessero…
Purtroppo hai ragione… E te lo dico da studentessa universitaria che sa benissimo come la maggior parte degli studenti si rapporta allo studio… È un po’ avvilente!
@ Greta: non buttiamoci troppo giù, però 😉 ; questa l’hai letta?
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-ma-gli-studenti-non-sonoclienti-da-accalappiare-5107.htm
Articolo interessante. Peró non penso siano molti i danni causati dalle universitá che cercano di accalappiare gli studenti. D’altronde anche quello dell’istruzione è un mercato e ognuno si vende come può al fine di sopravvivere. È normale che la domanda su chi ciascuno è e su quali siano le proprie Passioni o talenti sia una domanda personale, che ciascuno deve fare nel proprio intimo. Ovviamente chi ha dietro una famiglia che lo aiuta è più avvantaggiato. Ma allora non è un problema delle istituzioni scolastiche, ma dell’apparato familiare che spesso non aiuta e non supporta nelle proprie scelte ( e premetto che non è il mio caso per mia grande fortuna). E comunque il vero problema è che è sempre più difficile seguire un talento, poiché di Talento e passione spesso non si campa. E aggiungo anche un’altra cosa i giovani non si fanno troppe domande secondo me. Spesso scelgono o la strda più facile o semplicemente a caso perchè purtroppo il problema della mia generazione è che non ha voglia di fare e di stancarsi troppo affannandosi dietro allo studio ed al lavoro . Un saluto 😉
ciao
brava
boh, io quello che so è che avevo molti meno compiti dei miei figli, molto più tempo per giocare e leggere e non soffrivo di ansia da prestazione in 3 elementare.
Non ho ancora letto tutti i commenti ma questo argomento mi sta particolarmente a cuore, perchè sono sposata e spero di essere presto mamma, ma avendo ben 8 fratelli più piccoli, di cui i 2 più piccoli ancora alle elementari, sono abbastanza preoccupata riguardo all’attuale stato della scuola!!! Una delle cose che mi spaventa di più è la mancanza di tempo libero: io, ai miei tempi, ho fatto il modulo, cioè un rientro a settimana (se non ricordo male!), ma ho frequentato una vecchia scuola di campagna in cui all’intervallo (che durava anche mezz’ora!) si stava all’aperto a giocare, e nel pomeriggio non è che si lavorasse poi tanto (da quel che ricordo!) Eppure, della nostra classe di 9 alunni, più della metà ci siamo laureati, una ha anche preso due lauree! Certo, anche io ricordo di aver pianto per i compiti, (ma alle medie, non già alle elementari, come invece capita adesso ai miei fratelli piccoli!), ma non avendo altro da fare il pomeriggio se non i compiti, appunto, (troppi figli e troppi pochi soldi per attività come nuoto, danza o musica!), non mi sembra di aver avuto particolari problemi, e alla fine, pur dopo aver frequentato un istituto professionale chimico-biologico, mi sono addirittura laureata in Medicina (anche se fuori corso, va bè, però me la sono dovuta pagare tutta, tasse, treno e libri). I compiti a casa, insomma, servono, se la mattina la lezione è stata esauriente, e lo dico io che, avendo frequentato il professionale, ne avevo ben pochi da fare, ma sono inutili se per farli è necessario che il genitore si rimetta a spiegare le cose, perchè è dal professore competente che l’alunno apprende come muoversi poi da solo! Piuttosto sono dubbiosa sulla mole di attività extrascolastiche che mi sembra colpisca certi bambini, ma anche in questo caso mi sono sempre chiesta se abituarli fin da piccoli a “dover timbrare il cartellino” per ogni attività svolta non li renda “lavoratori migliori” in futuro: in questo caso ho un tarlo nella mente, e cioè se anche questo non sia un mezzo maligno di chi ci governa per assicurarsi in futuro “lavoratori schiavi”. Scusate sono pensieri buttati giù in fretta!
@ b klarenorway, penso che tu abbia messo il dito nella piaga: posto che non c’è bisogno di una laurea in nuove tecnologie per usare le nuove tecnologie (io avevo il callo dello scrivano e lo schedario a cartellini, il primo computer l’ho visto cinque anni dopo la laurea e so benissimo che la mia discreta capacità di trovare cose interessanti in internet dipende dall’aver imparato a cercare quando internet non c’era), perché insistere tanto sul tipo di macchina a scapito della maturità e discernimento del guidatore?
La cara Costanza parla di studio, mentre il Ministro (cattedratico ed amministratore di società in crisi strutturale e finanziaria) parla di “stimoli” da inserire oltre ai compiti a casa. Siamo su due piani diversi ed antitetici. Da una parte l’educazione alla conoscenza ed alla logica, dall’altra la somministrazione di “stimoli” e di istruzioni alle nuove tecnologie che, ovviamente, portano a ridurre i compiti. L’ipotesi – che, guarda caso, nasce in Francia – è ritenuta fondata ed infatti il Ministro non ha difficoltà a dichiarare che “…. È un buon tema su cui ragionare”. Personalmente direi che non è un “tema”, ma, come ho detto prima, una ipotesi di riforma e, come tale, pone l’esigenza non di “ragionare”, ma di approfondire e valutare. Ma io ho già un’età, ho fatto il classico e mi sono laureato in giurisprudenza. Non posso competere con un illustre professore di ingegneria su questa materia. Potrei solo misurarmi sul piano manageriale sulle poltiche aziendali alle quali egli ha partecipato in Unicredit ed in Telecom. Ma questo è un altro discorso!
Sono stato evocato, richiamato all’ordine ieri, sul post dei compiti e poiché ieri ero off-line faccio qui un accenno, anticipando che è tema ancora in maturazione per un post su famiglie felici. Blog sul quale avevo già anticipato il tema, anzi i temi trattati ieri da Costanza.
Ciò detto una brevissima sintesi:
sono favorevolissimo ai compiti a casa, come strumento per spiegare che cosa sia l’impegno, la coerenza, lo sforzo, la conquista. Non quando sono una vessazione esagerata.
Sono altrettanto favorevolissimo all’uso delle tecnologia nell’educazione scolastica, come vengono ad esempio sperimentate all’accademia Everest di Lugano con la quale ho avuto l’onore di collaborare per circa due anni nella fase di start-up. Questo perché si riconosce ormai che i digital native ragionano in modo diverso da noi usando connessioni differenti. Ciò non vuol dire buttare a mare la capacità di ragionare, ma tenere conto che ci sono modi diversi di stimolare la riflessione filosofica e logica.
L’argomento merita uno spazio che qui non c’è.
Grazie
http://famigliefelici.blogspot.it/2012/03/sabato-italiano-i-compiti-della.html
(commento presente anche nel post di oggi giovedì 19 aprile)
” Di conseguenza, ci sono oggi molti bambini che hanno problemi di disgrafia e deficit di attenzione”… occhio, Costanza, ad attribuire i problemi di disgrafia (e dislessia, discalculia ecc…) nonchè i deficit di attenzione ai mancati compiti a casa. Il problema è molto più complesso.
Premetto che ho 18 anni e faccio il quinto liceo, familiarizzo dunque molto ancora con i “compiti a casa”.
Penso che però la questione sia molto più complessa di come viene esposta dal Ministro Profumo, e anche rispetto alla replica di Costanza. Il problema della scuola italiana non comprende certo unicamente i compiti a casa, che ritengo siano strettamente necessari per come essa è attualmente strutturata. Per diminuire il carico di lavoro a casa questa istituzione dovrebbe essere del tutto rivoluzionata, e penso che la colpa sia in primis della mancanza di fondi, che procura scoramento negli insegnanti che hanno il delicatissimo e importante compito di istruire gli studenti.
Ogni mattina mi siedo a scaldare la mia sediolina e contemplo l’espressione annoiata e accigliata dei miei insegnanti. Allora, come è possibile diminuire il lavoro a casa se a scuola si fa così poco e si è così poco coinvolti?
Senz’altro la “colpa” è anche degli studenti e delle famiglie che li educano. Non c’è più curiosità, i bambini e poi gli adolescenti si disinteressano completamente a ciò che studiano, anche a causa di come tutta la faccenda scolastica gli viene posta. l’edificio scolastico diventa una prigione, gli insegnanti dei tiranni, i voti fondamentali, come se la conoscenza potesse valere un 6 o un 10.
Penso che ci vorrebbe una seria riforma che cambi la scuola dalle basi, e poi forse si potrà parlare di riduzione del carico di lavoro a casa.
Spero di essermi fatta capire decentemente
Beatrice
Ciao Beatrice; mi interesserebbe capire il rapporto tra la presenza di fondi a scuola pubblica (ne convengo, sono necessari) e la necessità di mettere in pratica autonomamente nel pomeriggio per verificare ciò che si suppone di aver appreso la mattina con insegnanti e compagni?
Uno degli argomenti che tratto spesso, se capita (e capita) è proprio quello dell’insegnante “che non è coinvolgente”.
Sarebbe bello, per carità, ma è un essere umano: devo chiedergli conoscenza e competenza e la capacità di insegnare, ma non posso chiedergli anche di essere brillante, a mio avviso.
Se però mi ha insegnato e io devo verificare per conto mio se mi sono impadronito di ciò che mi è stato insegnato, se sono in grado, da solo, di usare questa nuova conoscenza … devo “fare i compiti”.
Anche nello sport ci si deve allenare, no?
Ciao!
Non c’è un rapporto diretto, semplicemente volevo dire che prima di porsi il problema dei compiti a casa, ce ne sono molti altri e più importanti da risolvere. Come ho già detto, ora come ora il confronto a casa anche pesante è necessario.
thanks hearted girl! 🙂
volevo capire.
Direi che, sempre con il massimo rispetto per la tua opinioine, l’atteggiamento “prima di fare questo facciamo quest’altro”, specialmente se l’impegno proviene da due “fronti” diversi, non è produttivo.
Credo che da parte degli studenti non ci sia argomento “contro i compiti, e che parlare d’altro (degli altri problemi) non sia pertinente … questo non per rompere le scatole, ma per imparare, da adulti, a separare ciò che è separato e giudicare ogni fatto per quel che è e non in un unico calderone; ragionare, come si usa dire “per compartimenti stagni” non è quel che suggerisco. Semplicemente : parlando di “compiti a casa” : vanno fatti a prescindere da ogni cosa: fa parte del mestiere dello studente (e mi pare tu ne convenga). Se poi ci sono altre cose , sicuramente in un proprio momento ne si deve discutere, ma parlando di quelle, senza mescolare pomodori e bistecche, che poi nel piatto unico ci stanno bene, ma non se si sta trattando de “il problema dei pomodori”.
Grazie per lo spunto! 🙂
Mi piace ampliare le conversazioni.
Buona giornata ^^
Sono sempre stato fortemente contro il nozionismo e di conseguenza ho sempre agito. Ho sempre pensato che il “mio” nozionismo sarebbe stato questo: conoscere le cose e sapere DOVE POSSO TROVARLE. Nella vita e nel lavoro queste scelte mi causano spesso il dire “A MEMORA NON LO SO, ma so dove trovarlo (e presto) e so che è giusto/sbagliato quello che stai dicendo” … e non mi sbaglio quasi mai, mentre chi ha imparato la lezioncina a memoria spesso non sa di cosa parla, non sa legare, non sa capire e spessissimo si è dimenticato tutto o ancora peggio: in presenza della fonte non sa valutarne l’attendibilità.
Al giorno d’oggi, dopo 20 anni dalla scuola circa, frequentando dei corsi fuori dalla scuola dell’obbligo, per passione e necessità, vedo che le cose sono cambiate poco in questo stesso ambito. Un mio vecchio professore ci faceva fare il compito col libro sul tavolo dicendo : “tanto se non avete studiato non sapete nemmeno dove aprire, e se sapete dove aprire ma non avete capito, non sapete applicare”. Nella vita poi è lo stesso: o siete su un palco (e allora si, dovete imparare a memoria) oppure siete in un posto dove mentre lavorate potete consultare quello che vi pare. E fin qui parlo del nozionismo.
Ma il “fare i compiti” non è certamente tutto qui. E io sono assolutamente PRO! Bisogna farli e farli DA SOLI. Questo non significa che sia necessario essere relegati nella celletta francescana, fissati con le corde alla sedia e il “fortissimamente volli”: se si ha la fortuna di essere “assistiti” da un adulto attento e accorto, si può, in caso di vera necessità, chiedere assistenza. Ma chi assiste deve saper guidare lostudente verso l’autonomia, cosa che in generale dovrebbe saper fare il genitore, passando da quelli di ieri che “fuori a calci in culo” a quelli di oggi “ma noooo poverino” su tutto. La gradualità di questo passaggio non s’é vista.
A tanti anni dalla scuola dell’obbligo lo vedo da solo quanto importante sia fare “il compitino” e quanto sia importante anche quando si ha la possibilità di chiedere aiuto – oggi su internet lo potete sperimentare da soli – ai “guru” del vostro settore. Se vi beccano a “non aver fatto i compitini” (così si usa dire ancora) vi mandano affanculo con tutta la giacca, se invece dimostrate buona volontà e impegno, ma anche di essere umilmente in difficoltà, l’aiuto e la collaborazione arriveranno più volentieri.
IMHO, naturalmente.
Ho 16 anni faccio il liceo delle scienze umane a Milano e sono stressata…
Si! sono stressata e ho solo 16 anni—->causa: lo studio
Non sono una di quelle studentesse anarchiche che boicottano i compiti a casa ma penso che debbano essere ridotti!
Sono troppi!!e gli studenti non hanno una vita sociale e se ce l’hanno vuol dire che studiano poco!!!!
Molte mie amiche si lamentano di non aver scelto un altra scuola poichè frequentano il classico!!!
studiare deve essere un piacere non un obbligo imposto da qualcuno il giorno prima per il giorno dopo!!!!!!!!
La scuola è di chi ci studia non degli insegnani che dettano compiti a tutto spiano!!!
“studiare deve essere un piacere non un obbligo imposto da qualcuno”
appoggio il programma:
fare quello che ci piace e senza imposizioni, a 16 anni e per tutta la vita!
abasso i conpiti!!!!!
😉
Io ne ho 23 e quindi gli ultimi compiti per casa li ho fatti 5 anni fa, ma me li ricordo bene. A volte erano veramente eccessivi (soprattutto durante le vacanze natalizie e pasquali erano sproporzionati ai giorni a disposizione), ma di solito me la cavavo riuscendo ad avere anche una bella vita sociale (anche se non posso negare che certe volte, quando erano troppi, beh…Se con 10 esercizi di matematica, ad esempio, assimilavo bene il concetto, perché farne altri 10? alla fine lo scopo dei compiti per casa era quello, assimilare, non diventare “esauriti” e non riuscire a capire più nulla arrivati agli ultimi compiti XD).
Una cosa che ho notato durante i miei anni di scuola è stato che a volte non erano i compiti per casa ad essere eccessivi, tali da non consentire di uscire con gli amici, fare qualche altra attività ecc… ma la cattiva organizzazione del tempo, a partire dalle giuste ore di sonno. Se si va a letto tardissimo, ci s sveglia prestissimo, a scuola il cervello dorme e si apprende poco (la metà o forse più del lavoro si fa a scuola, a casa dovrebbe essere quasi un “ripasso” se si segue la spiegazione); poi si torna a casa e dopo pranzo si ha voglia di fare un riposino, ma, cercando di “non perdere tempo”, si prova a studiare, senza che però il cervello sia connesso… e si impiega il doppio del tempo a studiare. Poi vuoi un sms a tizio, uno a caio, una sbirciatina su fb, si perde la concentrazione, si fa ora di cena e buona notte…
Studiare dovrebbe essere un piacere, certo, nel senso che gli insegnanti dovrebbero anche saper trasmettere il loro amore per quelle materie, dovrebbero saper trasmettere qualcosa di vero e bello e non limitarsi ad assegnare compiti meccanicamente, interrogare, esaminare, giudicare e basta…dovrebbero trasmettere il piacere di conoscere, capire, amare e non imporre con la forza qualcosa a cui a volte sembrerebbe non “credano” nemmeno loro. In questo senso concordo con te, la scuola non dovrebbe essere solo interrogazioni, valutazioni,giudizi,compiti a tutto spiano tanto per finire il programma in tempo…
Letta così “studiare deve essere un piacere non un obbligo”, scusami, ma mi sembra un po’ utopistica. A partire dal fatto che si va alla “scuola dell’obbligo”, o ti piace o non ti piace studiare. Poi non si può negare che, anche se la materia ti piace tantissimo veramente…ammetto che non sarei stata capace di autoimpormi quel capitolo di storia al giorno da studiare, nemmeno quei 10 esercizi di matematica…mi sarei limitata forse ad ascoltare con attenzione le spiegazioni dei prof, se appassionanti… e parlo del liceo, figurarsi un bambino delle elementari (ora si chiama scuola primaria, giusto?) se, tornato a casa, dicesse ” mamma, oggi ho deciso di leggere questa paginetta e fare questo esercizio, perché mi piace! “
http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/educazione-education-educacion-14501/
“In una società non più caratterizzata dal riconoscimento di valori comuni, la relazione educativa tende a configurarsi non come comunicazione di contenuti consolidati, quanto, piuttosto, come relazione informativa, segnata dalla tolleranza formale e da prossimità debole: nel contesto familiare la capacità educativa incontra difficoltà e tende alla delega; la scuola appare crocevia affollato di pluralismi dispersi e di anonimato culturale; il maestro rischia di non essere più figura di riferimento, ma operatore funzionale all’apprendimento di capacità strumentali.
L’ipertrofia della razionalità tecnico-scientifica – si afferma ancora – e l’atrofia della razionalità etico-valoriale hanno causato l’estenuazione del pedagogico, ridotto a mera metodologia!”
Esatto. Non è altro che nozionismo, anzi, nemmeno più questo.