Totti e sant’Antonio

di Costanza Miriano

Dunque, partiamo dall’assunto che visto da vicino nessuno è normale. E va bene. Ci sto. Ma come spiegate che mio marito, che visto da lontano sembra un uomo padrone di sé, poco espansivo e poco incline ad esternare i suoi sentimenti (dice che dovrei intuire che prova della simpatia nei miei confronti dal fatto che non mi lascia), mi telefona dal lavoro privo di voce, cercando di urlare, roco, “doppietta di Tottiiiii”? Io non me lo spiego, personalmente. Chi è questo signore dall’altro capo del telefono?

“Non l’ho vista la doppietta, mi spiace. La tv era spenta, i figli facevano i compiti”. “Sei crudele, sei spietata!” A questo punto dovrei cercare spiegargli con cautela, con molta circospezione, che i nostri ragazzi del derby Roma Lazio possono anche fare a meno (pur preferendolo comunque ai compiti), ma le cautele non bastano. “Allora se non sono tifosi non sono figli miei – decreta – C’è qualcosa che mi nascondi.”

Prima che si inneschi una crisi familiare, dunque, faccio ammenda del mio disinteresse pomeridiano verso il capitano, e lo omaggio come merita: è un campione, marito, lo ammetto. Ed è anche molto simpatico: l’ho intervistato due volte e mi ha fatto sempre morire da ridere.

Spero che ti basti, caro consorte, perché non vorrai che lo assuma anche come modello esistenziale. Piuttosto dovresti farlo tu, visto che lui, almeno, in onore della moglie oggi ha sfoderato la maglietta “sei sempre unica”, la riedizione del decennale della maglietta “sei unica” che esibì quando lui e Ilary erano ancora all’inizio della loro storia. Tu, che quando ti “ho invitato” alla festa del mio quarantesimo compleanno a casa nostra mi hai risposto: “verrei volentieri, ma ho il saggio di judo” (e non fai judo); e quando ti chiedo “noti qualcosa di diverso in me?” sbagli sempre il qualcosa: mi chiedi se ho cambiato calze quando ho tagliato i capelli, o noti il mio smalto quando ti volevo far vedere un vestito.

Per fortuna l’equilibrio di mio marito, la misura che gli impedisce di esprimere con troppo entusiasmo le sue passioni (a parte quella per Totti, ma di fronte a lui alzo le mani: ubi maior…), ha un suo perché: mi mantiene ancorata alla realtà, e mi impedisce di montarmi la testa in questo periodo di lodi sconsiderate.

D’altra parte il brano del Vangelo che trovo più molesto nei miei confronti è “non chi dice Signore, Signore…”(anche il Vangelo della liturgia di oggi non scherza, però).

Io, lo ammetto, non sono tormentata come Jonathan Franzen, che scrive e riscrive per dieci anni prima di pubblicare, né esigente come un mio amico scrittore che, pur essendo molto più bravo di me, non ama rileggere le sue parole. Io invece sono contentissima del mio libro, se lo rileggo ne vado fiera, e spesso rido da sola.

Detto questo, ho ben presente che nonostante gli attestati di stima, avere scritto belle parole non mi farà di per sé progredire di mezzo centimetro sulla strada per il Paradiso. Anzi, se io in questo momento stessi dicendo il Rosario invece che battere sulla tastiera ne trarrei sicuramente più giovamento.

E ho ben presenti tante persone molto più silenziose di me che danno la vita senza proclami. Non solo in luoghi esotici, ma anche molto vicino a me, tra le mie amiche: una che ha accolto in casa, insieme ai suoi tre figli, tre ragazzi di Chernobyl; un’altra che tira avanti spesso da sola cinque figli, di cui uno con delle difficoltà, e non si riesce mai a strapparle una lamentela di bocca. E tante altre, madri o no, comunque generosissime.

Non vorrei far la fine di quell’amico del mio padre spirituale, che era andato a cercare se stesso e il senso della vita in India, e lo aveva trovato, il senso, al ritorno, rendendosi conto che la sua mamma aveva lavato le scale dei palazzi per pagargli il viaggio verso la sapienza orientale.

D’altra parte a sant’Antonio abate, che aveva digiunato e fatto penitenze inenarrabili, una volta apparve il Signore, e gli disse che sì, quello che aveva fatto era buono, ma il più grande santo di tutti i tempi non era lui. Era l’ignoto garzone di un macellaio del mercato di Alessandria, che faceva solo il suo dovere. Con grande amore.

7 pensieri su “Totti e sant’Antonio

  1. Alberto Conti

    E’ bello sottolineare che una moglie “sottomessa” non è lo zerbino adorante del marito (ne avevo la certezza ma giusto per rimarcare il concetto), però devo farti un appunto: visto che tra i, pochi, compiti dei padri c’è quello di trasmettere la Fede (cfr. mio commento a “Le porte dei pifferi”) ritengo “per estensione” che ci sia anche quello di trasmettere la fede calcistica ed in questo non sei stata di aiuto a tuo marito assente per lavoro (insomma il Derby contro i compiti! anche se non simpatizzante della Roma, tifo Fiorentina, capisco lo sconforto di tuo marito ed il suo TOTALE disappunto).

    Certo di meritarmi qualche decina di anni di Purgatorio per questo mio intervento eretico e di subire le forche caudine della “censura imperante su questo blog”, porgo un caro saluto.

  2. veronica

    anche essendo tua amica, e un pò anche di tuo marito, ma essendo come lui persa per l’unica squadra della nostra città e dell’UNICO CAPITANO, caro Costanza mi trovo costretta a redarguirti: la Fede va rispettata, sempre, e inculcata nei nostri figli, che così si possono sentire vicini al genitore in quei minuti (novanta e spicci, se va bene…) di condivisione e amore per qualcosa di superiore (lo ammetti anche tu: Ubi Maior…). Detto questo, caro marito di Costanza, prendi esempio dal nostro amato Capitano: indossa una maglietta sotto la camicia,con scritto sopra una frase romantica, ad effetto, e una di queste sere, stupiscila durante la cena che prepara amorevolmente la mia amica – a te e le quattro coccinelle – e imita Totti, correndo per la cucina e il salone e ciucciando il dito pollice….non so se lei si commuoverà, ma certo i ragazzi si divertiranno come pazzi!

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