di Guido Dell’Orto
Meno male che ci sono i problemi.
Quelli piccoli, quasi più fastidi che problemi, come il figlio che si ammala proprio il giorno che avevi quella serata aspettata da tanto, o la multa che ti frega quei soldi che avevi messo via per la borsa nuova, o l’amico che ti volta le spalle nel momento del bisogno.
Ma anche quelli medi, quelli insomma non proprio da riderci sopra, come scoprire che non hai passato quel concorso per il quale ti sei preparato tre anni, oppure perdere quasi tutti i tuoi risparmi perché quell’investimento che ti avevano proposto era una truffa, o ricevere quella chiamata dalla Questura perché tuo figlio, il tuo Gigi tutto casa-e-scuola, in realtà spaccia cocaina e stavolta si è cacciato seriamente nei guai.
E poi sì, meno male che ci sono anche i problemi quelli devastanti.
Il terremoto che in 45 secondi cancella, senza preavviso, tutto quello che possiedi e quasi tutti quelli a cui vuoi bene, lasciandoti solo e senza nulla.
Le persone, magari anche fidate, che ti fanno talmente tanto male, magari per un proprio tornaconto, da lasciarti ferite che cambiano la tua vita per sempre, e senza che tu possa avere giustizia.
Oppure quella TAC fatta perché ti ronzavano le orecchie, che a ciel sereno ti dice che non farai in tempo a vedere i tuoi figli laurearsi, ma forse non li vedrai nemmeno fare la prima Comunione.
Ovviamente a nessuno piace soffrire, e chi va in giro a dire che è sbagliato cercare di star bene è generalmente un frustrato che cerca di legittimare il suo disimpegno con la vita.
Però.
Però ci sono due modi di guardare le cose brutte che inevitabilmente accadono.
Il primo modo è quello che ci viene immediatamente istintivo: dobbiamo fare di tutto perché la vita sia il più possibile “a posto”, minimizzando il rischio che accadano intoppi (massimizzando l’istruzione, le relazioni, la capacità economica, la cura del corpo – tutte cose giustissime). E se quando gli intoppi accadono scatta il piano di autoprotezione, tipo le piastrine quando ti fai un taglio, e nel minor tempo possibile cerchiamo di far rientrare la situazione eliminando l’anomalia e riportando tutto al suo stato normale, di fatto in attesa del prossimo intoppo. In questa visione i problemi sono da censurare, risolvendoli il prima possibile. Infatti non ne parliamo, li evitiamo con la vergogna che si riserva alle proprie debolezze.
Il secondo modo, che richiede allenamento e non è adatto ai fifoni, è invece quello di chi ha capito che cercare di tenere “a posto” la vita è una stolta illusione. E a poco a poco smette di tenere quest’unico irrealizzabile obiettivo come faro delle proprie scelte, e si rende conto che la personale realizzazione di ciascuno di noi non dipende dal fatto che le cose vadano bene.
Vivere con l’ansia di difendersi dalle avversità non solo è dispendioso, ma totalmente inutile: ricco o non ricco, il tumore al pancreas ti porta via, così come l’ictus ti metterà in sedia a rotelle. E anche il terremoto non ti chiede l’ISEE, come non te lo chiedono la morte delle persone care, la cattiveria degli uomini, la depressione, e migliaia di altre cose che facciamo finta non ci riguardino finché non capitano a noi.
La verità è che la Terra, la vita che stiamo vivendo, è buggata. Piena di difetti di fabbrica che rendono impossibile (ma impossibile davvero, per tutti, non solo per gli sfigati) vivere una vita “a posto”, protetta da mura difensive impermeabili ai problemi.
La vita a posto non esiste, è una truffa. Punto. Fine.
E sapete perché? Perché la vita non è lo scopo della vita. Non siamo qui per vivere nel modo più sereno e tranquillo possibile i nostri ridicoli 90 anni: siamo qui per realizzare pienamente noi stessi indipendentemente dalle condizioni al contorno.
Puntare sulla vita “a posto” è un po’ come prendere un treno e preoccuparsi degli allestimenti interni invece che della destinazione. E’ come salire su una cabinovia e non scendere per fare la sciata della vita, ma restare sempre su, avanti e indietro, abbellendo e addobbando la cabina. Pulisci il pavimento, lavi il vetro, metti pure le tendine, appendi l’arbre magique. Deridendo quelli che non sono bravi come te a mettersi a posto la loro cabina, e che anzi fanno finta di farsela andare anche se è mezza rotta, sporca e con gli spifferi. Tu sì che sai goderti la vita la cabina. Perché non c’è nessuna sciata dopo la cabina, e tanto vale rendere quel loculo il più confortevole possibile. Mentre quegli stolti che ti passano a fianco, invece che investire per comprare i led nuovi, le tendine e tutti i comfort, hanno speso i loro averi per comprare caschi e sci ultimo modello, e intanto si fanno il viaggio scomodi e al freddo.
I casi sono due.
O alla fine la cabina si stacca, precipiti, e tutto finisce, ma almeno ti sei goduto un po’ di comfort in quel viaggio senza senso (oh, sei pure diventato il presidente di Cabinolandia!).
Oppure si arriva davvero alla pista delle piste, alla sciata della vita, e tu non hai manco gli sci. La tua cabina era fighissima eh, però il viaggio è durato pochissimo e ora non sai più che fartene.
I problemi, dai piccoli fastidi alle tragedie belle grosse che nessuno vorrebbe nemmeno nominare, servono anche a questo. A ricordarci che non siamo fatti per addobbare la cabina, ma per arrivare alla sciata. Che gli sforzi devono servire a quello, e se a noi capita una cabina mezza rotta, oppure se a metà strada si stacca un vetro ed entra il vento gelido… pace, faremo il viaggio col vento gelido. Tanto, mica è quello il punto.
Il fatto che la vita continui a rompersi, nel piccolo e nel grande, serve (anche) a ricordarci che non è nel tenere tutto a posto che dobbiamo convogliare la nostra attenzione, serve a ricordarci che non siamo nella cabina per restarci.
Anzi, proprio i problemi della vita ci rivelano chi siamo, ci fanno scoprire cosa abbiamo di valore, e ci danno il metro di valutazione per tutto.
Capite allora l’assurdità di quelli che dicono “eh ma dov’è Dio? Come si permette di farmi succedere tutte queste cose orribili?”. Dio è lì, e ci sta dando quello che ci serve. Solo che quello che ci serve non è la vita a posto, è molto di più. E ci dobbiamo arrivare, con la vita a posto o meno (chissenefrega). Lamentarsi con Dio perché la vita non è a posto significa non aver capito che non è quello di cui abbiamo bisogno, e Dio non è qui per sistemare le nostre quattro baggianate (sì, compresa la nostra salute). E’ come avere Cracco che sta cucinando per noi, e lamentarsi perché non ci ha aggiustato la macchinetta delle merendine. Starai anche cucinando una cena fighissima per me, ma se non mi fai prendere il mio kit-kat adesso, non sei davvero Cracco. O se lo sei, non c’entri con la mia vita. E così ti ritrovi senza kit-kat e pure senza cena.
Che teste di cracco che siamo a fare così.
Non sprechiamo l’occasione di usare i problemi a nostro vantaggio.
fonte: dismablog
Articolo benevolmente provocatorio, anche se forse l’autore non scriverebbe in modo un po’ noncurante delle peggiori calamità, se gli fossero capitate. Non dice il Padre Nostro “non indurci in tentazione”? Anche S. Agostino ha scritto eloquenti pagine sul tema.
In un’epoca come questa, sarebbe forse il caso di chiedersi se la nostra missione terrena sia solo pregare, o lasciare una traccia di bene nella società. La città terrestre passa, ma dovrebbe essere anche immagine di quella celeste.
Venendo ad argomenti più leggeri, non mi stupisce che a scrivere l’articolo sia un uomo. Provate a parlare di prove e penitenze alla vostra fidanzata e fuggirà (chi non ci crede faccia la prova affinché si persuada).
Oggi non basta l’uomo “cristiano, onesto e lavoratore”. Le donne esigono uomini “che le facciano ridere” e siano anche agiati, e con un lavoro che li faccia risaltare socialmente. Basta fare il censimento di chi ancora si sposa per averne la prova. Ma al primo rovescio che non sia una multa per divieto di sosta, tante mogli si eclissano.
Di questo comportamento superficiale e immaturo si trovano ampie descrizioni nei libri di Costanza, che si è assegnato un ingrato compito “rieducativo”. In effetti i suoi libri sono molto letti, eppure una donna non dico sottomessa, ma che sia un aiuto e non un problema medio-devastante devo ancora conoscerla
Conosco una Signora lasciata dal marito con due figli piccoli. Il marito ha frequentato un’altra donna e da lei ha avuto un figlio. Dopo tempo è ritornato dalla moglie col figlio nato fuori dal matrimonio. La moglie l’ha accolto nonostante quello che ha sofferto. Conosco anche un marito che ha fatto la stessa cosa nei confronti della moglie. Se lei non ha di queste conoscenze, eviti di generalizzare sulle donne.
Purtroppo non sono io a generalizzare: oggi il divorzio viene chiesto dalle donne nel 70% dei casi, spesso per futili motivi. Di questo c’è traccia nel primo libro di Costanza, in cui descrive mogli che sentono quasi come un torto l’affievolirsi delle (cito) “farfalle nello stomaco”. Senza contare la propaganda dei media che considerano sacrosanto divorziare quando (ri-cito) “l’amore è finito”.
Quando simili comportamenti sono così diffusi, credo occorra porsi domande sui valori che trasmette la famiglia, la società e (magari in modo omissivo) la Chiesa
Generalizzare è necessario, altrimenti potrebbe sfuggire il fatto epocale che sotto il famigerato “patriarcato” fiorì la millenaria civiltà cristiana, mentre son bastati 50 anni di femminismo per avere aborto legale di massa, genderismo, transumanesimo, utero in affitto e altre simili piacevolezze.
Aggiungo che l’aborto è stato promosso soprattutto da donne (v. Francia, un uomo fece ascoltare invano in aula il battito cardiaco del feto), come è opera di donne la maggioranza degli infanticidi commessi (da molti anni ricorrono notizie su neonati gettati nei cassonetti). Il tutto in un Paese che permette di partorire in modo anonimo e dare il bambino in adozione.
Considero questa diffusa crudeltà (come anche celibato, divorzi e denatalità) frutto del femminismo, che però anche in ambito cattolico si continua ad incensare, seppure talora con riserva.
Urgerebbe un cambiamento a 360° della pastorale, che invece continua ad appiattirsi su linee femministe, se non altro omettendo argomenti cruciali
Signori, direi che stiamo allargando troppo il “cerchio” a situazioni ben note e certamente, tristemente reali.
Ma il punto era: non trovo consono partendo forse da una esperienza personale volutamente parziale (un cosiddetto Forum Coscienza Maschile dovrebbe guardare a sé per essere tale), ridurre, generalizzando, il problema ad atteggiamenti riconducibili alla metà – non necessariamente matematica – dell’Umanità.
Sappiamo bene quanto oggi (e nei tempi più recenti) la Donna sia sotto attacco del demonio e ne sono comprensibili le ragioni teologiche, ma tornando al punto e non allargandoci troppo, rigetto il commento di FCM (https://costanzamiriano.com/2023/03/31/non-fate-della-terra-la-vostra-dimora/#comment-155404) quanto a ritratto odierno della Donna nella sua totalità, dato che a questa si affiancano uomini che hanno abdicato alle loro responsabilità, alla loro sostanzialmente virilità, ma – statistiche alla mano lette da FCM – parrebbe la colpa essere della Donna (come disse Adamo)… ma non è caro Uomo che ti hanno castrato, piuttosto hai permesso che ti castrassero e oggi da eunuco ti sei adagiato.
Detto questo, visto che l’argomento così posto su base di “evidenze statistiche”, accennando si e no al cuore del problema, ben poco mi appassionano, vi lascio augurandovi una fruttuosa Settimana Santa.
Hai ragione da vendere, infatti il mio breve commento parlava di “patriarcato”, non di uomini, e di “femminismo”, non di donne.
In particolare condivido particolarmente, per il suo realismo, questo pensiero:
“ma non è caro Uomo che ti hanno castrato, piuttosto hai permesso che ti castrassero e oggi da eunuco ti sei adagiato.”
Rimane, però, anche il fatto che pochissime donne condannino il femminismo nella sua perniciosa malvagità. Per non cadere nel ricordato “peccato di Adamo”, bisogna sottolinearlo opportune et importune.
Auguri anche a te!
Di donne che condannano il femminismo so e ne ho conosciute, ma restano l’eccezione non la regola.
Parlando di eunuchi, mi domando come si esprimerebbe la virilità dell’uomo cui con sua sorpresa fosse richiesto dal tribunale di lasciare i figli dalla ormai ex moglie e la casa di cui paga il mutuo trentennale, per andare a vivere per la strada
La virilità dell’uomo Cristino non può che tradursi nella stessa che è di Cristo, che ci ammaestra: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.» (Lc 9,23)
Che si concretizza (anche) in:
«Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male.» (Ro 12,14-21)
Stoltezza? Per il mondo certo, a noi scegliere chi seguire, sapendo che compiere questa Parola non è sulle nostre forza, ma è possibile a Dio.
Come si diceva a commento di questo articolo, la vita, la prova, la croce sono cose serie. È un combattimento non di rado sino al versare del nostro sangue sapendo che abbiamo come alleato Dio Padre Onnipotente.
Oppure è veramente un fregatura! Ma la mia vita, la mia esperienza, quella dei Santi e di tanti Fratelli e Sorelle, il mio stesso spirito, mi testimoniano che la Verità sta in quella Croce.
Giusto, vero, d’accordo… ma allora meglio non descrivere un insegnamento così alto con parole come: “Ma non è caro Uomo che ti hanno castrato, piuttosto hai permesso che ti castrassero e oggi da eunuco ti sei adagiato”.
Senza contare le parole del mio parroco: “Porgete l’altra guancia, ma ricordate che ne avete solo due”
Non vedo il nesso tra le due, tranne che in una non corretta interpretazione perché il “rifiuto alla castrazione” non aveva ovviamente nulla a che che fare con “azioni di forza”, quanto piuttosto ad una sorta di “abiura”, una rinuncia che dipende unicamente da noi e dalle nostre scelte.
I Santi, i Martiri, i perseguitati, rinunziano apparentemente a tutto compresa la loro dignità, ma non rinunziano a Cristo, ai suoi insegnamenti, si mantengono “virili” (e in questo caso uomini e donne) nella loro Fede.
Sulle parole del parroco, spiace che un sacerdote si appoggi ai tipici modi del mondo di interpretare la Parola di Dio.
Se per un dire scherzoso, ci può stare, se per “direzione spirituale”, direi “no comment”.
Il cristiano ha il diritto e spesso anche il dovere di difendersi. Se non lo facesse, il male prevarrebbe ben più spesso.
Continuo a non vedere il nesso tra il Vangelo e l’ironia sugli eunuchi
Rigetto a mia volta il commento di Bariom che oltre e negare l’evidenza (liquidando addirittura le statistiche) mi attribuisce generalizzazioni che non ho mai fatto.
Ho parlato di comportamenti “diffusi”, di divorzio chiesto dal “70%” delle donne e non trovo accettabile ridurre queste cifre a “esperienze personali”.
Le donne di questa generazione, sicuramente non tutte ma altrettanto sicuramente moltissime hanno una grave responsabilità, non solo gli uomini e il Demonio.
Faccio appena cenno al diffusissimo problema dei padri separati, 800000 dei quali (solo in Italia) ridotti all’indigenza dalle ex per mantenere loro e spesso i loro nuovi compagni nella casa che continuano a pagare ma che non possono più abitare.
Ne ho visti e conosciuti tantissimi dormire in macchina o per la strada. E a tantissimi (non solo quelli che ho conosciuto) la ex moglie non permette neppure di vedere i figli. Non c’è alcuna tutela per l’uomo che si sposa, ma questo non si dice mai
Questa è una concreta ingiustizia data da leggi e prassi inadeguate e spesso inique.
Nulla viete di additarle come tali, di lottare, sempre con attitudine cristiana per chi cristiano si considera, perché vengano modificate e si renda giustizia.
Personalmente sono fortemente contrario a tanti pronunciamenti che soprattutto oggi, quando non si fa altro che parlare di parità di genere e ciò che ne dovrebbe conseguire, che in caso di abbandono del tetto coniugale (come usava dire) la “parte debole” debba essere considerata sempre o nella stragrande maggioranza dei casi, la donna.
Resta sempre il problema di fondo o di partenza: dov’è che si passa dal decidere per una vita insieme, avendo anche insieme dei figli, ad essere acerrimi nemici (o almeno uno lo è dell’altro/a).
Ogni storia può essere storia a sé, ma in ognuna c’è un comune tarlo: Cristo non è più o non è mai stato, il fondamento di quel Matrimonio.
«Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande.» (Mt 7,26-27)
Oggi, l’abbandono del tetto coniugale da parte dell’uomo è forzato dallo Stato, vero capofamiglia nell’attuale legislazione. Si veda il libro taken Into Custody. A parte due (mogli straniere), non sono al corrente di abbandoni del tetto coniugale da parte delle mogli: cacciano via l’uomo.
La mia esperienza sociale (e anche di fidanzamento) con decine di donne, in Italia e all’estero, mi ha portato all’inevitabile conclusione che al di fuori di limitati contesti la fede sia una parola vuota, cui non corrisponde una vita cristiana appena appena passabile.
Ricordo un’insegnante straniera dall’aria irreprensibile, che svolgeva varie attività parrocchiali e mi ammaliava con i libri di Costanza e persino con la vicenda della Corbella, ma era (eufemismo) una gran marpiona
Vale tanto quanto per tanti (o pochi che siano) mariti che si “eclissano”, magari davanti la malattia della moglie (testimoniato dai medici Centro Oncologico di Milano).
Ne farei una questione fondamentalmente umana senza distinzioni.
Certamente ma non ho fatto distinzioni, ho riportato comportamenti oggi più diffusi tra le donne. Logico che gli uomini non si fidino più.
Considerati i frequenti divorzi anche tra cattolici, credo sarebbe opportuno non minimizzarli, ma porsi seriamente domande come società e anche come Chiesa
La Società di certo non si pone il problema, visto che identifica il divorzio (come pure l’aborto) il raggiungimento di una “libertà” e sintomo di “progresso”.
La Chiesa dovrebbe certamente porsi della domande e percentuali a sfavore di donne o uomini che poco “si fidano” (?), il problema è serio e grave.
Ha a che fare con il cammino vocazionale di ognuno, sul senso che si dà al Sacramento, in ultima (ma non ultima) analisi, su quale sia la reale esperienza di Dio e della azione salvifica dello Spirito Santo nella concreta vota di ognuno, come concretissima è l’esperienza del Matrimonio.
Quello che manca del tutto (tranne in rari casi e luoghi) è un accompagnamento delle giovani coppie (o anche non giovani che entrano in crisi) in questa esperienza che, per bella che possa essere, è anch’essa “combattimento”.
La sfiducia (quali ne siano le percentuali) nasce da certi comportamenti, non viceversa.
L’accompgnamento è inefficace se si riduce a una superficiale terapia di coppia, che elude i nodi vitali del problema. Il fatto, per esempio, che Costanza debba parlare di farfalle nello stomaco (falso problema che avrebbe fatto sorridere mia nonna) rivela quanto sia diffuso un approccio al matrimonio profondamente sbagliato, che non è possibile correggere con sessioni di “coaching”.
Ma la domanda più importante da porsi è se la fede dei cristiani di oggi sia fondata sulla sabbia anzi sulla melma, sentimentale e dal linguaggio incomprensibile di certa pastorale.ù
Diceva il mio parroco che la vita cristiana oggi si riduce a una sorta di terapia yoga (parola non a caso citata anche da Costanza: “La sottomissione non è una tecnica yoga”). Una vita cristiana il cui solo scopo è suscitare appagamento ed emozioni positive, ma quando richiede sacrificio (dice sempre il mio parroco) “si può cambiare canale”. Al centro non c’è più Cristo, tutto ruota intorno all’io. Logico che poi si viva come un oltraggio il partirsi delle farfalle nello stomaco…
Forse diciamo la stessa cosa e non mi pare proprio di aver parlato o dato ad intendere che siano necessari percorsi di “coaching”.
Se poi non riesco a essere chiaro scrivendo di concreta esperienza di Dio nella vita matrimoniale, meglio lasciar perdere…
Non mi accodo ai sommari giudizi sulla “fede dei cristiani di oggi” visto che dentro ci siamo tutti. Certo ognuno può dire: “no io no…” “Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo, ecc, ecc.” (Lc 18,12)
Il mio intervento non intendeva contraddire il suo. La fede altrui non sarebbe di nostra competenza, ma se si vuol formare una coppia è necessario valutare se l’altra persona abbia fede sufficientemente solida da non sfasciare la famiglia.
Purtroppo non è il caso quando la fede si riduce a un mezzo per ricavare un appagamento, o si considera l’altro un estraneo da cui ottenere, con gli input “giusti”, un comportamento utile a sé
A me, l’articolo,sembra una pataccata. Forse perché ho provato sulla mia pelle stare male e dover cambiare vita in un amen.
E non eludi le domande sul perché ti sia capitato ciò che ti è capitato gigioneggiando su funivie e cracco che c’entranocome i cavoli a merenda.
La questione della permissione del male è troppo grande per ridurla a macchietta.
Poi resta che alla soubirous fu promessa la felicità nell’altro mondo e non in questo, ma il male è i suoi effetti pongono sempre la domanda: perché.
Devo purtroppo concordare. Non mi pare di buon gusto, specialmente nei confronti di chi soffre, pontificare in quel modo su certe disgrazie
A parte l’ironia che su certi temi andrebbe dosata un po’ meglio, perché si rischia di mettere sullo stesso piano una multa e un tumore o la morte di un figlio e mentre sulla prima l’ironia ci sta, sulle seconde, direi proprio no. Il tono complessivo fa sembrare tutto quasi un “passeggiata”, una “roba” a cui applicare giusto un pizzico di furbizia o intelligenza in più…
Ma le cose non stanno così quando si parla di Vita, della Sofferenza, della Prova e in ultima analisi della Croce.
La Croce, la Prova, anche da Nostro Signore non è stata affrontata facendo un piccolo saltello “oltre” e lasciandoci come insegnamento un “oh, l’hai capita o no?!”
“Ci fai o ci sei?!”
NO! Cristo ha sofferto, ha combattuto, ha sudato sangue, ha chiesto al Padre se fosse possibile che quel calice passasse da Lui.
Quindi per favore, non banalizziamo, che non è questione di “baggianate”, perché Cristo per le nostre Croci, i nostri combattimenti, la nostra Vita, ha dato la SUA!
Si, non la donata solo per i nostri peccati, ma perché nella prova, noi avessimo il Suo santissimo aiuto, potessimo guardare a Lui e come Lui chiedere fiduciosi aiuto al Padre a cui chiedere anche la salute, la guarigione, la liberazione da un problema che ci schiaccia, sapendo che può intervenire, ma con l’umiltà e la Fede che dal profondo ci fa infine dire: “… non però la mia, ma la Tua volontà sia fatta.”
Perché le prove della vita, le scomodità della vita, non sono fatte per vedere se siamo più “furbi” degli altri, perché guardiamo più lontano, ma perché sperimentiamo che nella croce brilla l’Amore di Dio, che la croce può essere gloriosa e lo è quando non ci viene risparmiata, ma diventa esperienza di Resurrezione, si fa Pasqua (come tra pochi giorni). Questo ci darà forza e ragione di testimoniarlo agli Altri, a coloro che senza darsi ragione o senza discernimento vivono le nostre stesse sofferenze. A loro diremo: «Coraggio! Cristo è Risorto e ti ama!»
O dobbiamo limitarci a dire loro: «Cosa vuoi che sia, siamo fatti per soffrire… almeno fatti furbo!» ?
Leggo l’articolo e dico: “Che bello!”. Poi leggo i commenti, in particolare quello di Bariom, ma non solo e dico: “Però ha ragione!”.
Mi viene il dubbio che la reazione davanti a una pagina come questa sia molto influenzata da quello che viviamo o che abbiamo vissuto. A me l’idea della funivia era piaciuta, pensando a una situazione che sto vivendo. Ma, effettivamente, per chi ha avuto problemi più grossi dei miei, può suonare un po’ ironica….
Caro Francesco, non posso certo dire di non essere coinvolto da vicende personali che non credo sia importante riassumere qui, ma proprio per questo e per quanto il Signore ha operato in me e nella mia Famiglia e non tanto per una sorta di “ferita aperta” – non lo è affatto, al contrario è per me “memoriale” – che trovo (ironia o meno) decisamente riduttivo il tema degli “inciampi” (se vogliamo chiamarli così) risolto come è stato risolto.
O meglio si trattasse solo di inciampi di tutti i giorni che ci aiutano a ridimensionarci, a non pensare di essere noi Dio, a tenerci umili, andrebbe benissimo, ci si potrebbe sorridere e farci sopra una sana riflessione, ma qui si è andato ben oltre (terremoti, ictus, la TAC che ti apre uno scenario terribile – magari si, magari no, magari muoio stanotte) e tutto è stato messo nello stesso calderone delle “baggianate”.
Allora non ci siamo…
Chi poi ha fatto esperienza della sofferenza seria, pur nella salvifica prospettiva cristiana, acquisisce una particolare sensibilità verso la sofferenza altrui. Qualcosa lo spinge verso l’altro sofferente (Caritas Christi urget nos) e lì non valgono tanto i discorsi e neppure i bei ragionamenti (il primo o il secondo modo).
Ci vuole in primis tanta capacità di ascolto e con-passione.
Non c’è nulla di assurdo nella domanda “…eh ma dov’è Dio? Come si permette di farmi succedere tutte queste cose orribili?” anche fosse gridata con rabbia e ribellione. L’Uomo chiede PERCHÈ e lo chiede a Dio proprio quando si rende conto che non può chiedere ragione a nessun altro.
Poi sfido chiunque anche fosse ben avanti nel cammino di Fede, a dire che mai ha chiesto “perché” a Dio? È proprio perché sappiamo che da Lui tutto proviene e tutto permette, perché abbiamo la confidenza di Figli che lo facciamo.
L’importante è non cedere al sofisma del demonio (altra questione da accostare all’esperienza della croce, altro che “funivia”) che su quella stessa domanda soffia, lavora, colpisce senza riserve, perché da domanda di creatura, filiale, divenga ribellione a Dio.
Non è neppure una domanda che una volta risolta nell’accettazione della Volontà del Padre – che talvolta ha anche la misericordia di darti un perché – puoi tenere in un cassetto, più biblicamente nel cuore, per “tirare fuori alla bisogna”… ogni volta si ripresenta il combattimento, più allenati, più forti, più consapevoli, ma sempre nel combattimento e mai senza sofferenza.
Grazie Bariom per la profonda riflessione! E non ho difficoltà a credere a quanto dici (in qualcosa, poi, mi ritrovo anche personalmente). Però, parlavo di peso dell’esperienza personale, perché, avendo figli appena post-adolescenti, mi rendo conto del fatto che il problema del volere una vita a posto, che non permette di vedere il di più, è reale nelle scelte di ateismo di molti e questo mi ha fatto molto apprezzare la metafora della funivia. Forse mi sono fatto fuorviare solo io, non lo so, però la vedo un po’ così, anche se riconosco che, guardando in un’altra ottica, effettivamente, essa è incompleta e quasi insultante….
Questa volta sarò più succinto Francesco… sai cosa succede a noi genitori, anche cristiani rispetto i “nostri” figli? Che quasi inevitabilmente, vorremmo per loro un vita senza problemi, liscia, tranquilla, che perciò ipotizziamo “felice”.
Sostanzialmente senza croce!
Questo è un grave errore, una stoltezza, perché è nella croce che Dio di manifesta e si fa concretamente conoscere.
Eppure vorremmo che i figli conoscessero profondamente Dio…
Magari con loro, in rapporto alla loro età, la metafora della funivia ci può stare, ma se l’esperienza in cui devono passare è già da adulti (come è stato per i miei), tanto meglio parlare loro da adulti.
Non so. Quando i miei figli erano appena nati e mia moglie diceva che non doveva capitare loro niente, io pensavo che, invece, avremmo dovuto renderli capaci di affrontare gli ionevitabili problemi. Però può essere che ci arrivi razionalmente e non riesca a metterlo in pratica. Certo, sul piano della fede, l’abbandono è qualcosa che vorrei fosse evitato….
Apprezzo la risposta di Bariom.
Cmq mi sembra più pregnante in merito qlcsa tipo “Dio e la permissione del male” di maritain. Tanto per citarne uno.per esempio.
Onestamente trovo incredibili tutte queste rimostranze, anche sottili, al post.
Chi ha vissuto davvero il male profondo, se non l’ha vissuto invano senza farlo proprio, sa ben distinguere tra la superficialità e l’espressione di un pensiero magari non iper-raffinato ma corretto, e positivo.
E la domanda su Dio e la presenza del male nel mondo resta infantile, qualunque sia il carico di dolore portato, se ce la si pone a mente lucida e seriamente, non nel momento della disperazione.
Che lo si abbia vissuto o meno, proprio per la distinzione che è possibile fare sorge la domanda e la critica: “su simile e grave argomento, a che pro un trattarlo con superficialità” (termine che tu stessa hai usato.
Nel mio commento ho cercato anche id evidenziare perché lo si potrebbe anche considerare non del tutto corretto e per certi versi fuorviante.
Poi, per carità, possiamo farci andare bene tutto, ma io questa la chiamo parresia.
Io ho usato “superficialità” proprio per dire che il post superficiale non è…
Nella mia fede ancora acerba (sólo lei, non io), mi sono fatta l’idea che Dio non tiene minimamente conto dei sentimenti umani …
Come dice l’articolo, lo so che dobbiamo tendere alle cose di lassù, ma fino a che siamo su questa terra possiamo avere desideri, ambizioni, aspirazioni (legittimi) senza sentirci sempre in fallo?
Mio marito è morto due mesi prima che nostra figlia si laureasse e adesso che questa stessa figlia si sposa senza suo padre, posso recriminare un attimino senza per questo pensare che sto “sfidando” Dio?
Nella prova ho rinfocolato la mia fede, in teoria è facile dire “sia fatta la Tua volontà “, nella pratica qualche puntino sulle i lo metterei…..sigh…
Grazie mi serve sempre ricordare che sono creatura.