14 pensieri su “When the Saints Go Marching In

  1. domenico

    Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari.
    Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

    Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.

    I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

    Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.

    (da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri)

  2. Milli

    Finito di leggere l’articolo ho tirato un respiro profondo, rilassante, mi sembrava di essere a 2000 metri e assaporare ossigeno vitale: grazie Costanza, allora non tutto è perduto!

  3. Oggi 2 novembre ….
    La Parola di oggi ci dice che quello che saremo non ci è stata rivelata…..
    ma la fiducia in Dio è più forte, . Sommo bene…
    Grazie.

  4. non mi pareva diceste cose diverse.

    Infatti. Per questo ho scritto che un suo commento a me rivolto è fuori contesto.

    Senza pero’ dimenticare che anche questa carenza nel presentare la Verità e”sempre. dimostrazione che quel che manca veramente e’ la santità, cioe’ l’unione a Cristo nella nostra vita. Se c’è lo ricordassimo, forse eviteremo inutili polemiche tra di noi.

    Non c’è dubbio, ma qui pare il gatto che si morde la coda. La carenza nel presentare la Verità è mancanza di santità; ma come si fa a essere santi se non si conosce la Verità? Come facciamo ad unirci a Cristo se non comprendiamo il Cristo vero? Qui stanno ridefinendo il concetto stesso di “essere santi”. Padre Martin SJ dice tranquillamente che si può essere santi e sodomiti. Certo, se il popolo cattolico fosse in gran parte santo, rigetterebbe questi personaggi in massa. Un tempo sarebbe stato così. Com’è che oggi non riconosce più i pastori dai lupi?

    Tornando a don Giussani (e non solo a lui), io non ho dubbi che avesse le idee chiare. Probabilmente è l’aver voluto esprimerle con i nuovi discorsi che le ha indebolite. Non si può dire che storicamente tutte le vacche sono nere, ovvero che la Chiesa visibile ha genericamente sempre avuto difficoltà a esprimere compiutamente tutta la propria ricchezza; i problemi li ha avuti, ma per duemila anni li ha saputi gestire molto meglio di adesso.

    1. MenteLibera65

      Dal Discorso di apertura del Concilio Vaticano II pronunciato da Giovanni XXIII

      “Opportunità di celebrare il Concilio

      4. 1. C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo.

      2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

      3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

      4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.”

      Dedicato a chi sa soltanto guardarsi indietro e ritiene che di certo avrebbe fatto tutto meglio di come è stato fatto, se non fosse che non lo ha fatto ma soltanto, criticamente, osservato.

      1. Kosmo

        A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

        E infatti si è visto come è andata. TUTTI celebrano il Cristianesimo, TUTTI sono immensamente credenti, TUTTI rispettano le credenze cristiane, TUTTI vanno a Messa la Domenica e applicano il Vangelo alla vita di tutti i giorni…

    2. Tornando a don Giussani (e non solo a lui), io non ho dubbi che avesse le idee chiare. Probabilmente è l’aver voluto esprimerle con i nuovi discorsi che le ha indebolite.

      Mi spiace rispondere qui ed essere quindi fuori “thread” (come usa dire), ma affermazioni come queste “un tanto al chilo”, no si possono lasciare così e i commenti “di là” sono chiusi…

      “Nuovi discorsi” – “indebolite” MAH!

      La predicazione e i frutti generati da quella predicazione (e io non faccio parte di CL) ha per anni innervato un profondo rinnovamento (non come novità che si contrappone al vecchio”) e riproposizione dei fondamenti della Fede.
      Ha prodotto innumerevoli (non sto a dare cifre che solo Dio conosce) serie e radicali conversioni, ha meritato a Don Giussani, riconoscimenti della Chiesa che non sono “medaglie, ma che dicono a tutti quanto la sua opera sia stata importante.

      Se poi la frase si riferiva all’oggi di CL, andava meglio espressa… CL ha perso un certo slancio e forse in chiarezza? Forse… ma questa è altra storia.

      Ma se le considerazioni sono rivolte alla predicazione di Don Giussani, fanno ridere, come quelle di un pigmeo che volesse confrontarsi con un gigante (per favore lasciamo stare Davide e Golia…) o di chi stando sul fondo della vallata, vuole descrivere l’orizzonte che intravede chi sta in cima all’Everest!

    3. sabino

      Credo che la differenza con Giudici stia nel fatto che egli ritiene che nel periodo pre-concilio l’illustrazione del mistero cristiano, che sta nell’incredibile novità di un Dio che in Cristo vuole donarsi all’uomo, fosse non solo priva di errori (il che non è cosa da poco), ma anche adeguata aLLA sua immensità. Sebbene un tale obbiettivo sia irraggiungibile perchè questa verità non si possiede, ma se ne può solo essere posseduti, si deve ad un tale obbiettivo tendere ad avvicinarsi senza sosta., recuperando, tra l’altro, ricchezze spirituali del passato che erano rimaste quasi nascoste o comunque poco presenti nella sintesi operata con il concilio di Trento e successive vicende. Per quel che riguarda la mia esperienza, durante la mia adolescenza la catechesi e la predicazione si concentravano troppo sugli aspetti morali e assai poco sul fatto assai più pregnante sul fatto che c’è un Dio che ci vuole partecipi della sua vita,impoverendo assai la verità cristiana.
      A me sembra che proprio in un’epoca in cui l’attacco radicale al cristianesimo si sia fatto audace e pervasivo da parte del Maligno e dei suoi strumen,ti si divenuta più stringente l’esigenza di dare una rappresentazione più fedele, per quanto è umanamente possibile, della verità cristiana. Se questo è mancato, probabilmente il perchè va ricercato nel fatto che ben pochi hanno risposto alla chiamata alla santità che il Signore loro ha rivolto. Tra i santi mancati ci saranno anche quelli che avevano ricevuto il carisma di presentare la novità cristiana nella sua capacità di colmare l’animo umano di ogni suo desiderio di autenticità e di bellezza.
      Dio irrompe nella vita dell’uomo solo quando egli pronuncia il sì a Lui che lo cerca e lo chiama. Se c’è questo sì, egli sarà docile all’azione dello Spirito Santo che lo indirizzerà verso la verità che la Chiesa ha ricevuto e, se ne ha ricevuto il carisma, ne potrà dare anche una sintesi più fedele e piena e contribuire alla salvezza di tante anime sviate fa falsi ideali. Anche oggi, nel deserto che è divenuto l’occidente, è possibile trovare chi è stato fedele all’invito dello Spirito e ha scritto pagine stupende sul mistero cristiano. Bisogna cercarle e impiegare meno tempo a cogliere distinzioni sottili tra i credenti.

    4. Beatrice

      @ Fabrizio

      Io penso di aver capito quello che vuoi dire (correggimi tu se sbaglio): tu dici che va bene partire dal “fatto” di Gesù morto e risorto per noi, il problema è che a questo fatto ci credono anche tanti eretici dentro e fuori la Chiesa che danno di Gesù un’immagine completamente distorta e fuorviante, quindi secondo te non si può svincolare quel fatto dai contenuti di fede, che altro non sono che quelle “parole di vita” (per usare un’espressione evangelica) che sono andate a formare le verità tramandate nel depositum fidei.

      Se ho interpretato bene il tuo pensiero, lo condivido: mi sembra evidente che non basta credere nel “fatto” che Gesù sia davvero morto e risorto, anche il diavolo ci crede (un bravo prete in un’omelia giustamente disse che non va bene essere “credenti ma non praticanti”, perché anche il diavolo lo è).

      Adesso arriva il ma. Non è sufficiente credere che 2000 anni fa Dio si sia fatto uomo, sia morto in croce e sia risorto, ma la fede in questo “fatto” deve essere immancabilmente il punto di partenza di qualsivoglia percorso spirituale compiuto da un cristiano; solo successivamente, se la conversione è sincera, si verrà spinti dallo Spirito Santo ad approfondire le verità rivelate attraverso la Scrittura e il Magistero per essere sempre “pronti a rendere ragione della speranza che è in noi”. Insomma credere nel “fatto” è necessario ma non sufficiente, tuttavia deve essere sempre e comunque il fulcro essenziale da cui scaturisce qualsiasi cammino cristiano.

      Non conosco la predicazione di don Giussani così bene da entrare nel merito della tua critica, però penso che il fondatore di CL aveva ragione nel sottolineare l’importanza dell’evento straordinario accaduto nella storia con l’incarnazione del Verbo. È sempre dall’annuncio di questa verità che bisogna partire, poi solo in seguito verrà l’enunciazione di tutte le altre verità che da quel fatto discendono (per esempio noi non crediamo che il matrimonio sia indissolubile perché ce lo siamo immaginati svegliandoci una mattina, lo crediamo proprio perché siamo davvero convinti che chi ha detto che il matrimonio è indissolubile era Dio disceso dal Cielo, morto e risorto per la nostra salvezza).

      Ha ragione don Giussani nel dire che noi non crediamo in una dottrina astratta o in un sistema di valori, noi crediamo in una Persona e nelle parole di vita che ci ha detto attraverso la Sua voce o attraverso la voce dei profeti e dei santi. È dall’incontro personale con Gesù Cristo che deve partire tutto, è lui la roccia su cui porre le fondamenta per una vita di fede veramente feconda. Solo nella relazione intima con Lui si può sperare di crescere nella santità e nella conoscenza della verità.

      I farisei conoscevano alla perfezione le Sacre Scritture e la Legge, ma le interpretavano male: perché? Perché conoscevano la dottrina, i valori da essa tramandati, ma non conoscevano Dio (e questo glielo dice più volte Gesù). Conoscere Dio non significa sapere a memoria la dottrina, significa alimentare una relazione personale con Lui attraverso la preghiera del cuore e la visita dei luoghi sacri in cui Lui si fa presente per poter essere incontrato dall’uomo. Noi abbiamo questa idea secondo cui “conoscere” sia solo e unicamente capire tutto di una cosa a livello intellettivo, invece “conoscere” nella Bibbia significa “fare esperienza”. La Madonna non per niente dice all’angelo Gabriele “non conosco uomo”, e sappiamo che non vuol dire che non abbia mai visto un uomo in vita sua, significa che con un uomo non ha mai fatto determinate esperienze. Ecco, io penso che sia oggi più che mai necessario fare esperienza di Dio nei diversi modi in cui ci è dato di farlo: è il “quaerere Deum” di cui parla Rod Dreher nel suo libro. È l’incontro personale con Cristo che cambia radicalmente la vita di un uomo portandolo a vedere il mondo con una prospettiva completamente nuova. Solo incontrando Gesù e frequentandoLo assiduamente possiamo arrivare a conoscere la verità e a difenderla nel modo giusto, altrimenti rischiamo di trovarci a difendere unicamente le nostre idee spacciandole per quelle di Cristo (e questo è quello che fanno gli eretici).

      Gesù dev’essere il fusto in cui si innestano tutte le nostre scelte e tutte le nostre azioni. Si può fare la carità nel modo sbagliato: per farsi vedere santi, per ottenere consenso e ammirazione, per mettere a tacere la coscienza o anche in buona fede ma per ragioni meramente umane. Noi cristiani invece facciamo la carità perché nel povero, nel sofferente, nel bisognoso vediamo Cristo. Allo stesso modo si può difendere la verità per le ragioni sbagliate, per spirito competitivo, per dimostrare di avere ragione, per ottenere vantaggi o potere. Noi cristiani invece difendiamo la verità, perché la verità è una Persona che ci ama alla follia e che sa meglio di noi cosa è buono per la nostra vita.

  5. baraus80

    COCO: un ‘film d’animazione’ per riflettere sui nostri cari defunti.

    Alla Vigilia di Tutti i Santi, nel Cinema dell’Oratorio S.G. Bosco di Induno Olona (Va) abbiamo festeggiato in famiglia guardando il film Disney ‘Coco’

    Questa storia ci ha permesso di riflettere sullo spirito di festa e speranza con cui ricordare i Santi e i nostri cari defunti.

    Ambientata in un paesino messicano, l’avventura del piccolo Miguel alla ricerca delle origini della sua famiglia ha inizio in occasione de ‘El dia de los muertos’. È la vigilia della commemorazione dei defunti, notte in cui tra preghiere e canti si ricordano i morti della propria famiglia portando davanti alle loro foto o sulle loro tombe, vivande, fiori e oggetti a loro cari.

    In quella notte Miguel riuscirà ad entrare nella ‘città dei morti’ vivendo li la sua avventura fino all’alba.

    Le parole chiave del film sono Ricordo e Famiglia, che nello svolgersi della trama s’intrecciano e rendono vivo e reale il rapporto con i defunti.

    Nel film è ben visibile quel miracolo che i genitori compiono mettendo al mondo un figlio: generare una semiretta con un punto di partenza e una direzione verso l’infinito e la vita eterna.

    Siamo tutti semirette e il Ricordo e la Preghiera ci aiutano a continuare a camminare con le persone a cui abbiamo voluto bene.

    È quello che nel film fa la bisnonna Coco grazie all’aiuto del suo nipotino Miguel ed alla benedizione della loro famiglia che sta in parte sulla terra e in parte già in cielo.

    La ‘città dei morti’ del cartone animato è in realtà una ‘città dei vivi’.
    Per noi Cristiani è la città della vita eterna verso la quale camminare grazie al Ricordo e all’esempio dei Santi e di chi ci ha preceduto nel bene.

  6. E’ nei fatti concreto della nostro vita che avviene l’incontro di Cristo Gesù, ci vuole umiltà profondo e non quando lo pretendo, ma con i Suoi tempi, ( e non i nostri )

    Grazie ciao a tutti…..Pace e bene.

  7. Beatrice

    @ Fabrizio
    «Per esempio, Padre Martin ripete – come altri – il mantra dell’ammore all’infinito, basandosi su un altro punto reale della dinamica della fede, cioè che Dio è amore. Però manipola la comprensione di cosa sia l’amore. Anche su questo Radaelli ha commentato con acutezza, parlando della “dislocazione della Monotriade”: l’amore fa così parte dell’essenza di Dio che è addirittura una Persona, lo Spirito Santo; ma per comprendere cosa fa e cosa vuole, si deve partire dal Logos, ovvero dalla Verità e dalla Legge. Ecco perché nel Credo diciamo che lo Spirito Santo procede dal Padre _e_ dal Figlio. Comprendere questo vuol dire comprendere che Legge e Carità non sono affatto in contrapposizione. Metterlo prima apre la strada a infinite mistificazioni, come quella che mette in contrapposizione Legge e Carità.»

    Scusate se sono off topic, ma volevo rispondere anche a questo intervento di Fabrizio. Quando Radaelli parla della “dislocazione della Monotriade” in realtà riprende un concetto messo in luce da Romano Amerio. A questo proposito penso siano interessanti le parole di una teologa che è considerata l’erede intellettuale e spirituale di Romano Guardini: Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, professore emerito di Filosofia delle Religioni e Scienze Religiose Comparate all’Università di Dresda. Alla domanda su quale sia l’aspetto più attuale del pensiero di Guardini lei risponde così:

    «Guardini è un educatore per la verità. Di grande attualità è il suo pensiero – già dei primi anni e che si estende attraverso tutte le sue opere – che la verità e l’amore sono intensamente congiunti. Questo suona ben familiare. Ma nel suo primo capolavoro “Lo spirito della liturgia” (1918) – dove un capitolo è intitolato “Il primato del Lógos sull’Éthos” – Guardini mostra che nell’ordine della vita la verità è in assoluto il primo passo. “La verità è la verità indipendentemente dal nostro consenso o meno”. Oggi abbiamo una schiacciante affermazione dell’amore e della misericordia sia in ambito religioso che in ambito sociale. Ma senza la verità – l’analisi veritiera della situazione – l’amore diventa sdentato e sentimentale. Il primo orientamento di Guardini è con “cose” e “fatti”, con la realtà (contro i sogni di romanticismo e utopia), nell’etica come nella religione.
    Ciò è ancora più importante perché gli umani sono collaboratori nella salvezza del mondo e devono aprirlo alla “nuova terra e il nuovo cielo” finali. Collaboratori di Dio, prima nella verità, poi nell’amore. Trasformare questa sequenza interna significa portare solo disordine e delusione.
    Guardini è un maestro di (auto-)educazione: prima di agire viene la cognizione della verità, della realtà, anche degli impegni di amore. Altrimenti si creano illusioni utopiche e aumenta il caos.»

    http://www.lanuovabq.it/it/il-male-della-chiesa-oggi-si-chiama-neo-modernismo

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