A casa di Freud

di Emanuele Fant

Gita scolastica con la quinta superiore. Obiettivo: Vienna, casa di Sigmund Freud. Facciamo la scelta anacronistica del pullman, al posto dell’aereo: stiamo incollati ai sedili per circa 11 ore.

Il giorno successivo, il sonno ci ha rigenerati dalle fatiche autostradali. Colazione continentale, e poi di corsa verso il nostro obiettivo. L’appartamento del primo psicanalista si trova nella Berggasse, al numero 19. Dobbiamo aspettare l’orario di visita, l’attesa gonfia le aspettative fino al limite.

Entriamo e mi guardo in giro: un ampio salotto completamente vuoto. Mi lascio sfuggire una risatina. La guida illustra che la famiglia ebrea del celebre dottore è dovuta scappare a Londra, durante le persecuzioni naziste. Ovviamente, hanno portato tutti i mobili con loro. Della casa di Freud sono rimasti solo i muri, per giunta ritinteggiati.

Mi chiedo se ne valeva la pena: vibrare tutte quelle ore con le fronti appoggiate ai finestrini, per scoprire solo un appartamento vuoto. La celebre dormeuse dove il dottore interrogò i suoi primi pazienti, si è ridotta ad un modellino in scala. La poltrona su cui amava leggere non è quella originale, anche se ci assicurano che era uguale. Le foto appese sono copie.

“Cosa si aspettava di trovare?”, mi chiede uno studente entusiasta del niente che ci sforziamo di apprezzare. “Non dico Freud in persona, ma almeno, non so, le sue lettere originali”. L’alunno mi squadra con compassione: “Quelle le può trovare su internet. Ci sono le foto ad alta definizione”.

Resto un momento senza parlare. Credo che il mio studente, nel campo dei viaggi di istruzione, abbia qualcosa da insegnare anche a me. Oggi che il mondo ci viene incontro lì dove siamo, la meta è un bene meno prezioso, non è propriamente ciò che cerchiamo. Quello che manca è l’immersione in un contesto, il confronto con lo spazio, lo stimolo dell’emozione di un gruppo che si muove insieme.  Quel ragazzo ha ragionato come un vero pellegrino: il tesoro di un viaggio, è soprattutto il cammino.

fonte: Credere

15 pensieri su “A casa di Freud

  1. Mario

    Condivido quanto scrivi, anche se, in questo caso mi sembra prevalga il fattore viaggio fatto insieme su quello del reale valore della meta. Quando invece questo valore fosse alto è immensamente diverso, come ascoltare, per esempio, un concerto per violino di Mozart su youtube in confronto con la sala concerti dove l’emozione è coinvolgente al massimo. Altrettanto per le mete museali, è immensamente diverso vedere il Beaubourg su internet e visitarlo nel suo reale contesto umano e sociale.

  2. pietro frisone

    La conclusione dell’articolo tenta di fornire una lettura quasi “mistica” di un’esperienza sconfortante (a meno che non si voglia esaltare il valore di una “colazione europea”, sia pur in gruppo) supportata dal tocco modernista dell’osservazione dello studente “internettiano” (ma informarsi prima no?…). Vi sono sensazioni e stati d’animo che solo il raggiungimento della meta possono dare. Propongo un link sulla sorgente di Wadi Rum e sul sito di Khazali la cui vista ho sperimentato di persona e che, assicuro, nessuna foto o racconto di internet avrebbe sostituito (ma la considerazione si potrebbe applicare al Taj Mahal, a Petra, ai giochi di luce nell’Antelope Canyon, all’osservatorio di Ulug Beg, alla necropoli di Pantalica, ecc.):
    https://www.viaggionelmondo.net/37530-wadi-rum-deserto-lawrence-d-arabia/
    Il tesoro di un viaggio è il cammino E il raggiungimento della meta, ma SOPRATTUTTO il ricordo delle emozioni e sentimenti che ENTRAMBI ci consentono di custodire.

  3. Mi chiedo se ne valeva la pena

    Molto più banalmente del valido intervento di pietro frisone… ma con tutte le cose belle e/o interessanti che ci sono al mondo, proprio la casa di Freud?

  4. La Samaritana

    Evidentemente per una qualche ragione la casa di Freud, in semplice forza del nome ( o del Nome ?) è considerata così importante sia da chi la gestisce, non come museo ma come luogo sacro, sia da chi ci va, felice e contento del sacrificio di tempo e denaro. Una parabola ” esperienziale” della psicologia ?

  5. sweety

    Completamente OT – e dunque chiedo ad Admin di non preoccuparsi e non pubblicare il mio commento, se crede, senza problemi. Ho detto varie volte che per lavoro vivo parte dell’anno in un villaggio di una nazione dell’ Oceania (ci torno la settimana prossima). Ho incontrato due giorni fa un missionario-linguista evangelico, che ha tradotto il Nuovo Testamento in alcune lingue locali – e mi ha detto che, per la prima volta, alcune persone hanno “capito” la Bibbia, l’hanno sentita col cuore, nella loro lingua, molto commovente. Alla mia domanda, quante persone fossero cristiani in una comunità in cui aveva iniziato a lavorare da poco, mi ha detto: “Guarda, un numero variabile fra 100 e 20.000”. Ma come, ho chiesto io, non lo sa di preciso in una variazione così forte?! E lui mi ha detto: Non basta essere nominalmente cristiani. Bisogna accettare Gesù come Signore e Salvatore, morto per i MIEI peccati, e cambiare vita. Non basta osservare tutti i legalismi, non basta andare in chiesa la domenica, non basta l’etica. Bisogna cambiare vita, bisogna pregare, parlare con Dio. L’approccio che lui ha è sicuramente molto protestante, l’insistenza sull’accettazione di Gesù come Signore e Salvatore, ma mi ha fatto molto pensare. Bisogna cambiare vita, pregare. Bisogna che, a parte tutte le battaglie etiche e legali, a parte la Messa domenicale, a parte tutti i legalismi – bisogna parlare con Dio. Sennò, non siamo cristiani, punto e basta, anche se tutto il resto “va bene”. Bariom, ti ho pensato molto – mi pare il genere di discorsi che fai sempre anche tu!

  6. Luigi

    E sulla risposta dello studente casca l’asino. La sua saccenza contenuta nelle risposte rivela la sua, come di tanti, impossibilità a stupirsi di fronte al mondo che ci circonda, alle sue bellezze reali e non virtuali. Sapersi stupire davanti a un fiore come alle piramidi d’Egitto. Il tesoro di un viaggio è il cammino, fatto di attese e di incontri, ma soprattutto è la meta che corona il viaggio stesso con la meravigliosa visione del luogo tanto desiderato.
    E qui sta l’intelligenza di saper scegliere la meta migliore. Internet è uno strumento utile in ciò, ma non potrà mai essere il sostituto del viaggio e della meta.
    Se l’avessero usato bene sarebbero andati a vedere e godere di mille altri luoghi spettacolari presenti a Vienna.

  7. Giusi

    Sono andata in tante case dove hanno vissuto i santi: in alcune volontariamente, altre le ho scoperte in modo quasi sorprendente. Neanche se mi pagassero andrei a casa di Freud!

  8. Luigi igiuL

    Non so in quale scuola insegni l’autore dell’articolo, ma se una delle materie che studiano gli studenti è psicologia e scienze umane, mi sembra del tutto plausibile che si visiti a Vienna la casa di Freud.
    Quanto all’assenza del mobilio e tutto il resto, capisco la delusione, ma la casa è la stessa che ha visto nascere e formarsi la teoria psicanalitica. Sarà, ma a me anche i muri parlano in alcuni contesti: quante volte quei muri saranno stati fissati in silenzio da Freud? Quanto quei muri avranno influito sulla sua esperienza?

  9. Francesco

    >>> il tesoro di un viaggio, è soprattutto il cammino.

    scusatemi ma, cribbio, quella virgola tra soggetto e verbo è un orrore! mentre su questa storia del cammino come tesoro del viaggio mi tocca, da acceso autostradalista, riflettere.

    Saluti

    1. pietro frisone

      assolutamente d’accordo sulla virgola, ma ormai la punteggiatura é una spina nel fianco anche di molti insegnanti … (punti di sospensione in numero rigorosamente dispari, meglio se tre)

  10. A Vienna nella 4 volte che ci sono stato non mi sono neanche avvicinato alla casa ! Ho preferito vedere il palazzo dove il primo dell’anno fanno il concerto trasmesso in tutto il mondo . Vicino c’è un locale dove si mangia benissimo!! Lo studente, come tanti giovani , dimenticano i sensi del tatto e dell’olfatto . Un peccato , fra qualche anno li avranno atrofizzati !

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