La realtà dipinta

MonetNinfee

di Paolo Pugni

Visitiamo la mostra degli impressionisti offerti dal Quai d’Orsay a Roma, entro al Vittoriano, la macchina da scrivere per intenderci, e il percorso ci porta dalle opere precedenti al periodo considerato fino agli albori del decostruttivismo.

Ammiro alcune opere, altre le osservo perplesso.

Mi fermo davanti ad un quadro dipinto di una decina d’anni prima che Monet e amici lanciassero il loro movimento di pittura emotiva. Rappresenta un curato di campagna, di quella campagna francese che illumina molti romanzi, mentre parla, fa catechismo dice il titolo, con tre vispi ragazzetti. Gusto i particolari.

Si avvicina una ragazza, resta così estasiata che afferma ad alta voce, rivolta a me: “sembra una fotografia!”.

Ecco, questo fa riflettere: che cosa c’entra la pittura con la fotografia? C’è che abbiamo voglia di realtà. L’arte ci affascina quando parla della realtà, non dei sogni –o deliri- dell’artista. Quella roba lì è importante sì, ma è altra cosa.

L’arte per me deve parlare di ciò che è vero, bello, giusto: o ingiusto, ma perché poi di giustizia si parla.

Tollero, anzi per la verità amo, gli impressionisti perché in fin dei conti dalla realtà non si discostano, la narrano come la vedono, ma sotto il velo leggero la realtà c’è.

Se perdiamo questo contatto con la verità, tutto diventa lecito. Anche il cavallo che dipinge tele e che qualche sprovveduto compera per centinaia di migliaia di euro.

Perdiamo il lume della ragione. Spalanchiamo l’anima ad ogni assurdità che ci predispone ad accettare ogni perversione contro natura.

Perché fai presto a dire che ogni cosa che esiste è buona: è così che mi ha apostrofato una persona con la quale in rete discutevo su gender e adozioni. “Fattene una ragione, c’è. Quindi va bene”.

Uno sragionamento pericoloso perché se basta che una cosa esista per essere buona, per essere giusta, per essere accettata, allora fate molta attenzione voi che affermate “O si accetta la realtà o non la si accetta. Si può scegliere di non accettare l’evidenza”. Perché anche la pedofilia, lo stupro, la violenza sulle donne, gli omicidi, la mafia, la corruzione, la mantide che magia il maschio, l’animale carnivoro e molte altre nefandezze sono realtà, ma il fatto di essere evidenza non le rende giuste o buone, le rende solo presenti. Non credo che il solo fatto di essere determini ciò che è bene e ciò che è male, né lo può fare la statistica o la volontà dell’uomo.

Non se ne esce se non risaliamo insieme d’un passo la collina dell’ideologia: o ci diamo un metro per giudicare o nulla è giudicabile.

Se è solo la scelta che determina il bene e il male, allora devo accettare che tutto è bene, anche quello che non mi piace. Se invece ci sono cose che ripugnano, devo chiedermi perché ripugnano, in virtù di cosa, e scoprire quella verità immutabile che sta sotto e tutto determina.

Che sta dentro la realtà ma che non è la realtà, è il suo senso.

Ci vogliamo provare?

 

37 pensieri su “La realtà dipinta

    1. Paolo Pugni:

      “decostruttivismo (o decostruzionismo) Corrente architettonica impostasi all’attenzione internazionale alla fine degli anni Ottanta del 20° secolo. Il d. si ricollega alle sperimentazioni del costruttivismo russo nel rifiuto netto della purezza formale della tradizione modernista: si disegnano allora edifici dalle geometrie instabili, scomponendo e disarticolando le forme e gli spazi, compenetrando interno ed esterno degli ambienti, sfruttando tutte le potenzialità di torsione e piegamento di materiali edili tecnologicamente avanzati come vetro, acciaio, cemento armato. Gli esponenti di punta del d. sono Coop Himmelb(l)au, P. Eisenman, F. Gehry, Z. Hadid, R. Koolhaas, D. Libeskind e B. Tschumi.”

  1. Giancarlo

    Grande Paolo, condivido alla grande. La realtà ha un senso. Non siamo noi che dobbiamo attribuire un senso alla realtà. La teoria gender fa esattamente questo: nega l’evidente senso della sessualità umana, nega il senso della diversità maschio-femmina ed impone a tutti di guardare alla realtà come ad ammasso di materia privo di significato a cui ognuno può liberamente attribuire il significato che preferisce.

  2. Roberto

    Un individuo capace di scrivere: “Fattene una ragione, c’è. Quindi va bene” può essere solo una persona gravemente menomata. Ce n’è a bizzeffe!

    Nota di colore: quando ho letto “il cavallo che dipinge tele” credevo si parlasse di un quadro che aveva come soggetto un cavallo antropomorfizzato rappresentato nell’atto di dipingere un quadro. Poi ho cliccato il link… (!!)

      1. Roberto

        Ah-ah, lo sto leggendo!
        E, Viviana, so anche dove hai raccolto il titolo! 😛 [dove l’ho fatto anch’io… ]

        1. 😉
          Non perderti la nota a pie’ di pagina n. 1 (in cui chi ha messo in rete il .pdf si scatena contro Sedlmayr, cominciando dall’insinuarne il “coinvolgimento ideologico col nazismo” per le sue affermazioni che però si potrebbero attribuire “anziché alla sue convinzioni naziste [di cui peraltro poche righe sopra aveva detto che non se ne sa nulla, NdR], alla devozione cattolica”. Massì, cattolico, nazista, tutta la stessa zuppa… Finendo poi col dire che “Non concordo con quasi nessuna delle sue opinioni. Ma apprezzo – altrimenti non l’avrei messo nei reprint – la grande acutezza con cui descrive lo sviluppo delle arti dalla fine del ‘700 ad oggi (o meglio a ieri: scrive nel 1948).”
          Personcina deliziosa, deve essere, l’estensore/trice della nota

            1. Roberto

              PanzerNaziCattoIntegroRestauratore (anche di mobili?)

              Argomento ad hominem = il più pigro e il più debole.

              1. Claudio B

                Sull’adesione di Sedlmayr al nazismo non c’è alcun dubbio. Non si tratta di insinuazioni ma di dati di fatto storici. In che misura questa adesione si rifletta nella sua opera storico-critica è invece questione molto discussa che personalmente non mi considero in grado di affrontare. Si può vedere, ad esempio, qui http://www.dictionaryofarthistorians.org/sedlmayrh.htm Quanto riportato nella nota incriminata mi sembra in buona parte ripreso da qui, anche se la commistione tra convinzioni naziste e cattoliche mi sembra un’aggiunta personale dell’estensore della stessa. Su altre fonti (Wikipedia) si afferma invece che Sedlmayr abbandonò il nazismo quando questo entrò in aperto contrasto con la Chiesa cattolica.
                In ogni modo, la validità del suo studio sull’architettura di Borromini è generalmente riconosciuta. Per quanto riguarda la “Perdita del centro”, è opera che non conosco abbastanza. anche se ho intenzione di provvedere e ringrazio Senm per aver postato il link al pdf.

                  1. Roberto

                    Approfitto per ringraziare anch’io e aggiungo solo, per quel che riguarda la nota citata, che ciò che è assai sgradevole è una esposizione (della suddetta nota) il cui scopo è distruggere la dignità di colui che si percepisce come un avversario per demolirne le tesi – un argomento ad hominem, appunto. Per questo l’affiliazione religiosa e quella politica vengono mischiate: l’estensore della nota dà per scontato che il suo lettore “medio” troverà entrambe le cose ugualmente biasimevoli.

                  2. webmrs:
                    “I biografi non hanno chiarito quale sia stato il suo coinvolgimento ideologico col nazismo, anche se degli
                    echi sinistri risuonano nella sua ossessione per la perdita della “purezza” e nella sua preoccupazione per la
                    “degenerazione” dell’arte e dell’uomo. Vero è che potremmo attribuirle, anziché alla sue convinzioni naziste,
                    alla devozione cattolica, che lo porta a rimpiangere i “bei tempi” in cui l’uomo era – come richiedeva la sua
                    supposta origine “divina” – al centro della scena. E non strapazzato, disprezzato, denigrato, ridicolizzato,
                    messo in caricatura, come han fatto quei bricconi degli artisti, evidentemente – per lui – posseduti da forze
                    demoniache, che si sono susseguiti dalla Rivoluzione Francese in poi. Ma anche da prima: prendi Hieronymus Bosch… Sedlmayr vede apparire diavoli e mostri dappertutto e prevede un futuro nerissimo, orrendo, apocalittico, per l’arte, nonché per l’umanità in genere (per lui l’arte è un valido sensore di dove sta andando il mondo).”

                    (così, anche, nelle note….sembra, qesto Sedymayr, se questo è quel che pensava, proprio uno di VOI)

                    1. Veramente questo sembra quello che pensa l’estensore/trice della nota.
                      L’estensore/trice è anche la stessa persona che sottolinea di aver corretto la traduzione italiana del testo di Sedlmayr «togliendo ad es. gli inutili
                      e fastidiosi articoli messi, secondo l’uso lombardo, davanti ai nomi propri: ” il Ledoux”, ” lo Schinkel”, ” lo Jaspers”, ecc.)».
                      Ora, una persona che ritiene la consuetudine di porre l’articolo determinativo davanti al cognome della gente un “inutile e fastidioso uso lombardo”, è un/un’analfabeta di ritorno con i controfiocchi. E se il buon giorno si vede dai controfiocchi, sa che ci può fare lei con quella nota?

                    2. webmrs.

                      “Veramente questo – tu scrivi- sembra quello che pensa l’estensore/trice della nota.”

                      Non così la pensava Sedlmayr, dunque. Ma come la pensava Sedlmayr (o “il” Sedlmayr)?

  3. Clockwork

    “Ecco, questo fa riflettere: che cosa c’entra la pittura con la fotografia? C’è che abbiamo voglia di realtà. L’arte ci affascina quando parla della realtà, non dei sogni –o deliri- dell’artista. Quella roba lì è importante sì, ma è altra cosa.”

    Bene, metà della storia dell’arte buttata elegantemente nella toilette.

  4. …quindi o per una ragione (gay eccetra) o per un’altra (arte arte-fatta) si sarebbe ormai non ai confini, ma fuori proprio della realtà. Non invece che di realtà ce ne sia anche troppa e terribile (come sempre)?

  5. “Nella pittura moderna non si nota alcuna traccia di rispetto per
    l’uomo Ma neppure per gli animali e per i fiori. Anche questi si demonizzano e divengono
    magici.
    Tale situazione si è venuta formando a poco a poco: lentamente si è consumato l’antico
    patrimonio della tradizione umanista. Già nella prima metà del secolo si può notare
    – proprio anche nelle grandi creazioni ritrattistiche – una demonizzazione dell’immagine
    umana e, in questo caso, può essere che la trasparenza del fondo scuro davanti
    al quale è collocata la figura (una volta essa veniva collocata invece davanti ad un
    luminoso sfondo dorato) conferisca al ritratto di quest’epoca quella speciale interiorità
    che non avevano i ritratti del secolo diciottesimo. A cominciare dal 1880 si diffonde
    sempre più intorno all’uomo e dentro di esso il senso del Nulla e, all’inizio del secolo
    ventesimo, si fanno strada orientamenti che non possono ne vogliono più raffigurare
    un’immagine umana che non sia deformata.”

    Non sembra uno scritto di Paolo Pugni?

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