di Costanza Miriano foto di Leonora Giovanazzi
Niyer Shaat. No. Halim Nisher. No. Shalim Nasser. No. Come cavolo si chiama la via per cui ho lasciato il lago di Tiberiade e sono andata verso la città? Sto correndo e non mi ricordo più su che strada devo svoltare. Mi si mischiano in testa tutti i nomi e le lettere che ho letto in questi giorni. Sarà il movimento che mi shakera la testa. Tecnicamente si potrebbe anche dire che mi sono persa. Ho una scheda di una camera di albergo con su scritto solo il nome della catena, nessun indirizzo, e un telefonino italiano, ma non ho un numero israeliano da chiamare (ammesso che voglia spendere sei euro al minuto).
Potrei svegliare mio marito come faccio ogni volta che mi perdo, ma sono in Galilea, e lui dorme nel nostro letto a Roma, non è mai stato qui e potrebbe lievemente innervosirsi. Quando vedo la distesa di lapidi del cimitero ho la certezza di non essere mai passata di lì, quella è una cosa che non si può non notare, così inverto la marcia e alla fine con il ben noto metodo del motore di ricerca a preghiere ritrovo l’albergo.
Un altro chilometro e avrei perso la messa, e infatti l’ho persa, perché la chiesetta dove secondo Google avremmo dovuto trovarla era chiusa. A saperlo mi sarei fatta altri sei o sette giri al buffet dell’albergo, che di cornettini ne ho assaggiati solo tre tipi (sai, la cronista ha il dovere di essere informata, raccogliere più dati possibile; e a questo proposito, sempre come mera indicazione di cronaca, segnalo alle ragazze da marito appassionate del genere che qui circolano moltissimi bei ragazzi, con un’alta incidenza di occhi celesti e lunghissime ciglia nere. Poi non dite che non l’avevo detto).
Siamo pronti per partire per Magdala, la città da cui tante volte Gesù deve essere passato, andando da Nazareth a Cafarnao, spesso prendendo la barca proprio da Magdala per attraversare il lago. Claudia, una bella ragazza cristiana, archeologa, ci spiega gli scavi che hanno portato alla luce una sinagoga, nella quale Gesù quasi certamente ha insegnato. Lì vicino i Legionari di Cristo hanno costruito una chiesa per accogliere i pellegrini, seguirà un centro in cui si potrà dormire, perché qui è pieno di alberghi, ma cose turistiche, e ci sono poche strutture per chi invece vuole fare un viaggio più spirituale. Per il momento c’è solo la chiesa, che deve ancora essere consacrata. Lo specifico perché io mi sono seduta su una panca a truccarmi. D’altra parte quello che mi sembrava un operaio che sistemava l’impianto di amplificazione a un certo punto si è messo al piano e ha suonato Somewhere over the rainbow (io ho cantato a esclusivo beneficio delle panche vuote). La chiesa è davvero bellissima: l’altare è una barca di cedro del Libano, l’abside è di vetro ed è in riva al lago di Tiberiade, dove Gesù è stato tante volte (dove ha camminato sulle acque, ha chiamato i discepoli, la pesca miracolosa…). L’acqua del lago che riflette la luce del sole la rende di una bellezza mozzafiato, con il riverbero sul soffitto, sembra di essere in mezzo alle onde, e viene naturale aggrapparsi all’altare per non affogare, che è poi quello che ci viene da fare tutti i giorni. All’ingresso veniamo accolti da otto colonne con i nomi di donne significative della Bibbia, e una di quelle è senza nome, per tutte le donne che verranno qui in visita. Faccio una foto pensando a tutte le mie compagne dell’Agnello che porto con me, oggi, e alle mie bambine che spero di portare un giorno.
Sul monte delle beatitudini e sul luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci possiamo giusto entrare nelle chiese costruite a memoria di quegli episodi della vita di Gesù, la prima del ‘900, la seconda, custodita dai benedettini, antichissima. La gente e la confusione non aiutano la concentrazione; per fortuna Leonora (la sveglia del gruppo) mi ricorda quello che il Papa ha detto pochi giorni fa, e cioè che la moltiplicazione non è un miracolo che risolve solo un problema: Gesù fa di più. Il pane continuava ad aumentare, non finiva mai, non si esauriva. È come se avesse dato vita a una nuova sorgente, perché lui fa così, lui non mette le toppe, ma cambia proprio il corso delle nostre vite. Davanti al mosaico dei cinque pani e due pesci ho presentato ancora tutte le intenzioni di quelli che mi hanno chiesto di pregare per loro.
Nel punto in cui il fiume Giordano entra (entra o esce? Non me lo ricordo) nel lago vediamo le persone che si immergono e rinnovano il proprio battesimo. Spesso sono non cattolici, cioè persone che non hanno il dono della confessione – ma come si fa a vivere senza essere perdonati e rinnovati? – e che cercano lì quella grazia. Anche Gesù si è fatto battezzare in quel modo, non perché ne avesse bisogno, ma per essere vero uomo, oltre che vero Dio, e prendere su di sé tutta la natura umana, e immergerla nel fiume come prescriveva la legge. A dire la verità Gesù lo ha fatto in un altro punto, dove il fiume Giordano entra (o esce? Di nuovo non me lo ricordo) nel mar Morto, in Giordania, ma mentre ci dirigiamo lì col fido Gennady, l’autista russo, i militari – con il mitra e la faccia da ragazzini – ci bloccano perché proprio in quel momento anche il Papa è lì, e le strade di accesso sono tutte bloccate agli israeliani (non ai turisti, ma pare brutto lasciare in mezzo al deserto Duran, la nostra guida).
Così riprendiamo il cammino – cioè il pulmino cammina, noi stiamo comodi (ma come avrà fatto Maria, incinta, a farsi a piedi tutta questa strada, da Nazaret a Gerusalemme a trovare la cugina Elisabetta?) – costeggiando il Giordano all’ingiù (verso sud, si dice, ho dei problemi con la geografia) verso Gerusalemme. Passiamo attraverso il deserto, e mi chiedo come faccia questa a essere la terra promessa, la terra dove scorre latte e miele. L’aria è caldissima e secca, non c’è un filo d’erba, ogni tanto qualche cammello, un solo venditore di yogurt e frutta in decine e decine di chilometri, le baracche dei nomadi di stracci e lamiere. Una bellezza sconvolgente, credo che avrò il mal d’Israele per il resto dei miei giorni, ma certo non una terra dove scorra latte e miele. Credo che la promessa della terra sia legata a un’altra prosperità, non quella materiale. Chissà perché Dio ha scelto proprio questa terra per farsi uomo… lo so che non me lo devo chiedere, però chissà, mi viene in mente, se non è per farci vedere che lui può far fiorire il deserto. Insomma, può rendere fecondi persino noi squinternati, inconcludenti, paurosi.
E finalmente il momento tanto atteso. Le mura bianche annunciano che siamo arrivati a Gerusalemme. Saliamo sul monte Scopius, che è unito al monte degli Ulivi, e ci si apre una vista mozzafiato, quella di tutte le cartoline per intenderci. Cupole di chiese e moschee e sinagoghe. Il demone del selfie ci assale tutti e cinque (non l’ho detto, forse, ma siamo in cinque ad avere ricevuto questo regalo).
Al muro del pianto ci separiamo: io e Leonora siamo ancora alla ricerca della messa persa stamane, e così cominciamo a vagare alla ricerca del Santo Sepolcro: ci sono altre chiese, ma se uno deve sognare sogna in grande, e noi vogliamo andare proprio lì. Sbagliando strada solo quindici o sedici volte arriviamo, ma degli ortodossi stanno facendo una preghiera intorno alla lastra della deposizione, e bisogna aspettare perché non fanno passare nessuno. Sembra quasi un dispetto, ma in questo clima ecumenico non lo diremo. Finalmente riusciamo a raggiungere un sacerdote cattolico, ma qui l’orario delle messe è un po’ random. Doveva essere alle 18, sono le sei e un quarto e la messa in italiano non comincia. Un simpaticissimo sacerdote del Kansas celebra per un gruppo di cattoliche americane (si vede dal calzino che lo sono), mentre noi veniamo prese con un piccolo gruppetto – siamo otto – e ci spostiamo su un altro altare. Il sacerdote dice che si sbrigherà perché gli ortodossi hanno ricominciato a cantare, sa, qui si deve avere pazienza. “Ma vuole leggere lei?” “Sì, volentieri” “ma è cattolica?” “Molto” (no, dico, che domande fa? Se chiedo a un frate minore a che ora è la messa secondo lei sono protestante?). A fine messa mi prenoto per poter trascorrere una notte dentro il Sepolcro, quando la chiesa è chiusa. Non so se ce la faremo, ma mi piacerebbe tanto. Avere il tempo di ascoltare, per una volta, senza questa confusione.
La guida ci porta a cena a Ein Karem, il luogo della visitazione, in una Brasserie fantastica, collocata nel mio personale panorama di riferimento interiore, tra Parigi – per la raffinatezza dei piatti e il finto trasandato della cameriera – e New York – per la musica, alcuni odori, lo stile vintage. Mi dicono che la vita notturna qui è vivacissima. Non credo che lo saprò mai perché a momento la mia idea di trasgressione è fare una doccia e andare a letto.
Io penso che avrò il mal di “questi tuoi meravigliosi post da Israele” per il resto dei miei giorni.
L’ha ribloggato su Beppe Bortoloso.
cara costanza, grazie grazie grazie. Attendo i tuoi post da Israele come le sentinelle l’aurora. Mi piace il tuo stile di viaggiare e di raccontare. In te c’è la vera gioia del cristiano.
Pingback: Dal lago di Tiberiade al deserto di Giuda / Frammenti di realtà. Photoblog
chiedo di nuovo: una preghiera per me e la mia famiglia… <3 Grazie!
La faccio anch’io. Come oggi è nato Padre Pio.
anche oggi grazie per questo viaggio che ci fai fare con te.
il tuo modo di esporre il vissuto mi fa apparire davanti agli occhi scene quasi reali.. grazie ancora
Buona Santa domenica Costanza e a tutti.Sono contenta di far parte della compagnia dell’Agnello (anche se nn conosco personalmente Costanza e chi commenta)ma il cercare di seguire l’Agnello ci fa tutti fratelli in Spirito e così vi sento vicini.Grazie Costanza per edificarmi con i tuoi libri(così familiari li regalo a tutte le mie amiche sposine,a volte sperando che nn ci ripensino,o se proprio lo fanno che ci ripensino prima) il tuo viaggio e il tuo essere cristiana D.o.c 😄 prega per le votazioni di oggi
«Apertura» al Santo Sepolcro
Ogni giorno all’apertura e chiusura della Basilica si ripete una complessa “cerimonia”.
Come è noto, la custodia della porta e della chiave del Santo Sepolcro è affidata a due famiglie musulmane (Nuseibeh e Judeh). Il Sultano d’Egitto Malek Adel – a detta dello storico Giacomo da Vitry – aveva molti figli che sistemò con diverse donazioni ed appannaggi; due vennero preposti alla custodia remunerativa della porta del Sepolcro. Dopo l’invasione dei Corasmi (1244) il sultano Ajub scrisse a Papa Innocenzo IV scusandosi dei danni subiti dalla basilica e assicurando che li avrebbe riparati e che avrebbe affidate le chiavi a due famiglie musulmane perché aprissero la porta ai pellegrini. Da allora questo diritto si è trasmesso da una famiglia all’altra.
Nel passato per poter far aprire la porta ed entrare nella Basilica, occorreva pagare una tassa personale: Fidenzio da Padova ci dice che si aggirava su di una cifra pari a circa 80 franchi oro. Questa tassa personale d’ingresso veniva riscossa dai custodi musulmani a lato della porta, ove esisteva un banco di pietra.
La tassa personale d’ingresso venne abolita nel 1831 da Ibrahim Pascià. Oggi la porta si apre tutti i giorni, comunque occorre tener presente che oltre ai diritti di queste due famiglie musulmane, vi sono anche i diversi diritti delle tre comunità che ufficiano il Santo Sepolcro: Latini (francescani), Greci ed Armeni. Ecco perché l’apertura della porta del Santo Sepolcro presenta delle complicazioni e un cerimoniale che a molti potrebbe sembrare strano ed inutile.
Vi sono due tipi di «apertura», l’apertura semplice e quella solenne:
L’apertura semplice, quella solenne e quella dei tre riti simultaneamente. L’apertura semplice si ha quando il sacrestano della comunità che intende aprire la porta compie da solo, tutte le cerimonie, e si apre un solo battente della porta.
L’apertura solenne avviene nello stesso modo ma con l’apertura di tutti e due di battenti: il sacrestano apre quello di sinistra e il portinaio musulmano quello di destra.
Tutti i giorni in cui non ci sono feste o circostanze particolari, l’apertura è alle ore 4.00 del mattino e la chiusura a seconda di un orario ufficiale. Per la chiusura serale della basilica, le tre Comunità, hanno stipulato un accordo che prevede la chiusura alle ore 19.00 tra ottobre e marzo, alle ore 21.00 tra aprile e settembre.
Ogni sera, al momento della chiusura, tutti e tre i sacrestani sono presenti e si mettono d’accordo su chi aprirà il giorno dopo: in particolare l’apertura viene fatta ciclicamente dalle tre Comunità; colui che avrà il diritto di apertura prende la scala e l’appoggia al centro della porta chiusa.
Naturalmente per la chiusura, tanto semplice quanto solenne, vale lo stesso cerimoniale dell’apertura, ma a ritroso.
http://www.santosepolcro.custodia.org/default.asp?id=4006
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Da quel che so, vigendo la regola dello “status quo”, se una sera, per un qualunque motivo, uno dei tre “sacrestani” non fosse presente, la comunità che rappresenta, perderebbe il diritto ci “custodia” (o per meglio dire, di “presenza”…)
Ut unum sint
Solo oggi ho potuto aprire il blog dopo una settimana per me molto dura, ho letto con commozione i tuoi racconti, grazie della possibilità di condividere cio’ che tu hai la grazia di poter vedere, so che arrivo tardi, ma mendico una preghiera per la mia famiglia. Paola
Sinceramente, Costanza, credo che ti arruolerei come guida della Terra Santa 🙂
“alla fine con il ben noto metodo del motore di ricerca a preghiere ritrovo l’albergo”: Costanza, i tuoi post sono esilaranti, e tante frasi mi fanno sganassare dalle risate e questa rientra tra le mie preferite, per ora…. Smack! 😀
N.B.: perché è della serie… “metodi tradizionalmente collaudati battono le nuove tecnologie 1 a zero… 😉
postato poco fa su FB da Costanza, maglietta vista in un mercatino a Gerusalemme
E se sa tutto… sto sottomessa… 😉
Con la certezza che non mi considererete maleducata (Costanza dice che con Dio dobbiamo osare) vi chiedo di continuare a pregare per me … ne ho bisogno in questo momento. ( lo so che in questo momento anche altri hanno necessità , quindi preghiamo gli uni per gli altri.) Il Signore non resiste alle preghiere insistenti dei suoi figli.
Io ci sono, Emilia! Un abbraccio, e preghiere.
Emilia, eccomi! Grazie delle tue preghiere!
P.S.: Costanza, questo tuo diario è struggente: desidero essere in Terra Santa! Grazie! E grazie delle tue preghiere per tutti noi!
Ma quella che indossi nelle foto è la camicetta nuova? No, dico, perché secondo me è bellissima!
Non avevo mai letto un blog..ma da quando ho scoperto questo..non posso farne a meno!!
Grazie Costanza..per ogni piccola cosa..
amo il modo in cui scrivi 🙂