Le targhette

panche

di Paolo Pugni

Immagina una chiesa in settimana. Buia, silenziosa. Magari anche vuota. Ci entri. Individui la panca. Ti siedi o ti inginocchi, non ci fai caso, poi all’improvviso, quando giri lo sguardo forse per cercare una maggiore concentrazione, forse per scacciare un pensiero che si insinua, ti invadono il campo visivo, sommessamente però, non come una luce che squilla.

Inchiodata come per fissare il tempo che gratta e soffia via, una targhetta sussurra un nome. Talvolta solo una sigla. In memoria. Doppia: dell’offerta fatta alla parrocchia e della persona che, come si dice, non c’è più. Qui. Non c’è più. Intendo. Non è visibile. Perché c’è. Ancora. Eccome se c’è. Più di prima.

Ecco. Se ci fermassimo con la mente, se capissimo veramente che cosa è quel rettangolo di ottone o plastica, saremmo percorsi da un brivido, quello della vita che sorride e accarezza.

Perché quelle sono esistenze, che magari si sono sedute sulla medesima panca, hanno pregato lì, sognato lì, imprecato lì, pianto lì. E sono ancora accanto a me.

Perché dobbiamo essere capaci di far parlare la realtà muta, quella che fa da sfondo, da colonna sonora, quella che sussurra come lieve brezza, che sta nascosta, ombra, anzi penombra, pastello, fischio lontano. Per gustare la vita, collegare i punti, capire il disegno, andare in profondità e apprezzare il senso.

Prima che diventiamo anche noi targhette sul banco.

30 pensieri su “Le targhette

  1. lorenzo

    Assolutamente vero. E’ il fascino che ritrovo anche nelle fotografie del passato, che il Tempo elegge a icone di presenze scomparse fisicamente ma presenti nell’eternità, nel nostro sentire, attraverso la figurazione delle loro vite, con le gioie e sofferenze che noi possiamo conoscere dalla Storia. Questo far parlare la realtà muta deve essere per insegnarci a leggere il presente.

  2. Raffaella

    Bello. Mi vengono in mente le parole di Erri de Luca di “E disse”: (Mosè) percepiva un suono una voce dove gli altri sentivano solo rumore

  3. alessandra

    hai dato voce ad un mio pensiero di sempre!!!! pensa che da bambina immaginavo le storie personali di quei nomi e poi le raccontavo (spacciandole per vere) ai compagni di catechismo

    1. Giusi

      Io adoro i cimiteri. Non certo per un gusto del macabro. Li trovo luoghi di pace, pieni di fiori, di amici, senza case, dove si vede il cielo. Lì nessuno pensa a delle cretinate, nessuno dà importanza a delle scempiaggini, sono tutte persone profonde, interessanti, che posseggono la Sapienza, sanno tutto e sono generose: te l’insegnano e pregano per te. Com’è gioioso aggirarsi in un giorno di sole in un cimitero recitando la Corona dei Cento Requiem!
      “Anime Sante del Purgatorio, pregate Dio per me che io pregherò per voi perchè vi doni la gioia del Paradiso”!

      1. Giancarlo

        C’è stato un tempo, prima che mi sposassi, in cui, nel cuore dell’estate, mi piaceva, ognitanto, di notte andare a visitare qualche cimitero di campagna. Entrato, mi aggiravo, solitario ed assorto, tra le tombe delle persone che un tempo avevano lasciato lì la veste mortale. Pregavo ma, soprattutto, assaporavo la pace eterna che invadeva la mia anima.

  4. bello! la nostra esistenza è, sempre e comunque, creativa. Mio padre, passando in chiesa a fianco di un certo banco, mi diceva a volte: ” qui stava sempre a pregare mia mamma (cioè mia nonna); alle 4 di mattina veniva a messa prima; portava un lumino e i fiammiferi per riuscire a leggere il suo libro di preghiere!” Questo pensiero, che mia nonna, madre di 16 figli, venisse qui a pregare nella mia stessa chiesa, tante volte mi ha rafforzato e incoraggiato. Chiara di BG

  5. Annalisa

    Grazie Paolo Pugni! Hai fatto luce su un angolo buio delle nostre chiese e… della vita eterna!

        1. Si accettano scommesse. Se fosse in vena, ci si può aspettare come minimo un «Pietosa insania, che fa cari gli orti de’ suburbani avelli alle britanne vergini…» 😉

  6. Bianca

    Quasi dieci anni fa mi sono sposata e sono andata a vivere nella casa dove avevano vissuto i miei nonni con mio padre bambino e che era poi rimasta affitata fino al mio matrimonio… la prima domenica io e mio marito siamo andati a Messa nella chiesa vicino a casa (dove non ero mai entrata) e sono rimasta stupita quando mi sono accorta che la targhetta sulla panca scelta a caso riportava il nome dei miei nonni! Ho sempre pensato che non fosse un Caso ma una “Carezza dal cielo” per accompagnare l’inizio della mia nuova vita….

  7. Come mi disse un santo Sacerdote, passeggiando un giorno per il cimitero che accoglie il corpo di colei che mi fu Sposa e quelli di altri Fratelli e Sorelle nella Fede: “Sento una gran vita, fremere qui!”.

  8. 61Angeloextralarge

    Grazie Paolo. Bel post, ma da te ormai me lo aspetto sempre. Smack! 😀
    Personalmente ho fatto una grande fatica a non far cadere l’occhio sulle targhette… come pure sui fiori ed altro. Purtroppo mi distraevano dalla preghiera. Addirittura contavo i fiori e “misuravo” le distanze tra un vaso e l’altro… 🙁
    Va la’ che mi è passata, ma è stata dura.

    Complimenti per il look floreale del post! Smack! 😀

  9. fortebraccio

    Mannaggia, com’è che mi ritrovo così spesso in disaccordo con PP?
    Targhette: ho sempre trovato le targhette sulle panche un’insopportabile personalizzazione (financo rivendicazione, neanche fosse una proprietà privata): ho pregato qui, questo posto è mio! Hai regalato le panche alla chiesa, ai fedeli: e allora? Che fai, ti pavoneggi?
    Ho invece provato quello che Paolo descrive, pari pari, per i segni anonimi: un inginocchiatoio incurvato, una mattonella scavata, una pietra di rivestimento levigata, una vecchia cassetta per le offerte.

    E come Giusi, sento il “fascino” per il silenzio dei cimiteri – ma trovo pacchiani troppi monumenti, la maggior parte delle cappelle (ma non è colpa dei morti, semmai dei vivi).
    E chissà perché da noi esistono ancora troppi cretini che non ci permettono di abbatterli quei muri attorno ai cimiteri, in modo da poterli avere accanto quotidianamente – come nei cimiteri anglosassoni, un po’ anche giardino.

    1. @ «Che fai, ti pavoneggi?»
      A’ Fortebra’ ma datte ‘na carmata. Me sembri un puritano de Scozia, me sembri 😛
      Seriamente, urge una considerevole presa di Et-Et (Et-Et= cattolico; Aut-Aut= non cattolico).

      1. fortebraccio

        No no, aspetta!
        non pretendo che il mio punto di vista si estenda a tutti, ci mancherebbe!
        Ho sempre preferito i gesti/segni anonimi, tutto qui.
        Mica vado di notte a svitarle, le targhette. Dico solo che, personalmente, non vorrei il mio nome su una panca.
        Non ho mai inciso il mio nome su un’albero, una panchina o un’agave… sarà che non sopporto che mi si accusi di aver “personalizzato” un bene comune, ma non per questo vado a cancellare le scritte degli altri!
        Le trovo più il sintomo di una (umana, umanissima) debolezza, che altro. Una cosa di cui sorridere, tutt’al più.

        1. Tot capita tot sententiae 😉 Me invece mi hanno sempre affascinata, quelle piccole tracce lasciate da altri sulle cose. Lapidi sepolcrali, scritte sui muri, targhette. Certo c’entra anche la deformazione professionale (è tutta acqua al mulino del ricercatore storico) e ovviamente NON mi affascinano gli scarabocchi contemporanei fatti con lo spray. Se però lo scarabocchio è del Trecento (o anche del ’15-’18), ammetterai che possa avere il suo interesse, storico e anche umano. O no? 🙂
          http://www.italiannotebook.com/new/wp-content/uploads/graffiti1.jpg

          1. fortebraccio

            Capisco i vostri punti di vista…
            Rammento che, in visita alla Grotta di San Michele, mi stupii di quanti avessero voluto lasciare il segno su quelle pareti. Si avverte “al tatto” lo scorrere ineluttabile del tempo: i modi di scrivere, di lasciare segni, le lingue diverse: tutto molto affascinante, tutto molto umano – col suo carico di speranze, preghiere, fede.
            Perché tutti abbiamo desiderio di lasciare un segno, una traccia, almeno nella memoria altrui.
            Solo che farlo in Chiesa no, non è per niente nelle mie corde: forse perché sono abituato a “offrirle” le preghiere, non so. E’ che mi urta che qualcuno le chieda per sé.
            Perché la carità -di cui la preghiera offerta mi sembra la concretizzazione tra fratelli nella fede- non si vanta: non si auto-celebra, né si ha titolo per richiederla – tanto meno per una panca.
            Giusto ai bambini, sotto natale, si perdona l’espressione “voglio questo gioco perché sono stato bravo”
            E’ il mio modo di viverla, non pretendo che si faccia così: è più una questione estetica, direi.

            Vi ribalto la situazione (sperando di strapparvi un sorriso).
            Una volta mi trovai in un reparto maternità che era letteralmente invaso da scritte sui muri: pieno, pieno! non c’erano spazi bianchi, le scritte si sovrapponevano senza soluzione di continuità.
            Opera di vandali entrati nottetempo? No. Padri, madri, zii e zie, tutti in preda ad un’irrefrenabile necessità di celebrare la nascita di figli e nipoti.
            Chi mi accompagnava si lagnò per l’inciviltà; personalmente lo trovavo curioso, un po’ naif, ma anche l’espressione di felicità incontenibile: tutto sommato si poteva soprassedere! Mi venne risposto che va bene la felicità, ma 1- imbiancare ogni 6 mesi distraeva soldi spendibili in altre necessità; 2- le scritte davano un senso di trascuratezza e sporco che non rispecchiava il decoro e l’efficienza della struttura (vero); 3- ormai i lasciti sui muri si estendevano anche alle suppellettili (sedie, mobili, porte), rovinandole; 4- col tempo le scritte avevano cominciato ad assumere altre caratteristiche poco edificanti (insulti alle squadre di calcio, partiti politici, cittadini di altri quartieri/città/nazioni), senza contare la recente comparsa di disegni anche di discrete dimensioni – tutte cose evidentemente preparate a casa, pianificate!
            Insomma, quella che era una innocua manifestazione di felicità aveva, di fatto, trasformato quel luogo in qualcosa che non era più un ospedale, ma un luogo di proclami (tra cui ricordo il fantastico: “… e tre! E’ inutile che cancellate, tanto torno!”. A più di dieci anni di distanza ancora mi diverto a pensare a tutte le sfumature -e possibili implicazioni- di quella frase)

            1. Fortebraccio, se mai arriverò a scrivere il mio magnum opus sulle scritte sui muri, ti citerò “in extenso” (tranquillo, non c’è pericolo, conoscendomi, lo scriverò il giorno di san Mai 😉 ). Però apprezzo il pensiero 🙂

        2. Lalla

          Oppure sono un invito a credere nella Comunione dei Santi e cominciare a metterla in pratica qui…Perché siamo (chi qui, chi già di là) tutti persone, una per una con le nostre storie, i nostri difetti, idiosincrasie, peccati…Tutti abbiamo e avremo bisogno delle preghiere degli altri. Facile pregare in astratto per degli sconosciuti: la targhetta però ci invita a pregare proprio per quella persona lì! E a sperare che altri facciano lo stesso per noi. A me ricorda un po’ che nel mondo dei vivi quaggiù siamo chiamati non ad “amare tutti” in generale – e quindi, alla fine, nessuno – ma ad amare persone concrete, e spesso insopportabili. Non è una critica al tuo punto di vista, Fortebraccio, sia chiaro. Solo una riflessione che mi è venuta in mente.

  10. Angelina

    Davvero un bel post, Paolo. Breve, suggestivo, induce a riflettere, e a contemplare l’eterno nello scorrere dei giorni che ci sono dati. Può capitare anche senza targhette, è vero, ma questo povero, piccolo particolare è un ‘qui ed ora’ di grande efficacia come porta verso una dimensione diversa dal nostro affanno quotidiano. Bella idea!

  11. Fraser

    Sono pienamente d’accordo con fortebraccio, del quale non posso non condividere ogni parola sul tema targhette in chiesa. Io, pur essendo tutto fuorché un santo, ho sempre creduto fermamente nel “non far sapere alla mano destra cosa fa la sinistra”. Poi è chiaro che non c’è comunque nulla di male, è solo questione di sensibilità personale.
    Trovo invece pessima e detestabile l’abitudine di scrivere sui muri altrui (pubblici e privati). Anche laddove (raramente) si trattasse di scritte simpatiche o disegni ben fatti il punto è che farlo senza permesso è semplicemente maleducazione, ancor prima che illegale.

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