di Roberto I. Zanini Avvenire
«Non ho inteso e non intendo fare lo storico». La premessa di Ettore Bernabei è dettata da umiltà, ma anche da consapevolezza: «Non ne ho né la preparazione scientifica né la mentalità filologica». Ma quando parli con lui ti accorgi subito di avere davanti un fiume in piena. Un uomo che nonostante gli anni, ottimamente portati, ha il vivo desiderio di ricordare le ragioni dei fasti del boom economico e, di conseguenza, i motivi per cui da quel momento in poi l’Italia ha inanellato una serie di disavventure e vere e proprie sventure politiche, sociali ed economiche.
Argomentazione utilizzate ampiamente nel libro intervista con Pippo Corigliano Italia del “miracolo” e del futuro. E qui vale per intero la premessa: quello di Bernabei non è il racconto di uno storico, ma è un racconto di vita che nasce dall’esperienza di giornalista e manager di primissimo livello; che attinge, come lui stesso tiene a sottolineare, alle frequentazioni e alle confidenze di personaggi come Giovanni Battista Montini, Giovanni Benelli, Agostino Casaroli, per cominciare con gli ecclesiastici; Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Giorgio Almirante, Bettino Craxi, Giovanni Malagodi, per concludere con i politici. Ma soprattutto che è animato dal desiderio di «ricordare ai cattolici di questo Paese come siano stati capaci di portarlo in pochi anni al boom economico e al quarto posto fra le economie più industrializzate, senza sposare le logiche economiche del liberismo, con un sano connubio fra contributo pubblico e impegno privato».

Perché questa annotazione specifica sui cattolici?
«Perché i cattolici hanno dimenticato quello di cui sono stati capaci in quegli anni, proprio grazie all’applicazione in politica economica delle logiche sottese alla dottrina sociale della Chiesa. Perché i cattolici sono stati travolti da una certa propaganda “anticattolica” costruita a tavolino e hanno finito per crederci, smettendo di fare politica. Non si può più continuare a fare da supporto alla destra o alla sinistra. I cattolici devono tornare a fare politica in prima persona portando avanti i valori della fede».
Questo come si traduce in politica economica?
«Smettendo di far pagare ai poveri gli errori di strategia economica fatti dai ricchi, come sta avvenendo dall’inizio di questa crisi, frutto di un’ideologia economica che aveva già mostrato il suo fallimento nel ’29. È il momento che quei poveri possano tornare a essere meno poveri rapidamente, che si possa ricostituire la classe media che è stata la nostra forza. Bisogna cominciare a ridare un po’ di speranza alla gente, che non sa più dove battere la testa anche politicamente».
«Smettendo di far pagare ai poveri gli errori di strategia economica fatti dai ricchi, come sta avvenendo dall’inizio di questa crisi, frutto di un’ideologia economica che aveva già mostrato il suo fallimento nel ’29. È il momento che quei poveri possano tornare a essere meno poveri rapidamente, che si possa ricostituire la classe media che è stata la nostra forza. Bisogna cominciare a ridare un po’ di speranza alla gente, che non sa più dove battere la testa anche politicamente».
Nel libro lei sostiene che l’attuale prostrazione del Paese, anche dal punto di vista politico, è il frutto di una terza guerra mondiale.
«Una guerra condotta in guanti bianchi, dalla quale il sistema di economia sociale costruito sulla collaborazione fra pubblico e privato, ispirato dal pensiero cattolico, che ci ha dato benessere, ricchezza e libertà, è uscito sconfitto in seguito a una lunga serie di attacchi, condotti dall’ideologia liberista e dalla finanza di speculazione, che ha la sua forza e il motore reale nelle lobby economiche americane e inglesi e che ha avuto in Ronald Reagan e in Margaret Thatcher i suoi paladini. Una terza guerra mondiale che per noi è stata molto più rovinosa della seconda».
«Una guerra condotta in guanti bianchi, dalla quale il sistema di economia sociale costruito sulla collaborazione fra pubblico e privato, ispirato dal pensiero cattolico, che ci ha dato benessere, ricchezza e libertà, è uscito sconfitto in seguito a una lunga serie di attacchi, condotti dall’ideologia liberista e dalla finanza di speculazione, che ha la sua forza e il motore reale nelle lobby economiche americane e inglesi e che ha avuto in Ronald Reagan e in Margaret Thatcher i suoi paladini. Una terza guerra mondiale che per noi è stata molto più rovinosa della seconda».

Quando è cominciata?
«Qui, senza partire dal principio, bisogna dire che quando De Gasperi aderì all’Alleanza Atlantica, specificò che l’Italia sarebbe stato un Paese fedele al blocco occidentale, ma declinò cortesemente l’invito ad aderire alle grandi organizzazioni lobbistiche angloamericane, convinto di poter attuare una politica di crescita economica e sociale alternativa. De Gasperi era un liberale nel senso tradizionale del termine: conservatore e credente. Dialogando con personaggi illuminati come Montini, comprese che gli ideali economico politici portati avanti dai giovani del gruppo di Camaldoli (i vari Fanfani, La Pira, Dossetti…), fondati in economia non su un mercato che si autoregola, ma sulle teorie di John Maynard Keynes, erano quelli giusti. Non fu semplice far accettare queste teorie nella Dc. La svolta venne dalla segreteria Fanfani fra il 1954 e il 1958, che pose le basi per il boom economico».
Quali erano queste basi?
«Le banche di Stato sostenevano le grandi aziende a partecipazione statale che dovevano fornire a basso costo l’energia, i servizi e gli strumenti necessari alle aziende private, consentendo loro di affrontare la concorrenza di Paesi che possiedono a basso costo quelle materie prime che noi non abbiamo. Questo fu il motore del miracolo economico. E abbiamo dimenticato che a ispirarlo fu un gruppo di economisti e politici cattolici. Tanto che furono proprio gli inglesi a parlare ironicamente di “miracolo” italiano, convinti come erano che i cattolici fossero costituzionalmente incapaci di dare solidità, benessere e libertà ai loro Paesi. Poi, col governo cosiddetto delle “convergenze parallele”, diventammo la quarta potenza mondiale superando anche gli inglesi, perché lo stesso Togliatti aveva capito che bisognava utilizzare e appoggiare quel modello di sviluppo».
«Le banche di Stato sostenevano le grandi aziende a partecipazione statale che dovevano fornire a basso costo l’energia, i servizi e gli strumenti necessari alle aziende private, consentendo loro di affrontare la concorrenza di Paesi che possiedono a basso costo quelle materie prime che noi non abbiamo. Questo fu il motore del miracolo economico. E abbiamo dimenticato che a ispirarlo fu un gruppo di economisti e politici cattolici. Tanto che furono proprio gli inglesi a parlare ironicamente di “miracolo” italiano, convinti come erano che i cattolici fossero costituzionalmente incapaci di dare solidità, benessere e libertà ai loro Paesi. Poi, col governo cosiddetto delle “convergenze parallele”, diventammo la quarta potenza mondiale superando anche gli inglesi, perché lo stesso Togliatti aveva capito che bisognava utilizzare e appoggiare quel modello di sviluppo».
E la terza guerra mondiale quando è cominciata?
«Quando le potenti lobby economiche che fondano la loro ricchezza e il loro potere sul liberismo hanno compreso che il successo ottenuto dalla politica sociale intrapresa in Italia poteva mettere a rischio i loro interessi mondiali. Allora sono capitati una serie di eventi, dalla morte di Mattei al crollo dell’Olivetti. Allora la rivolta studentesca che in Europa è durata due anni da noi è durata 12 e si è trasformata in contestazione operaia, producendo, nei fatti, una riduzione della capacità produttive e culturali del Paese. Sono partite una serie di iniziative come le campagne sul divorzio e sull’aborto, promosse da lobby anticattoliche, per indebolire lo zoccolo duro del Paese. Poi i grandi attentati, la stagione del terrorismo, lo spostamento della centrale mondiale della droga in Sicilia, poi il giustizialismo per cancellare definitivamente la Dc e i suoi alleati. Le privatizzazioni sono state il definitivo colpo di grazia».
«Quando le potenti lobby economiche che fondano la loro ricchezza e il loro potere sul liberismo hanno compreso che il successo ottenuto dalla politica sociale intrapresa in Italia poteva mettere a rischio i loro interessi mondiali. Allora sono capitati una serie di eventi, dalla morte di Mattei al crollo dell’Olivetti. Allora la rivolta studentesca che in Europa è durata due anni da noi è durata 12 e si è trasformata in contestazione operaia, producendo, nei fatti, una riduzione della capacità produttive e culturali del Paese. Sono partite una serie di iniziative come le campagne sul divorzio e sull’aborto, promosse da lobby anticattoliche, per indebolire lo zoccolo duro del Paese. Poi i grandi attentati, la stagione del terrorismo, lo spostamento della centrale mondiale della droga in Sicilia, poi il giustizialismo per cancellare definitivamente la Dc e i suoi alleati. Le privatizzazioni sono state il definitivo colpo di grazia».

Viene in mente l’attuale caso dell’Ilva di Taranto.
«E dobbiamo pregare che queste ultime nefandezze non siano attuate e l’Ilva torni a essere un’azienda forte e non inquinante».
Tutto questo è accaduto in nome di una logica economica che ci ha condotto alla crisi attuale.
«Questa crisi si è mostrata fin dal principio più grave di quella del ’29, che era già stata una crisi del sistema e non, come si disse, una normale oscillazione ciclica. Nei fatti il liberismo in economia è un’ideologia che conduce ad abbandonare tutte le regole, anche quelle morali. Così i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma questo lo sapevano già a fine ’800 gli economisti più accorti».
«Questa crisi si è mostrata fin dal principio più grave di quella del ’29, che era già stata una crisi del sistema e non, come si disse, una normale oscillazione ciclica. Nei fatti il liberismo in economia è un’ideologia che conduce ad abbandonare tutte le regole, anche quelle morali. Così i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma questo lo sapevano già a fine ’800 gli economisti più accorti».
Se le chiedessi una ricetta pratica, da dove comincerebbe?
«La grande idea di Fanfani a inizio degli anni ’60 fu quella di aumentare i salari, cioè il potere di acquisto dei prestatori d’opera. Quando arrivai in Rai nel 1961 i sindacati chiesero aumenti del 12%. L’Iri non voleva dare più del 6%. Andai da Fanfani che mi disse di offrire il 20. Così è cominciata la grande stagione della tv che seppe trainare culturalmente il Paese».
«La grande idea di Fanfani a inizio degli anni ’60 fu quella di aumentare i salari, cioè il potere di acquisto dei prestatori d’opera. Quando arrivai in Rai nel 1961 i sindacati chiesero aumenti del 12%. L’Iri non voleva dare più del 6%. Andai da Fanfani che mi disse di offrire il 20. Così è cominciata la grande stagione della tv che seppe trainare culturalmente il Paese».
fonte> Avvenire
Condivido la tesi iniziale dell’articolo che il pensiero cattolico sia perfettamente compatibile con il progresso economico e anzi lo complementi molto bene e in modo necessario, dando dei valori che guidano il pensiero liberale (à la De Gasperi). La ricetta finale dell’articolo e’ del tutto sbagliata a mio modesto parere perche’ confonde causa e effetto. I salari sono l’effetto della crescita economica, non la causa. Mi pare che Bernabei sostenga il contrario e dice “facciamo crescerei i salari e poi la crescita verra'”. A mio avviso fare crescere i salari senza aumenti di produttivita’ e’ ad oggi quanto meno irresponsabile. Il dibattito deve essere su come far crescere la produttività e poi si potranno aumentare i salari.
Quello che la sinistra “da salotto” non ha mai capito (o non ha mai voluto capire), dal ’68 in poi, è proprio questo: sotto l’aspetto di battaglie giuste di libertà, con la rivendicazione di millanta diritti, astutamente demolendo la famiglia, la religione e la differenza dei sessi, non ha fatto che aprire le porte alla parte più selvaggia e antiumana del liberismo capitalista. Gli è rimasta in mano la bandiera del gay pride ma il popolo, quello vero, è perso, indifeso e abbandonato.
Prima gran parte di noi erano poveri e felici. Oggi sono poveri e infelici.
A me il trend “si stava meglio prima quando vivevamo nelle campagne, le donne portavano le gonne ed eravamo poveri ma felici” ha sempre fatto storcere il naso. Vorrei sapere chi sono questi noi “poveri ma felici”. Le donne che non potevano uscire di casa ed aspirare a qualcosa di meglio (anzi, non di meglio, di altro) che preparare la cena (o commissionarla alla domestica, a seconda del vero) del maritino? Le mogli perfettamente a conoscenza di essere (state) tradite, ma che non azzardavano a parlare perché sennò sai che vergogna avere tutto il paese che ti ride dietro? O quelle che scoprivano le varie amanti poco dopo che il maritino le piantava al loro destino? Erano felici le mogli e i figli di padri violenti, continuamente umiliati e seviziati dal “capofamiglia”? Anche loro ovviamente costretti al silenzio “i panni sporchi si lavano in famiglia”. La famiglia ‘sta sacra famiglia. Le non sposate incinte trattate come appestate erano felici? Posso continuare. Ora io non dico che queste cose non ci sono più, ci sono eccome, ma se ne parla. Si ha il coraggio di reagire, di non abbandonarsi alla rassegnazione e all’accettazione, di combattere per una vita migliore. Voi pensate che 50 anni fa non esisteva la violenza sulle donne? C’era, eccome, ma non se me poteva parlare, e l’indignazione, quando c’era, cadeva tutta sulla vittima. Bisognerebbe almeno pensarci prima di dire che un tempo eravamo “poveri, ma felici”.
P.S. Le mie non sono domande retoriche. Quindi aspetto una risposta.
“Le banche di Stato sostenevano le grandi aziende a partecipazione statale che dovevano fornire a basso costo l’energia, i servizi e gli strumenti necessari alle aziende private, consentendo loro di affrontare la concorrenza di Paesi che possiedono a basso costo quelle materie prime che noi non abbiamo…”
Peccato che le grandi aziende di stato e le stesse banche di stato producevano solo perdite ripianate dallo stato con le tasse dei cittadini: in pratica per finanziare i privati che lucravano a man bassa, lo stato si svenava.
Il deficit pubblico è generato senz’altro dallo sperpero e dalle ruberie, ma anche dal dover coprire le perdite generate da gestioni tanto in perdita quanto criminali: si parla tanto dell’ILVA ma il maggior disastro ambientale di origine industriale italiano (dopo l’ETERINIT) è il petrolchimico di Portomarghera che è sempre appartenuto ad una azienda di stato l’ENI.
Condivido in larga parte il pensiero di Bernabei.
Al di là delle singole indicazioni da lui suggerite, il presupposto del boom economico è stata un’attenta pianificazione di obiettivi e strategie. Cosa che oggi non avviene, in ossequi al “Privato” che ci salverà e abbracciando pedissequamente le teorie ultraliberiste anglosassoni, che hanno dimostrato ampiamente il loro fallimento.
Aumentare la produttività non serve a nulla, se non c’è la domanda…
Tutto d’accordo, non aggiungo altro perché non c’è ne è bisogno.
E non intendo entrare nel discorso sulle lobby, perché mi trovo in piena sintonia con Bernabei e i commenti di Costanza e altro.
Non mi trovo d’accordo solo sull’ultima frase
“La grande idea di Fanfani a inizio degli anni ’60 fu quella di aumentare i salari, cioè il potere di acquisto dei prestatori d’opera. Quando arrivai in Rai nel 1961 i sindacati chiesero aumenti del 12%. L’Iri non voleva dare più del 6%. Andai da Fanfani che mi disse di offrire il 20. Così è cominciata la grande stagione della tv che seppe trainare culturalmente il Paese”
La trovo irritante e credo che questa mentalità sia all’origine dello statalismo e del buco dello Stato.
Facile aumentare del 20% TUTTI i salari: tanto non era Fanfani a pagare.
E forse stiamo pagando ancora oggi noi certi carrozzoni statali nutriti a colpi di aumenti ed assunzioni.
Quella RAI ha trainato culturalmente il paese perché c’erano persone geniali con le idee chiare o perché abbiamo dato aumenti a pioggia a tutti?
vorrei far solo notare, e poi mi taccio ché se no si finisce in disquisizioni dalle quali non se ne esce più, che non è proprio così.
nel senso che fu proprio la briglia sciolta al privato a produrre il miracolo. che poi venisse finanziato in larga parte da banche “pubbliche” è altro paio di maniche( per lo stesso motivo per cui fu andreotti- con i finanziamenti voluti da lui al cinema del dopoguerra , a produrre il fenomeno del cinema italiano di quei tempi- ma non lo ricorda più nessuno.).il problema venne con l’eccesso. la chiesa sostiene, da sempre- ovviamente non riguardo agli argomenti di fede- l’et-et. non l’aut-aut.
poiché vi son periodiostorici ,nella vita di una nazione, al quale serve più stimolo “privato” o più controllo pubblico.
l’errore è voler assolutizzare tali strumenti. si pensa che andati bene una volta, vadano bene sempre. ma gli eventi storici ed economici non si ripetono mai nello stesso modo. pertanto ci vuole quella flessibilità nel concedere spazio o ridurlo( senza azzerarlo, se no un paese muore) al “privato” o all’investimento “pubblico”.
resta certo un punto. quando, in un paese, la maggior parte( diciamo sopra il 60/70%) dell’economia è legata a stipendi statali/regionali/comunali o a industrie che campano solo di appalti statali, il declino è inevitabile.
PAOLO PUGNI: sono d’accordo che il concetto di aumenti a pioggia è sbagliato in partenza ma credo che lei intenda questo in relazione al fatto che dovrebbe essere premiato il merito. In questo concordo, specialmente se ci si riferisce a chi ha ruoli dirigenti, anche se, nella pubblica amministrazione, non è così semplice premiare davvero chi lo meriterebbe
Ci tengo però a suggerire che una cosa è premiare, incentivare o, se necessario, anche penalizzare; altra cosa è il concetto di GIUSTA MERCEDE. Qui le assicuro che non ci siamo proprio: il lavoro di operai, impiegati e affini (e parlo di lavoro regolare, non di quello illegale e sfruttato) non è affatto retribuito con la giusta mercede e se il 70% della gente comune tira avanti, lo fa con le sostanze risparmiate da nonni e genitori, proprio negli anni “fanfaniani” in questione.
Concordo ma non vedo che cosa c’entri con l’intervista e con il mio commento.
“La trovo irritante e credo che questa mentalità sia all’origine dello statalismo e del buco dello Stato.
Facile aumentare del 20% TUTTI i salari: tanto non era Fanfani a pagare.
E forse stiamo pagando ancora oggi noi certi carrozzoni statali nutriti a colpi di aumenti ed assunzioni.
Quella RAI ha trainato culturalmente il paese perché c’erano persone geniali con le idee chiare o perché abbiamo dato aumenti a pioggia a tutti?”
sante sante parole, è stato irritante leggere anche per me.
Dico io, ma è così semplice. Se non c’è un valore prodotto non ci può essere nemmeno un valore condiviso. Se si condivide tanto e aumentano i dividendi ma pochi producono ricchezza vuol dire che si sposta il problema o in avanti o di lato. Insomma non è proprio un gran bel gesto di carità
Questa intervista non rende onore ai cattolici impegnati in politica. Non a quelli del passato (ai quali purtroppo dobbiamo solo l’illusione della solidità) ma a quelli che il futuro, spero, vorrà donarci…
A.S. :”se non c’è un valore prodotto non ci può essere nemmeno un valore condiviso”…detta così è davvero molto semplice…o semplicistico? Guardi che il peccato originale e la presenza del male nel mondo, vale anche sul piano sociale ed economico. Anche il libero mercato (cosa buona in se), produce il suo male, la sua ingiustizia e il suo dolore. Un cattolico indica dov’è il male e cerca di fare il bene. Il mondo è pieno di …valore prodotto ma NON condiviso. Bisognerebbe smettere di essere cattolici di destra e cattolici di sinistra e, secondo il proprio gusto, aggiustarci il credo.
Basterebbe seguire il Vangelo, la Tradizione e ascoltare il Papa. In tutto.
Cattolici… di Cristo. 😉
FaesBook / Incontro con Costanza Miriano a Lodi (prima parte)
http://faesbookmilano.blogspot.it/2013/06/incontro-con-costanza-miriano-lodi.html
Idee parecchio confuse. Stiamo morendo di Keynes, e ancora si finge che le politiche economiche adottate fossero di segno opposto.
Io tutto questo Keynes non lo sto vedendo, anzi, siamo schiavi che devono lavorare e dare il sangue per le banche affinche’ queste ripianino le loro perdite dovute alla cartaccia su cui hanno scommesso.
CLAUDIA: ti avevo scritto una risposta molto articolata e di ampio respiro; ho fatto una faticaccia, poi è successo qualcosa al computer e tutto lo scritto è scomparso. Ogni tanto dai uno sguardo a questa pagina, anche se passerà qualche giorno, ci tengo davvero a darti alcune mie risposte alle tue domande (un pò retoriche). Per ora un link al volo, fresco di giornata
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-solo-il-cristianesimoha-dato-dignit-alla-donna-6681.htm
Piero: i keynesiani come Krugman stanno dettando legge, in particolare forzando la mano per spingere il sistema carico di debiti a “uscire” dalla situazione attraverso il ricorso a debiti sempre più colossali, sperperati in “stimoli” di stato che sono soldi a pioggia donati solitamente a iniziative improduttive. Sono quelli che pretendono di determinare il corso dell’economia con interventi dirigisti dall’alto, così mostrando che le socialdemocrazie occidentali assomigliano molto più all’Unione Sovietica che a qualunque sistema liberista. In realtà, si dirà, in questo sistema c’è il capitalismo, quindi non parliamo affatto di un sistema di sinistra… questa è un’illusione, una fallacia: si tratta infatti di capitalismo di Stato, di capitalismo controllato dagli amici degli amici, dalle persone che sono in posizione di responsabilità e che possono contare sull’appoggio politico. Quindi realtà il nostro modello è la Cina.
Invece di portare la Cina alla civiltà occidentale, abbiamo portato la civiltà occidentale al sistema riveduto e corretto di quel regime.
In un sistema libero (e, se vogliamo dire, magari liberista) chi ha buone idee e ci si mette e crea un’impresa può fare successo, anche se magari inizialmente non ha il capitale, perché trova il finanziamento. Al contrario in un regime come questo in cui sempre di più si sta trasformando l’America di Obama e l’Unione Europea, avere idee e persino i soldi non ha importanza; l’unica cosa che conta è essere amici del politico, avere la lobby che garantisce che verrà fatta una legge a tuo favore; quindi anche se non sei all’altezza, anche se non hai le idee giuste, anche se non hai il capitale, con l’aggancio politico realizzi, vinci, superi, opprimi e schiacci tutti quelli che avrebbero fatto le cose meglio di te.
In questo sistema gli “amici numero uno” sono ovviamente le grandi banche, che ricevono copertura, leggi a favore, dei grandi bailout, grandi prestiti, fondi a fondo perduto, per coprire i debiti e le magagne.
Il problema di fondo di questi teorici del controllo di Stato sta nell’idea di essere in grado di regolare con la propria immaginazione, le proprie teorie, una intera economia mondiale, sistema attualmente troppo complesso per essere controllato dalla mente umana, e di cui loro non hanno neanche una comprensione minima.
È davvero interessante accorgersi per esempio che Keynes era un omosessuale, e quindi ovviamente senza figli, che diceva che “a gioco lungo siamo tutti morti”a chi gli rimproverava la mancanza di insight nelle sue teorie: infatti a lui cosa sarebbe successo nel lontano futuro non interessava per niente. Quindi col suo disprezzo dell’umanità e cinismo da intellettuale dandy poteva permettersi di teorizzare l’esatto contrario di quello che dice la saggezza delle nostre nonne: spendere sarebbe una cosa buona, risparmiare una cosa sbagliata; concetto che già perlomeno nell’ottocento (vedi Bastiat) si sapeva essere completamente sbagliato. Quindi il keynesianesimo è una ricetta autodistruttiva che premia l’incoscienza, il fare le cose senza porsi il problema delle conseguenze, perché tanto ci sarà qualche burocrate di Stato che farà qualche alchimia, elargirà soldi, cambierà il regime fiscale, gestirà attraverso una banca centrale i tassi di interesse in modo che tutto debba poi andare a posto magicamente.
Interessante rendersi conto che il punto di disaccordo essenziale tra keynesiani e liberisti della scuola austriaca sta proprio nel fatto che questi ultimi, mai ascoltati e pure accusati di essere gli artefici del mondo in cui viviamo, sono duramente contrari alla manipolazione dei tassi di interesse, che crea artificialmente opportunità di fare profitto non attraverso l’industria, la produzione, ma attraverso le speculazioni finanziarie… Mentre sono proprio i keynesiani che danno l’opportunità di creare soldi facili, che attraverso l’economia virtuale fanno concorrenza a chi vuole fare cose concrete e drogano il mercato. Sono i liberisti ad essere contro le banche e il loro potere di fare prestiti oltre quella che è la riserva monetaria. Insomma la storia è l’esatto preciso contrario di quello che viene normalmente raccontato.
Siamo in balia di questo sistema, e siccome controlla anche i mezzi di comunicazione, continua a raccontarci che dovremmo continuare sulla sua strada perché siamo schiavi dell’opposto, cioè di un’idea che non è mai stata realizzata.
In questa trappola cadono purtroppo anche tanti cattolici che si credono alternativi.
In verità piuttosto che “spingere il sistema carico di debiti a “uscire” dalla situazione attraverso il ricorso a debiti sempre più colossali,” (con loro ovviamente), hanno “semplicemente” MANIPOLATO il mercato, mediante le famigerate “società di rating” controllate da loro stesse ovviamente, hanno ridotto la fiducia e alterato gli equilibri per poter comprare a prezzo di saldo, e lucrare interessi su interessi. Con lo scopo collaterale di spingere e forzare la mano per privatizzare (con vantaggi solo per loro, ovviamente) il Welfare state, i trasporti e quant’altro il sistema paese puo’ (s)vendere, ve di per esempio la Grecia, che tra un po’ vendera’ persino il Partenone. E l’altro scopo “collaterale” (ma in realtà il principale) è attuare quel darwinismo sociale per eliminare una bella fetta di persone che non stiano dalla parte “giusta”.
Ecco alcuni riferimenti per chi vuol approfondire:
http://www.enzopennetta.it/2012/12/la-trimurti-europeista-e-la-fine-della-storia-italiana/
http://www.enzopennetta.it/2012/07/li-chiamavano-usurai/
http://www.enzopennetta.it/2012/05/il-programma-di-governo-delleconomist-da-qui-al-2050/
http://www.enzopennetta.it/2012/07/radio-globe-one-recensione-puntata-del-1907/
http://www.enzopennetta.it/2012/07/mario-monti-e-la-teoria-delle-catastrofi/
HAnno semplicemente fatto uno “sciopero del credito”.
Non si capisce infatti come mai, di punto in bianco, da una situazione “discreta” (anzi, forse piu’ buona che in altri paesi) si sia passati ad una catastrofe mancata per un soffio, naturalmente evitata solo per aver fatto il golpe finanziario e aver messo su la Mario-netta. Tanto piu’ che finalmente viene fuori che la Germania ha piu’ sommerso ed evasione di noi (e non ha pagato i debiti per 3 volte, mentre noi mai abbiamo mancato!), e che il debito pubblico, dal 112% che era, nonostante i salassi finanziari di quello lì, sia aumentato per andare verso il 132%.
Infatti il prelievo forzoso dalle tasche private degli italiani è servito soltanto a finanziare e a coprire i titoli tossici delle banche tedesche e francesi (titoli esaminati e promossi dalle stesse agenzie di rating che hanno ‘certificato i bilanci pubblici greci e che fino ad un attimo prima non hanno visto nulla su Lethman Bros etc e bolle speculative varie), e naturalmente per non far fallire l’euro, che e’ il sistema che fa detenere il potere alle banche.
detto per inciso, io non “parteggio” per nessuna teoria economica…
Le reputo inutili, e anzi, forse dannose. Come se uno stesse tutta la vita a calcolarsi la convenienza ad andare a comprare in un posto piuttosto che in un altro, o a calcolarsi il “grado di soddisfazione” di un acquisto o di un non-acquisto.
Te li raccomando poi gli economisti: tutti bravi a prevedere le crisi economiche… del giorno prima.
Tutti a dire: “Ma e’ chiaro, se fai cosi’, presto o tardi avrai che succedera’ questo…”, bravo genio, soltanto che e’ accaduto il giorno prima e lui non l’aveva previsto.