Carriera Alias e tutela dei minori

Se un ragazzo vive una sofferenza, di qualsiasi genere, va affiancato con delicatezza e rispetto, ma sempre ricordando che è un ragazzo, e che probabilmente con quella sofferenza sta chiedendo una paternità e una maternità che non ha ricevuto, forse non come il suo cuore desiderava. La sofferenza di un ragazzo non è uguale a quella di un uomo. Abbiamo un compito educativo, davanti a un ragazzo che soffre, e se bisogna rispettarlo, senza dubbio, si ha anche il dovere di indicare la verità, più che con un adulto. Insomma, non ci si può limitare a stare accanto con delicatezza. Educare ha a che fare con “ducere”, guidare. Oggi sempre più ragazzi esprimono il loro disagio facendo fatica con la propria identità sessuale. La risposta però non può essere quella di assecondare questo disagio, significa dare diritto di cittadinanza a quella percezione di sé. Come spiegano i giuristi del Centro Studi Livatino, la carriera “alias” adottata da un centinaio di scuole in Italia è una procedura non prevista dalla legge né autorizzata dalle autorità competenti. Ma soprattutto al di là della legge chiediamoci: aiuta davvero una ragazza che si sente ragazzo il fatto di essere chiamata con un altro nome da maschio? Non rimarrà forse il suo dolore? Il tentativo di cambiare la realtà – siamo maschi o femmine – con la burocrazia è destinato a fallire, ma soprattutto è troppo poco. È piuttosto un modo di lavarsi le mani: pensi di essere un maschio anche se sei femmina? Ti accontento, fai come vuoi. Non credo che si risponda così a una sofferenza, troppo facile. L’articolo del Centro studi.

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