Lo splendore del matrimonio e della famiglia in un dialogo con don Luigi Giussani

Per la gentile concessione a TEMPI dell’editrice Jaca Book , riproponiamo di seguito ampi stralci della “Conversazione sul matrimonio” di don Luigi Giussani con il teologo Antonio Maria Sicari. Il dialogo è contenuto in Breve catechesi sul matrimonio (1990), libro firmato dallo stesso Sicari.

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Per poter dare a questo mio libro sul matrimonio una conclusione viva, ho chiesto a monsignor Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, di poter rivedere con lui, conversando, almeno le pagine più decisive. Il motivo della scelta è per me ovvio: tra tutti i sacerdoti che conosco, nessuno sa parlare, come lui, della verginità cristiana. (…) Questo amore immediato a Cristo – il saper vedere l’intera creazione e gli uomini tutti come segni di Lui, e amarLo attraversando ogni altro amore ed ogni altra affezione – è la «verginità». (…)

Sicari (S.). Vorrei iniziare la nostra “conversazione sul matrimonio” riprendendo la frase di S. Agostino posta in apertura a questo libro: «Quid tam tuus quam tu? Sed quid tam non tuus quam tu, si alicuius est quod es? – Che cosa è così tuo come te stesso? Ma che cosa è meno tuo di te stesso, se ciò che tu sei appartiene a un altro?». (…) Questo ci porta subito al cuore del problema, al tema della appartenenza nella sua forma più totale e radicale…

Giussani (G.). Sì, questa frase sintetizza, anche per noi uomini, una delle intuizioni più profonde: che il contenuto della propria autocoscienza si svela nella appartenenza a un altro e come appartenenza a un altro. Ciò è evidente soprattutto nel bambino: tutta la coscienza che egli ha di sé è nella appartenenza, sperimentata come un bene, al padre e alla madre. Altrimenti viene impedito lo stesso sviluppo della sua coscienza.


S. Parliamo ora della “appartenenza coniugale”, quella che comincia a realizzarsi fin dal primo innamoramento…

G. Per una persona adulta, anche se molto giovane, l’appartenenza a un altro essere umano non è il primum; per prima cosa viene il sentimento di sé, della propria personalità. Quanto più questo sentimento di sé è profondo e vero, tanto più si è capaci di appartenere a un altro. Ma qui scopriamo il segreto più interessante: che per avere un sentimento di sé che sia dignitoso, consistente, operativo – direi quasi “definitivo” della propria persona – bisogna percepire una appartenenza ancora più originale: quella nei riguardi di Cristo, di Uno che ci redime dalla nostra fragilità, dallo sgomento della precarietà. (…)

S. Torniamo per ora alla fase ancora istintiva, ancora immediata e non riflessa: uno sente il bisogno di appartenere totalmente alla persona di cui si va innamorando; come questa prima evidenza può diventare pedagogia a scoprire o a riscoprire quella più radicale appartenenza di cui parliamo? Qual è il cammino da percorrere?antonio-sicari-breve-catechesi-sul-matrimonio-jaca-book

G. La strada unicamente percorribile mi sembra quella dello stupore. Ecco: se nasce lo stupore dell’incontro fatto, in esso è implicito il senso di una Grazia, di un dono. Infatti si tratta di una appartenenza nuova che nasce da circostanze non programmate, non previste. Ma occorre una certa sensibilità, una certa semplicità di cuore per accorgersene. Anche in tal caso, però, non è possibile scoprire tutto il valore di quel presentimento o di quello stupore, se non si incontra un maestro e una compagnia nei quali sia già viva la coscienza che tutto ci è donato da Dio. (…) Nel frastuono di oggi, quello stupore spesso appena accennato, difficilmente riesce ad approfondirsi. Tutto diventa subito abituale, tutto è dovuto, meccanico. Per questo è sempre necessario un incontro ulteriore, l’imbattersi in una realtà già cosciente delle implicazioni più profonde.

S. Una realtà che educhi: una comunità? Un prete? Un’altra coppia di sposi? Una persona consacrata?

G. La comunità cristiana è certo un luogo dove le implicazioni contenute in quel primo stupore possono essere esplicitate: nelle conversazioni, nei raduni, in qualche esperienza in cui si colgono accenti che spalancano un orizzonte nuovo. Ma resta indispensabile poi un incontro personale: non importa che sia un prete, uno sposato o uno che ha scelto di vivere verginalmente; importante è che si tratti di una persona che abbia fatto una vera esperienza affettiva verso Dio. Certo, un prete o un vergine dovrebbero essere più criticamente consapevoli di questo passaggio.

S. Ma questa persona «criticamente consapevole» che cosa (…) deve far percepire a due ragazzi che provano semplicemente lo stupore, la gratitudine per un incontro d’amore accaduto così naturalmente?

G. Dovrebbe far percepire loro due cose. Anzitutto che la stoffa dell’avvenimento, del loro incontro d’amore, è la Grazia: dono fatto da un Altro a cui appartengono il mondo e le persone tutte, e che, attraverso le sue vie misteriose, ha provocato quell’incontro mobilitando un numero infinito di circostanze apparentemente casuali; e in tal modo Egli ha creato “per te” un momento pieno di senso e di sentimento. In secondo luogo, l’educatore dovrebbe far percepire la profezia contenuta in quello stesso incontro: lo stupore cioè promette una appartenenza e un possesso che diventeranno tanto più forti, tanto più ricchi, quanto più saranno vissuti nella obbedienza al grande Signore, scoperto come origine della Grazia.

S. Tuttavia questa duplice scoperta (della creaturalità stupefatta e della promessa di un compimento sovrabbondante) resta a livello di semplice “senso religioso”. Ma come si può far percepire a due ragazzi innamorati anche il volto personale di Cristo?

G. Vedi, (…) se due ragazzi non solo si incontrano tra loro, ma incontrano anche chi svela il loro senso del loro amore, già fanno una esperienza della incarnazione di Cristo: è infatti Cristo che li raggiunge nel mistero della sua Chiesa, nella presenza del suo “testimone” o ministro.

S. Accade però che i ragazzi ti dicano: noi il nostro amore lo sentiamo molto concretamente, mentre l’amore di Cristo è così vago, così “spirituale”…!

G. Che Cristo faccia sentire la sua concretezza corporea, risorta, anche questo è una sua grazia… una grazia che poi verrà sempre più confermata: negativamente dalla percezione dei limiti dell’amore umano, della fragilità, della precarietà inevitabile eppure dolorosa; e, positivamente, dal fatto che è sempre possibile addentrarsi più profondamente in quel segno, in quel “sacramento” che è l’amore tra uomo e donna.

S. Ogni uomo dunque porta in sé una tale profondità, nella quale l’incontro con Cristo si fa sempre più concreto man mano che uno vi si addentra?

G. È una profondità che viene spalancata dall’amore umano, e che Cristo può usare misericordiosamente per farsi percepire. È come l’albore del giorno escatologico, come anticipo di una appartenenza e di un possesso infiniti. D’altra parte in ogni esperienza stabile di amore, nella vita concreta di ogni famiglia, ci si accorge che il possesso è tanto più potente, profondo e vero quanto più viene attuato in un distacco. (…) Il distacco supremo viene raggiunto là dove lo sguardo d’amore si porta direttamente sul Destino dell’altro. Nella vita della famiglia dapprima il distacco è consigliato e quasi esigito dagli inevitabili limiti e dai pesi conseguenti, che tante volte possono anche generare stanchezza e incapacità a perseverare nel rapporto. Ma proprio per attraversare anche questa stanchezza e queste delusioni, proprio per riscattarle, l’unica modalità razionale è quella di seguire la logica ultima dell’amore che è la passione per il Destino dell’altra persona. (…)

S. Se c’è una evidenza naturale che Dio ci ha donato (nel dono stesso della nascita, del nostro esser stati bambini, del nostro aver avuto una famiglia) è proprio questa: che l’appartenenza è una cosa buona e che è proprio essa a rendere possibile la libertà. Che cosa poi interviene a rovinare questa prima evidenza? L’adulto che dice orgogliosamente: libertà significa “non appartenere”, non dipendere da nessuno; appartenere e dipendere sono soltanto umiliazione, schiavitù… Che cosa gli è accaduto?

G. Potremmo vedervi una prova del peccato originale, inteso come ciò che ha reso possibile una tale distorsione. Ma la ragione più immediata è la ineducazione, anzi la contro-educazione: i doni che ci vengono dalla natura, se non diventano evidenti nelle loro ragioni, restano atrofizzati: vengono usati in modo meschino, fragile, oppure senza nessuna discrezione: subiscono, in ogni caso, violenza. E questo succede inevitabilmente quando la realtà umana non incontra Cristo: la natura senza Cristo viene anchilosata, si obnubila, si altera. (…) È piuttosto un plagio operato dalla mentalità dominante; un plagio che innesta la sua menzogna sulla ineducazione, e quest’ultima tanto più si dilata quanto più retrocede l’influsso della Chiesa. Ciò coincide con l’assenza di ragioni, con l’oscurarsi della coscienza, con la sua restrizione. Su questa restrizione poi la società sviluppa il suo potere.

S. È per questo che oggi il potere ha interesse a distruggere i legami familiari stabili?

G. L’interesse del potere è duplice: prima di tutto, distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato: l’uomo solo è senza forza, è privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità: e si piega facilmente al dettato delle convenienze.

S. Quindi dietro a tutti i cedimenti sociali a riguardo della famiglia (aborto, divorzio, convivenze, permissivismo sessuale ecc.) c’è sempre uno stesso scopo: quello di far dimenticare che libertà e appartenenza sono la stessa cosa…

G. Certamente, perché così l’uomo resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, e non abbia tradizioni in modo che non veicoli responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere. La seconda ragione, più profonda, è questa: che distruggendo la famiglia si attacca l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, di cui il potere è funzione: vale a dire, intendere la realtà atomisticamente, materialisticamente, una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

S. Io penso che il problema più grave della Chiesa di oggi stia nel modo in cui molti cristiani concepiscono il rapporto tra natura e soprannatura: o in modo spiritualistico (in cui la fede non c’entra con la vita concreta) o in modo moralistico (la fede c’entra, ma solo come sostegno etico di un progetto naturale). In ambedue i casi si dimentica l’innesto sostanziale con cui Dio ha legato assieme ciò che è naturale e ciò che è soprannaturale, in modo indissolubile, in un unico ordine. Ora a me sembra che proprio per questo motivo il futuro della fede si giochi nella famiglia. Il matrimonio è l’unica realtà naturale che diventa soprannaturale (sacramento) per il solo fatto di essere il gesto di due battezzati. (…) Il matrimonio-sacramento è il punto della storia in cui la realtà naturale e quella soprannaturale più perfettamente si innestano l’una nell’altra senza confondersi, in forza del battesimo, in forza della fede.

G. Vuoi dire che proprio là dove la natura più si esprime, più dimostra di essere stata indissolubilmente legata con la soprannatura…

S. Sì, nella famiglia la natura umana si esprime in tutta la sua concretezza: ogni cosa, anche la più materiale (la casa, il lavoro, il cibo…), tutto viene finalizzato e umanizzato. Per questo credere che il matrimonio è un sacramento suggerisce anche un modo totalizzante di considerare il proprio essere cristiano: impedisce alla radice ogni dualismo, ogni falso spiritualismo. Cosa manca allora nel modo abituale con cui si educano i giovani a capire il sacramento del matrimonio?

G. Manca la fede nella sua vera natura. C’è nel migliore dei casi una preoccupazione morale dignitosa e un vago sentimento di soggezione a Dio. Invece occorrerebbe guardare alla famiglia come all’esempio più impressionante della Incarnazione. (…)

S. Proprio qui io credo che si innesti nel modo più autentico la problematica morale. La morale cristiana non è possibile, non è liberante, se non nasce da uno stupore davanti al dono di Dio, se non è risposta umile e generosa alla grandezza del dono che Dio ci fa. Dunque bisogna prima educare i cristiani allo stupore davanti al miracolo del loro matrimonio. Ma cos’è che fa percepire come buona, percorribile, la concreta legge morale: quella, ad esempio, che governa la vita sessuale?

G. Per amare la morale cristiana e osservarla, bisogna essere coinvolti concretamente nel fatto di Cristo, bisogna che Cristo sia divenuto veramente il Signore di tutti, fino ad amare obbedientemente le leggi che Lui ha messo nella sua creazione. Bisogna che in casa domini Cristo.

S. Eppure è sempre più frequente trovare dei cristiani, anche tra i nostri amici, che sono infastiditi dal fatto che il Papa parli spesso della morale sessuale. Dicono che ormai quelle cose non le capisce più nessuno (…) e non è più possibile partire dall’etica o insistere subito su questo.

G. Io non sono affatto d’accordo. E per due motivi diversi, anche se legati tra loro. Il primo è che il Papa insiste sugli aspetti fondamentali, essenziali per la costruzione di ogni società: il valore della persona, della ragionevolezza, dell’“atto”. Si tratta dell’uomo; è la natura dell’uomo che è in gioco in quei problemi sessuali che sembrerebbero così particolari. Il secondo motivo è che un cristiano, quando riflette sulle indicazioni del Magistero, anche se gli sembra che esso parta da lontano, è costretto subito a ritrovare l’imponenza di Cristo sulla sua vita.

S. Ma è giusto dire che, per una nuova evangelizzazione, è necessario partire non dall’etica ma dall’estetica?

G. Non bisogna semplificare troppo. Proprio questo Papa che spinge alla nuova evangelizzazione parla molto dell’etica sessuale, perché essa tocca ora i punti fondanti, quelli in cui è salvata la dignità stessa della persona umana. E questo è già un fatto profondamente estetico, perché se è salva la santità della persona, allora lo splendore della presenza di Cristo nel mondo colpisce. La morale, quando tocca i fondamenti dell’esistenza, è l’estetica di ciò che è dato, della creazione, del dono. Si tratta di rimettere in gioco lo stupore della creazione, la verità della creazione. La moralità rende la persona sintonica al movimento della creazione in cui essa si trova coinvolta; allora rinasce lo splendore della creazione. Lo splendore è là dove la moralità è salvata.

S. (…) Si dice: bisogna riproporre il fatto di Cristo, non un’etica.

G. Ma se non si giunge a un’etica, non si comprende il fatto di Cristo. Non si è coinvolti nel fatto, se non si entra nel movimento morale che il fatto implica.

S. A volte però si sente dire, anche da persone autorevoli: se fosse per le indicazioni morali, io non starei nel cristianesimo, perché sarebbe solo addossarsi altri pesi. Ci resto perché mi dà gioia, soddisfa le mie esigenze…

G. Io sto nel cristianesimo perché è la verità; perché riconoscere il fatto di Cristo e la sua presenza mi converte, mi sospinge, mi attira a cambiare il mio modo di entrare in rapporto con tutte le cose, mi fa diventare più vero fin nei particolari. Incontrando il fatto cristiano, anche il rapporto affettivo diventa più doloroso e più vero: si accetta una maggiore “dolorosità”, perché lo si vuole più vero. Quando una donna vuole bene ad un uomo, se lui viene mandato dalla sua ditta per sei mesi in America, lei l’attende, è tesa a lui, gli resta unita. Il fatto stupefacente del loro amore, della loro unità è dentro la serietà etica della loro reciproca attesa.

S. Vuoi dire che c’è un livello della questione in cui “etica” ed “estetica” coincidono?

G. Io direi che la vera estetica è quella che nasce da un destino percepito come immanente al movimento della realtà. La vera estetica è sempre etica.

S. È, secondo te, importante predicare anche oggi ai fidanzati la castità prematrimoniale, senza sconti o concessioni di alcun tipo?

G. Ma certo! Perché senza verginità non imparano a possedersi veramente: possedere è amare e, nel gesto, cercare e amare il Destino dell’altro. Il gesto dev’essere determinato dal destino dell’altro. Il gesto si fa se è necessario per adempiere il compito che il Destino assegna.

S. Appunto, ci sono perfino preti che sostengono che i gesti intimi dell’amore sono necessari ai fidanzati, per conoscersi meglio, per prepararsi…

G. È un giudizio squallidamente sentimentale. Il dire che si vogliono bene è un artificio. Voler bene è desiderare il Destino, cioè desiderare che Cristo venga. Ma Cristo viene attraverso le circostanze della vita, integralmente rispettate nella loro natura. E la natura del fidanzamento è la promessa, non l’anticipazione furtiva e limitata. Altrimenti accade proprio quello che dicevamo prima. Dicendo a due fidanzati: «… purché vi vogliate bene!», si separa il Destino dai «fatti». Si sciupa sia il momento estetico che quello etico.

S. Che cosa vuol dire propriamente che «sposarsi significa assumersi la vocazione dell’altro come propria»?

G. Significa che ognuno dei due sposi non può più realizzare il compito che Dio gli ha affidato (cioè, costruire la Chiesa) se non nell’unità con l’altro.

S. Spesso però accade che uno dei due si sottrae volontariamente a questo servizio ecclesiale. Allora l’altro, che pur lo desidera, come può realizzare la sua vocazione?

G. L’unità non è necessariamente corrispondenza. L’unità è la verità del legame con l’altro; è la fedeltà nonostante tutto. Se penso alla fedeltà di certe donne praticamente abbandonate!…

S. Quando a un coniuge succede di esser proprio, fisicamente, abbandonato, di restar solo, che senso ha ancora la fedeltà?

G. Il senso si può trovare solo scoprendo l’aspetto “verginale” della propria vocazione. Nota bene che questo aspetto era presente anche prima, anche quando il rapporto perdurava. Era già l’essenza del rapporto coniugale. Nella drammaticità ingiusta dell’abbandono, l’aspetto verginale emerge con una evidenza dolorosa, ma comunque capace di essere salvifica.

S. Come spiegheresti meglio questo valore a chi sente soltanto la ferita dell’abbandono?

G. La vocazione è un compito a favore della Chiesa, che Dio ci affida attraverso le circostanze della vita. Ci sono due compiti fondamentali: il matrimonio che ha la funzione di generare nuovi esseri (questo è il suo significato profondo, anche se oggi molti lo vogliono far passare in seconda linea) e la verginità che ha invece la funzione di richiamare tutti alla “forma ideale”. Per questo chi vive veramente il matrimonio cristiano ha una grande stima di chi nella Chiesa incarna la vocazione verginale. Tornando al caso del coniuge abbandonato: accade che, attraverso la contingenza terribile dell’abbandono, uno è chiamato ad andare fino in fondo al valore su cui il suo matrimonio era costruito: l’essere funzione di Cristo per costruire la Chiesa. Si tratterà allora di vivere l’attesa, apparentemente sterile, con profonda umiltà, accettando una situazione di verginità, che sembra soltanto imposta, in quanto essa non è solo un “incidente”, ma chiede di scoprire la salda radice. È su questa “verginità radicale” che bisognerà costruire la propria pace, la propria missionarietà, il dono di sé alla Chiesa. (…)

S. Molte nostre famiglie cominciano con un buon impeto ideale, ma poi facilmente scadono nell’abitudine, nella stanchezza, nella noia. Cosa è che impedisce all’ideale del sacramento di diventare esperienza quotidiana?

G. Il fatto che l’impeto ideale spesso non è fondato nella fede. Non accade loro quello che diceva Mounier: «Occorre soffrire perché una verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne».

S. Prova invece a descrivere una famiglia «fondata sulla fede».

G. Una coppia cristiana nasce, come tutte le altre, dalla affezione. Ma per due credenti l’affezione è il suggerimento di Dio che dice: «Vi voglio insieme». Dunque: che Dio voglia che siamo assieme per affrontare la vita e per camminare assieme verso il destino, questa è l’essenza del perché io ti voglio. In tal caso, la scoperta dei limiti, il rischio dell’abitudinarietà, tutto è sottoposto a vigilanza. La rovina o la povertà di tanti matrimoni cristiani dipendono da una duplice causa: la prima è che i due non hanno veramente iniziato nella fede. La fede era una intenzione, non una ascesi, non una “sofferenza” (nel senso di Mounier) che facesse nascere la verità dalla carne. La verità del loro rapporto è partecipare al mistero di Cristo, fare la volontà del Padre celeste: ma queste cose sono state sentite come astratte o addirittura ripugnanti. In secondo luogo, i due hanno continuato a credere che quello che importava era il loro volersi bene. Invece era importante il cambiamento del loro volersi bene: convertire l’esperienza del loro volersi bene, scendendo nella profondità del fenomeno, fino a scorgervi la Grazia che vi inabita, e assorbirla.

S. Qual è per una coppia, per una famiglia il test che indica se questo cambiamento è davvero avvenuto?

G. Il test è semplice: che nella loro vita non esiste più l’“obiezione” e, dunque, l’abitudine non logora.

S. Quindi, se due persone dicono: «Più il tempo passa, più ci vogliamo bene» è segno che è avvenuta la conversione di cui parli?

G. È una indicazione, ma ancora imperfetta: bisogna inoltre vedere come questo loro amore si rapporta con la Chiesa. Devono avere coscienza che la loro unità implica tutte le famiglie del mondo; e questo si manifesta con una passione perché tutte le famiglie del mondo conoscano ed amino Cristo. Devono avere cioè una tensione “comunionale” e “missionaria”.

S. Non penso che il tuo discorso coincida con quello che attualmente si fa parlando di una “famiglia aperta”…

G. Spesso questa è una espressione usata in senso molto moralistico, sociologico, che non tocca la sostanza del rapporto. La sostanza consiste nel fatto che l’apertura sia passione perché il mistero di Cristo faccia diventare una cosa sola tutti gli uomini, tutte le famiglie. È la passione perché Cristo sia conosciuto. È la passione per la Gloria di Cristo. (…)

S. Quali indicazioni pratiche daresti?

G. Io dico sempre due cose: anzitutto che anche nei momenti peggiori, anche se due coniugi si fossero picchiati un momento prima, che dicano sempre una “Ave Maria” alla Madonna, assieme. Anche se si odiano, che la dicano! In secondo luogo: che si richiamino con l’esempio. Se uno vede l’altro che dice il Rosario, anche se lui è stanco e non ha voglia di dirlo, sente tuttavia un richiamo che gli fa bene. Oppure: uno va a far la Comunione e l’altro no, però è un richiamo. Anche se non sembra, c’è qualcosa che ogni volta li lega assieme. È sempre “preghiera comune”, almeno un po’. Anche la preghiera comune “esplicita” è utile, ma non in modo asfissiante. Non bisogna fare come certi fidanzati che “pregano insieme”, però non pregano loro.

S. Parliamo un po’ dei bambini. Incontrando molte coppie, alcune in crisi, io mi sono convinto che una delle carenze più gravi è questa: trattano i problemi della fedeltà, della indissolubilità del loro legame, come se si trattasse solo di “valori” ideali, di “leggi”. Non hanno mai capito che prima di essere delle “idee” sono dei “fatti”: i figli sono l’indissolubilità vivente della coppia, la fedeltà fatta carne. (…) Il bambino “giudica” tutte le ideologie, tutti i cedimenti che si fanno sul matrimonio. La fatica ad accogliere i figli, la voglia di averne il meno possibile dipende forse anche dalla incapacità dei coniugi di stare fino in fondo di fronte al mistero e al significato della propria unità.

G. La difficoltà ad accogliere i figli nasce dal calcolo: se io sono la misura di tutto, allora è giusto misurare anche i figli (non solo nella quantità, ma perfino nella qualità). La fede invece ci dice proprio il contrario: che io non sono mio, ma di un Altro. Solo da questa persuasione è resa possibile una procreazione responsabile, nella quale entra anche il calcolo, perché la ragione è anche questo. Ma non in modo egoistico. Piuttosto come voglia di “rispondere” nel modo più vero e giusto possibile alle attese di Colui al quale appartengo e per il quale metto al mondo i figli. Il dialogo dei due coniugi è per dare questa risposta: offrono a Dio la loro unità “creativa”, “generosa” (c’entra la parola “generare”) e ricevono il figlio che incarna questa stessa unità. Nel figlio saranno uniti per tutta l’eternità in un modo nuovo, irripetibile, diverso da ogni altro; come dicevi tu: una unità fatta carne, fatta persona. (…)

S. Cosa suggeriresti a due cristiani che si ritrovano con un matrimonio rovinato, per loro stessa colpa?

G. Cercherei prima di tutto di prenderli separatamente e di coinvolgerli in una realtà in cui ritrovino il respiro per l’ideale: in una comunità, in una compagnia. La possibilità di rimetterli assieme è tutta nel farli crescere in una fede viva e operosa: se crescono nella fede, si accorgeranno anche dei sacrifici da fare per riscattare il loro sacramento e cominceranno a desiderarlo, anche se fanno fatica. Altrimenti è un moralismo insopportabile. Una possibilità di ricostruire c’è sempre, se ambedue accettano, in qualunque modo, di crescere. Ma non ci si può abbandonare al caso, sperando che cambino i sentimenti. (…)

S. Capita mai, a te che sei affascinato dal mistero della verginità cristiana, di invidiare qualche coppia ben riuscita di coniugi?

G. Sarei tentato di dire: mai. Ma questo non è giusto. Deve avvenire che un vergine provi una santa invidia davanti a certe coppie di sposi. (Come gli sposi devono prima o poi avere nostalgia della verginità cristiana). Ma l’unica cosa che mi farebbe “invidia” in due coniugi sarebbe una unità splendidamente espressa dal loro rapporto: veder significata con più evidenza quella unità totale con Dio, con Cristo, con tutte le persone, a cui tutti tendiamo con infinito desiderio.

S. Quindi, se tu vedessi due persone molto unite tra loro, questo ti…

G. … Questo si tradurrebbe in un impeto di desiderio di essere io più vero in quello che sono. (…)

 

fonte: Tempi.it

66 pensieri su “Lo splendore del matrimonio e della famiglia in un dialogo con don Luigi Giussani

  1. “…gli uomini, non potendo figgire la morte, la miseria, l’IGNORANZA, hanno pensato, per essere felici, di non
    pensarci”

    Pascal

    (e pensano, invece, per esempio, se sia meglio restare vergini prima del matrimonio o invece no)

  2. lumpy

    ahimè, come è cambiato il mondo il 26 anni… quante coppie di sposi oggi hanno mai recitato insieme un’Ave Maria? E guai a proporglielo: sono troppo presi a “realizzare se stessi”

    1. Thelonious

      Non sarei così pessimista: tanti ormai non si sono mai sentiti nemmeno fare la proposta di un cammino cristiano nel matrimonio. E, per esperienza personale, posso dire che molte giovani coppie di sposi o di fidanzati in preparazione al matrimonio possono restare colpiti da qualcuno che glielo richiama, soprattutto se questo nasce da un rapporto di amicizia e di semplice testimonianza.

      1. lumpy

        Certamente, esistono ancora molte realtà luminose.

        Quel che intendevo dire è che la riflessione di Don Gius mi pare riflettere un mondo in cui il matrimonio cattolico era ancora più o meno la norma, il divorzio e le convivenze qualcosa di percepito come minoritario e irregolare e -quel che mi ha più colpito- il tema della castità prematrimoniale ancora discusso, ancora vivace, pur con tutte le difficoltà del caso. Ugualmente la preghiera tra coniugi e in famiglia, il Rosario ecc, che vengono presentati come un orizzonte con cui tutte le famiglie, chi più, chi meno, si confrontano. E solo 26 anni fa.
        Oggi, al di là dei cattolici praticanti (ma ci mancherebbe!), mi pare ampiamente che queste tematiche (castità prematrimoniale, divorzio, convivenza) siano pressoché sparite dall’orizzonte dei problemi dell’ “uomo della strada” o italiano medio che dir si voglia. Ha ragione theolonius: molte giovani coppie magari lo farebbero anche un percorso cristiano. Ma in molti casi sono le loro stesse famiglie, quelle mamme e i papà che hanno buttato alle ortiche la loro educazione a non essere più guide, tutti presi a “rifarsi una vita”, “pensare a me stesso”. Se molto giovani convivono, divorziano, non fanno figli, oppure non li battezzano ecc ecc è anche perché qualche padre e madre ha smesso di dire loro, pur con tutta la dolcezza del mondo: “No, così non si fa. è sbagliato. io non posso impedirti di sbagliare, sei grande, ma devo dirti che NO, la strada vera è un’altra”.

        1. Thelonious

          Sì, è così. Infatti il problema è che si parte da una situazione di “terra bruciata”. In questi anni si è compiuto quello che don Giussani aveva presentito molti anni fa, capendo la situazione da pochi sintomi.
          Credo che, in questo senso, la missione più importante sia noi per primi prendere sul serio il matrimonio come via alla santità. In questo modo potremo sperare di incontrare gli altri e potergli proporre una novità, a Dio piacendo.

          La fede a costo zero (ammesso che sia mai esistita) non esiste più.

  3. Adele

    Salve! Esiste un video dell’incontro che costanza ha fatto sulla vita matrimoniale e la vita consacrata con Enrico Petrillo e padre vito?
    Grazie e un abbraccio!

  4. Giusi

    E’ uscita. Mi sento male al sol pensiero di doverla leggere….. Ho cominciato. Già il par 3 non mi piace: 3. Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato».[3]
    Praticamente: tutto è relativo. Spero di sopravvivere fino alla fine……

    http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

    1. Thelonious

      “Praticamente: tutto è relativo.”, no Giusi questo lo dici tu. Il passo che hai citato non dice così

        1. ola

          No, e’semplicemente la tua – legittima, beninteso – interpretazione del passaggio sopra.

        2. Thelonious

          Giusi, non è così, ma tanto tu sei partita prevenuta, e comunque ci leggeresti quello che già credi di sapere.

          1. Giusi

            Non è assolutamente vero. Il commento all’Inno della Carità lo trovo bellissimo.

    2. Giusi

      Dunque il matrimonio non è materia di diritto divino, ma suscettibile e relazionabile in rapporto alle variazioni culturali che si succedono nello spazio e nel tempo.
      Dunque sul matrimonio Cristo non ha detto tutta la verità, ma siamo in attesa che ce la sveli lo Spirito.
      Dunque se l’interpretazione di un punto di dottrina è contraddittoria non è un problema per la Chiesa.

  5. Marina umbra

    Giusti…….amica mia anche io ho la tua stessa paura. Anche io ogni volta che parla tremo…..ma pensa a chi viveva all’epoca degli antipapi ai tempi dei Borgia e lodiamo Dio di non averci in quei secoli. Su tranquilla prega e pensa che “le porte dell’inferno non prevarranno….
    Ti voglio bene!!!

    1. Thelonious

      …per non parlare del cosiddetto saeculum obscurum (secondo la definizione di Cesare Baronio).
      Cerchiamo di non farci un’idea della Chiesa del passato che è solo un’idea, perché quella Chiesa “ideale” non è mai esistita.

  6. Giusi:

    …e se poi, alla fine, tu risulassi essere affetta da paranoia apostatica sacerdotale? (brutto male, per quanto circoscritto agli ambienti chiesastici, che insorge (a una certa età) prima tra gli incensi delle parrocchie e poi si aggrava macinando sulla rete)?
    Naturalmente, come in tutte le paranoie, il malato non solo è convintissimo di avere sempre ragione e che le cose stiano così come lui crede che stiano, ma pure è in grado controbattere puntigliosamente a ogni critica eventuale, pure!
    E’ una malattia indimostrabile e incurabile.

  7. Giusi

    Sentite io ho smesso di leggere perché mi è venuto mal di testa. Il documento è profondamente ambiguo com’è dimostrato dal fatto che ognuno sta dicendo quello che gli fa comodo. Sono stufa! Voglio andarmene in un eremo!

  8. Giusi

    Vi lascio con questa perla e mi rinchiudo nel silenzio, non ce la faccio più!

    “Le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi, nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale”.
    (Amoris Laetitia)

    1. ola

      A mio parere, senza sapere nel concreto di quali conseguenze o effetti si parla ( solito problema dell’estrapolazione di frasi ), ti stai facendo venire un gran mal di testa basato sul niente. Ti auguro una buona serata e pensieri piu’sereni!

    2. Luigi igiul

      @Giusi,
      Non ho letto tutti i commenti, ma un appunto lo voglio fare. Il passo che lei ha appena citato e criticato, a mio parere risponde alla norma che è propria della Chiesa: “Uniquique suum” – a ciascuno il suo. Che poi è il modo in cui Dio si comporta con ciascuno. La norma è una, l’applicazione varia da persona a persona…

  9. michela72

    Mal di testa basato sul niente? Mi sembra che persone ben più autorevoli e competenti di me si stiano prendendo molto tempo per commentare il documento del papa. C’è un silenzio assordante, anche su questo sito. E temo di sapere quale possa essere il motivo. In più di 200 pagine, basta una nota a piè di pagina per scardinare non solo la prassi ma anche la dottrina, perché dottrina e prassi sono inseparabili. Avete visto in televisione la faccia soddisfatta e serena di Schonborn? Hanno ottenuto quello che volevano. Basta un cuneo, e tra non molto potranno accedere ”caso per caso” ai sacramenti tutte le categorie di peccatori pubblici ed abituali che ora ne sono (teoricamente) esclusi. Forse qualcuno però non lo vuole capire, perché è una realtà troppo brutta. Io mi limito a commentare che non avrei mai pensato che un papa potesse avallare una cosa del genere. E’ andato molto più in là di quello che credevo. Pensavo avrebbe lasciato delle ambiguità (il che sarebbe già stato tremendo). Invece no. Ha parlato chiaro, e chi doveva capire lo ha capito benissimo. Invece noi, poveri scemi che cerchiamo di comportarci in un certo modo perché da duemila anni si dice(va) così, soffriamo. Almeno, io soffro. Spero di non aver capito bene, e che presto qualcuno mi illumini, e mi smentisca, e dica di nuovo (per l’ennesima volta, con questo papa) che è tutto normale, che non cambia niente, o niente di importante. Lo pero davvero, ma temo che da oggi qualcosa sia veramente cambiato.

    1. ola

      ” ma temo che da oggi qualcosa sia veramente cambiato.”

      Qui ci sono commentatori molto piu’preparati di me per prendere in esame le tue argomentazioni, ma se in 15 righe di commento non porti ne un link ne una citazione ma solo una tua impressione della “faccia soddisfatta e serena di Schönborn”, allora temo che dovro’rimanere sulla mia posizione precedente.

    2. Luigi igiul

      @Michela72
      Proprio 2000 anni che si dice quello che noi oggi sappiamo sulla disciplina sacramentaria mi sembra un’esagerazione. Se mi avesse citato il Concilio di Trento, beh, forse, le potrei dare ragione… Prima di Trento le cose erano molto molto diverse e non c’era una disciplina uniforme…

    3. …come mi ero provato a suggerire apre il mezzo della parabola dei vendemmiatori, che vi importa a voi se il padrone della vigna dà la stessa mercede che dà a voi anche agli altri? Contentatevi di avere anche voi la vostra mercede
      e non sbraitate!

  10. Giusi

    Di fatto la comunione la introduce….. in nota. E’ piuttosto subdola la cosa perché la prima parte è detta al paragrafo 300: Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi»,[335]le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.[336]. Tra parentesi dunque richiama ad una nota che secondo me è il punto più grave: [336] Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. Qui si applica quanto ho affermato in un altro documento: cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44.47: AAS 105 (2013), 1038-1040. Sono basita!

    1. Giusi

      Le situazioni sopra menzionate sono queste: 298. I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione».[329] C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».[330] Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi «distinguendo adeguatamente»,[331] con uno sguardo che discerna bene le situazioni.[332] Sappiamo che non esistono «semplici ricette».[333]

      Di castità non si parla affatto!

  11. Giusi

    Basta un prete che dica che il divorziato non è in colpa grave perché magari è stato lasciato!
    Che intendiamoci accade anche adesso ma almeno non era scritto in un’esortazione papale!

  12. Giusi

    La tragedia di questa esortazione è tutta nelle note.

    Acutamente Magister:

    È un’inondazione di misericordia. Ma è anche un trionfo della casistica, pur così esecrata a parole. Con la sensazione, alla fine della lettura, che ogni peccato è scusato, tante sono le sue attenuanti, e quindi svanisce, lasciando spazio a praterie di grazia anche nel quadro di “irregolarità” oggettivamente gravi. L’accesso all’eucaristia va da sé, neppure è necessario che il papa lo proclami dai tetti. Bastano un paio di allusive note a piè di pagina.

    E quelli che fin qui hanno obbedito alla Chiesa e si sono riconosciuti nella sapienza del suo magistero? Quei divorziati risposati che con tanta buona volontà, per anni o per decenni, hanno pregato, frequentato la messa, educato cristianamente i figli, fatto opere di carità, pur in una seconda unione diversa dalla sacramentale, senza fare la comunione? E quelli che oltre a ciò hanno accettato di vivere “come fratello e sorella”, non più in contraddizione col precedente matrimonio indissolubile, e hanno così potuto accedere all’eucaristia? Che ne è di tutti questi, dopo il “liberi tutti” che tanti hanno letto nella “Amoris lætitia”?

    C’è una nota a piè di pagina – un’altra, non le due citatissime che fanno balenare la comunione per i divorziati risposati – che riserva a quelli tra loro che hanno compiuto la scelta di convivere “come fratello e sorella” non una parola di conforto ma uno schiaffo.

    Gli si dice infatti che facendo così possono far danno alla loro nuova famiglia, poiché “se mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'”. Il sottinteso è che fanno meglio gli altri a condurre una vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione.

    Leggere per credere. È la nota numero 329, che impropriamente cita a sostegno del suo rimprovero nientemeno che la costituzione conciliare “Gaudium et spes”, al n. 51.

    http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/04/08/amoris-l%C3%A6titia-misericordia-per-tutti-tranne-che-per-i-figli-obbedienti/

  13. Giusi

    E’ questa è la nota…..

    [329] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84: AAS 74 (1982), 186. In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51).

    1. @giusi
      Ma non hai scritto che non ce la facevi più e che volevi andare a vivere in un eremo?
      Trovato chiuso? 🙂

      Ps.
      L’unica cosa su cui hai ragione al 100% è che tutti dicono quel che vogliono, ma non penso che sia attribuibile all’ambiguità dell’esortazione quanto a quella dei cuori. Anche Magister dà un taglio di un tipo (lo schiaffo di cui tu sopra, tutto da vedere peraltro) per chiosare con

      “Ma questo è un dettaglio. Letta nel suo insieme, la “Amoris lætitia” può dare spunto a giudizi complessivamente positivi, anche da parte di analisti che non hanno taciuto le loro critiche a talune impazienze dei due sinodi sulla famiglia”

      e quindi riporta per intero la dichiarazione di un sacerdote che già fu molto critico che ora invece offre giudizi positivi.

      Cioè io, lo so, sono strano di mio ma le occasioni di conforto per sentirmi sempre meno solo non mancano mai 🙂

      1. Giusi

        Non ho trovato l’eremo: è un bombardamento. Ma non è che tutti dicano quello che vogliono a caso: possono permetterselo: glielo consente l’esortazione!

    2. Giusi

      Vorrei far notare la gravità di questa nota 329: In questa nota si fa riferimento alla gaudium et spes in merito alla questione che se in una coppia mancano gesti di affettività sessuale può nascere il problema di una infedeltà.
      Questa citazione è assolutamente impropria.
      Nella gaudium et spes infatti si teme per una infedeltà all’interno di una coppia regolare mentre qui si applica la stessa cosa per prevenire un’infedeltà in una coppia irregolare.
      Cioè in pratica si dice che se non vi è un’intimità sessuale all’interno della coppia irregolare questa coppia potrebbe disgregarsi, quindi in un certo senso si vuole tutelare la coppia adultera, non erano queste le intenzioni all’interno della Gaudium et Spes.

  14. ola

    “Di castità non si parla affatto!”

    Neanche di Eucaristia, se e’per questo.

    Molto acutamente Magister:

    “dopo il “liberi tutti” che tanti hanno letto nella “Amoris lætitia”?” – evitando quindi di esporsi in prima persona ( con un “che io ho letto”, per esempio ) visto che non puo’dimostrare la sua affermazione sulla base della sola analisi del testo, ma si deve affidare a una presunta “volonta'” di interpretazione dei lettori.

    La nota 329 dice che “molti rilevano”. Non dice “e’giusto fare cosi'”. E’una nota descrittiva piu che prescrittiva.

    E dopo la smetto veramente, perche non ho ne le capacita ne le competenze di continuare a smontare punto per punto, ed e anche un lavoro inutile, perche tanto chi ha gia deciso che questa esortazione sia comunque da buttare non cambiera di certo idea.

    1. michela72

      Io non credo che il punto sia questo, certo non per me e per tanti semplici fedeli come me. Io avrei voluto leggere una frase chiara ed esplicita in merito alla possibilità o meno di accesso ai sacramenti da parte dei fedeli divorziati risposati ed anche una maggior chiarezza sull’ osservanza della castità nella nuova unione. Se questa chiarezza no c’è purtroppo io penso che l’ambiguità sia voluta. E temo che non finirà qui. Da qui la mia delusione. Che cosa ha in comune questo diluvio di parole con la concisione del Vangelo, con quella chiarezza sgomentante che fece dire ”questa parola e dura, chi potrà sopportarla?”

  15. …a parte il Papa i Papi o quant’altro, pole ( è sano) delle persone DAVVERO patire perché non potessero
    fare la Comunione, e altre persone patire DAVVERO perché codest’altre persone la potessero fare
    (secondo i casi)?

  16. Giusi

    Sentite leggete l’esortazione e le note: c’è di che rabbrividire, non si tratta di interpretazioni…. Un esempio tra tanti. Qui comincia bene e poi……

    292. Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società. [Chiaro e perfetto]
    Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale,
    [Chiaro e perfetto]
    mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. [???!!!]
    I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio”.
    [???!!!!]
    Attuare significa portare alla pienezza ciò che è in potenza.
    Ma qui si tratta di situazioni disordinate e di peccato da cui non è possibile il passaggio dalla potenza all’atto, essendo necessario uscirne completamente.
    Questa è la contraddizione nella valutazione di queste situazioni. L’uscita può essere pure graduale, ma di uscita si deve trattare. Pena il contraddire l’insegnamento di Gesù.

    1. Per “alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo”, si tratta evidentemente di coppie conviventi NON sposate e mai sposate prima con chiechessia, che convivono da anni nella fedeltà e magari anche con figli che amorevolmente e dignitosamente allevano… per le quali “I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio”.

      “Non corrispondono ancora”, quindi sono “in potenza” e non è necessario “uscirne completamente”…

      Quel “non più” invece suona meno chiaro… non più, quindi erano in uno stato aderente all’insegnamento della Chiesa sul Matrimonio e ora non lo sono più? Quale caso può configurare oltre quello di divorziati riaccompagnati?

      Ma perché usi Giusi il termine “attuare” che non trovo in quanto hai riportato?

      Di per sé “valorizzare gli elementi costruttivi”, significa semplicemente… quel che significa.

      1. Giusi

        Per evidenziare che ci sono casi da cui l’unica è uscire non c’è nulla da attuare

    2. Vincent Vega

      Questa esortazione non può nè potrà mai andare giù a farisei e dottori della Legge, che vogliono usare la Legge come un maglio per schiacciare l’uomo e i suoi cavilli come giogo per il fedele. Grazie a Dio le cose stanno cambiando, e si sta prendendo atto della realtà, che non è più quella di una volta, dove vigeva una società patriarcale, contadina, misogina e preindustriale.

      Perciò non c’è da stupirsi di questa esortazione. Dire che “se mancano certe manifestazioni di intimità la fedeltà può essere compromessa” non è eresia, ma è riconoscere la pura, semplice e cristallina realtà.

      Saluti.

  17. “… la strada percorribile …” Siamo sposati da quasi 27 anni, dopo circa otto di frequentazione e ancora adesso ci ricordiamo di stupirci, ogni giorno. Di questo abbiamo bisogno per rinnovare il nostro essere e costruire il nostro “esserci” di coppia, nella famiglia, insieme agli altri: “ri-sceglierci” ontinuamente nell’ offrire i nostri sforzi con speranza e fatica. Ci affidiamo al grande “regista” della vita.

  18. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi » (Matteo 20,1-16)

    1. Giusi

      Non c’azzecca nulla ‘sta parabola. Ti puoi convertire pure sul letto di morte ma TI DEVI CONVERTIRE!

  19. …volendo semplicemente significare che potrebbe essere concessa (la Comunione) pure a quelli che
    (secondo genti grettamente bigotte ) non se la avessero meritare.
    (questa come una fra le interpretazioni posssibili del testo evangelico sopracitato)

    Per quanto riguardante la divorazione del corpo di Dio sub specie pane e vino…
    è un fatto che esistano persone che ci credono e anche (tra queste) chi vorrebbero
    sindacare loro su chi sia puro e chi no in merito alla consumazione di questo rito.

  20. …nessun dolcetto per nessuno (la vita è amara nonostante l’invenzione dell’ eucarestia)
    C’entra, invece, che anche i farisei ci avevano la legge già tutta bella scritta
    e solo da loro interpretabile (e da Giusi)

    1. Giusi

      Caro Alvise, la Parola di Dio è tutta racchiusa nelle Sacre Scritture, nella Tradizione e nel Magistero. Sull’argomento è tutto molto chiaro non c’è nulla da interpretare. Non era proprio il caso di creare confusione.

      1. …ebbene, da ora in poi, nel Magistero, vi sarà contemplato che i signori vescovi potranno valutare caso per caso!
        (questo dal punto di vista di un osservatore esterno, ma curioso delle cose che accadono) ) (ricordando le tre potenze che operano nella storia degli omini: Politica, Raligione, Cultura) (la confusione, se non peggio, sta nella tua capa)

        1. Giusi

          No perché un’esortazione non è Magistero e la Parola di Dio non si può contraddire. Ti risparmio un elenco di link in cui si dice tutto e il contrario di tutto a proposito della esortazione (se non è confusione questa…..)

  21. “Noi uomini siamo tutti “esseri che pregano”, consapevolmente o inconsapevolmente”
    [Antonio Maria Sicari]

    …sono sicuro che i seguaci del blog condividono questo discorso.
    Senza poterlo spiegare (ovviamente)!
    .

    1. C’è poco da NON saper spiegare…

      L’uomo è un “essere religioso” (vedasi l’etimologia del termine religioso…). Lo è sempre stato e lo dimostrano persino i reperti della cosiddetta “arte rupestre”.

      E perché è sempre stato “religioso” anche se di una religiosità naturale e a volte semplicemente superstiziosa, come la definiremmo oggi?

      Perché nel proprio io profondo avverte che non può bastare a se stesso e che “qualcosa” gli è superiore…
      In altri termini e con un linguaggio della Fede, potremmo dire che essendo “Creatura” sente il richiamo del Suo Creatore, o se si preferisce, come Figlio sente la spinta alla ricerca del Padre.

  22. …io non sento (e non voglio) nessuna spinta!
    Non mi puoi appiccicare a me i tuoi reperti rupestri!
    /pur provenendo anche io dai trogloditi)
    (non con questo voglia dire che pretendo di bastare a me stesso,
    ma non conosco altro modo) (abbi pazienza)

    1. Io non ti “appiccico” nulla. Tu hai chiesto una spiegazione alla frase citata!

      “ma non conosco altro modo” di fare che?

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