A proposito di tradizioni

archeo1q

di Sergio Mandelli

C’è una opinione diffusa in un certo mondo culturale per cui la nostra società si dovrebbe arricchire dei valori portati da genti di altre nazioni. Normalmente sono le stesse persone che invece cercano di nascondere le nostre tradizioni per non offendere quelle degli altri.
Ultimamente ho sentito parlare spesso della necessità di conoscere i valori delle tradizioni Rom. Ora, io dico chiaramente che delle tradizioni degli altri non mi importa nulla. E la ragione è che non mi importa nulla delle MIE tradizioni.
Infatti, se penso ai miei antenati, mi immagino innanzitutto una famiglia di cavernicoli di qualche decina di migliaia di anni fa, presumibilmente del nord Europa, che si cibava di radici e di carne più o meno cotta; poi penso a una famiglia di pastori nomadi che hanno attraversato pianure coperte da foreste e desolate catene montuose; poi a una famiglia di agricoltori che nel corso dei millenni ha cercato di trarre dalla terra i miseri frutti che poteva dare.
Non so se sono di stirpe celtica, unna o longobarda, se i miei antenati erano al seguito dei romani come conquistatori oppure appartenevano alle popolazioni sottomesse.
Forse sono di stirpe germanica, visto che la radice del mio cognome presumibilmente è la stessa di Mandel, mandorla, in tedesco. Oppure no, non sono un linguista, per saperlo.
Io stesso sono testimone di un cambio di civiltà epocale: a pochi mesi di vita sono stato messo in groppa ad un asino che ancora abitava nella stalla dei miei nonni, ma già allora normalmente viaggiavo in auto. Oggi parlo quando voglio con chiunque nel mondo.
I miei parlavano dialetto, e quando mio padre è andato a prendere moglie in un paese vicino l’hanno guardato male. Io ho sposato una donna vietnamita e mio cugino una brasiliana, l’inglese è stato fondamentale, e nessuno ha avuto nulla da ridire.
Inoltre mia moglie cucina piatti brianzoli che le giovani donne lombarde DOC non si sognerebbero nemmeno di assaggiare. Mio nonno aveva ancora un campo da coltivare, mio padre si occupava di motori, io di arte.
Cosa dovrei dare ai miei figli per mantenere le mie tradizioni? Insegnare loro il dialetto? Comprare un campo da arare? Cacciare con l’arco e mangiare carne cruda con le mani? Quando cominciano le mie tradizioni?
Piuttosto, se penso a qualcosa da trasmettere ai miei figli come lascito, è la concezione dell’uomo universale che ha ideato la cosiddetta cultura occidentale.
E allora considero miei antenati Socrate, Platone e Aristotele, ossia il primato della virtù, l’universalità dei valori, il principio di non contraddizione. In pratica un metodo per scoprire i valori che contano anche quando la situazione si fa confusa e complicata.
Insieme a loro metto anche i romani, fra i miei antenati. Loro avevano in mente il principio per cui tutti siamo uguali di fronte alla legge, un’idea che ha permesso loro di coinvolgere e assimilare in un grande progetto comune popolazioni completamente diverse fra di loro.
Ma soprattutto considero mio antenato Gesù Cristo, che – più passa il tempo – più mi convinco che era veramente Dio, perché solo Dio poteva dire le cose che ha detto e fare le cose che ha fatto. Perché Gesù Cristo ci ha insegnato che esiste una dimensione – quella dell’amore che governa il mondo – che è superiore persino alla legge. L’amore, il cui frutto più bello è il perdono, ossia la possibilità di ricominciare da capo, anche se hai fatto errori gravissimi.
Questo bellissimo patrimonio alle spalle, riscoperto in età adulta dopo anni di ateismo militante, è ciò che vorrei trasmettere veramente ai miei figli, e non solo. Potendo, vorrei trasmetterlo a tutte le popolazioni della terra, per dire loro che siamo veramente tutti uguali, che gli uomini non si dividono in base alla razza, alla religione o alle tradizioni, ma fra chi è virtuoso e chi è vizioso, chi lavora per la comunità e chi la danneggia, chi si sente un membro attivo della società e chi ne è un parassita.
E darei tutto me stesso per combattere i particolarismi, da quelli padani a quelli gattopardeschi. Ovviamente, anche quello dei Rom.

10 pensieri su “A proposito di tradizioni

  1. Signore, ma quanta carta scritta per dire: prendiamo da tutti cio che e’ tradizione e cultura senza per questo pensare che lo “sconosciuto” ci voglia spogliare della civilizzazione che abbiamo. Piu’ si e’ al contatto con altre civilizzazioni e piu’ completo si fa il nostro equilibrio morale, sociale, artistico. Vi e’ sempre un lato buono ed utile per imparare e non cadere in un defunto “campanilismo” dal quale nessuno beneficia anzi evita il progresso globale di integrazione sociale. Cordiali saluti, Paul

  2. salvatore scargiali

    Magnifico articolo, anche a me non interessano affatto le mie tradizioni preferisco anch’io “il primato della virtù, l’universalità dei valori, il principio di non contraddizione. In pratica un metodo per scoprire i valori che contano anche quando la situazione si fa confusa e complicata.”

    1. Io francamente si, e prima che ribatti dicendo che allora sono un presuntuoso ti prego di riflettere sulle sfumature del dialogo (sfumature sempre così assenti nell'”immagine” che ti rappresenta e spesso nelle tue parole). Dire che ci si sente un membro attivo della società non equivale a dire di essere un nuovo Einstein, una nuova Montessori, un perfetto esempio di senso civico, un santo o un impeccabile brav’uomo. Significa avere fatto un scelta precisa e tentare di mantenere fede a quella scelta. Più o meno lo stesso che essere cattolico. L’argomento che si intuisce dal tuo intervento, correggimi se sbaglio, per cui “cosa fai la morale tu, con tutti i casini che combini” è francamente un po’ vecchiotto. La vita è imperfetta, ma questa è. L’ipocrisia non consiste nell’indicare cosa secondo noi è il bene pur essendo imperfetti nel realizzarlo.

      1. …volevo, invece, semplicemente dire che ho l’impressione sia quasi se non proprio impossibile (me escluso) che qualcheduno qui scrivente non lo sia parassita!

  3. È voluta o meno l’omissione dell’unica tradizione degna di essere seguita e ascoltata, perché non è semplice tramandamento di usi e costumi, la Tradizione ecclesiale?

    #Bibbia #Magistero e #Tradizione

    1. Mi accodo a Ubi e Vanni…

      Dire poi che l’unico antenato a cui riferirsi è Gesù Cristo può anche andar bene, in senso metaforico o meglio spirituale, ma il Cristo incarnato era anch’Egli “figlio” di una Tradizione e di una Cultura che non si è mai sognato di smentire (anzi): era Ebreo.

      Il Dio dell’Antico Testamento (per capirci) ha dato al popolo scelto, una Identità e una Cultura (che è divenuta anche Tradizione) diversa da tutte le Nazioni.

      Una cosa poi sono le tradizioni familiari (anch’io ho progenitori del Sud e Austriaci assieme) è una cosa diversa dalle Tradizioni di un popolo o un luogo in cui Dio ci da di nascere o definitivamente vivere.

      La meraviglia che è Tradizione della Chiesa, è che tutte le Tradizioni dei Popoli la Chiesa ha saputo e sa fare sue ed elevare a quella che le è propria e qui si potremmo dire: a “quella di Cristo”.

      Oggi paghiamo a caro prezzo NON saper più riconoscere o il non voler, non dico difendere ma quanto meno mantenere, le nostre Tradizioni (qui in Italia, qui in Europa), anche solo sul piano sociale.

      Non sfugge certo il senso ultimo di questo articolo, ma personalmente credo l’argomento sia mal posto.

  4. Vanni

    Troppa carne al fuoco, anche a voler commentare non si sa da che parte rifarsi.
    A me, comunque ( fermo restando che Gesù è l’unico vero punto di riferimento – via, verità e vita – per ogni persona), l’amore e l’orgoglio per la propria identità di gruppo, di popolo, di nazione sembrano valori sacrosanti da rivendicare senza prevaricazioni.
    La tirata new age finale mi fa venire in mente “Imagine” dei Beatles, senza musica.

    1. Sara

      Concordo con Vanni, Ubi, e Bariom.
      E mi permetto di dire che io invece ci tengo alla mia tradizione – greco-romana-cristiana-occidentale – e cerco, nel mio piccolo, di approfondirla, diffonderla, viverla e, se serve, difenderla. Questo non significa affatto che disprezzi le altre tradizioni: anzi, è proprio la mia tradizione particolare che mi porta a riconoscere in ogni portatore delle altre una creatura di Dio degna del massimo rispetto, della massima dignità e di tutto l’amore di cui sono capace. Ma non significa neanche che debba scivolare nella melassa new age, notata giustamente anche da Vanni. Anche perché questo, oltre che rendermi incapace di vedere le differenze e di saper scegliere, significherebbe negare la mia tradizione e, no, non intendo farlo.

I commenti sono chiusi.