di Andreas Hofer
No country for families. Ogni diagnosi sullo stato della famiglia, specialmente nel mondo occidentale, evoca immancabilmente pensieri e giudizi analoghi. Senza scomodare ulteriormente Cormac McCarthy, non è forse questo il senso delle parole pronunciate recentemente da papa Francesco? La famiglia, dice il Papa, vive attualmente sotto il tallone di una «cultura del provvisorio». È afflitta da una crisi senza precedenti, che si riallaccia a quella «rivoluzione nei costumi e nella morale» che «ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili».
Non bisogna cadere nell’errore, avverte il pontefice, di considerare l’istituzione familiare secondo categorie ideologiche o storiche. La famiglia è piuttosto un «fatto antropologico» e va annoverata tra i «beni immateriali» della società. Deve essere qualificata come uno dei «pilastri fondamentali che reggono una nazione » assicurandone la « convivenza e la garanzia contro lo sfaldamento sociale».
Famiglia = sentimento: una falsa equazione
Le ragioni della famiglia portate avanti dal Papa trovano un importante riscontro, oserei dire perfino un’anticipazione, nel primo libro del giovane sociologo Giuliano Guzzo, classe 1984, vicentino di nascita ma trentino d’adozione, già noto agli internauti per la sua infaticabile attività di blogger e articolista.
La famiglia è una sola, così è intitolato il libro edito dalle Edizioni Gondolin, è un saggio breve (poco più che un centinaio di pagine) ma minuziosamente documentato, in cui la ricerca dell’oggettività scientifica non si sposa alla neutralità. Obiettivo, di certo non avalutativo, Guzzo designa il suo avversario fin dalle prime pagine del libro individuandolo nell’ideologia denominata «relativismo familiare».
Per il relativismo familiare la famiglia naturale – quel nucleo composto, per intenderci, da un uomo e una donna stabilmente uniti, oltre che dall’eventuale prole – è destinata a segnare il passo dinanzi all’incedere inarrestabile di una pluralità di modelli affettivi. Dove c’è sentimento c’è famiglia, si dice, arrivando così a stabilire una rigida corrispondenza tra l’essere famiglia e il sentirsi famiglia. Tale è il perimetro – o il letto di Procuste – che il relativismo familiare è disposto a concedere, non altro.
Al sociologo vicentino non sfugge la pericolosità di un simile parametro. In definitiva il relativismo familiare non è che un sottoprodotto di quella «ideologia del pluralismo» indicata dal giusnaturalista John Finnis come lo strumento dialettico che ha consentito di precipitare le liberaldemocrazie occidentali in uno stato di «anteguerra civile».
Il relativismo familiare come fattore di desocializzazione
È questa ideologia pluralistica, che da una constatazione – la pluralità delle culture – deriva un assoluto morale – la relatività di ogni valore – ad aver veicolato l’attacco diretto alla nozione di bene comune. Si è così sprigionata un’offensiva di tale intensità da minare le ragioni della cooperazione nella vita sociale e politica. Lo storico britannico Matthew Fforde addebita in buona parte a una simile «filosofia del vuoto» la dinamica che maggiormente caratterizza la post-modernità: la «desocializzazione», quel fenomeno che produce una progressiva liquefazione dei vincoli sociali.
Civiltà significa prima di tutto, faceva notare Ortega y Gasset, volontà di convivenza. Cadere nella barbarie vuol dire, all’opposto, coltivare la tendenza alla dissociazione. Laddove si impedisce la condivisione di un patrimonio comune di princìpi e verità essenziali si preclude d’anticipo anche la via dell’integrazione sociale: l’affievolirsi dei legami sociali lascia spazio a una conflittualità endemica, a bassa intensità, forse, ma ad alto rischio di radicalizzazione.
Annichilire ogni fondamento della morale genera infatti un desiderio intenso, disperato, di certezze, che può indurre ad abbracciare universi morali contraddistinti da un’intransigenza cieca e irragionevole. Anche la coscienza, come la natura, sembra aborrire il vuoto. E così accade che alla tolleranza assoluta del relativismo si alterni l’intolleranza altrettanto assoluta del fanatismo (la tragica storia della gioventù europea transitata dal nichilismo all’ideologia jihadista è più che eloquente a tale riguardo). Questa sciagurata alternanza consegna pertanto l’eredità avvelenata di una «dis-società» in stato di nebulizzazione.
Alla scoperta del genoma familiare
Occorre perciò fare tesoro della puntuale disamina di Guzzo, che sfata, uno dopo l’altro, gli idola fori impressi nell’immaginario collettivo dalla martellante propaganda relativistica. Tra questi, come ha ben visto papa Bergoglio, il più ostinato è forse il mito di una pretesa genesi confessionale della famiglia nucleare, che diversi elementi storici, antropologici e sociologici attestano invece essere sempre esistita e riconosciuta come “società naturale” anche prima dell’avvento del Cristianesimo. Al contrario, la famiglia si profila nei termini di una presenza universale, sovrapponibile a quella dell’istituto matrimoniale, configurandosi come una struttura storicamente rintracciabile in tutte le civiltà.
Sostenere una simile tesi non equivale a richiamare immagini utopiche o celebrative della famiglia (la retorica della “grande famiglia” come regno della perfetta letizia) né a farsi propugnatori di un essenzialismo ingenuo (la famiglia elevata a “motore immobile”, cristallizzata in una tipologia storicamente assoluta e immutata; perché ci si ridurrebbe a fare l’apologia dell’assurdo disconoscendo, nelle funzioni legate alla mascolinità e alla femminilità, l’esistenza di un aspetto contingente o accidentale, dipendente da convenzioni o usi variabili a seconda dei tempi e dei luoghi).
Dire che la famiglia è una, sola e universale equivale piuttosto a riconoscere, sulla scia del sociologo Pierpaolo Donati, l’esistenza di un «genoma familiare».
Prendendo in prestito le parole dello stesso Guzzo, si può affermare che «nonostante alcune variazioni, vi sia un modello di società naturale fondato sul coniugio fra un uomo e una donna che riveste universalmente la funzione di stabilizzare e tutelare gli scambi fra di essi, determinando l’assolvimento di compiti comuni, primi fra tutti quelli legati alla procreazione e all’educazione dei figli».
In sette densi capitoli Guzzo elenca poi – sciorinando un corposo campionario di dati statistici attinto dalla letteratura scientifica – i benefici materiali, sociali e psicologici della famiglia, mostrando come essa sia tutt’altro che surrogabile e, pertanto, inassimilabile ad altre forme di convivenza.
In famiglia, per resistere all’invasione del luogo comune
Nella presentazione del libro Eugenia Roccella ricorda l’importanza cruciale dell’ora presente per la famiglia italiana, sottoposta alla pressione schiacciante di un attacco concentrico. Una vera e propria «onda anomala» che ha aperto numerosi e vastissimi varchi in campo culturale, mediatico, politico, legislativo e amministrativo.
La prefatrice individua nella famiglia l’ultima Thule del senso comune, la sede dell’ostinata resistenza di quell’intuitiva comprensione del mondo maturata attraverso la mediazione dell’esperienza e della tradizione. A lungo la famiglia è stata la sola, residua riserva in grado di preservare gli spiriti dall’invasività del luogo comune. Si è costituita cioè come un argine a quella visione del mondo astratta, artificiale e prefabbricata, modellata sul calco del pensiero dominante. E che ha nei media mainstream il vettore privilegiato.
L’«eccezione italiana», scrive la Roccella, si è nutrita di questa resistenza spontanea dei cuori, ma pare ormai sul punto di cedere ad un assedio prolungato e senza tregua. Da una parte avanza, sempre più invasiva, una cultura relativista che aspira a legittimare ogni desiderio individuale trasformandolo in diritto esigibile. A questa avanzata si affianca, parallela, una preoccupante tendenza da parte della magistratura a prospettarsi come avanguardia cosciente degli orientamenti relativistici, in forza di un’investitura che la porta a scavalcare gli organismi di rappresentanza e l’elettorato (reputato “immaturo” o “arretrato”) per affermare i nuovi “diritti individuali” a colpi di sentenze. La «giurisprudenza creativa», una variazione sul tema dell’ideologia tecnocratica affrontato dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI, si sta affermando in tutti i paesi attraverso le corti nazionali e internazionali, assottigliando gli spazi della politica e indebolendo la democrazia.
Un patrimonio dell’umanità
Non c’è errore più esiziale di considerare la famiglia una “idea cattolica”. Così ci si vota all’autoghettizzazione. La famiglia invero costituisce un patrimonio dell’umanità che nulla ha da invidiare a quelli elencati nella lista dell’Unesco. È il luogo d’elezione della cultura del dono, matrice di quella socialità primaria che consente ai soggetti umani di essere costituiti in persone.
L’uomo necessita di rapporti interpersonali. Una vita autenticamente umana esige di allacciare relazioni tra individui che hanno un nome, un volto, una storia. Non si vive soltanto della sfera astratta e impersonale del mercato e dello stato. Nessuna società può sopravvivere attestandosi unicamente all’interno di questo registro, a meno di non cadere nel dispotismo che già Tocqueville vedeva affacciarsi minaccioso all’orizzonte della democrazia.
Aggredire la famiglia non porta che a ripercorrere le gesta dei titani che, come ha scritto Chesterton, non potendo distruggere le cose divine assalirono le cose non divine. Se furono incapaci di issarsi fino al cielo, in compenso seppero come devastare il mondo.
L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazione.
“…la famiglia non è merce da dibattito. La moglie, il marito, i figli sono (quando sono) una realtà, non un’opinione”.
“Parteciperò a un dibattito con genitori molto attivi nel movimento delle sentinelle in piedi: cosa diresti te al mio posto?
-Viviana”
“Anche se passo la mattina a scrivere, il resto della mia giornata somiglia a quella di tanti altri genitori: prendo i bambini a scuola; lascio le grandi al corso di atletica mentre vado con il piccolo a fare la spesa; mi dimentico di nuovo di fissare un appuntamento con la pediatra; aiuto le figlie con gli esercizi di lettura; cerco invano di riparare la loro bici; poi gli faccio il bagno, dove loro si divertono un mondo e io ne esco con i vestiti zuppi; gli preparo la cena, cercando di fargli finire la verdura; a un certo punto torna l’altro papà e loro quattro giocano a cuscinate sul letto (e io vorrei spiegare a mio marito che non è il caso di farli agitare a quell’ora, ma ridono tutti troppo felici perché io possa rovinare la festa).
E alla fine favola della buona notte e tutti a letto alle otto, a volte me compreso perché sono esausto. Ma dove trovano il tempo e l’energia per scendere a leggere dei libri in piazza questi genitori attivisti che incontrerai tu?
Io, anche mettendocela tutta, riesco a malapena a prendermi cura della mia famiglia, figuriamoci se ho voglia di manifestare contro quella degli altri.”
Sembrerebbe scritto (come stile di scrittura) dalla Miriano!
Invece è di Claudio Rossi Marcelli, su Internazionale (sic!)
Come anche era una citazione dal finale di questo articolo il commento che ho
messo sopra.
Non ho capito, Alvise. cosa provi questo raccontino.
Un bambino ha diritto ad un papà e una mamma
di Lazzaro M. Celli
Qual è il contesto che possa garantire un’equilibrata crescita psichica? La scienza e numerosi studi lo confermano: il bambino ha necessità e diritto ad una famiglia “eterogenitoriale”.
È la più evidente delle affermazioni. Fino a qualche anno fa non si credeva dovesse essere necessario confermare un dato così chiaro, impresso nella natura direttamente dalle mani del Creatore. Oggi è indispensabile ribadire l’importanza dell’eterogenitorialità (genitori di sesso diverso) nello sviluppo della psiche del bambino. Non si tratta di un’affermazione collegata solo ad un fattore religioso. Lo confermano anche la scienza e gli studi del settore. Secondo il professor Massimo Gandolfini, neurochirurgo e direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Ospedale di Brescia, la condizione migliore per lo sviluppo di un bambino è avere genitori di sesso opposto. La storia della psicologia, fin dalla sua nascita, non ha mai messo in discussione l’importanza di avere una mamma e un papà; solo negli ultimi quattro, cinque anni si propaga l’ideologia di genere. Con essa si vuole ostinatamente trovare una pseudo giustificazione scientifica, psicologica, mediante la quale dimostrare l’irrilevanza, l’ininfluenza di genitori di sesso opposto nello sviluppo della psiche del bambino.
In realtà la psiche del bimbo ha bisogno di tappe di sviluppo ben precise che passano necessariamente per una mamma e un papà. L’intera storia del pensiero psicologico concorda sulla necessità dell’eterogenitorialità per l’equilibrio psichico del piccolo. La prima tappa comprende il periodo della vita intrauterina; un periodo fondamentale fatto non solo di una relazione biologica, ma anche psichica, durante il percorso dei nove mesi di gravidanza. Poi abbiamo una fase della crescita del bambino dove si manifesta un attaccamento morboso alla madre; in una fase successiva, invece (in genere dopo i tre anni), si manifesta un attaccamento al padre. Si consideri poi che il bimbo, in questo periodo, pone due grandi mattoni della sua personalità; l’identità e la percezione di sé. Per sviluppare l’identità di sé deve compiere dei percorsi che lo porteranno a riconoscersi nel genitore di sesso simile, ma per avere una completa percezione di sé dovrà anche differenziarsi dal genitore di sesso opposto. Per lo sviluppo armonico della sua psiche è necessario che il bambino prima si approcci al genitore dello stesso sesso, imitandolo, poi subentra la fase della differenziazione in cui si diversifica dal genitore di sesso opposto. Si sviluppa in tal modo la così detta intersoggettività, per mezzo della quale un soggetto costruisce la propria identità nella relazione con le persone che gli stanno intorno. Questa identità è inevitabilmente scandita da figure differenti e complementari, come lo sono il maschio e la femmina. Il ruolo materno è veicolato dal corpo femminile e il ruolo paterno da un corpo maschile. Se il bambino è confuso perché il ruolo materno viene veicolato da un uomo, o viceversa da una mamma che gioca a fare il padre, non ci sarà più uno sviluppo equilibrato della psiche.
Per comprendere ciò dobbiamo chiamare in causa il concetto di rappresentazione mentale del bambino, importante per la costruzione della sua personalità. La rappresentazione mentale è il prodotto inconsapevole, nel suo cervello, di persone, animali, cose o situazioni con cui egli stesso ha fatto esperienza, durante il periodo dell’età evolutiva. La rappresentazione mentale di un cane da parte di un bambino, sarà di paura se ha avuto un’esperienza di un cane aggressivo; positiva se ha fatto esperienza di cane protettivo. Va da sé che se spostiamo il ragionamento all’interno di una coppia omogenitoriale (genitori dello stesso sesso) il bambino sarà confuso perché il ruolo materno o paterno non passerà attraverso una vera corporeità femminile o maschile. Si crea una condizione di sviluppo che al bambino non fa bene.
I disturbi della personalità che ne possono scaturire non sono ancora analizzabili; saranno evidenti e li potremo studiare tra trenta, quaranta anni. È fuori discussione, in senso rigorosamente scientifico, che un bambino si confronti con un papà e una mamma per il suo sviluppo armonico. Quale sarà la responsabilità dell’uomo davanti a Dio, per aver causato simili scandali, dannosi per l’anima di esseri innocenti?
Non è vero nulla, ma nulla di tutto ciò. Innanzitutto in quanto bambini non cresciuti con una mamma e un papà ci sono sempre stati, e affermare che per questo stesso motivo quelle persone sono “squilibrate” e “infelici” è offensivo nei confronti delle stesse. E, poi, ribadisco, la quasi totalità degli studi afferma il contrario sia per motivi teorici che contingenti. I bambini oggi si trovano a relazionarsi in un contesto profondamente diverso da quello di anche soli cinquant’anni fa. E questo conta eccome. Lo studio di Regnerus (o non so come si chiami di preciso, non lo ricordo in questo momento) è stato successivamente smentito dallo stesso autore, che ha dichiarato la non correttezza nella scelta dei campioni utilizzati. Ma, ad un certo punto, uno può credere quel che vuole, è lecito attaccarsi a verità scientifiche presunte e condizionate da un certo modo di vedere le cose.
Per quanto riguarda il libro, è bello che il tema della famiglia venga affrontato da un prospettiva molto più scientifica (e non da Adinolfi, per esempio). Ma, ci sta un ma; in parte, a mio giudizio, emerge dai pensieri dello stesso autore. La famiglia non è un “valore”!. Questo è un fatto. La famiglia è quella “società naturale” in cui si relaziona in prima battuta l’essere umano; ma che non può non essere condizionata (e condizionare a sua volta) dal contesto storico. Senza voler (e poter) entrare troppo nel merito, penso che, secoli fa, laddove l’impostazione era quella di una società gerarchica, anche la struttura della famiglia, risentiva di tale prospettiva (se leggete le lettere tra leopardi e i suoi genitori, vi accorgerete che il poeta dà del Voi sia alla madre che al Padre, per dire). Ma, a prescindere da tutto ciò, e dalle considerazioni sulla natura universale o meno di un certo modello di famiglia (l’impostazione di Guzzo, sicuramente ben fondata, non è l’unica e non è univoca), qui il problema di fondo è sui valori. Laddove determinati valori non sono presenti (l’amore, inteso nel senso più profondo del termine, come volontà di donare se stessi all’altro e di fare il bene di chi mi circonda, il che si declina, innanzitutto, nella dedizione totale alla educazione dei figli), laddove i rapporti sono autoritari (anche qui non nel senso che non ci si arrabbia e non si sgrida…), laddove la “famiglia” sia luogo e contesto negativo “cui prodest” se si tratta del modello cd universale? E al contrario, laddove le persone fanno un progetto di solidità dei legami affettivi solo chi è in malafede (a tra questi annovero anche chi sostiene che un certo orientamento sessuale sia elemento che preclude alla solidità dei legami affettivi) può negare la bontà del contesto che si crea. Per affermare questo basterebbe relazionarsi con realtà diverse, leggere certo, ma avere la capacità di relazionarsi con “l’altro”, il mio prossimo appunto.
David Cameron premier conservatore inglese, strenuo sostenitore del matrimonio egualitario ha affermato (di solito non mi pica parlare per frasi fatte ma questa mi piace molto):
“A chiunque nutra delle riserve sul matrimonio gay dico questo: sì, è una questione di uguaglianza, ma anche di qualcos’altro: di impegno. I conservatori credono nei legami che ci tengono uniti; credono che la società è più forte quando promettiamo di badare l’un l’altro. Ecco perché non sostengo la necessità dei matrimoni gay “nonostante” sia conservatore. Ma li supporto proprio in quanto conservatore.”
Certo che sono sempre esistiti i bambini non cresciuti da una mamma e da un papà: purtroppo sono sempre esistite le disgrazie e della mancanza di un genitore si risente a vita. Non so a che studi ti riferisci. Comunque Cameron si è pentito e anche se non si fosse pentito la realtà non cambia: un bambino ha bisogno della mamma e del papà. Anche doverlo spiegare è patologico.
http://www.tempi.it/sei-milioni-di-omosessuali-in-inghilterra-no-sono-545-mila-e-cameron-si-pente-del-matrimonio-gay-tremendo-errore
l’errore cui Cameron i riferisce non è relativo alle “giustezza” del matrimonio gay quanto al fatto che per ottenerlo ha dovuto forzare il parlamento spaccando la sua maggioranza…cito dall’articolo che hai linkato.
Ho fatto un tremendo errore sul matrimonio gay – avrebbe detto – Credo ancora che sia giusto ma non avrei dovuto forzare il Parlamento in quel modo»
Quindi non è corretta l’interpretazione data.
Per il resto. Tutte le maggiori organizzazioni di psicologi (non solo l’APA) e psichiatri sostengono la tesi suddetta. Ad esempio perché quel procedimento di confronto con le figure di entrambi i sessi è consentito dalla molteplicità di relazioni che il bambino ha fin da piccolo. Ma non entro nel merito, chè è davvero una questione lunga e complessa.
E’ un modo di pentirsi diplomatico….. ma si è pentito. Da tener presente che oggi uno psicologo che dica la verità rischia l’accusa di omofobia e ciò nonostante:
http://www.uccronline.it/2012/03/27/psicologi-filosofi-e-giuristi-si-oppongono-alle-nozze-gay/
http://www.uccronline.it/2013/01/30/nuovi-psicologi-prendono-posizione-contro-ladozione-gay/
Ma cosa c’entra, si è pentito ma non viene meno il discorso fatto sopra. La mia citazione aveva il senso di spiegare una tesi e non tanto di segnalare i progressi giuridici della Gran Bretagna ( la quale, oltretutto, già da prima aveva una buona legge sulle unioni civili).
Vengo al secondo punto:
http://www.sppscuoladipsicoterapia.it/corsi-milano/eta-evolutiva/materiali/24-corsi-milano/corsi-milano-evolutiva/112-famigie-omogenitoriali-cosiderazioni-introduttive.html
Le preoccupazioni che solitamente vengono espresse per lo sviluppo dei bambini all’interno delle famiglie omogenitoriali riguardano in particolare la possibilità che possano incontrare maggiori difficoltà rispetto ai figli delle coppie eterosessuali nello sviluppo dell’identità di genere e nella definizione dell’orientamento sessuale come nello sviluppo personale in generale, con maggiore vulnerabilità psichica e disturbi dell’adattamento e nelle relazioni sociali, anche in ragione della stigmatizzazione da parte del contesto sociale della loro condizione familiare.
I risultati delle maggioranza delle ricerche non confermano la realtà di questi rischi, mostrano piuttosto come i figli dei genitori omosessuali abbiano uno sviluppo equilibrato ed adattato e buone relazioni con coetanei ed adulti in percentuale sovrapponibile a quello dei figli di eterosessuali, e non presentino un’incidenza maggiore di omosessualità o problemi legati all’identità di genere (Vaughan 2008, Tasker 2010).
http://www.stateofmind.it/2013/12/omogenitorialita/
Anche l’Ordine nazionale degli psicologi italiani, nel 2012, in occasione della Giornata mondiale contro l’omotransfobia, conferma «la necessità di riconoscere come irrinunciabile e indispensabile la possibilità degli omosessuali di vivere desideri, affetti, progetti di vita e genitorialità senza bisogno di nascondersi o temere o subire discriminazioni e aggressioni»
(ma nell’articolo si cita una miriade di studi)
Fai clic per accedere a Crescere%20in%20famiglie%20omogenitoriali.pdf
http://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_rivista.aspx?IDarticolo=33920
http://www.benessere.com/sessuologia/arg00/omogenitorialita.htm
“La base su cui devono reggersi tutte le decisioni in tema di custodia dei figli e diritti dei genitori è il migliore interesse del bambino […] Non ci sono prove a sostegno della tesi per cui genitori con orientamento omo o bisessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori, di saper cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio, a confronto con orientamento eterosessuale.
Da tempo è stato stabilito che l’orientamento omosessuale non è in alcun modo correlato a una patologia, e non ci sono basi su cui presumere che l’orientamento omosessuale di un genitore possa aumentare le probabilità o indurre un orientamento omosessuale nel figlio. Studi sugli esiti educativi di figli cresciuti da genitori omo o bisessuali, messi a confronto con genitori eterosessuali, non depongono per un maggior grado di instabilità nella relazione genitori-figli o disturbi evolutivi nei figli.
L’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry si oppone a ogni tipo di discriminazione basata sull’orientamento sessuale per quanto concerne i diritti degli individui come genitori adottivi o affidatari.”
E non sono dovuto andare sul sito dell’arcigay
“La tesi che un bambino necessita di avere una figura materna e paterna non è assolutamente supportata da ricerche e fonti scientifiche accreditate”. Lo dice il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, Fulvio Giardina, rivolgendosi al ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin che nei giorni scorsi ha sottolineato come la letteratura psichiatrica riconosca l’importanza di avere un papà e una mamma per la formazione della personalità del bambino.
“Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato e sereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive. Da tempo infatti – spiega Giardina – la letteratura scientifica e ricerche in quest’ambito sono concordi nell’affermare che il sano ed armonioso sviluppo di bambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso. La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale ed affettivo. Ritengo pertanto – conclude il presidente – che bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero-composte senza discriminazioni e condizionamenti ideologici”.
Da tempo i gay sono usciti all’Arcigay: dettano legge e possono anche far fallire un’azienda. Si veda la rieducazione coreana di Barilla. Cosa c’entra l’attaccamento genitore figlio con l’identità psichica? Leggo solo affermazioni di principio senza alcuna dimostrazione che non può esserci.
Che lo studio Regnerus non sia attendibile è poi falso. Qui Alessandro da un vecchio post:
Alessandro
14 gennaio 2013 alle 10:04
Come scrive vale qui sotto, il miglior studio al riguardo è quello curato da Mark Regnerus e pubblicato nel 2012. Lo stuudio vanta un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente, sia perché si basa sul più grande campione rappresentativo raccolto sul tema (12.000), sia perché per la prima volta fa parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali:
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0049089X12000610
Risultati dello studio son sintetizzati da Vale.
Ovviamente lo studio di Regnerus è stato fatto oggetto da attivisti gay delle accuse più svariate. In sintesi, lo studio sarebbe inficiato da pregiudizio antigay e mancherebbe dei necessari requisiti di rigore scientifico.
Ma l’accusa è stata seriamente rintuzzata da un pronunciamento dell’Università del Texas, la qule a fronte delle accuse mosse a Regnerus, la quale “ha stabilito che nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica presentate contro il professore associato Mark Regnerus riguardo al suo articolo pubblicato sulla rivista “Social Science Research… Non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta… la questione si considera chiusa dal punto di vista istituzionale”
Sempre Alessandro:
Per la precisione, la Nota dell’Università del Texas è questa:
http://www.utexas.edu/news/2012/08/29/regnerus_scientific_misconduct_inquiry_completed
Evidentemente il parere dell’Associazione Psicologi ignora del tutto questo studio di Regnerus, e piglia per oro colato quegli studi secondo i quali i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. Gli stessi studi che hanno condotto alla medesima conclusione l’Associazione degli psichiatri americani (l’APA). Bisognerebbe però tener presente che Loren Marks, della Louisiana State University, ha analizzato i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrandone la fragilità dal punto di vista scientifico.
Ancora “miniera” Alessandro:
Alessandro
14 gennaio 2013 alle 11:44
Lo studio di Loren Marks si trova qua:
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0049089X12000580
Morale della storia: il tanto citato e strombazzato parere (un comunicato stampa approvato dal Direttivo) dell’Associazione Italiana di Psicologia sembra più essere figlio del pregiudizio ideologico che del rigore scientifico.
Qui trovi tutta la discussione approfondita:
https://costanzamiriano.com/2013/01/13/siamo-tutti-nati/
************** (il link che ha postato qui è stato cancellato perché rimanda a un sito che in passato si è scagliato ferocemente e ossessivamente contro Costanza e non lo ammetterò su questo blog . Admin )*******************
Lo stesso Regnerus intervistato da CitizenLink ha detto: «I’d be more careful about the language I used to describe people whose parents had same-sex relationships. I said “lesbian mothers” and “gay fathers,” when in fact, I don’t know about their sexual orientation» (Farei più attenzione al linguaggio che ho usato per descrivere le persone i cui genitori avevano relazioni omosessuali. Ho detto “madri lesbiche” e “padri gay”, quando in realtà, non conoscevo il loro orientamento sessuale).
l’articolo sopracitato non è il massimo (mi sembra decisamente orientato, e ha un paio di cadute di stile) ma cita tutte le fonti tra cui l’intervista in cui l’autore afferma quanto detto
http://www.citizenlink.com/2012/10/26/friday-5-mark-regnerus/
@Giusi
arrivo solo adesso sul blog, vedo che mi citi a proposito, grazie! 😉 🙂
@ Dan
Arrivi buon ultimo a tentare di squalificare il lavoro di Regnerus; tentativo già abbondantemente fallito, come mostrano i link già riportati da Giusi, cui aggiungo questo:
http://www.uccronline.it/2012/09/06/chiusa-lindagine-su-regnerus-approvato-studio-sui-problemi-di-chi-ha-genitori-gay/
Faccio presente che la citata dichiarazione di Regnerus, che sarebbe a tuo avviso tale da infirmare il suo lavoro, è contenuta in questo link:
http://www.citizenlink.com/2012/10/26/friday-5-mark-regnerus/
il quale va letto per intero. Facendolo, si scopre che Regnerus dice: “But as far as the findings themselves, I stand behind them.”, e cioè che per quanto riguarda i risultati del suo studio, continua ad aderire ad essi; ossia, non ha trovato alcun motivo per metterli in dubbio.
E non c’è da meravigliarsene, perché non si vede come l’affermazione di Regnerus sotto accusa (secondo cui, se rifacesse oggi lo studio, farebbe “più attenzione al linguaggio che ho usato per descrivere le persone i cui genitori avevano relazioni omosessuali. Ho detto “madri lesbiche” e “padri gay”, quando in realtà, non conoscevo il loro orientamento sessuale”) possa indicare qualche inconveniente dello studio stesso tale da indebolirne o inficiarne gli esiti.
Regnerus in sostanza dice che ha appellato “madri lesbiche” e “padri gay” femmine e maschi che intrattenevano relazioni omosessuali, e che sarebbe stato più rigoroso non dire che l’orientamento di questi maschi e di queste femmine è omosessuale, ma limitarsi a dire che essi avevano relazioni omosessuali.
Il che non toglie che i notevoli disagi e disturbi che lo studio di Regnerus ha rilevato tra i “figli” cresciuti da coppie dello stesso sesso, i membri delle cui coppie avevano relazioni omosessuali, sono da addebitarsi proprio al fatto che questi “figli” sono stati cresciuti da coppie formate da componenti appartenenti allo stesso sesso. E proprio di questo si sta discutendo: cioè se persone appartenenti allo stesso sesso possono fungere da coppia genitoriale per un “figlio” senza creare gravi disturbi al medesimo.
Mah…suvvia. Nei link che ho riportato ci sono degli studi. Nella citazione si fa riferimento alla letteratura scientifica. Poco sopra mi riferisco ai processi di confronto con figure di sesso diverso. Quinidi, se gli studi danno ragione di una certa idea è scienza, altrimenti sono affermazioni di principio? Io mi limiti a constatare che le affermazioni di segno opposto ur presenti, hanno una rilevanza davvero minoritaria, tant’è che gli stati occidentali stanno andando in un senso che è opposto rispetto alle posizioni da lei sostenute.
Per il resto i gay non è che sono usciti dall’arcigay; è che ci sono sempre stati fuori dall’arcigay. Sono studiosi, meccanici, studenti, commessi, tassisti etc etc. Sul “far fallire un’azienda” la considero una affermazione priva di fondamento. E sulla rieducazione coreana ritengo che forse dovrebbe documentarsi davvero su ciò che succede in Corea del nord, prima di affibbiare certe considerazioni. Ma, chiedo scusa, se il signor Barilla avesse affermato “niente persone di colore nelle mie pubblicità”, le associazioni antirazziste (e le persone di colore) avrebbero avuto diritto di arrabbiarsi oppure no? E di prendere posizione anche invitando al boicottaggio? E nel qual caso…si sarebbe trattato di “lobbismo”? Affermare e sostenere un’idea è lobbismo? Allora anche un sacerdote che afferma l’assurdità del matrimonio gay e fa appello alla politica fa “lobbismo”. Anche la Miriano fa “lobbismo”?
Una persona di colore l’ha fatta così il Padre Eterno, dimostrazioni che gay si nasca non ce ne sono, nè che possano fare figli, nè che due uomini o due donne siano complementari. E guardi che i neri non vogliono essere strumentalizzati:
https://fbcdn-sphotos-c-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xpf1/v/t1.0-9/604176_367508123426622_3474001711049778563_n.jpg?oh=d09e75904307a03228d0fd30725fd08e&oe=551B7B2C&__gda__=1426091456_f745290a1b3822c66e7216d08ecd881b
“Mah…suvvia. Nei link che ho riportato ci sono degli studi. Nella citazione si fa riferimento alla letteratura scientifica.”
Ecco, tutta la mole di studi dei tuoi link è invalidata dallo studio già citato di Loren Marks,
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0049089X12000580
che mostra come gli studi della “letteratura scientifica” cui si appigliano i fautori del “no problem, la coppia dello stesso sesso non dà problemi al “figlio” ” sono inficiati da gravi difetti metodologici: mancanza di campioni casuali, scarsità di dati sul lungo periodo; nessuno di questi studi ha messo a confronto un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori lesbiche o gay e loro figli, con un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori sposati e loro figli.
Grazie Alessandro. Ti attendevo con ansia come il Settimo Reggimento Cavalleria. Anche perchè qui tocca contrastare pure il fuoco amico che la butta in vacca!
…e quindi?
a Thelonious:
e quindi cosa? Non è abbastanza chiaro quello che ha scritto Giusi? Se dovete rispondere fatelo in modo da avere una discussione costruttiva, senza tentare di annebbiare con l’ideologia del relativismo anche i cervelli di chi è ancora immune da questo virus.
@marco. Il mio “e quindi?” non era riferito al post di Giusi (che peraltro condivido in pieno), ma a quello di Alvise.
A te invece dico che se un “e quindi?” che neppure hai capito a chi si riferiva ti scatena una reazione così scomposta da dire ad una persona che neppure conosci che “tenta di annebbiare con l’ideologia del relativismo anche i cervelli di chi è ancora immune da questo virus” mi pare che il cervello annebbiato ce l’abbia tu.
Io l’avevo capito però ti avevo già letto. Colpa un po’ anche della annosa questione della funzione rispondi che fa andare i commenti dove capita……
eh lo so, è un bug ormai noto. Ciao Giusi !
;-D
Sbagliata faccina: 😀
a Thelonious:
se l’espressione “e quindi?” fosse stata effettivamente riferita al commento di Giusi, sarebbe stata una evidente provocazione relativista o semplicemente una domanda insensata (sfido chiunque a trovare una terza ipotesi). Io, considerandola, appunto, provocatoria, mi sono limitato a rispondere a mia volta in modo provocatorio (solo una persona “tiepida” potrebbe definire la mia risposta una “reazione scomposta”!). Pensavo che ciò fosse abbastanza evidente per delle persone normalmente perspicaci quali suppongo siano i frequentatori di questo blog.
Ma la cosa che più mi colpisce è che te la sei presa, reagendo in maniera oltremodo offensiva, per una risposta a te indirizzata solo a causa di un evidente equivoco, causato da un problema del blog (come tu stesso fai capire)! A mio parere ciò denota, oltre ad evidenti complessi di vario genere e a problemi di relazione, anche una spiccata mancanza di rispetto verso una “persona che neppure conosci”.
@marco…. addirittura ti allarghi ad attribuirmi “evidenti complessi di vario genere e a problemi di relazione” e “spiccata mancanza di rispetto” e a dirmi che sono una “persona tiepida”? Hai la capacità di leggere nei cuori?
Ascolta, bimbo, io non ho tempo da perdere in discussioni inutili.
Quello che hai scritto a me, prova a dirtelo guardandoti allo specchio..da parte mia passo e CHIUDO
Guardate che ha detto il Papa che dobbiamo fare l’unità dei cristiani. Qua già non ci raccapezziamo per un e quindi!
…e quindi…. 🙂 😀
🙂
a Thelonious
mi tocca ribadire un concetto che a me sembrava chiarissimo (come si fa con i bambini, bisognerebbe avere pazienza e ripeterti le stesse cose all’infinito….): come si può definire una persona che reagisce offendendo l’autore di una frase che chiaramente non era riferita a lei? Io direi che è uno che scatta subito all’attacco e per di più immotivatamente! Non è necessario saper “leggere nei cuori”. Non ci sarebbe neanche bisogno di ipotizzare che una persona simile abbia qualche problema di relazione con il suo prossimo, data l’evidenza della cosa. Tale problema è poi confermato dal fatto che, non avendo validi argomenti, continui ad offendere…..
Anchi’io CHIUDO qui (finalmente)…..
Certo che “ciò denota, oltre ad evidenti complessi di vario genere e a problemi di relazione” denoterebbe “anche una spiccata mancanza di rispetto verso una persona che neppure” si conosce.
Non so mi sembra un po’ “cortocircuitata” la questione… 😉
direi proprio di si … 🙂
a Bariom:
…..se poi, data la mia ignoranza, poteste spiegarmi (tu e Thelonious, dato che vi capite), cosa significa “cortocircuitata”, ve ne sarei infinitamente grato…… 🙂 (purtroppo, non essendo un assiduo commentatore, non so come inserire la faccina).
noto con stupore (dovuto all’ignoranza) che la faccina si è inserita automaticamente con i due punti e parentesi!! ……Grande!
@Marco non credo Thelonious sia tenuto a spiegare una frase (parola più che frase) che è mia…
quindi rispondo io: “cortocircuitata” o se vogliamo un po come “il cane che si morde la coda” o per essere ancora più chiari, ho ravvisato nel tuo modo di esprimerti e nelle tue parole, lo stesso atteggiamento e modo di ciò di cui accusi altri…
Da qui una sorta di “cortocircuito” 😉
Ora spero tu non te la prenda per questa mia considerazione che non era “scesa in campo” per la difesa di alcuno (Thelonious se pensa di doversi difendere o “contrattaccare” lo farà da sè).
Quello che mi lascia perplesso – e credimi te lo dico molto fraternamente – e quando “appare” un nuovo commento di commentatore “non assiduo” (come tu stesso ti definisci…) che “entra a gamba tesa” (non capisco nulla di calcio ma questa metafora l’ho acquisita…) su commento altrui elargendo giudizi sommari tipo: “.., senza tentare di annebbiare con l’ideologia del relativismo anche i cervelli di chi è ancora immune da questo virus.”, che per carità, sono leciti nei limiti del lecito, ma che poi si pretende suscitino cosa? Simpatiche risposte?
Già la tua prima affermazione poteva suonare offensiva per taluni (tu probabilmente dirai di no… io permettimi che non sono parte in causa, direi si) e che quindi poi si accusi altri di avere reazioni magari esagerate o offensive (a questo punto beneficio del dubbio che se deve essere esteso alla tue, deve esserlo anche per le altrui affermazioni), mi sembra un tantino ridicolo … raba “da bambini” appunto.
Ma forse esagero io, ed è solo una “questione di stile” 😉
Tutto è sorto da un equivoco: la collocazione dell’e quindi di Thelonious. Dall’esterno a me pare ci sia stata qualche parola di troppo da ambo le parti. Per cui si potrebbe fare:
Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…
chi ha dato, ha dato, ha dato…
scurdámmoce ‘o ppassato,
simmo ‘e Napule paisá!…
E magnammoce nu babbà 😉
Offro io…
@Bariom: amor vincit omnia 🙂 @Marco: benvenuto nel blog, e mi associo alle benedizioni virtuali che ci stiamo facendo urbi et orbi. @Giusi: ma ‘sto babbà chi lo paga, alla fine ? 🙂
Io , io…
Non è facile trovare un buon babbà al nord…..
a Bariom:
anzitutto ti ringrazio per la tua pacatezza ed educazione.
Vorrei, PER LA TERZA VOLTA, precisare che il mio era un commento provocatorio e probabilmente offensivo, lo ammetto, ma era nato come risposta ad una domanda (“e quindi?”) che appariva come evidentemente provocatoria, canzonatoria ed offensiva nei confronti del primo commento di Giusi (che, tra parentesi, apprezzo molto). La mia intenzione perciò era “difendere” Giusi da uno che credevo essere un provocatore relativista (ritengo dovere di ogni cristiano il non essere tiepido e lottare con tutte le forze contro il relativismo!). Poi, se la domanda “e quindi?” non era, come appariva, riferita al commento di Giusi, non è colpa mia. Se Thelonious si fosse LIMITATO a precisare che il suo “e quindi”? non era rivolto a Giusi bensì ad Alvise, io gli avrei subito chiesto scusa. Lui invece mi ha offeso senza motivo (dato che, come ho spiegato sopra, io non avevo affatto attaccato lui!). Io, purtroppo, non sono pacato e mite come te…. Essendo uno che prova, con difficoltà, ad essere cristiano (=somigliante a Cristo) e che non si considera ancora veramente tale, cado facilmente nell’errore di non porgere l’altra guancia di fronte ad un’ingiustizia. Ripeto: io forse ho offeso un ipotetico, fantomatico, inesistente provocatore a causa di un equivoco ma Thelonious ha offeso direttamente me. Forse, te lo dico fraternamente anch’io, se avessi letto meglio e ragionato su tutti gli interventi, non avresti semplicisticamente commentato “……..mi sembra un po’ “cortocircuitata” la questione…” o “…roba da bambini…..”, mettendo ingiustamente i due comportamenti sullo stesso piano.
Bene Marco, allora visto che qui tutti direi (escludiamo Alvise per sua scelta e altri per commenti che si qualificano da soli) nella vita reale (presumo oltre che su questo blog…) miriamo a essere Cristiani e questo include anche il Perdono e persino accettare le offese, ripagando con il bene anche chi ci fa del male (o presunto tale).
Considerando che il tutto è partito da un banale fraintendimento, perché non ripartiamo dal semplice (ma in pratica tutt’altro che…) “considerare l’altro superiore a noi” e applicare l’ lnno alla Carita che… (e tralascio il citarlo tutto) e non ci scambiamo un spero virtuoso più che virtuale, abbraccio di pace?
Quindi Marco, io per primo ti chiedo perdono se ti ho fatto la paternale e da qui riparto… 😉
a Bariom:
alla fine hai vinto tu…. 🙂 Un abbraccio a tutti. Che Dio vi benedica.
…e quindi a me mi sembrerebbe più giusto dire così: “Noi famiglie cattoliche, avendo a cuore il bene di tutti i bambini del mondo, ci impegnamo a adottare, noi famiglie cattoliche, tutti quei bambini che venissero chiesti in adozione da
famiglie (o non famiglie) composte da persone dello stesso sesso o quant’altro”
Non vengono chiesti in adozione: il giocattolo lo vogliono perfetto, comprano un utero mischiano gli spermi e lo prendono nuovo. Anche Tiziano Ferro ha annunciato che comprerà un bambino. Falso problema Alvise: sono più le coppie etero che vogliono adottare dei bambini adottabili.
… non lo so e non mi interessa sapererlo chi sia questo Tiziano Ferro. Sicuramente saranno di più le coppie di due sessi che chiedono di adottare. Ma io parlavo delle coppie dello stesso sesso che, se sono così poche, allora sarebbe ancora più facile, per voi cattolici, adottarli voi tutti i bambini richiesti da loro. Per quanto riguarda quell’altro fenomeno di cui parli, non saprei che fare.
Forse non hai capito che adottare è una cosa difficile che richiede una lunga trafila, colloqui di idoneità etc. Invece per le porcate alla Elton John servono solo i soldi e una poveretta da sfruttare ma alle femministe non gliene importa nulla.
Ma…anche questo non è vero. O meglio sua tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali ce ne sono molti che vogliono il “giocattolo perfetto” ed altri che invece sono disposti ad adottare. Non generalizziamo, vi prego.
Ed è vero, tragicamente vero, che la gpa (gestazione per altri, o “utero in affitto”) pone moltissimi quesiti e problemi di natura etica e pratica. Ma se la prospettiva con cui si affronta la questione è questa non sarà possibile andare al cuore dei problemi.
La legge sull’adozione non consente la scelta del giocattolo. Un uomo e una donna in linea di massima il figlio lo fanno (pare che possano: ti risulta?). Se non viene vi sono le cure ormonali, come extrema ratio la fecondazione artificiale. Se decidono di adottare devono seguire la trafila che è molto rigida. Il problema dell’acquisto dei figli è sorto per quelle coppie che non possono averli naturalmente (due uomini o due donne: pare che manchi qualcosa: ti risulta?). Da qui l’acquisto di uteri, semi e bambini con disintegrazione totale e a priori dell’identità del bambino che non saprà mai chi è suo padre o sua ,madre esigenza legittima e naturale che scocca per tutti a un certo punto nella vita. E altro è avere un genitore morto o degenere (sono disgrazie), altro è non poter mai sapere chi è perchè mamma ha comprato il seme o papà un utero! Ma c’è bisogno di spiegarle queste cose?
Mi dispiace ma credo c’è molta disinformazione a riguardo. La gpa nasce e si rivolge a tutte quelle coppie che non possono naturalmente avere figli. Le stesse cui si rivolge l’adozione. In sostanza se io e un’altra persona non possiamo avere figli abbiamo 2 possibilità (diritto permettendo): o ricorrere all’adozione o ricorrere alla pma (procreazione medicalmente assistita) che, ove implichi l’utilizzo dell’utero di altra donna, si configura nei fatti quale gpa (gestazione per altri); si pensi ai casi di donne che non possono in alcun modo portare avanti una gravidanza. Se è vero che MAI una coppia omosessuale potrà generare un figlio, è anche vero che TUTTE le coppie che NON possono generare un figlio hanno dinnanzi a sé tali 2 possibilità. E che molti dei casi controversi (in passato e anche di recente) hanno riguardato proprio coppie etero. Recentemente, ad esempio, il dramma dei due gemelli, la cui gravidanza è stata portata avanti da una donna in Thailandia e che ha visto la coppia (Australiana) rifiutarsi di accogliere uno dei due gemelli in quanto affetto da disabilità. la coppia in questione era eterosessuale. Aggiungo. Il fenomeno, che presenta questi risvolti agghiaccianti, i quali temo purtroppo siano una componente coessenziale di tale pratica in particolare laddove vi sia forte disparità di condizioni economiche e sociali, nasce quale risposta delle esigenze delle coppie sterili per poi essere alimentato anche dai desideri delle coppie omosessuali.
Ma, ribadisco, non si tratta di fare a gara a chi si comporta peggio tra omosessuali ed eterosessuali ma di inquadrare in modo oggettivo ed imparziale un fenomeno al fine ultimo di tutelare la persona. Perché, invece, molti sentono il bisogno (quasi ossessivo direi) di ancorarlo necessariamente alle coppie omosessuali?
Forse perchè per loro è l’unica via? E comunque in Italia sulla base della 40 è ancora consentita solo l’omologa che perlomeno garantisce la certezza del padre e della madre. Personalmente son contraria anche a quella perchè si creano un sacco di embrioni che vengono distrutti. Ritengo che l’uomo non possa fare l’apprendista stregone con la vita.
I risvolti agghiaccianti di cui parli sono connaturati alla pratica della GPA. E’ proprio il concetto che è sbagliato. Compro un figlio. Ma un figlio non è un diritto e non è nemmeno un oggetto, è un dono. Se diventa un oggetto da comprare è normale che lo si voglia esente da vizi. Tutt’altra cosa l’adozione. Ho una grande ammirazione per le coppie che adottano e soprattutto per quelle che adottano bambini già grandi. E’ un vero atto di amore che richiede una fatica immane. Ho raccontato altrove della mia amica inglese e del bambino indiano che lei e il marito hanno adottato a 10 anni e che io ho battezzato. Era un selvaggio. Adesso studia e lavora e sta per iscriversi all’università. Ma quante ne hanno passate! Quello è amore altro che il love is love legato a qualsiasi emozione del momento o capriccio!
In realtà farei attenzione a parlare di compravendita. Innanzitutto perché in quasi nessun posto, almeno laddove la GPA è ben regolata, si ha uno scambio di denaro tra genitori biologici a madre surrogata. Sottoscrivo in pieno la seconda parte di quanto hai scritto.Ma bisognerebbe chiedersi. Per quale motivo coppie (omo ed etero) che non possono avere un figlio pensano di ricorrere alla gpa piuttosto che all’adozione (non intendo solo in Italia dove l’adozione è preclusa a coppie non sposate…omo ed etero), ma in generale. Allora forse il tema della riflessione è più generale. Cosa spinge le persone a volere un figlio? la voglia di “donare e dedicare la propria vita all’altro” o la voglia di “avere qualcosa di mio”? E quali condizionamenti sociali subiscono? Io non lo so. So per certo però che tutto questo non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale delle persone (a meno di non pensare che di per sé un omosessuale abbia una connaturata inclinazione al male).
Non è questione di inclinazione al male. L’omosessuale non può garantire al bambino una famiglia. La famiglia è fatta da un uomo e da una donna e questo serve per l’equilbiro del bambino. Prescindere da questo aspetto vuol dire non tenere conto dell’interesse del bambino ma del proprio per cui il bambino diventa un diritto.
Non so se esistano statistiche ma perlomeno gli omosessuali famosi (quelli che fanno tendenza) non ho mai sentito che adottino. Vanno sempre in cerca di una donna nella quale impiantare il loro o la miscellanea dei loro semi se in coppia. Ma è anche logico: così almeno per metà il bambino è loro anche geneticamente.
Devo comunque purtroppo rettificare che, per via di una sentenza di giugno della Corte Costituzionale, si può fare l’eterologa anche in Italia. Partono da Padova……
http://www.padovaoggi.it/cronaca/fecondazione-eterologa-padova-dicembre-2014.html
Sempre “avanti” la nostra Padova… 😐
@Giusi, voi si che siete avanti… 🙂
No, non è l’unica via. In altri paesi le coppie omosessuali possono anche adottare. E quindi il risultato è che una coppia omosessuale, volendo avere un figlio (giusto o sbagliato che sia questo desiderio) non potendo adottare vorrà ricorrere alla gpa. Con il risultato che si hanno figli partoriti da madri surrogate in canada e che in Italia hanno e avranno per sempre giuridicamente un genitore solo (dal punto di vista giuridico) e quindi tutele dimidiate da parte dell’ordinamento. Insomma un pasticcio!
Ci sarebbe anche una terza opzione: accettare serenamente il fatto di non poter concepire. E’ un’opzione perfettamente percorribile e – provare per credere – aumenta la consapevolezza che i figli non sono “diritto”, “desiderio”, “esigenza” ma DONO. Inoltre questa opzione apre mente e cuore a tutto ciò che invece ci è stato donato, a partire dalla propria vita, e ad avere rispetto per ogni vita e a voler difendere ogni vita a partire da quelle più inermi e vulnerabili.
Sono pienamente d’accordo. Ed era un po’ il discorso che facevo sopra. Anche chi esercita il magistero sacerdotale non avrà mai figli eppure dedica la propria vita a Dio e al servizio della comunità. Ma, troppo spesso (e talvolta proprio per delegittimare coppie omosessuali), si lega il “valore” di una persona alla sua capacità di vivere una dimensione affettiva che porti al generare e crescere figli. Non sempre in maniera esplicita (a mio avviso).
Diverso però è il discorso, sulla idoneità o meno delle coppie omosessuali di essere ambiente idoneo alla crescita dei figli. Ma non voglio riaprire la questione qui.
Il punto, inoltre è che la questione si muove su 2 piani. Da un lato la valutazione delle scelte individuali dall’altro la risposta che deve esserne data dall’ordinamento giuridico ( su cosa si basa questa risposta…sull’effettiva volontà di tutelare, ad ogni modo, i minori o sulla volontà di mantenere lo status quo e, quindi, per presa di posizione?)
Ciao Dan
Concordo col fatto di tenere temporaneamente separati i discorsi su tecnica e composizione della coppia, e tento un’abbozzo di risposta.
Quello su cui Giusi, e con lei molti, moltissimi altri qui concordano, è che ancor prima della composizione della coppia, siano le PMA “estreme” a dover essere maggiormente messe in discussione. Leggi: fosse per loro l’eterologa non esisterebbe, figurarsi la GPA! Il nocciolo della questione, al netto delle motivazioni religiose (per chi le condivide) è all’incirca: “non tutto ciò che è tecnicamente realizzabile è accettabile”.
Le ragioni del rifiuto possono essere varie, più o meno razionali. In ogni caso, qui tutte si rifanno al magistero della Chiesa.
Se a questo aggiungi il carico dell’omosessualità, il coperchio della pentola salta. Ed è per questo -e solo per questo!- che si parla del matrimonio omosessuale come grimaldello, cavallo di troia: si evoca lo spettro peggiore per bloccare un provvedimento che altrimenti non sarebbe poi così osteggiato.
Poi, volendo provare ad analizzare lo stato di fatto, mi pare di poter dire che stiamo scivolando verso la GPA e lo stiamo facendo nel peggiore e subdolo dei modi: in mancanza di un’esplicita scelta politica, o se preferisci, per mancanza di scelta. Nel senso che in una materia così delicata sarebbe il caso di decidere per una linea condivisa e legiferare conseguentemente. Purtroppo però l’implosione della destra ( che ha lasciato la CEI senza interlocutore) e la mancanza di coesione della sinistra su questi ambiti hanno fatto si che la politica giocasse ad un “tanto peggio tanto meglio” lasciando che la magistratura colmasse i vuoti in autonomia e creatività a seconda del grado di giudizio. Poi i trattati internazionali hanno fatto il resto…. alla fine i casi saranno talmente tanti che si arriverà alla necessità di una sanatoria straordinaria permanente, senza che nessuno si sia preso (in nome di una maggioranza) la responsabilità di lottare a favore (ma solo contro, in nome di una minoranza, in nome di un’identità).
Nel mezzo, le solite vittime (a mio avviso).
Concordo, anche con te. In particolare sul nocciolo della questione. Quello che io sostengo è l’approccio razionale. Che non vuol dire “vuotezza di contenuti”. Io ho dei valori, delle esperienze anche, che mi condizionano e mi spingono a prendere una posizione piuttosto che un’altra. Il punto, come dicevo in un altro commento, è l’attenzione al “senso e al significato” d ciò che si sostiene. Molto coinciso…ma davvero, concordo per il resto con quello che dicevi! 😉
“da una constatazione – la pluralità delle culture – deriva un assoluto morale – la relatività di ogni valore –”
…la quale affermazione non ha senso in quanto, se esiste la constatazione della pluralità delle culture, vuole dire che esiste questa pluralità delle culture, che è l’incontario della imposizione di un assoluto morale.
Lo stesso Regnerus intervistato da CitizenLink ha detto: «I’d be more careful about the language I used to describe people whose parents had same-sex relationships. I said “lesbian mothers” and “gay fathers,” when in fact, I don’t know about their sexual orientation»
Vabbè. Si scatenò l’inferno dopo la pubblicazione dei risultati: lobby gay, circoli Mario Mieli e tutto il cucuzzaro! E’ come se facessi uno studio sulle mele e poi ti venissi a dire: forse erano pere….. Ma dai!
Giusi
“E’ come se facessi uno studio sulle mele e poi ti venissi a dire:forse erano pere…”
Proprio così!
L’Università del Texas lo ha ritenuto attendibile e, scusa tanto, ma ho visto diverse volte la gogna mediatica alla quale vengono sottoposte le persone che osano dissentire dal pensiero unico per credere a queste rettifiche.
… o forse eran mele a cui ci si era ben guardati dire che mele erano così che potessero eventualmente volessero dicider di esser pere… no, forse eran pere che aspiravan esser mele o dicean esserlo non sapendo cosa fossero… no, forse…
Boh! 😐
mah, io credo – comunque – che anche a questo livello ci siano le mode. Spesso gli ambienti universitari sono tutt’altro che neutrali, e seguono la corrente del pensiero dominante…
e/o partecipano alla sua formazione…
@Bariom: si, credo tu abbia ragione
Bariom:
…ma voi, allora, dove siete andati a scuola?
io, all’Università di Pisa, e te?
…io dai preti!
Io sono un asino non-laureato… (non che sia asino in quanto non-laureato)
E ai miei tempi il massimo del pensiero unico si spingeva alla lettura della Storia che tutti conosciamo per come ce l’hanno presentata (vedi Risorgimento italiano…) 😉
Ammazza del sincronismo…
“The problem with his study (di Regnerus) is that he only looked for people who were originally married, then divorced and along the way had a same-sex relationship. He was not looking for stable, openly gay or lesbian couples who were raising children. Because it would have been as easy for him to find those couples in Texas as anywhere else in the country.”
…e quindi, anche : non facili da trovare figli cresciuti da coppie stabili dichiaratamente gay o lesbiche.
Texas University: un altro caso Barilla?
“Il dottor Regnerus ha il diritto di effettuare le proprie ricerche e di esprimere il suo punto di vista. In ogni caso, le idee di Regnerus sono personali e non riflettono la posizione del Dipartimento di Sociologia della University of Texas di Austin. Né riflettono la posizione dell’American Sociological Association, la quale afferma che le conclusioni tratte dal suo studio sui genitori omosessuali sono fondamentalmente viziate sia dal punto di vista metodologico che intelletuale; afferma inoltre che la ricerca viene citata in modo inappropriato nel tentativo di colpire i diritti civili e le famiglie omogenitoriali”.
qualcuno ti ha mai spiegato che, quando fai citazioni, dovresti precisare la fonte?
Alessandro:
…credevo che te conoscessi tutte le fonti!
La mia è in liquida.it (4 Marzo 2014)
L’accusa di omofobia è sempre pronta. Vendola ha dato dell’omofobo a uno che ha detto che fa la manicure. La Lucarelli, che non sempre condivido, ha scritto un articolo esilarante al proposito:
http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/11728517/Selvaggia-Lucarelli–Vendola-insulta-tutti.html
Oggi è l’accusa più à la page… che ha scalzato l’ormai desueta “sei un fascita!” (anche perchè – va da sè – se sei “omofobo” sei pure ipso facto FASCISTA) 😉 😦
“Mah…suvvia. Nei link che ho riportato ci sono degli studi. Nella citazione si fa riferimento alla letteratura scientifica.”
Ecco, tutta la mole di studi dei tuoi link è invalidata dallo studio già citato di Loren Marks,
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0049089X12000580
che mostra come gli studi della “letteratura scientifica” cui si appigliano i fautori del “no problem, la coppia dello stesso sesso non dà problemi al “figlio” ” sono inficiati da gravi difetti metodologici: mancanza di campioni casuali, scarsità di dati sul lungo periodo; nessuno di questi studi ha messo a confronto un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori lesbiche o gay e loro figli, con un grande, casuale, campione rappresentativo di genitori sposati e loro figli.
No. Lo studio di Lorenz critica il metodo del solo studio dell’APA. Nei link ce ne sono molti altri. E non solo americani. Ma non fa nulla. Ripeto, al di là dell’atteggiamento scientifico (su cui ribadisco la genuinità degli studi come si può vedere dai link) c’è un discorso legato alla capacità di guardare alle persone e alle cose con sguardo limpido. Se ci fosse un po’ più di limpidezza, nel confronto e nell’approccio a realtà che magari si conoscono meno, si potrebbe affrontare la questione con maggiore serietà. E mi dispiace che ciò non sia possibile.
La limpidezza si deve ai bambini: un padre e una madre punto.
“Lo studio di Loren Marks critica il metodo del solo studio dell’APA. Nei link ce ne sono molti altri. E non solo americani.”
Non è così, caro Dan.
Lo studio dell’APA è qui:
Fai clic per accedere a parenting-full.pdf
– Il PRIMO link che proponi
http://www.stateofmind.it/2013/12/omogenitorialita/
è di un “gruppo di psicologi arcobaleno” (!?) dell’Arcigay Torino, si intitola pomposamente “Omogenitorialità – lo stato dell’arte nella letteratura scientifica” ma è un articolino scritto coi piedi, non cita un solo lavoro che possa contestare la vulgata LGBT e a favore di questa vulgata invoca solo il consueto parere dell’APA (più una serie di pareri scritti palesemente con la carta carbone partendo da quello dell’APA), il quale è stato decisivamente confutato da Marks.
In più, questo articolo si riferisce esplicitamente a due lavori (Golombok et al., 2003; Wainright, Russell, Patterson, 2004) che sono proprio tra quelli squalificati da Marks (fanno parte infatti degli studi, esaminati da Marks, sui quali si appoggia l’APA per elaborare il suo celeberrimo – e inconsistente – parere).
– Sul SECONDO link
Fai clic per accedere a Crescere%20in%20famiglie%20omogenitoriali.pdf
ti ho già risposto qui:
https://costanzamiriano.com/2014/09/03/i-papa-sono-insostituibili/#comment-84917
Prende in considerazione uno studio di Stacey e Biblarz (2001) che sintetizza i risultati di 21 ricerche condotte tra il 1981 e il 1998. Ecco, testuali, i “limiti” di questi studi (p. 176): “non esistono studi sullo sviluppo dei bambini che siano basati su campioni casuali e rappresentativi di tali famiglie [con “genitori omosessuali”]. La maggior parte delle ricerche sono a piccola scala, con campioni scelti per opportunità [!], in primo luogo tramite reti o agenzie personali o di comunità [!!]”
Viste queste candide ammissioni, ogni commento sarebbe superfluo e maramaldo.
Sempre in questo secondo link, si considerano poi 14 studi condotti tra il 2003 e il 2008. Quali i limiti di questi studi? P. 177:
“in diversi studi il campione è di piccole dimensioni, e il modo in cui viene selezionato è spesso criticabile… queste madri [lesbiche] possono cercare di presentare la loro famiglia nella luce migliore possibile”. E così di seguito (p. 177s): in alcuni studi inglesi non solo il campione è troppo piccolo, ma è troppo eterogeneo; i campioni usati dagli studi olandesi si possono considerare migliori di quelli utilizzati negli studi inglesi, ma presentano altri ragguardevoli limiti.
Soprattutto, nella maggior parte degli studi il difetto è quello di “non essere svolti nel tempo”, sicché si è stati costretti a prendere in considerazione uno studio (intrapreso nel 1986) che non si è ancora concluso (!)
Anche in questo caso, ogni commento sarebbe superfluo e maramaldo.
– il TERZO link che proponi:
http://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_rivista.aspx?IDarticolo=33920
si riferisce a un libro che si occupa di 26 studi condotti tra il 1978 e il 2007, cioè proprio gli studi invalidati (per gravi difetti metodologici) da Marks, il cui lavoro, pubblicato nel 2012, non può essere tenuto in considerazione in questo libro, edito nel 2008.
– il quarto LINK
http://www.benessere.com/sessuologia/arg00/omogenitorialita.htm
cita solo il lavoro di Bottino e Danna (Bottino, M., Danna, D., (2005), La Gaya Famiglia, Asterios Editori, Trieste) che prende in considerazione “gli studi sull’omogenitorialità in due periodi: a) quelli che vanno dal 1981 al 1998 e b) quelli invece dal 1999 al 2004”. Studi vecchi, proprio quelli criticati da Marks.
In bibliografia, si cita pure Stacey, J., Biblarz, T.J., (2001), “(How) Does the Sexual Orientation of Parents Matter?” American Sociologica Review, 66, 2:159-183. Studio di cui ho già detto commentando il tuo secondo link.
Ripeto, quindi: TUTTI i tuoi link fanno riferimento a studi metodologicamente deficitari già opportunamente criticati nel loro impianto da Loren Marks.
No…il primo articolo non cita solo quegli studi bensì anche altri, successivi (che non possono essere la base per le conclusioni dell’APA). Anche poi il discorso relativo alla campionatura va contestualizzato. È ovvio che il rigore scientifico non consente deroghe, mai. Ma è anche vero (e appunto l’articolo si intitola “Lo stato dell’arte”) che il fenomeno dell’omogenitorialità è un fenomeno nuovo. E che la possibilità di campioni estesi è evidentemente ancora limitata. Per quanto riguarda lo studio su cui mi aveva già risposto, vale il discorso appena fatto. Vi sono altri studi (Visentini, 2007 McCann 2005). Non credo (mi corregga se sbaglio) che Marks abbia preso in considerazione tutti gli studi sull’omogenitorialità. E comunque, fortunatamente, la ricerca va avanti e ci dà strumenti sempre nuovi per approcciarsi con le realtà che si manifestano nell’ambito dell’evoluzione della società.
Il link che ho pubblicato in un commento sotto ritengo sia interessante sotto questo punto di vista
“No… il primo articolo non cita solo quegli studi bensì anche altri, successivi (che non possono essere la base per le conclusioni dell’APA)”
Come ognuno può vedere, la bibliografia del primo articolo
http://www.stateofmind.it/2013/12/omogenitorialita/
cita i seguenti studi:
– GOLOMBOKS., PERRY B., BURSTON A., MURRAY C., MOONEY-SOMERS J., STEVENS M., GOLDNG J. (2003), Children with Lesbian Parents: A Community Study,
– WAINRIGHT J.L., RUSSELL S.T., PATTERSON C.J., (2004), Psychosocial Adjustment, School Outcomes and Romantic Relationships of Adolescents with Same-Sex Parents,
– PAWELSKI J.G., PERRIN E.C., FOY J.M., ALLEN C.E., CRAWFORD J.E., DEL MONTE M. et al. (2006), The Effects of Marriage, Civil Union, and Domestic Partnership Laws onthe Health and Well-Being of Children,
– WAINRIGHT J.L., PATTERSON C.J. (2008), Peer Relations among Adolescents with Female Same-Sex Parents
dei quali, come ognuno può vedere, i primi due sono in bibliografia nello studio dell’APA.
Inoltre, lo studio di Pawelski, Perrin et alii (2006):
http://pediatrics.aappublications.org/content/118/1/349.full
si rifà (basta scorrerne la bibliografia) a lavori già considerati nello studio dell’APA (come si può verificare leggendo qua):
Fai clic per accedere a parenting-full.pdf
Lo stesso dicasi dello studio di Wainright e Patterson (2008), la cui bibliografia si trova qui:
Fai clic per accedere a wp08.pdf
Quindi, niente di davvero nuovo, niente che non sia già stato squalificato a dovere da Marks.
Quanto ai campioni, se uno studio è fatto male è fatto male…
Ovviamente la mia conoscenza della questione ha dei limiti, per quanto mi interessi comunque tenermi aggiornato ( mi chiedo, a questo punto, per quale motivo l’ordine degli psicologi abbia preso una posizione di sostegno nei confronti della possibilità di adozione e per quale motivo una crescente giurisprudenza si stia muovendo in una direzione che sia quella della considerazione paritaria tra coppie omosessuali e coppie etero, posto che anche la giurisprudenza possa essere criticata) ma, ribadisco, che la questione è quella di partire con una prospettiva che sia non condizionata da una presa di posizione che ritenga “eticamente sbagliata” l’omosessualità, sulla base di argomentazioni non solo discutibili ma (queste sì) profondamente sbagliate. È per questo che rimango molto diffidente nei confronti di chi sostiene che non sia possibile che una coppia di genitori dello stesso sesso possa costituire un ambiente sano e, invece, ripongo fiducia nel dibattito scientifico che sta indagando su una realtà nuova, particolare (per ora).
AVVENIRE 28 settembre 2012
Basta con le banalità e le facili semplificazioni a proposito delle adozioni agli omosessuali. La confusione mediatica di questi giorni, anche causate delle dichiarazioni del sindaco di Milano Pisapia, poi in parte smentite, rischiano di diffondere «informazioni superficiali e fuorvianti».
L’allarme arriva dal presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) «Siamo preoccupati perché i media parlano dell’argomento con troppa leggerezza. Invece l’argomento – osserva il presidente Giuseppe Di Mauro – è molto delicato e andrebbe valutato con maggiore rigore scientifico, soprattutto per le ripercussioni che comporta sulla crescita e lo sviluppo del bambino».
Gli studi sulle coppie omosessuali che hanno adottato bambini – nei Paesi dove esiste questa possibilità – sono numerosi ma la maggior parte, su campioni piccoli e non rappresentativi, sono stati realizzati con la finalità dichiarata di sostenere liceità e opportunità delle unioni gay.
I dati a cui di solito fanno riferimento i sostenitori delle adozioni omosessuali sono quelli relativi a 59 piccoli studi analizzati nel 2004 dall’American psychological association (Apa) da cui risulta che i figli di genitori gay o lesbiche non sono svantaggiati rispetto a quelli di coppie eterosessuali. Si tralascia però di riferire che questo studio è stato successivamente screditato da una buona parte della comunità scientifica e dall’ex presidente della stessa Società Scientifica.
Infatti, proprio a luglio di quest’anno, lo studio di Loren Marks pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Social science research” ne ha dimostrato l’invalidità: la ricercatrice della Lousiana State University ha analizzato i 59 studi citati dall’Apa, dimostrando che questi mancano di un campionamento omogeneo e di gruppi di confronto e mostrano molte lacune: dati contraddittori, mancanza di anonimato dei partecipanti alla ricerca, portata limitata degli esiti dei bambini studiati, scarsità di dati sul lungo termine. La conclusione, secondo Loren Marks, è che le affermazioni dell’Apa non sono giustificate. Successivamente, è stato proprio l’ex presidente dell’American psychological association, lo psicologo Nicholas Cummings, a prendere le distanze dallo studio:«L’Apa ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale».
L’unico studio che ha attualmente una riconosciuta validità è quello del sociologo dell’Università del Texas Mark Regnerus. Pubblicato nel 2012, il testo vanta un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente, sia perché si basa sul più grande campione rappresentativo raccolto sul tema (12.000), sia perché per la prima volta fa parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, dimostrando che il 12% pensa al suicidio (contro il 5% dei figli di coppie etero), il 40% (contro il 13%) è più propenso al tradimento, il 28% è disoccupato (contro l’8%), il 19% ricorre alla psicoterapia (contro l’8%).
Inoltre i ragazzi che vivono con genitori gay sono più spesso seguiti dall’assistenza sociale rispetto ai coetanei cresciuti da coppie eterosessuali sposate. Nel 40% dei casi hanno contratto una patologia trasmissibile sessualmente (contro l’8%) e inoltre sono genericamente meno sani, più poveri, più inclini al fumo e alla criminalità.
«I bambini – conclude Di Mauro – hanno una grande capacità di adattamento, tuttavia, sulla base della letteratura scientifica disponibile, vivono meglio quando trascorrono l’intera infanzia con i loro padri e madri biologici, sposati e specialmente quando l’unione dei genitori rimane stabile a lungo».
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/adozione-ai-gay-figli-disturbati.aspx
Consiglio vivissimamente di leggere questo saggio, di cui riporto un estratto riguardante i principali limiti e difetti degli studi psicosociologici che tirano conclusioni “gay friendly” sull’omogenitorialità:
“Per quanto riguarda i risultati, una tappa significativa è costituita dal volume pubblicato nel 2005 dall’American Psychological Association: si tratta di un lavoro di revisione degli studi condotti sulle coppie omosessuali e i loro figli, dal titolo Lesbian and Gay Parenting, in cui gli autori concludono che non esistono differenze significative tra i bambini allevati da coppie omosessuali e quelli cresciuti in famiglie tradizionali e che «non un solo studio dimostra [il corsivo è nostro]
che i figli di genitori gay e lesbiche siano in qualche modo svantaggiati rispetto ai figli di coppie eterosessuali».
La sociologa Loren Marks ha pubblicato nel 2012 un lavoro di lettura critica di tale “review”, evidenziando i rilevanti vizi metodologi delle 59 ricerche citate nella sezione riguardante gli studi empirici specificatamente relativi ai genitori gay/lesbiche e i loro bambini. La maggioranza degli studi, puntualizza Marks, si basa su campioni piccoli, non rappresentativi perché spesso socio-culturalmente omogenei, di convenienza o selezionati ad hoc. Molti dei partecipanti alle ricerche sono infatti affiliati a organizzazioni e associazioni in difesa dei diritti dei gay e delle lesbiche, e, oltre ad avere un alto livello d’istruzione, sono molto coinvolti nella causa. In molte ricerche è assente il gruppo di confronto rappresentato da famiglie composte da due genitori eterosessuali e, anche laddove esso è incluso, o è rappresentato da genitori single o è ambiguo, ossia non vengono riportate informazioni specifiche sulle caratteristiche del campione. In breve, il criterio di distinzione tra gruppi sembra essere l’orientamento sessuale del genitore, più che la forma familiare in cui i figli crescono.
Inoltre, nella maggioranza dei casi gli studi hanno preso in considerazione prevalentemente bambini in età prepuberale; d’altra parte, essi hanno investigato l’orientamento sessuale, i comportamenti di ruolo e l’identità di genere, variabili che si manifestano, con contorni più definiti, non prima della media-tarda adolescenza. È perciò legittima una domanda:
cosa sappiamo di questi figli nel “lungo termine”?
Infatti, come viene evidenziato nelle ricerche sui “figli del divorzio”,vi sono difficoltà che rimangono silenti per anni e che emergono quando i figli dovranno fare a loro volta la propria scelta sia del partner sia del progetto generativo. Come non supporre, allora, che tutto questo si verifichi anche nei figli di coppie omosessuali che vivono una ben più profonda scissione parentale? Le ricerche per ora su questo sono mute.
A tali riflessioni se ne aggiungono di ulteriori circa gli strumenti utilizzati: la maggioranza delle ricerche si avvale di self-report somministrati solo ai genitori e li interpreta come un dato relativo al benessere dei figli. In realtà queste informazioni, come ben sanno gli studiosi, ci dicono SOLO della PERCEZIONE che hanno i genitori ed è del tutto comprensibile che, avendo essi investito moltissimo in questa causa, tendano a enfatizzare gli aspetti positivi di essa.
Non c’è insomma NESSUNA ricerca che utilizzi anche fonti informative esterne, ad esempio gli insegnanti, cosa che invece viene consigliata per ovviare a una distorsione (bias) troppo forte legata alla fonte dell’informazione.
Gli strumenti, infine, contengono item per la maggioranza dei casi volti a rilevare comportamenti e competenze; vengono omesse variabili rilevanti come il rapporto con il gruppo dei pari, con la famiglia estesa, e la costruzione degli aspetti identitari più profondi.
In breve, queste osservazioni suggeriscono GRANDI CAUTELE sulla generalizzabilità dei risultati, proprio per le limitazioni metodologiche e concettuali evidenziate.
Anche per il prosieguo delle ricerche svolte dopo il 2005 valgono molte delle limitazioni indicate, sebbene l’impiantodelle medesime si sia fatto più sofisticato con la presenza di alcuni disegni longitudinali e l’utilizzo di campioni più ampi.
Relativamente agli studi longitudinali, ricordiamo il US National Longitudinal Lesbian Family Study, che ha coinvolto e seguito nel tempo 77 famiglie composte da madri lesbiche in coppia, separate o single, che hanno avuto un figlio tramite inseminazione eterologa.
Considerando i resoconti delle madri circa il benessere dei figli (è stata coinvolta una sola madre per nucleo familiare, nella maggior parte dei casi la cosiddetta “madre biologica”), è emerso che i ragazzi allevati da madre lesbica, rispetto al gruppo normativo di confronto, hanno un miglior rendimento scolastico, buone competenze sociali e
minori problemi di esternalizzazione, quali comportamenti aggressivi e oppositivi. Considerando invece i resoconti dei figli circa la condotta e l’orientamento sessuale, emergono dati problematici, specialmente per quanto riguarda l’identità di genere: solo il 65% dei ragazzi si dichiara infatti esclusivamente eterosessuale.
Tra i risultati critici, infine, si evidenza che il 56% delle madri che erano in coppia al momentodella nascita del fi glio si sono in seguito separate, in media dopo circa 7 anni, una percentuale significativamente superiore rispetto al tasso
di divorzio genitoriale dei ragazzi coetanei, pari al 36%. La stabilità familiare, considerata tra i fattori più importanti per lo sviluppo dei figli, risulta così assai compromessa.
Per quanto riguarda il secondo caso, ricordiamo la ricerca del sociologo Mark Regnerus, oggetto di intenso dibattito per i risultati controcorrente. Questa ricerca ha considerato un campione ampio, casuale, rappresentativo di giovani adulti americani tra i 18 e i 39 anni, nel quale sono compresi anche figli che hanno almeno un genitore
omosessuale. Si tratta soprattutto di figli avuti da precedenti relazioni eterosessuali e figli adottati, non solamente figli “pianificati” tramite fecondazione artificiale o utero in affitto. Scopo del lavoro è stato confrontare i ragazzi cresciuti in differenti forme familiari (famiglie composte da genitori eterosessuali, famiglie adottive, famiglie separate e/o
divorziate, famiglie con un genitore omosessuale), relativamente a più di 40 variabili, con un focus particolare sugli aspetti relazionali, emozionali e sociali.
I risultati, di complessa lettura perché riferiti a sottocampioni specifici, hanno messo in luce, contrariamente al trend delle
ricerche sul tema, differenze significative tra i ragazzi con un genitore omosessuale e i ragazzi cresciuti fino ai 18 anni in famiglie composte da due genitori eterosessuali a favore di questi ultimi relativamente a: ricorso all’assistenza pubblica, identità di genere (identificazione nel proprio genere e interesse per l’altro sesso), rendimento scolastico, livelli di depressione, condotte sessuali (numero di partner sessuali), comportamenti a rischio (per esempio consumo di fumo, alcool, droga, episodi di arresti).
Potremmo proseguire, passando in rassegna le numerose ricerche pubblicate sulle famiglie omogenitoriali e proponendo i loro variegati esiti. Qui però ci interessa porre la questione fondamentale inerente al processo stesso di ricerca.
La ricerca scientifica in ambito psicologico, vale a dire entro le scienze del vivente e dell’azione umana, non è oggettiva, ma soggetta a un insieme di vincoli che vanno dalle presupposizioni dei ricercatori (loro implicazione compresa) fino agli strumenti che utilizzano (tecniche e statistiche comprese). Trattare la ricerca come nuova fonte di verità è un affronto nei confronti dei programmi di ricerca e di ciò che la filosofi a della scienza ha insegnato. La ricerca non “dimostra”, ma
indica il rilievo di alcune informazioni provenienti dalla medesima. Quale aspetto del fenomeno vogliamo considerare? Cosa intendiamo per benessere dei figli? La risposta a queste domande inevitabilmente
orienta il processo di ricerca.
Per quanto concerne le presupposizioni, peraltro diffuse anche tra i ricercatori, esse riguardano sia il valore attribuito agli individui e alle loro percezioni, sia l’idea che i modelli sperimentali e quasi sperimentali costituiscano la “vera scienza”. Ciò in linea con le concezioni post-positiviste tipiche della cultura psicologica nordamericana.
Ne consegue che rare sono le ricerche che utilizzano informazioni di tipo interattivo con l’individuazione di pattern che caratterizzano lo scambio dal vivo, e ancor più rare quelle che fanno riferimento a concezioni di tipo generazionale che si occupano di identità e di ciò che passa tra le generazioni, della qualità e del senso dei legami e delle loro vicissitudini nello scorrere del tempo. C’è insomma un evidente riduzionismo in ambito di ricerca familiare dovuto alla predominanza di modelli che si orientano in senso individuale e cognitivo/comportamentale (gli individui genitori e l’individuo bambino) e alla caduta di modelli psicodinamico-fenomenologici volti alla ricerca di senso, alla individuazione delle risorse e dei problemi inerenti al legame tra gli uomini a partire da quello generazionale.”
Fai clic per accedere a scabini-cigoli.pdf
Non é possibile che ogni volta si citino studi riguardo i non eischi dei bambini adottati da coppie omosessuali o, addirittura, come alcuni studi recitano ….ripeto RECITANO… che tali bambini crescerebbero più sani e più belli. Sono studi di parte, spesso non supportati da argomentazioni scientificamente valide, ed il confronto viene effettuato ad arte con coppie etero che presentano gravi situazioni di disagio sociale. Come è stato già detto, la lobby omosessuale ormai domina a tutti i livelli un Occidente svuotato di valori, pigro e decadente. Distruggendo la famiglia, il demonio crede di poter dare l’ultimo colpo ad un mondo in disfacimento morale e di conseguenza economico, sociale e culturale. In ogni caso, il discorso è a mio avviso molto più semplice: UN BAMBINO HA BISOGNO DI UNA MADRE E DI UN PADRE. Il resto sono illazioni strumentali ed inutili… mi correggo: non inutili, estremamente dannose. Dare troppo credito e disquisire eccessivamente con i profeti di morte non è nè opportuno nè utile.
Beh…profeta di morte non me lo ha mai detto nessuno, e, ancora, mi spiace che certe discussioni debbano essere costantemente viziate dal pregiudizio. Che interesse avrei io a dire che una famiglia diversa da quella padre, madre(sposati) e figli debba essere considerata come tutte le altre; o che, forse, sono altri gli elementi che caratterizzano e qualificano la possibilità del bambino di crescere in modo sano? Nessuno. Credo invece, che proprio se ed in quanto si vogliono tutelare le persone (tutte e i bambini in primis) si dovrebbe provare a capire realtà che ci sembrano lontano e assurde per il nostro consueto modo di vivere. Ho l’impressione che talvolta si faccia un po’ di confusione nel rapporto tra posizioni tenute e valori che si pretende di tutelare. Si fa cioè, più attenzione a mantenere una posizione che riflettere sul senso che quella posizione ha nella sua funzione di tutela per la persona. Fino quindi ad affermare cose molto dure: la “lobby omosessuale” che “domina l’Occidente”, e a chiamare in causa “forze demoniache”. Insomma mi sembra davvero tutto un po’ surreale.
In ultimo (giusto perché in questi giorni ho un po’ di tempo), mi è capitato di imbattermi in un’intervista che un po’ smentisce sia chi è “a favore” sia che i è “contrario” (la sto semplificando) anche se poi emerge un po’ una certa propensione di accoglienza verso la possibilità di riconoscere adozioni a coppie omosessuali. Ma, al di là di tutto, fornisce molti spunti interessanti.
https://figlidichi.wordpress.com/2014/05/20/intervista-alla-dr-ssa-falasconi-acp-italia/
La follia prossima ventura:
http://www.tempi.it/ieri-donna-domani-uomo-dopodomani-vediamo#.VH7p78mLXkd
Dan, mi scuso per non essere stato chiaro. L’espressione “profeti di morte” non si riferiva a te, ma ad una ideologia dominante o che vorrebbe dominare (lobby di vario tipo, atteggiamenti cristofobici presenti anche nelle nostre legislazioni e classi dirigenti, ecc.). Non è da me offendere, mi dispiace per l’equivoco dovuto alla mia fretta nello scrivere durante il lavoro. Poi si possono avere pareri diversi, tuttavia ribadisco che due omosessuali possono essere persone migliori di un padre e una madre “tradizionali”, ma questo non significa che si possa ritenere migliore o legittima una famiglia che non segue l’ordine naturale. E che esistano poteri forti che stanno invadendo la società e le scuole con la pressante ideologia gender, come sanno molti insegnanti, non è un’invenzione.
Un libro da leggere senz’altro! Grazie di questo articolo.
Commento solo per arrivare a 100. Tema dell’ accesa discussione: è cosa buona, necessaria, che un bambino, e tanto più un bambino adottato, abbia un padre e una madre? Cose da pazzi. (filosofiazzero, ti credevo più libero intellettualmente, invece mastichi la solita minestra che ti viene propinata da Dan e compagni.
Vanni:
…qualche minestra bisogna masticarla tutti.
Vanni:
“Distruggendo la famiglia, il demonio crede di poter dare l’ultimo colpo ad un mondo in disfacimento morale e di conseguenza economico, sociale e culturale.”
Ecco, per esempio, se tu avessi evitato di menzionare il demonio, il tuo discorso sarebbe stato un discorso
ragionevole. Menzionando il demonio esso (il tuo discorso) perde completamente di credibilità.
O te questo non lo capisci?
p.s. per quanto riguarda le mie sgrammaticature eeccetra, ti do perfettamente ragione.