Recinti

da L’OMO SALVATICO

Ancora una volta qui, salita dopo salita, tornante dopo tornante, sono arrivato anche quest’anno sull’altopiano delle Serre, per ritrovarmi davanti allo  stesso immenso portone che già so, rimarrà sbarrato … Quella del monastero certosino è una soglia che non si varca. Il solito cartello comunica, con modi garbati, che per favorire la meditazione e la preghiera dei monaci  non è consentito l’accesso di visitatori alla certosa.

Giro le spalle e torno sui miei passi per la consueta  passeggiata attorno alle mura di cinta, fortificate da stupendi torrioni simili a coni di gelato rovesciato. Architettura inconsueta che parla della storia di un uomo, San Bruno da Colonia, e dei suoi confratelli che, nell’anno mille, fondano la prima comunità di monaci in Francia, sulle montagne della Chartreuse, per poi portare in Calabria, alle porte del Mediterraneo, un pezzo del cuore profondo dell’Europa.

Che ci faccio ancora qui? All’esterno di quattro inaccessibili mura che ormai conosco meglio delle mie tasche … Perchè tornare, anno dopo anno, senza vedere, incontrare, toccare? Che cosa ha da dirmi una comunità di monaci invisibili, al punto, da incominciare a pensare che in fondo possa essere già  estinta e che ciò che aleggia nell’aria non è nient’altro che la sua ombra, l’ombra di Kakemusha? … Eppure sono persuaso che proprio qui, davanti ad un portone chiuso, ci sia ancora  qualcosa da imparare. L’uomo occidentale ha, da tempo, lasciato la terra e preso il largo, nel mare aperto senza limiti e confini. Con la sua carta di credito può raggiungere qualsiasi angolo del pianeta, può comprare titoli nei più disparati mercati, beni di ogni genere su tutte le piazze del mondo, ma non può entrare nel monastero di Serra San Bruno. Qui non c’è moneta, non c’è scambio, non c’è negozio. Qui le relazioni si danno gratuitamente secondo il giogo dolce di Cristo e si custodiscono e difendono attraverso un confine ben definito e marcato da alte e spesse mura.

La situazione, i luoghi, lo spazio mi rimandano a quanto avevo letto una volta sul “Nomos della Terra” di Carl Schmitt: “In principio sta il recinto. Recinto, recinzione, confine determinano profondamente nei suoi concetti il mondo formato dagli uomini. La recinzione è ciò che produce il luogo Sacro sottraendolo al consueto, sottoponendolo alla sua propria legge, consegnandolo al Divino”. Questa immagine mi aveva così profondamente impressionato da averla assunta a coronamento del mio matrimonio. In fondo anche questa è una vocazione! A proposito di rito nuziale mi aveva colpito, tempo fa,  vedere ad Atene due coniugi ortodossi infrangere i loro calici dopo aver bevuto l’uno nell’altro, ciò perchè nessuno vi potesse più bere … Cingere i fianchi, tracciare un cerchio, definire, delimitare, significa in qualche modo dare forma all’informe, appartenere, radicarsi, scegliere la terra. Dopotutto il mare non ha carattere, dice Schmitt, parola che deriva dal greco charassein, che significa, appunto, scavare, incidere, imprimere. “Nel mare non è possibile seminare e neanche scavare linee nette. Le navi che solcano il mare non lasciano dietro di sè nessuna traccia. Sulle onde tutto è onda.”

69 pensieri su “Recinti

  1. Quanto abbiamo perso del senso di pudore, del riserbo, del rispetto per lo spazio altrui.
    Infatti, spesso penso che se servono così tante leggi per tutelare la privacy è perché in realtà non esista più una vera privacy.
    Bella l’immagine del recinto associata al matrimonio. La famiglia dovrebbe essere proprio questo: un posto sicuro e protetto dove far crescere e maturare gli esseri umani.

  2. Alessandro

    “Nella “cultura” che si è diffusa soprattutto nella seconda metà del Novecento, era tale l’esaltazione della libertà e l’orrore per i divieti che è parso intollerabile imporre ai cittadini quella sorta di “gabbia” che erano le recinzioni: ogni spazio doveva essere sempre e integralmente accessibile a tutti […]

    Ciò che è avvenuto nell’arredo urbano può essere visto come un segno e quasi una parabola di ciò che sta caratterizzando la società moderna e persino la comunità cristiana dei nostri tempi. Da ogni parte, con frequenza si può dire quotidiana, risuonano le parole di biasimo e addirittura d’indignazione nel confronti delle “chiusure”, degli “steccati”… senza che contestualmente ci si preoccupi di verificare se per caso con queste insofferenze si salvaguardi il carattere intrinseco dei luoghi […]

    Un vescovo o un presbitero che affidasse a un musulmano un ministero attivo entro la liturgia cattolica o chiamasse un ateo a infliggere, addirittura nella chiesa cattedrale, al popolo dei credenti un discorso secondo le proprie convinzioni anticristiane non avrebbe delle idee “larghe”, avrebbe delle idee un po’ annebbiate. Dimostrerebbe di non avere alcuna misericordia per il suo gregge innocente e indifeso, e di non amare abbastanza la verità di Dio che ci è stata donata.
    C’è perfino chi magari si compiace di avere introdotto tra le iniziative ecclesiali la “cattedra dei non credenti”; una novità tanto generosa e “aperta” quanto teologicamente infondata e pastoralmente insipiente.”

    (Giacomo Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli 2010, pp. 20-22)

  3. Perfectioconversationis: restando in Francia, Baudelaire:

    “Au-dessus des étang, au-dessus des vallèes,
    Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
    Par delà le soleil, par delà les éthers,
    Par delà les confins des sphères ètoilées,

    Mon esprit, tu te meus avec agilité,
    Et comme un bon nageur qui se pa^me dans l’onde,
    Tu sillonnes gaiment l’immensité profonde
    Avec une indicible e ma^le volupté.”

    Non abbiamo qui a che fare con l’ideale filosofico stoico,
    (dal quale, anche, è venuto il cristianesimo)
    che consiste nell’abbandonarsi serenamente
    all’ abbraccio del cosmo eterno e infinito?

    Uomini-monaci stoici-benedettini tutt’uni.

    1. Alessandro

      Il cristianesimo non viene dall’ideale filosofico stoico.
      Per dirne solo una: il cristiano crede in un Dio personale che crea il cosmo ed è assolutamente ad esso irriducibile, trascendente.

      1. Come non detto…
        (avevo, però, scritto, “anche” potevo aggiungere “anche” platonico oltre che, naturalmente,, purtroppo, vetero testamentario)
        (come non detto, mi rimangio tutto, ovviamente)
        (o mangio questa minestra o salto dalla finestra)

    2. perfectioconversationis

      ad Alvise:

      Le bateau ivre

      Comme je descendais des Fleuves impassibles,
      Je ne me sentis plus guidé par les haleurs :
      Des Peaux-Rouges criards les avaient pris pour cibles,
      Les ayant cloués nus aux poteaux de couleurs.

      J’étais insoucieux de tous les équipages,
      Porteur de blés flamands ou de cotons anglais.
      Quand avec mes haleurs ont fini ces tapages,
      Les Fleuves m’ont laissé descendre où je voulais.

      Dans les clapotements furieux des marées,
      Moi, l’autre hiver, plus sourd que les cerveaux d’enfants,
      Je courus ! Et les Péninsules démarrées
      N’ont pas subi tohu-bohus plus triomphants.

      La tempête a béni mes éveils maritimes.
      Plus léger qu’un bouchon j’ai dansé sur les flots
      Qu’on appelle rouleurs éternels de victimes,
      Dix nuits, sans regretter l’oeil niais des falots !

      Plus douce qu’aux enfants la chair des pommes sûres,
      L’eau verte pénétra ma coque de sapin
      Et des taches de vins bleus et des vomissures
      Me lava, dispersant gouvernail et grappin.

      Et dès lors, je me suis baigné dans le Poème
      De la Mer, infusé d’astres, et lactescent,
      Dévorant les azurs verts ; où, flottaison blême
      Et ravie, un noyé pensif parfois descend ;

      Où, teignant tout à coup les bleuités, délires
      Et rhythmes lents sous les rutilements du jour,
      Plus fortes que l’alcool, plus vastes que nos lyres,
      Fermentent les rousseurs amères de l’amour !

      Je sais les cieux crevant en éclairs, et les trombes
      Et les ressacs et les courants : je sais le soir,
      L’Aube exaltée ainsi qu’un peuple de colombes,
      Et j’ai vu quelquefois ce que l’homme a cru voir !

      J’ai vu le soleil bas, taché d’horreurs mystiques,
      Illuminant de longs figements violets,
      Pareils à des acteurs de drames très antiques
      Les flots roulant au loin leurs frissons de volets !

      J’ai rêvé la nuit verte aux neiges éblouies,
      Baiser montant aux yeux des mers avec lenteurs,
      La circulation des sèves inouïes,
      Et l’éveil jaune et bleu des phosphores chanteurs !

      J’ai suivi, des mois pleins, pareille aux vacheries
      Hystériques, la houle à l’assaut des récifs,
      Sans songer que les pieds lumineux des Maries
      Pussent forcer le mufle aux Océans poussifs !

      J’ai heurté, savez-vous, d’incroyables Florides
      Mêlant aux fleurs des yeux de panthères à peaux
      D’hommes ! Des arcs-en-ciel tendus comme des brides
      Sous l’horizon des mers, à de glauques troupeaux !

      J’ai vu fermenter les marais énormes, nasses
      Où pourrit dans les joncs tout un Léviathan !
      Des écroulements d’eaux au milieu des bonaces,
      Et les lointains vers les gouffres cataractant !

      Glaciers, soleils d’argent, flots nacreux, cieux de braises !
      Échouages hideux au fond des golfes bruns
      Où les serpents géants dévorés des punaises
      Choient, des arbres tordus, avec de noirs parfums !

      J’aurais voulu montrer aux enfants ces dorades
      Du flot bleu, ces poissons d’or, ces poissons chantants.
      – Des écumes de fleurs ont bercé mes dérades
      Et d’ineffables vents m’ont ailé par instants.

      Parfois, martyr lassé des pôles et des zones,
      La mer dont le sanglot faisait mon roulis doux
      Montait vers moi ses fleurs d’ombre aux ventouses jaunes
      Et je restais, ainsi qu’une femme à genoux…

      Presque île, ballottant sur mes bords les querelles
      Et les fientes d’oiseaux clabaudeurs aux yeux blonds.
      Et je voguais, lorsqu’à travers mes liens frêles
      Des noyés descendaient dormir, à reculons !

      Or moi, bateau perdu sous les cheveux des anses,
      Jeté par l’ouragan dans l’éther sans oiseau,
      Moi dont les Monitors et les voiliers des Hanses
      N’auraient pas repêché la carcasse ivre d’eau ;

      Libre, fumant, monté de brumes violettes,
      Moi qui trouais le ciel rougeoyant comme un mur
      Qui porte, confiture exquise aux bons poètes,
      Des lichens de soleil et des morves d’azur ;

      Qui courais, taché de lunules électriques,
      Planche folle, escorté des hippocampes noirs,
      Quand les juillets faisaient crouler à coups de triques
      Les cieux ultramarins aux ardents entonnoirs ;

      Moi qui tremblais, sentant geindre à cinquante lieues
      Le rut des Béhémots et les Maelstroms épais,
      Fileur éternel des immobilités bleues,
      Je regrette l’Europe aux anciens parapets !

      J’ai vu des archipels sidéraux ! et des îles
      Dont les cieux délirants sont ouverts au vogueur :
      – Est-ce en ces nuits sans fonds que tu dors et t’exiles,
      Million d’oiseaux d’or, ô future Vigueur ?

      Mais, vrai, j’ai trop pleuré ! Les Aubes sont navrantes.
      Toute lune est atroce et tout soleil amer :
      L’âcre amour m’a gonflé de torpeurs enivrantes.
      Ô que ma quille éclate ! Ô que j’aille à la mer !

      Si je désire une eau d’Europe, c’est la flache
      Noire et froide où vers le crépuscule embaumé
      Un enfant accroupi plein de tristesse, lâche
      Un bateau frêle comme un papillon de mai.

      Je ne puis plus, baigné de vos langueurs, ô lames,
      Enlever leur sillage aux porteurs de cotons,
      Ni traverser l’orgueil des drapeaux et des flammes,
      Ni nager sous les yeux horribles des pontons.

    1. Alessandro

      “Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità del proprio essere.
      La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico.

      Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi.

      Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? E’ importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita.

      Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità di essere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche proprie dei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali.

      Ne consegue che esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro”

      (Benedetto XVI, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2011 – Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale)

  4. 61Angeloextralarge

    Sapere che ci sono ancora luoghi dove la clausura è impenetrabile, mi riempie di gioia!
    Non voglio criticare né demolire quei luoghi dove la clausura si è un po’ ammorbidita, anche perché “faccio uso” attualmente di uno di questi per ricaricare periodocamente le mie pile spirituali. Ho avuto anche altre occasioni di pregare in monasteri e conventi di clausura (ovviamente femminili): sono sempre rimasta “ospite esterna” e non ho mai vissuto, né pregato gomito a gomito con le suore e le monache. La clausura è clausura! E già era tanto che mi avessero accolta! Da un paio di anni ho questa meravigliosa grazia di pregare ma soprattutto vivere gomito a gomito con le monache: lo considero un grandisimo dono! Soprattutto perché mi rendo conto che in queste situazioni sono una mina vagante. Siamo come il giorno e la notte: io “casciarona” e “terremoto” in un luogo avvolto nel silenzio totale. Incredibile ma vero! Adesso, dopo tutte le volte che ho avuto occasione di fare questa esperienza, mi viene naturale frenare la lingua, non usare il telefono, etc. Ma le prime volte, anche se ci sono sempre riuscita (a parte qualche silenzioso sms), è stata una forzatura! Offerta gioiosamente, ma comunque una forzatura. Avete presente gli elefanti in un negozio di cristalleria? Uguale! 😉
    Ripeto: sapere che ci sono ancora luoghi dove la clausura è impenetrabile, cioè clausura rigida, non contaminata, mi riempie di gioia! 😀
    Credo che il carisma originario di una comunità sia fondamentale! Sì, è anche fondamentale lasciare che lo Spirito Santo ispiri cose nuove! Ma ho un debole per le cose “spirtualmente antiche”. un po’ come i cappelletti fatti a mano in casa, che battono sempre quelli fatti a mano (se fatti a mano) della pasta fresca! Slurp! 😉

      1. 61Angeloextralarge

        Angelina: Wow! Quasi quasi comincio orgogliosamente ad alzarmi da terra! Che bello avere l’extra large che mi fa da zavorra! 😀

  5. “La cosa da fare oggi è recuperare lo STOICISMO, purificare il cristianesimo dall’eredità d’Israele” scriveva Simone Weil in conclusione dei suoi Quaderni. E ancora più esplicitamente: “occorre, comunque, un’altra religione. Oppure un cristianesimo mutato al punto da essere diventato altro, o altra cosa”
    Da quando l’uomo ha cominciato a essere homo faber si è messo a costruire muri/a e ancora lo sta facendo, tranquilli!!!

  6. Erika

    Davvero bella questa riflessione sul recinto, sul confine.
    Ed è inoltre difficile da capire proprio in quanto evoca l’idea di costrizione, o di protezione parossistica.
    Allora mi (e vi) chiedo: perché è così difficile avere un’idea equilibrata del limite, del confine?
    La casa deve essere “chiusa” ai pericoli esterni, ma perché poi finiamo per chiuderla anche ciò che di buono può
    venire dall’esterno?

    Il matrimonio è uno spazio chiuso e definito dei coniugi, ma per alcuni questo trascende in forme di violenza possessiva.
    Un Paese ha bisogno di confini, per definire se stesso, per difendersi, ma questo non dovrebbe significare chiudere quei confini ad altri fratelli, esseri umani, che hanno bisogno di aiuto.
    Insomma, il concetto davvero vasto, se tutti avessimo lo stesso senso del confine credo avremmo risolto la metà dei probemi (socialmente parlando).

    1. Erika, Erika, santa Erika… 🙂
      non vedo l’ora di poter dire la mia in merito con un post (ora ne ho un altro in canna). Al momento copio e incollo quello che ho scritto sulla bacheca fb di Costanza, sotto la citazione di Schmitt: «Correttissimo e verissimo, se non si dimentica che Cristo ha “consegnato al Divino” anche lo spazio pro-fano, fuori dalla cinta muraria: difatti l’orizzonte escatologico (che è quello della vita quotidiana e mistica del cristiano) non prevede l’arginamento del mare, ma la sua scomparsa».

      1. lidia

        Cyrano, te il post lo puoi anche scrivere, ma tanto i commenti saranno sempre gli stessi. Scusa, è brutale, ma è la verità, tu hai visto anche solo un segno di recezione di istanze diverse? Io ormai mi sono messa il cuore in pace.
        Erika, che Dio ti benedica, hai detto una grande verità: se avessimo il senso del confine, del “so chi sono e perciò non ho bisogno di recinti, tranne di quelli dell’amore e delle sue esigenze ( anche la Chiesa è una famiglia)” staremmo tutti meglio.
        Il commento sul pudore di Andreas è molto bello e molto vero.

        1. a dire il vero sì, ne ho visti, di quei segni che dici. Quelli che sto ancora aspettando, e che spero con maggiore fiducia, dovrebbero venire da me. Quindi continuo. 😉

          1. lidia

            Ebbene, allora ritiro ciò che ho detto e aspetto anche io con ansia il tuo post (metti il riassunto?)
            Forse il bello sta proprio qui: riuscire a mettersi in ascolto dei commenti, forse io non l’ho fatto abbastanza e mi sono sfuggiti particolari preziosi.
            Questa è una bella immagine del recinto: la calma che permette di isolarsi con colui/loro che si vuole/vogliono ascoltare.

    2. Post davvero bellissimo!

      @ Erika
      Schmitt parla del recinto. Un altro pensatore, Ortega y Gasset, svolge considerazioni analoghe a proposito del castello. Entrambe queste fortificazioni simboleggiano in fondo una cosa molto semplice, come ha intuito danicor: il pudore.
      Una psicanalista, Monique Selz, qualche anno fa ha scritto un bellissimo saggio sul pudore come luogo di libertà. Il pudore nasce proprio dalla coscienza di un luogo interno della persona, un luogo che ne preserva l’identità profonda e crea le condizioni per uno sviluppo pieno dell’individuo in seno alla collettività. Senza pudore la personalità rimane agli stadi primari del narcisismo, diventa incapace di aprirsi veramente all’altro. Ora, il concetto stesso di pudore, la Selz lo dice apertamente, è sotto attacco nella nostra società. Non è certo la prima a dirlo, ma ha il pregio di dimostrarlo e argomentarlo dal punto di vista della psicanalisi, dell’antropologia, del diritto, ecc. È in corso un’offensiva in piena regola nei confronti dell’unicità della persona, si attenta alla libertà personale in nome di quella che la Selz chiama “dittatura della trasparenza”. Il comandamento è: “Tutto deve essere detto”. Se ci pensiamo anche la verbosità tanto di moda oggi è segno della disgregazione del muro di separazione tra l’interiorità e l’esteriorità, come se la persona non avesse più argini in grado di contenere ciò che sta al suo interno. Oggi è aggredita l’idea stessa di limite, di confine. I barbari hanno aggredito il recinto. È in pericolo l’identità personale. Ecco perché è così difficile parlare di queste cose.

      1. 61Angeloextralarge

        Andreas: scusa il ritardo ma mi sono dimenticata di lasciarti lo SMACK!
        Va bene lo stesso? 😀

    3. Alessandro

      “perché è così difficile avere un’idea equilibrata del limite, del confine?”

      Perché a mio parere il confine evoca bene o male a secondo di ciò a cui si riferisce. Basta una rapida recensione lessicale per accorgersene, credo.

      Rattristerebbe l’amato l’amante che professasse amore finito, e non infinito, non sconfinato.

      D’altra parte nessuno compos sui vorrebbe che i confini della propria casa fossero violati da uno scellerato sanguinario, gradirebbe che questo tale avesse accesso sconfinato alla sua proprietà.

      Chi finisce il lavoro che l’ha occupato a lungo è soddisfatto, ma talora sembra che un lavoro, un’opera non sia ancora perfetta, vada ri-finita senza posa.

      Non è piacevole giungere s-finiti al termine (alla fine) di una intrapresa, perché è sempre arduo sperimentare il limite, il confine.

  7. Forse dico una cazzata, ma citatemi un solo film nella cinematografia monfiale che presenti l’aborto in maniera positiva.
    In tutti i film che conosco io l’aborto l’ho sempre visto trattato come una possibilità di scelta drammatica, con grossi conflitti interiori e con gli altri che lasciavano devastata la vita delle persone. Sempre.Ditemi voi se non è vero.
    Non esiste, in realtà, una cultura ABORTISTA. Esiste una cultura a favore del diritto di abortire. Esiste invece una cultura ANTIABORTISTA.

    1. angelina

      “Non esiste, in realtà, una cultura ABORTISTA. Esiste una cultura a favore del diritto di abortire.”

      Ah, chiaro. Classico esempio di ANTILINGUA. Cioè: non che abortire sia bello, ma comunque siamo a favore del diritto di fare c***

      Così, pian piano passiamo dalla questione giusto/sbagliato a …cosa Alvise?

    2. Alessandro

      Una cultura che propugna un diritto ad abortire è una cultura che non ritiene procurare l’aborto un male in sé (tant’è che lo considera moralmente lecito). Non saprei come chiamare cultura siffatta se non “cultura abortista”, o “cultura filo-aborto”

      1. Allora, è corretto dire: un miliardo di morti in trenta anni dovuti alla cultura abortista imperante.
        10 miliardi in 300 anni, 100 in 3000 e così via…
        Ma a parte la immensità dei numeri io avevo chiesto: avete mai visto un film abortista, avete mi letto un libro abortista?
        Perchè da come presentate stupefacente l’uscita di un film antiabortista vuole dire che tutti gli altri o sono abortisti o non si occupano della questione. Dovrebbero farlo, invece? O si assiste secondo voi alla mostruosità che mentre si “assassinano” milioni di bambini non nati (va bene così?)intanto si guarda (ancora)in azione Joe Turner o Paul Bratter o Billy the Kid?

        1. abortista è chi chiama “diritto” un “delitto”: le lacrime di coccodrillo e i melodrammi alla cento vetrine non giustificano nessuno.

          1. Basta leggere le prime dieci righe di questa cosa che hai citatto per capire che NON esistono letteratura e un cinema
            aborstisti. Se si capisce quello che voglio dire. Se non si capisce vuol dire che non mi so spiegare.

            1. Alessandro

              esiste senza dubbio però una produzione filosofica, bioetica e giuridica di marca abortista (il saggio che ho citato sopra ne è un esempio eloquente, ancorché speculativamente sciatto)

              1. Sono un demente, non so farmi capire, o forse dico cose imbecilli, prova ne sia che NESSUNO MAI interviene per dire che non dico proprio solo cazzate ma che cerco di discutere, Mentre invece è benvenuto chi vuo fare pubblicità alle scuole deo padri scolopi, per esempio, o simili!!!!

                1. Alessandro

                  Non esagerare! Non è vero che tutti ti diano torto… ad es. sulla questione della letteratura “abortista” si è discusso e mi pare ci si sia chiariti…

                  1. Va bene, ci siamo chiariti, hai citato una rivista scientifica che intendeva in fondo suggerire la maggior diffusione degli sceening in gravidanza e un riassunto vaticano che diceva cose pacifiche, e poi naturalmente ci sono giornali a favore della legge sull’aborto e altri contro, ecco qua.

                    1. Alessandro

                      Veramente, come scrive Joe Turner, i “giornali” (intesi come quotidiani e riviste e in genere mass media) che sostengono posizioni abortiste sono tanti, certamente più di quelli che sostengono posizioni opposte. Lo stesso dicasi di “politici, maitre a penser, guru”.
                      Quanto alla produzione scientifica, ribadisco che esiste una cospicua produzione filosofica, bioetica e giuridica di marca abortista (e il saggio che ho citato è un’apologia neanche tanto velata dell’aborto e dell’infanticidio, non un invito a ricorrere allo screening prenatale).

                2. JoeTurner

                  ma non è che siamo obbligati a intervenire su qualsiasi cosa ti salti per la testa. Non ci sono film dichiaratamente pro-aborto, può darsi e allora? ci sono leggi, giornali, riviste, politici, maitre a penser, guru, neo-lingue tutti a dirci che l’aborto è un diritto, che il feto è un’escrescenza, che strappare un bambino dalle viscere è medicina. Ma che vuoi che me ne freghi della cinematografia!!!!

                  1. Un passo indietro: si stava parlando della rarità di un film antiaborto uscito in America, (ma ce n’è stati altri,)
                    quando la rarità vera sarebbe se ci fosse mai stato un film pro aborto!!!
                    Lo so che te vai numeri, ma così è iniziata la discussione. lo so che tutti sono pro legge 140, e che voi soli vi opponete, e fate bene, se pensate che non sia una legge giusta fate bene.

  8. perfectioconversationis

    Il confine, il recinto, l’hortus conclusus. Cioè, monasticamente, il chiostro: uno spazio chiuso al mondo, ma aperto verso l’alto, aperto al Cielo e a Dio. La via della natura e quella della Grazia che si intrecciano, la seconda presupponendo e superando la prima.
    La triplice cinta che si trova dai graffiti rupestri in Val Camonica ai chiostri di mezza Europa, i cavalieri templari la graffiarono sui muri durante la loro prigionia nel castello di Chinon. La triplice cinta del cuore, da custodire e donare, con estrema cautela e assoluta generosità.
    Il cristianesimo è anche una religione cosmologica, orientata, incarnata. Non dimentica dove sorge il sole, il valore del fuoco, dell’acqua, del vino e del pane, del sangue e della luce.
    Non si tratta di scegliere se perdersi in una natura panica e senza limiti o di chiudersi a chiave e negarla del tutto, al contrario, nella liturgia la natura assume un ordine, un’origine e un fine, un disegno sensato, che chiaramente non potremmo vedere dal fondo di una corrente che ci trascina, ma solo da una vetta che ci innalza.
    Senza confine non si acquisisce più libertà, si perde al contrario ogni forma.

    1. 61Angeloextralarge

      Daniela: bello! Smack! 😀
      Na’ miseria gli smack che tocca lasciare in questo post! E cccche è? 😉 Va beh! Tutti dentro al recinto!

  9. 61Angeloextralarge

    Credo molto nel “recinto” e nella difesa rigida della sua invalicabilità. Oltre a questi luoghi che elevano al Cielo, credo che ci dovrebbe essere più invalicabilità anche nei luoghi sacri dove il recinto non c’è. Proprio ieri ho intravisto il Santo Rosario in diretta da Lourdes: proprio il tempo di notare che durante la preghiera c’erano alcuni pellegrini che passavano davanti al fraticello che stava guidando il momento, e toccavano le pareti della grotta. Perché farlo proprio mentre c’è la preghiera e distrarre chi parsta pregando? Io me ne sto molto ad occhi chiusi, ma non tutti fanno così. Avrei voluto andare lì e mettere un recinto! Scusate la cattiveria ma quanno ce vo ce vo!!

  10. Amo Serra San Bruno e i suoi abeti bianchi giganteschi, ci sono stata solo due volte, la seconda delle quali l’estate prima di sposarmi, e ci ho portato mio marito. Che voglia di tornarci!!! Ci porterò i miei figli, ce la devo fare!
    Buon pomeriggio a tutti!

    1. 61Angeloextralarge

      sorellastragenoveffa: pregherò perché questo si realizzi! 🙂
      Anche tu buongustaia, vedo! 😀

  11. Eppure ci sarà un tempo in cui non ci saranno più recinti, in cui non ci sarà neppure più il tempio, perché la Città stessa e l’Agnello che è in essa sono il suo tempio. Un tempo in cui non ci saranno più sacro e profano, non perché tutto sia diventato santo, ci mancherebbe, ma perché tutto è consacrabile.
    Sono sempre rimasto impressionato da un passaggio del dialogo con madonna povertà, uno dei primi scritti francescani, in cui la Povertà domanda ai frati dove sia il loro chiostro e Francesco la porta in cima al Subasio e da lì guardando in basso dice “questo Madonna è il nostro chiostro”. Il chiostro è il mondo! Perché il limite non è più un limite fisico, ma un limite che ci portiamo dentro e l’appartenenza non è data dallo spazio, ma dal cuore. C’è in quella frase tutta la spiritualità francescana!
    Delimitare? Sì delimitare è appartenere e non c’è chi possa dire un sì se accanto a questo non dice mille no (ho sposato una donna e quindi dico no a tutte le altre…), altrimenti siamo pupazzi al vento, uomini impagliati. Ma delimitare non è chiudere, separare non è dividere, come chi è fedele alla propria donna non per questo deve rifiutarsi di incontrare qualsiasi essere umano di sesso femminile.

  12. Erika

    Lidiafederica e AngeloXL: troppo buone, come sempre.

    Cyrano: sono molto ansiosa di leggere il tuo post 🙂
    Andreas: molto interessante la riflessione sul pudore, che condivido.
    Penso sia vero che i barbari hanno vinto, ma erano già dentro il recinto.

  13. Il recinto è come l’abito che Dio ha dato ad Adamo ed Eva (abito abitudine, come ricordava la meravigliosa perfectioNONSOLOconversationis in un altro post), serve in funzione del fatto che c’è il peccato. Come dice Don Fabio, “ci sarà un tempo in cui non ci saranno più recinti”…
    Si esalta il recinto non perché non si ami il mescolarsi (l’essere lievito, ci ricorda Fefral spesso, serve se uno si mescola alla farina), si esalta il recinto perché per tanto, troppo tempo si è negato che fossero necessari, anzi, si è affermato che fossero catene, che fossero la causa di tutti i mali…
    E invece erano cordoni ombelicali
    http://danicor.wordpress.com/2011/06/20/catene/

  14. ora potrei inventarmi qualche collegamento con il recinto, ma non sono così ipocrita.
    Per promuovere le scuole ho bisogno di qualche click e qualche retweet
    mi permetto di chiedervelo sicuro che se ho sforato admin interviene di taglio e io capisco
    per ora grazie

    Le donne della Monforte, la scuola che esalta il femminile
    Claudia Bertolini
    Da Milano alla Virginia Tech
    http://ow.ly/aaPlZ

    1. giorgio

      Grazie! Ma così stasera stanotte ho dimenticato di cenare. Bellissimo. Dormiro di più domani.

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