I fondamenti della vita spirituale

Nel ricordarvi l’appuntamento di questa sera del MonasteroWiFi Roma al Battistero di San Giovanni in Laterano, pubblichiamo la catechesi del mese scorso di don Marco Pavan

Roma, 6 ottobre 2025 Incontro del Monastero WiFi presso il Battistero di San Giovanni in Laterano
CATECHESI di PADRE MARCO PAVAN: “ABITARE LA CASA DI DIO. I fondamenti della vita spirituale”.

Mi presento. Mi chiamo Padre Marco, buonasera, grazie di questo invito e anche della possibilità per me di vedere per la prima volta questo meraviglioso battistero, che non avevo mai visto. Dunque, io sono eremita, vivo come eremita in Toscana, in Casentino, vicino Camaldoli da diciotto anni, però sono monaco da trenta. Insegno qui a Roma all’Angelicum e il mio ambito di studio è l’insegnamento della Bibbia, i libri sapienziali, i Salmi in modo particolare .


Mi è stato chiesto di mettere a fuoco il tema della vita spirituale.
“I fondamenti o anche il fondamento della vita spirituale”; quindi ripartire dalle cose basilari, per migliorare o anche per far crescere la nostra vita spirituale.
Io direi che il punto di partenza è proprio una domanda e, nella catechesi di stasera,
cercherò di sviluppare una possibile risposta a questa domanda .
“Che cos’è la vita spirituale?”. Noi sentiamo parlare di vita spirituale, utilizziamo questa parola “vita spirituale”, probabilmente, nella nostra testa, contrapponendo la vita spirituale a ciò che non è spirituale, senza però aver chiaro, talvolta, che cosa sia avere, coltivare, far crescere, custodire una vita spirituale. Quando Costanza mi diceva di provare a riflettere su questo argomento, mi sono venute in mente le parole di un monaco del sesto secolo, si chiamava Giovanni Cassiano.

Egli racconta esattamente questo: insieme ad un suo confratello e amico ad un certo punto si trovava in quello che oggi noi chiamiamo il Medio Oriente, e, desideroso di andare alle radici della vita monastica e quindi della vita spirituale, è andato in Egitto, dagli eremiti, per ascoltare i loro insegnamenti. La prima di queste “conferenze”, incontri con i monaci, è con un tizio che si chiamava Abba Mosè. Tra
l’altro, ci raccontano i testi che era una specie di brigante, capobanda, mezzo mafioso, che ad un certo punto cambia completamente vita e va nel deserto, vive in una cella fino alla fine dei suoi giorni. Una figura non strana tra i padri del deserto, erano tutti più o meno così. La prima cosa che Abba Mosè ha fatto è di porre loro, a questi due giovani monaci, proprio questa domanda, in un’altra forma; ascoltiamo le sue parole: “Con chi venite qua ad interrogarmi su questo argomento, sapete che cos’è la vita spirituale?”. Dice queste parole, ve ne leggo un estratto, dalla prima conferenza di Cassiano: “Ogni arte, ogni disciplina, ha un suo particolare scopo o fine. Chi vuol fare bella prova in una qualsiasi arte, deve guardare al fine e sopportare con animo invariabilmente lieto, fatiche, pericoli e perdite. Altrettanto deve dirsi per la nostra professione”.

Qui lui parla di vita monastica, ma credo che valga proprio per la vita cristiana in generale. Anch’essa ha un fine e per raggiungerlo noi sopportiamo, senza abbatterci, anzi con gioia, tutte le fatiche. Per quel fine non ci lasciamo vincere dai digiuni e dalla fame, troviamo gradevole il peso delle veglie, troviamo dilettevole la lettura continua della Sacra Scrittura.
Nè ci fa spavento la fatica senza sosta, la completa privazione di tutte le cose, la solitudine di questo eremo. Per questo medesimo scopo, ne sono certo, avete anche voi disprezzato l’amore dei parenti, la terra che vi ha dato i natali, le consolazioni del mondo, e avete attraversato tante regioni per venire da noi uomini rozzi e ignoranti, sperduti nella desolazione di questo deserto”.Cosa dice Abba Mosè? Qual è il punto fondamentale che lui mette a fuoco? Chi vuole intraprendere un percorso spirituale deve prima di tutto avere chiaro qual è il fine e lo scopo. Lui utilizza queste due parole: il fine e lo scopo. Quindi quello che sta dicendo a questi due giovani monaci è: “Se voi siete venuti qui da me a udire una parola, ad ascoltare una parola, prima di tutto dovete interrogarvi e chiedervi: qual è lo scopo della vostra ricerca? E qual è il fine?”Qual è la differenza tra fine e scopo, che questo Abba Mosè dice a questi due giovani? Cito ancora delle altre parole. “ Il fine del nostro cammino è il Regno di Dio o Regno dei Cieli. Ma qual è la via da seguire? Il problema è della massima importanza, perché se non conosceremo la via, ci affaticheremo inutilmente.

Infatti, il viandante che va fuori strada si affatica tanto e non progredisce di un passo”. Il fine della nostra professione, ancora una volta qui parla di vita monastica, ma possiamo dire della vita cristiana, è indubbiamente il Regno di Dio, ma la via che ad esso conduce è la purezza del cuore, senza la quale nessuno può raggiungere quel fine. Come per prendere da essa la nostra direzione, noi orienteremo i nostri passi sopra una linea sicura. Se da questa linea il nostro pensiero si allontanerà un poco, torneremo in noi stessi e con l’occhio fisso alla regola scelta, correggeremo le deviazioni. Quella stessa regola che ha sollecitato tutti i nostri sforzi e sa indirizzarci sulla via sicura, non mancherà di richiamarci al dovere, se la nostra volontà avrà deviato anche leggermente dalla direzione che si era proposta”. Non so se avete colto in queste parole cos’è il fine e lo scopo e perché il nostro Abba Mosè li distingue. Il fine della vita spirituale, dice lui, è il Regno di Dio. E con
questa parola noi possiamo intendere la comunione piena con Dio. Cioè, il fine della vita spirituale non è altro che Dio stesso. Non può che esser Lui. Potremmo quasi tradurlo in questo modo: amare ed essere amati. Amare pienamente ed essere amati pienamente da Dio. Abba Mosè dice, però, che una volta che hai capito questo fine, se non sai come arrivarci, allora è come dire un’affermazione generale, ma che non cala nel concreto.

Ecco che interviene lo scopo: quali sono le scelte concrete, specifiche che devi fare giorno per giorno per poter raggiungere il fine. Quindi, per raggiungere la comunione con Dio che cosa devi perseguire? E lui dice: non puoi perseguire la comunione con Dio se non persegui la purezza del cuore. E, se vi capiterà di leggere questo testo – ci sarebbero tante altre parti da citare, molto belle – voi vedrete che Abba Mosè sostanzialmente dice questo: se pratichi la preghiera, se tu pratichi le veglie, i digiuni, il silenzio, l’allontanamento dalle persone, la solitudine, le pratichi per costruire o custodire la purezza del cuore, esse sono scelte fatte in vista di uno scopo. Quando hai il cuore puro, allora puoi entrare nel Regno di Dio. O il Regno di Dio entra dentro di te. Quindi, capite che è molto, molto importante mettere prima di tutto al centro proprio questi elementi. Noi parliamo della vita spirituale, e la vita
spirituale parte da dove? Da questa consapevolezza. Vale anche il contrario.

Quand’è che la vita spirituale si affievolisce, o addirittura si spegne? Quando, in un certo senso, noi ci dimentichiamo il fine o lo scopo. Abba Mosè lo dice a questi due giovani monaci: se non avete davanti il fine o lo scopo, quella che noi chiameremo in termini un po’ più psicologici “la motivazione”, se non avrete chiara la motivazione, non riuscirete a fare nessun sacrificio per arrivare verso il fine. Non usiamo la parola “sacrificio”, non riuscirete a fare delle scelte che incidono davvero sulla vostra vita per arrivare a questo fine. Queste affermazioni sono molto importanti: subito dopo aver pensato chi siamo e a queste parole che ho letto,
tantissimi anni fa, mi sono rimaste chiaramente impresse, mi sono molto chiare.

Mi è subito venuto in mente come intendiamo noi oggi la parola “spirituale”. Forse sarebbe più corretto dire: come la intende il clima, la cultura che noi respiriamo la parola “spirituale”. Chi è oggi una persona spirituale? Ho provato a mettere giù qualcosa, in seguito ai dialoghi avuti con tante persone su questi argomenti. Vi sentirete dire che la persona spirituale è, per esempio, una persona critica, che si tiene a distanza da certe logiche. Per esempio, lo spirituale non segue le logiche del consumismo, non segue le logiche del logorio della vita moderna, lo spirituale è una persona (mi sono sentito dire tante volte) che si colloca in un luogo che non è dentro nessuna religione costituita o tradizionale, ma le attraversa tutte. E
in esse cosa si persegue? Se voi interrogate le persone, sentirete dire: connettersi. Una persona spirituale è quella che si connette con se stessa, o si connette col creato, o si connette col divino. Lo spirituale è la persona che non solo si connette, ma la persona che toglie dentro di sé tutte le energie negative o le vibrazioni negative. “Tu mi trasmetti energie negative, quindi stammi alla larga!” Lo dico perché le ho sentite con le mie orecchie queste cose. Altra parola chiave di quella che chiamano la spiritualità contemporanea. Non mi ricordo quanto tempo fa, una persona mi ha posto questa domanda: “noi oggi abbiamo
scoperto che tutto è energia!” E io gli rispondo: “ma chi te l’ha detto?” E quello: “ah, la teoria della relatività: tutto è energia!” E i padri della Chiesa (guardate il cortocircuito logico) che riflettevano sulla Trinità, dicevano che in Dio ci sono delle energie; però giustamente questi padri della Chiesa, che parlavano greco e usavano la parola “enérgheia” in greco, intendevano tutt’altro. Il corto circuito è: siccome lo dicevano i padri della Chiesa che in Dio c’è energia e tutto è energia, allora Dio è energia, noi siamo energia e quindi la vita spirituale è cercare di canalizzare ) tutte le energie positive oppure cancellare quelle negative e tenere quelle positive. Connettersi, canalizzare le energie. Chi fa questo percorso non è dentro una religione istituita, fa un percorso alternativo che le attraversa tutte. E qui
arriviamo all’altro grande principio (lo chiamerei quasi dogma), della spiritualità
contemporanea, delle spiritualità, cioè che Dio non ha nome. Questa cosa è terribile; l’ho sentita dire anche pubblicamente da cattolici e personalità cattoliche: Dio non ha nome. “Quando prego Dio” – queste sono le parole che ho sentito – “io non lo chiamo con un nome, perché Dio non ha nome: tu lo chiami così, quello lo chiama così, quell’altro lo chiama così, ma Dio non ha nome.” E’ una cosa pazzesca perché è totalmente antibiblica, che siamo gli spirituali non lo chiamiamo!”.

Ho sentito dire da un prete cattolico: “Quando prego Dio, io non uso un nome, non lo chiamo con un nome, perché Dio non ha nome”. Ecco, provate a pensare che noi ci troviamo immersi in questo clima e, chi più chi meno, questo clima noi lo respiriamo; è la versione diciamo più spirituale di quello che a livello intellettuale, filosofico e teologico si chiama relativismo e che noi più o meno respiriamo, con cui siamo più o meno a contatto. Altro esempio: la persona che va a fare yoga, o la
persona che viene a contatto con un osteopata un pò particolare, un pò fricchettone (come dice mio fratello) o cose di questo genere… Siamo sempre posti di fronte a questo tipo di sensibilità, che è molto diffuso, quindi è ancora più urgente in questo clima porsi questa domanda: “ma allora che cos'è davvero la vita spirituale?” Non è quello, non è quella roba lì. Noi sappiamo che, per fare una buona vita spirituale, dobbiamo avere, come dice abba Mosè, ben chiaro il fine e lo scopo. Ma, alla fine, che cos’è la vita spirituale? Cosa significa vivere nello spirito? In queste spiritualità si dà un grandissimo peso alle emozioni.

La nostra società è totalmente emotiva, su tutto, e quindi anche la spiritualità è emotiva: padroneggiare le emozioni, connettersi con le emozioni, canalizzare le emozioni è l’arte dell’uomo spirituale. Per rispondere ulteriormente a questa domanda, e qui arrivo un pò al cuore di quello che volevo dire, penso che sia utile leggere la parola di Dio, soprattutto leggere un brano che più di tutti nel Nuovo testamento ci dà una bussola per fare quello che dice Abba Mose. Rispondere a questa domanda e dare una struttura orientata, solida alla nostra vita spirituale.
Nella prima lettera ai Corinzi, nel capitolo due, ai versetti 6-16, San Paolo dice queste parole. “Parliamo di sapienza tra i perfetti, ma di una sapienza non di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono resi inefficaci. Ma parliamo della sapienza di Dio nel mistero rimasta nascosta, che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuto. Infatti, se l’avessero conosciuta non avrebbero giammai crocifisso il Signore della Gloria. Ma come sta scritto, quelle cose che occhio non ha mai visto, né orecchio ha mai sentito, e non è mai salito in cuore d’uomo, questo ha preparato Dio per coloro che lo amano. Dio, però, le ha rivelate a noi per mezzo dello Spirito. Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Chi infatti degli uomini conosce le cose dell’uomo, se non lo Spirito dell’uomo che è in lui? Così anche le cose di Dio nessuno le conosce se non lo Spirito di Dio. Noi poi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché conoscessimo le cose che Dio ci ha donato per grazia. Quello che noi parliamo non lo diciamo nelle parole d’insegnamento della sapienza umana, ma nelle parole d’insegnamento dello Spirito valutando cose spirituali con lo Spirito.”
Paolo sta scrivendo queste parole a una comunità profondamente lacerata. Sta scrivendo a una comunità che gli ha dato un sacco i problemi, una comunità che lui ha fondato in una città dell’Asia minore che era nota e famosa per i suoi costumi dissoluti. Questa comunità era profondamente divisa, c’erano dei partiti e, dice San Paolo leggendo la situazione di questa comunità, risalgono al fatto che loro non conoscono la Sapienza di Dio, ma sono ancora legati a una sapienza mondana. La sapienza mondana produce divisioni, la sapienza di Dio produce unità.
Non solo, dice in mezzo a loro ci sono delle persone che si credono sapienti, delle persone che noi oggi diremmo si credono spirituali, però queste persone non hanno capito davvero come funziona la vita spirituale.
San Paolo fa due esempi notevoli e dice ai Corinzi che in mezzo a loro non ci sono tante persone sapienti secondo la carne, non tante persone importanti. Nei primi secoli il cristianesimo era la religione degli sguatteri e degli schiavi dicevano quelli che polemizzavano. E soprattutto lo dice di se stesso: “Quando io sono venuto da voi, non sono venuto sfoggiando la mia arte oratoria. Sono venuto da voi con molto timore e trepidazione. È come se dicesse loro, guardate che la Sapienza di Dio, quindi la vita spirituale funziona in un altro modo. Se dovessimo calarla nel nostro contesto e prendere tutti questi esempi di spiritualità contemporanea, San Paolo direbbe che quella non è la vita spirituale.

In un altro passaggio, nella lettera ai Colossesi direbbe queste parole, “quelli hanno una parvenza di spiritualità, si presentano come spirituali. Addirittura come dire, hanno un grande spazio, c’è il festival delle spiritualità o cose del genere. Però la vita spirituale è un’altra. La domanda è appunto è cosa la vita spirituale? Lui, il suo messaggio lo potremmo sintetizzare così: “è vivere nello Spirito Santo.” La vita spirituale è la vita dello Spirito Santo in noi. Vivere nello Spirito Santo. Andiamo ancora più nello specifico. Lui usa queste parole “le cose dell’uomo le conosce, lui dice, lo spirito dell’uomo che è in lui, le cose di Dio le conosce solo lo Spirito di Dio, però aggiunge, lo Spirito di Dio le ha rivelate a noi. A rivelato a noi le cose di Dio.
Alla luce di queste parole noi capiamo che la vita spirituale nel suo profondo può  essere definita proprio così: un dialogo continuo, personale tra lo spirito dell’uomo e lo spirito di Dio. Lo spirito di Dio, sapete no che la parola spirito anche nella bibbia è una parola che porta in sé l’immagine del vento, del soffio. Viene utilizzata questa parola ma gli autori biblici specialmente nel nuovo testamento sono molto attenti a che questo soffio non è un’energia. L’energia è impersonale. Tu non preghi l’energia.

Gli autori del Nuovo Testamento sono molto chiari nel dire che lo Spirito di Dio è qualcuno che ha un linguaggio che parla, che agisce, o meglio, che sollecita lo spirito dell’uomo ad un continuo dialogo.
Ecco la vita spirituale, nelle parole di S.Paolo, nella sua natura più profonda può esser definita così. Uso volutamente la parola dialogo, perché il dialogo si fa tra persone, guardandosi negli occhi mentre le altre forme di ricerca spirituale tendono tutte verso l’impersonale. Il Dio che non ha nome è un Dio che non ti guarda in faccia, non è un Dio che puoi chiamare. Non può esserci un dialogo con un Dio che non ha nome, non lo preghi!
Durante la pandemia si sentivano queste cose: “Io non prego per chiedere la guarigione o cose di questo genere, io prego piuttosto – l’ho sentito con le mie orecchie – per essere connesso con il Divino che è sopra di me e dentro di me”.
Andiamo ancora più giù. San Paolo dice anche questa cosa: Lo Spirito di Dio ci fa conoscere le cose di Dio, entra dentro il dialogo con noi” e dice ad un certo punto una frase molto enigmatica:” quello che noi diciamo non lo diciamo con parole di sapienza umana ma con parole di insegnamento dello Spirito, valutando cose spirituali con lo Spirito”, è versetto| notoriamente difficile che è stato tradotto in mille modi. E addirittura questo concetto “valutare cose spirituali con lo Spirito “ poi lo applica a quello che lui chiama -è lui che nella tradizione cristiana lo ha inventato – l’uomo Spirituale. Lo applica all’uomo Spirituale che
“giudica tutto ma non è giudicato da nessuno “. Ecco queste parole fanno riferimento al discernimento.

Una delle azioni fondamentali della vita spirituale è imparare a discernere. Si esercita la vita spirituale attraverso il continuo discernimento.
Quindi il dialogo tra lo spirito dell’uomo e lo spirito di Dio cresce, si fortifica, si alimenta attraverso l’esercizio del discernimento. San Paolo usa una parola molto specifica: “Lo Spirito di Dio ci è dato affinché conoscessimo le cose che Dio ci ha donato per grazia”.
Qui il discernimento non sembra semplicemente se devo decidere come vestirmi o che cosa devo fare per cena, oppure in una parrocchia cosa bisogna fare per una catechesi. Si usa questa parola “discernimento “ così tanto che si è un po’ svigorito il senso! San Paolo dice che il discernimento ha un oggetto ben specifico: cercare di capire come Dio agisce nella storia umana e nella tua vita. Quindi l’esercizio fondamentale della vita spirituale è cercare di capire la Sapienza di Dio, in che modo Dio agisce, come sta agendo, cosa ti dice, come sta parlando. Questo è il cuore del discernimento.
L’uomo spirituale, dice San Paolo, è la persona che tutto il giorno cerca o si esercita in questa attività. Non so se è chiara la distinzione perché è una parola tanto usata che si rischia di non vederla!
Il discernimento è fondamentalmente una sorte d’intuizione oppure, diciamo ancora meglio, è una sorte di gusto del palato che ci permette di distinguere tra le tante sollecitazioni che ci vengono durante la giornata, cosa viene da Dio e cosa non viene da Dio.

Quando leggevo queste parole non potevo legare la parola Sapienza a sapore, nel greco del Nuovo Testamento questa possibilità di collegamento non c’è, ma nella nostra lingua, in italiano, è possibile. La Sapienza è la capacità di saper distinguere i sapori, quindi è una capacità che cresce allenandola. Una cosa se non la mangi non sai che sapore ha! Quindi la devi assaggiare per capirlo e solamente così puoi dire questo No perché ha un brutto sapore.
Nel libro dei Proverbi c’è un passaggio bellissimo un passaggio bellissimo: “Come il palato per i cibi, così l’orecchio per le parole”. Come il palato impara a distinguere i cibi mangiandoli, così l’ascolto impara a capire le parole, ascoltandole. L’implicito di questa immagine, di questa strana similitudine è che ci sono parole che danno la vita e parole che danno la morte, parole che vengono da Dio e parole che non vengono da Dio. E quando dico “parole”, dico sia parole che noi udiamo verbalmente, da altri o dentro di noi, ma sia anche tutti quei moti sottili del cuore che sono come parole e che ci spingono o in una direzione o in un’altra. Come fa uno a capire se una sollecitazione o una mozione viene o no da Dio? Deve avere un palato allenato! “Invoca lo Spirito e vedrai!”. San Paolo fa capire, in questo brano della prima ai Corinzi, che la vita spirituale fondamentalmente consiste nel
discernimento. “Il fine è il regno di Dio, lo scopo è la purezza del cuore e il modo per giungere alla purezza del cuore è il discernimento”. Esercitare costantemente il
discernimento. Addirittura a un certo punto dice a questi due giovani: “Se anche voi avete una vita ascetica molto impegnativa e molto esigente ma non avete discernimento, siete come degli alberi che fanno foglie senza frutti. Se noi andiamo a spulciare nel nuovo testamento, nelle lettere di Paolo e, soprattutto, in quel testo straordinario che è il Vangelo di Giovanni, noi vediamo che lo Spirito Santo, oltre il discernimento, fa anche altre cose e l’uomo, il credente, l’uomo spirituale, con Lui fa altre cose. Nella lettera ai Romani, al capitolo ottavo, c’è un testo bellissimo, c’è l’unica definizione di tutto il nuovo testamento di cosa significa essere figli di Dio, Romani 8,14: “Coloro che sono guidati dallo spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” e, in questo caso “figlio” è, potremmo dire, l’uomo spirituale, nel linguaggio di san Paolo nella prima ai Corinzi, “coloro che sono guidati dallo spirito di
Dio”. Questo concetto viene preso anche da Giovanni 14, versetto 26, Giovanni 16 versetto 13.  Lo Spirito guida alla verità, lo Spirito insegna, anzi guida a tutta la verità. Cosa significa che “lo Spirito guida”? In che modo lo Spirito guida? Questo fa un po’ parte del discernimento. Qui lo tradurrei in una maniera molto semplice: abbiamo detto che la vita spirituale è il dialogo fra lo spirito dell’uomo e lo spirito di Dio? Essere guidati dallo Spirito di Dio significa imparare il linguaggio dello Spirito, imparare a capire come parla, imparare a capire come agisce, soprattutto dentro di noi! Opera mai compiuta, che neanche fino all’ultimo respiro, va bene, però intanto diciamolo. Essere guidati dallo Spirito non è un fatto che accade una volta ogni tanto, nei momenti in cui tu devi prendere delle decisioni forti, in cui stai male, in cui sei particolarmente nell’oscurità, non riesci a distinguere cosa fare, allora lì invoca lo Spirito che ti guidi. Questo bisogna farlo, però, la guida di cui parla qui san Paolo è una guida quotidiana, è una guida che si esercita anche
attraverso le piccole cose, anche attraverso le piccole scelte. Vogliamo fare qualche
esempio? Esempio sommo: in confessione. Se io mi trovo con colleghi di lavoro, mi trovo con confratelli e si comincia a parlare male di qualcuno, che cosa faccio? Discernimento! Sapendo che quelle parole che vengono dette fanno male! Non sono parole buone perché magari mettono una persona in cattiva luce, se anche tu non dici niente, poi ti senti in colpa perché ti sei sentito complice, perché non edificano, per usare la parola del nuovo Nuovo Testamento. Che cosa fai in quel caso? E questa è una circostanza che capita sempre, sempre, tutti i giorni.

Un’altra circostanza: in una situazione comunitario-familiare, accade un attrito, una divergenza, una incomprensione (anche questo lo dico perché è sempre così!); che cosa faccio? Mi scaravento contro la persona con cui ho avuto l’attrito, la divergenza, l’incomprensione, oppure aspetto? Oppure cerco di fare chiarezza dentro di me e di cercare la verità con l’altra persona? Sono piccole scelte che spesso dentro di noi non facciamo perché magari siamo più guidati dall’istinto, dalla paura o da altre dinamiche che non vediamo e che però sono “essere guidati dallo Spirito”?
Quindi, certo che lo Spirito va invocato nei grandi, solenni, drammatici momenti, ma lo Spirito è, come dire, la guida quotidiana, in queste piccole cose. E, ripeto, la guida è imparare a conoscere la lingua dello Spirito; perché come parla lo Spirito? Non parlo qui di manifestazioni particolari, visioni, locuzioni o cose di questo genere. Lo Spirito parla nel cuore di tutti i battezzati e credenti con una lingua, chiamiamola così, “ordinaria”, che molto spesso è simile al vento di silenzio leggero che sente Elia sul monte, non qualcosa di eclatante, di forte, che spacca le rocce, ma piuttosto qualcosa che tende stranamente ad essere relegato nel fondo di tutte le voci che noi abbiamo nel cuore; e ce ne sono miriadi.
Qualcuno ha descritto il cuore come una specie di stanza piena di gente che parla e urla. Ecco, immaginate che Dio è un bambino in un angolo che sussurra. Quello è lo Spirito Santo! Provate a distinguere la voce del bambino, che in un angolo sussurra in mezzo al caos. Questa è l’arte spirituale, in un certo senso.
Lo Spirito, e qui chiudo, fa anche un’altra cosa molto importante, ci dicono San Paolo e San Giovanni: lo Spirito ricorda. Lo Spirito rimette alla memoria del credente. Lo Spirito anche prega. Nella stessa lettera ai Romani, allo stesso capitolo ottavo, due versetti dopo, San Paolo dice che lo Spirito grida in noi Abbà, Padre; lo Spirito attesta il nostro spirito, dice il dialogo che siamo figli di Dio. Ma Giovanni dice al capitolo 14 versetto 26 che lo Spirito vi ricorderà tutte le cose, vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Lo Spirito è la memoria del credente. Questo è un fattore molto importante. Nella spiritualità dei padri del deserto, la
memoria di Dio, così viene chiamata, è fondamentale. Pensate che è talmente
fondamentale che loro hanno coniato questo detto: “la radice di tutti i peccati è l’oblio di Dio”; se lo dovessimo tradurre in termini più semplici è: “quando ti dimentichi di Dio, tu puoi fare qualsiasi cosa”; l’uomo senza la memoria di Dio può compiere qualsiasi cosa. Al contrario quindi, la memoria di Dio è fondamentale. Qui, il brano di Giovanni, se lo leggete, dice con molta precisione, cosa vuol dire che lo Spirito ricorda. Io lo definirei, questo ricordare, in questo modo molto semplice; ci sono tante possibilità, ma questo riguarda più la pratica (?) che è più familiare a noi: ricordare ogni cosa significa, per esempio, che la Parola della Scrittura, le cose che Gesù ha detto e fatto, la parola della Scrittura diventa la Parola che legge la nostra vita, la Parola che diventa riferimento in base al quale noi, non solo prendiamo le decisioni, ma anche in base al quale sentiamo la realtà e la vita. E’ la
Parola che interpreta chi la legge. Pensate, lo definirei in questo modo qua: la lettura della Scrittura, sapete, è una pratica spirituale, la Lectio Divina viene chiamata, proprio perché quel “Divina” non vuol dire che uno legge in modo divino. “Divina” significa “la lettura nello Spirito di Dio”. Nella testa di chi ha inventato questa espressione, questo significa.

Quando tu leggi la Bibbia, molto spesso, la leggi e non capisci niente. Quindi, una cosa che uno può fare è leggerla e memorizzarla, perché uno dice: “Va bene, non capisco adesso, però la metto lì e da qualche parte mi tornerà utile”. Il momento in cui lo Spirito ti ricorda è il momento in cui, improvvisamente, una parola, un brano, una figura biblica è come se si accende, si accende come una luce, e improvvisamente ti permette di capire chi sei, dove sei, a che punto sei davanti a Dio. Magari non lo capisci subito, però capisci che quella parola ha una particolare rilevanza. Ecco, questa è la memoria dello Spirito: quel momento preciso nel quale la parola si accende e nel quale tu improvvisamente ti ritrovi, la tua vita si
intreccia con quella della Storia Sacra, come dicevano una volta, quello è il momento della memoria di Dio. Sentiamo la realtà e la vita. È la parola che interpreta chi la legge. La lettura della scrittura è una pratica spirituale, la lectio divina, chiamata così proprio perché quel divina non vuol dire che uno legge in modo divino, ma divina significa lettura nello spirito di Dio. Quando leggi la Bibbia molto spesso non capisci niente; quindi, una cosa da fare è memorizzarla, perché tornerà utile. Nel momento in cui lo Spirito ti ricorda quella Parola, è il momento in cui improvvisamente un brano, una figura biblica si accende, come
una luce, improvvisamente ti permette di capire chi sei, dove sei, a che punto sei davanti a Dio. Magari non lo capisci subito, però capisci che quella parola ha una particolare rilevanza. Questa è la memoria dello Spirito: quel momento preciso nel quale la Parola si accende e nel quale la tua vita si intreccia con quella della storia sacra. Quello è il momento della memoria in Dio ed è lo Spirito che fa questo. Lo Spirito non può farlo se non leggiamo la Scrittura, se non sappiamo che cos’è la Bibbia. Non è l’illuminazione di un momento, non è qualcosa di straordinario, che capita in un momento particolare, solenne; è una fatica quotidiana. La vita spirituale è appunto questa fatica, è il dialogo tra lo spirito dell’uomo e
lo Spirito di Dio. Dio è il discernimento, è la memoria di Dio, è la guida dello Spirito, però non come eventi sganciati dal tessuto della nostra vita quotidiana. Sono quelle cose che avvengono, si intrecciano dentro di noi attraverso una fatica quotidiana. Se ci fate caso, è questo che crea il contrasto più forte tra come concepiamo noi la vita spirituale e come la concepiscono queste spiritualità della connessione, dell’energia, sono tutte cose che cercano in un certo senso di evadere o di creare una soluzione alternativa ad una società che viene anche giustamente percepita come materialista, edonista. Paradossalmente, siccome noi viviamo la luce del mistero dell’Incarnazione, la vita spirituale è la grazia di Dio che agisce, lo Spirito di Dio che parla al nostro spirito nel tessuto della fatica quotidiana del
vivere. La radice della vita spirituale è il Battesimo. Dunque, la vita spirituale è già nelle mani di Dio; con il battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito e quindi lì abbiamo iniziato a vivere. Siamo morti al peccato abbiamo iniziato a vivere nello Spirito. Io direi di coltivare con tutti i mezzi che noi conosciamo la preghiera, la lettura della scrittura, i sacramenti, la confessione spirituale, il digiuno, ma soprattutto questo: chiedere ogni giorno al Signore di imparare a capire come lui parla. Io penso che questo sia un buon punto di partenza: chiedere proprio a lui di capire come parla, cosa dice a noi e cosa noi dobbiamo fare, quali scelte concrete noi dobbiamo fare, cosa dobbiamo tenere e cosa dobbiamo lasciare. Per imparare ad ascoltare la sua voce, non è un caso, il comandamento è proprio: “Ascolta,
ascolta, Israele”.

 

3 pensieri su “I fondamenti della vita spirituale

  1. Tra Umbria e Marche, sui monti Sibillini, una suggestiva chiesa in pietra sorprende il visitatore. È stata interamente costruita da Padre Pietro, un eremita, sulle orme del « va’, ripara la mia casa » di S. Francesco.
    Circondato da scetticismo per un’impresa ritenuta degna di un visionario, criticato e ostacolato, ma tenace e felice, in sostanziale solitudine, in semplicità, controcorrente, munito di incrollabile fiducia in Dio, padre Pietro vede concretizzarsi il suo sogno con la consacrazione della chiesa nell’anno 2000.
    Sulla soglia affigge un monito, che mi pare vada al cuore della vita eremitica: “Beato chi non mi fa perdere tempo”

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