Donne, figli e lavoro

di Costanza Miriano

Qualche giorno fa è uscita una ricerca dell’Unione europea cooperative, che diceva che il 36% dei genitori che si licenziano lo fanno perché non possono seguire i figli. L’analisi proseguiva dicendo che “oltre 49mila papà e mamme nel 2018 hanno deciso di dare le dimissioni per l’assenza di parenti di supporto (27%), per i costi di assistenza al neonato fra asilo nido e baby sitter (7%) o per il mancato accoglimento dei figli al nido (2%)”.

E’ l’analisi che mi lascia perplessa. L’articolo non prende neanche in considerazione l’ipotesi che per molte donne, soprattutto, può essere molto più gratificante e impegnativo e nobile e bello prendersi cura dei propri figli. Ripeto: può. Lo sottolineo perché ne ho scritto in un post su Facebook che ha dato l’avvio a qualche polemica.

Ci sarebbero pagine e pagine da scrivere, ma cerco di chiarire velocemente qualche punto del mio pensiero, soprattutto perché non vorrei avere offeso qualcuno. Invito chi dovesse rispondere a non prendere tutto sul personale, perché in materia gestione dei figli noi mamme siamo praticamente animali, nel senso che reagiamo spesso in modo istintivo e con il desiderio di difenderci dalle accuse che percepiamo e che il più delle volte ci vengono da dentro, perché, diciamolo, chi di noi mamme può dire di sentirsi a posto, di avere fatto il meglio, di non avere niente da rimproverarsi? Tutte stiamo sulla difensiva perché, indipendentemente dall’equilibrio che siamo riuscite a raggiungere, tutte noi sappiamo che o su un fronte o su un altro (vita spirituale, marito, figli, lavoro, casa, parenti, amici, cultura, cura del corpo, e via dicendo per ore) non stiamo facendo abbastanza. Allora parlo per me: sono in ritardo, inadeguata, insufficiente. Rispetto ai figli mi consola solo il pensiero che sono di Dio, lui me l’ha affidati, e io cerco di fare meno peggio che posso.

Primo punto: io lavoro, quindi non giudico assolutamente chi lo fa. Io personalmente quando è nato il mio primo figlio volevo lasciare il lavoro (quanti pianti e discussioni con mio marito), ma non ho potuto, per motivi economici. Neanche tirando la cinghia fino a non respirare avremmo potuto vivere con il solo stipendio di mio marito, neanche con un figlio solo, figuriamoci ora con quattro.

Non giudico neanche chi lavora pur potendosi permettere di non farlo. Credo peraltro che ci siano lavori in cui si dà un contributo di bene alla costruzione di una realtà migliore, e allora in questi casi è non solo legittimo ma anche doveroso cercare di conciliare, magari mancando un po’ da casa e calibrando l’impegno fuori, perché si sta facendo del bene e vale la pena investirci.

Non sarò ipocrita, invece, dicendo che tutti i lavori sono uguali. Tutti i lavori onesti sono nobili, e anzi è più nobile fare le pulizie onestamente che la giornalista o l’avvocato disonestamente, per dire. Ma ci sono lavori per cui secondo me POTENDO SCEGLIERE non varrebbe la pena di lasciare i figli. Mi hanno dato della classista, eppure a me sembra di scrivere una cosa ovvia se dico che se devi scegliere tra pulire i bagni altrui o educare a tempo pieno i tuoi figli è meglio, ripeto, se puoi (dov’è l’evidenziatore?), stare con i tuoi figli. So che molte donne non possono scegliere, e questa secondo me è la PROFONDA INGIUSTIZIA. So che stanno con i loro figli anche mentre lavorano per poterli sfamare, e immagino che lo facciano stando lontane col cuore stretto.

Penso anche che quel 36% della statistica di cui sopra non navighi nell’oro, e che pur di stare con i propri figli faccia tanti sacrifici. Penso che bisognerebbe prendere in considerazione l’ipotesi che alcune lo abbiano scelto con amore e con gioia, anche se con paura per l’incertezza economica.

Mi pare che il tono dell’articolo sia figlio di quella mentalità che ci ha convinte che lavorare fosse comunque e sempre una conquista e un diritto, ma io non credo che sia così. E’ evidente che in alcuni casi sia una necessità. E penso che sarebbe bello se tutte le donne potessero scegliere. Scegliere in assoluto se lavorare. Scegliere quanto e come, cioè non adattarsi a un mondo del lavoro che è tutto maschile, nel senso che ha orari e tempi e regole pensati per chi non deve prendersi cura di altre persone. Scegliere di stare per un lungo tempo a casa, senza perdere il posto, per esempio. Tante mie amiche professioniste esercitano in studi, spesso del marito, o di parenti, che hanno permesso maternità dilatate, e massima elasticità per le esigenze dei bambini. Credo che questo non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto.

Penso che non ci sia un modo solo di essere madre, conosco ottime madri lavoratrici a tempo pieno e ottime che non lavorano. Penso che non solo il lavoro sia l’occasione di esprimere la nostra passione per la realtà, e che si possa fare tanto bene anche non lavorando, portando una torta alla signora malata del terzo piano, accudendo persone care anziane, pulendo i parchi o qualsiasi altra cosa faccia bene, non necessariamente catalogabile come lavoro.

Penso anche che educare un bambino sia più che dirigere il Cern di Ginevra, ma questa è una mia opinione, che voglio avere il diritto di ribadire. Figuriamoci se il motivo per lasciare tuo figlio è che so lavorare in un call center: magari quel 36% si è detto “mi godo mio figlio, piuttosto che dare tutti i soldi all’asilo o lasciarlo ai nonni e vederlo tre ore al giorno, per fare un lavoro che non rende il mondo un posto più sicuro, più buono, più bello, e dove sono sostituibile”. La speranza di ritrovare un lavoro di pari livello, comunque, c’è, mentre i posti ben retribuiti e molto garantiti non sono così tanti.

Incuranti del fatto che solo il 2% ha dichiarato di averlo fatto a causa della mancanza dell’asilo nido, gli autori dell’articolo scrivono che “i servizi legati all’infanzia hanno un ruolo strategico” (strategico il 2%?), visto che “negli asili nido italiani c’è posto solo per 1 bambino su 4, il 24% di quelli fino a tre anni d’età contro il parametro del 33% fissato dalla UE”. Questa degli asili nido è davvero una fissa (che l’UE poi stabilisca che una donna su tre debba lasciare suo figlio a pochi mesi per me è una cosa che non sta né in cielo né in terra). Non si prende neanche in considerazione, mi pare, l’idea che stare con i propri figli non sia necessariamente una condanna, un peso, qualcosa da affidare ad altri, un problema da risolvere. Cioè, io – un io ipotetico, non sto parlando di me – dovrei lasciare mio figlio a un’altra donna perché così posso andare a fare un lavoro che magari neanche amo, che non costruisce un mondo migliore, che è sfruttato e poco garantito? Scelgo mio figlio tutta la vita.

In sintesi: ogni donna dovrebbe essere libera di crescere i propri figli, se lo desidera, e tornare a casa per molte non è una sconfitta ma una vittoria. Pare un’ovvietà, anzi lo è, ma per i giornali mainstreaming no.

 

57 pensieri su “Donne, figli e lavoro

    1. Donata

      Grazie Costanza, ho 5 figli , una laurea nel cassetto ma la gioia e il privilegio di aver potuto scegliere di seguirli dal loro primo vagito
      Grazie condivido ogni parola che hai scritto!

  1. Sono d’accordo sul concetto che esprimi, ma come si fa a dire che il “problema nido” è sollevato solo dal 2% delle intervistate?
    Il 2% non ha asili disponibili, il 7% dichiara ragioni economiche (che non vuol dire che il nido non c’entra: vuol dire che magari ce li porterebbero, i figli, ma non se lo possono permettere), e quel 27% non è avulso dalla questione: spesso, nel caso in cui non si possa / voglia lasciare il lavoro (ribadisco che sono d’accordo su quanto scrive Costanza, ma per quanto incredibile sembri a qualcuno fa davvero piacere lavorare, persino lavando cessi, perché anche considerando disagi e sfruttamento resta l’unico lembo cui attaccarsi per il piacere di lavorare, e si lo si molla tanti cari saluti…)… dicevo, quel 27% non è estraneo alla questione nido: perché molte donne il nido lo eviterebbero se potessero contare sui nonni, ma non potendo ne hanno di fatto bisogno.
    E qui si torna al principio: pago il nido o mollo il lavoro?
    Mollo il lavoro, perché riesco a malapena a coprire affitto e bollette, figurati se posso permettermi il nido. Eccetera…

  2. Gia franco vanzini

    E se cominciassimo a parlare seriamente di part time per le mamme? Sarebbe molto utile. Andrebbe incentivato e costa meno degli asili nido

  3. carla

    Ma va bene contare sui nonni, ma ammettiamo che parte dello stipendio della mamma lo guadagnano loro (o lo fanno risparmiare allo Stato, se il bambino va al nido). E’ una considerazione che nessuno fa mai. Senza contare che spesso gli orari delle mamme non coincidono con quelli del nido, e allora a chi si ricorre? Ma ai nonni,

  4. Beppe

    costruire ancora altri asili?
    Alé : nuove tasse in vista!
    E’ 40 anni che continuano a ripetere sempre le stesse cose.
    Mi sono stufato persino di starli a sentire : ma quanti investimenti infrastrutturali dobbiamo fare ancora per garantirci la felicità femminista?

  5. mariaelena

    condivido
    si pretende che lavoriamo come se non avessimo figli e il mondo pretende che gestiamo i filgi come se non avessimo un lavoro (diciamolo, parliamo per esempio dei colloqui coi prof rigorosamente di mattina).Inoltre, a diffrenza della maggior parte dei paesi europei, la mia professione socialmente utile, altamente qualificata, e anche intellettualmente soddisfacente, (medico) non mi permette comunque di avere uno stipendio tale da ridurre le ore per stare insieme ai miei figli, perchè altrimenti non si campa e non si pagano i conti. Altro che diritto di scelta.

    1. A

      Dici:” non adattarsi a un mondo del lavoro che è tutto maschile, nel senso che ha orari e tempi e regole pensati per chi non deve prendersi cura di altre persone” C’è qui un passaggio secondo me sbagliato. Chi ha detto che i maschi non debbano prendersi cura di altre persone? In un concetto di parità tra i sessi (che non so se tu abbia o meno), anche i maschi dovrebbero poter scegliere di dedicarsi di più i ai figli e lavorare di meno invece che uscire di casa la mattina e tornare magari la sera. E se il mondo del lavoro è al maschile non significa che le donne debbano ritirarsi da quel mondo, ma che bisogna ancora lavorare per far diventare quel mondo anche femminile. Sono scelte personali, certo, nessuno nega a una donna la possibilità di non lavorare per stare con i propri figli, ma dal mio punto di vista il lavoro oltre ad essere, come evidenzi tu, una necessità economica, fornisce una grande libertà. Non concepisco l’idea di dover dipendere da un’altra persona e in generale che la donna sia mantenuta economicamente dal marito. Sto facendo un discorso generale, non personale. Sono giovane e non ho ancora figli, ma averli é nei miei progetti una delle più grandi realizzazioni della mia vita. Tuttavia tengo moltissimo alla realizzazione anche in campo lavorativo. Non per necessità economica, ma perché non sopporterei l’idea di starmene in un angolo, di non dare alla società tutti i miei talenti, il mio contributo. E ti assicuro che il talento di una donna non è soltanto quello di essere madre. Forse considererai sbagliato il mio discorso, ma mi dispiace, non riesco a condividere le tue idee.

      1. Francesco Paolo Vatti

        Sono figlio di una casalinga convinta (morta, purtroppo, troppo presto) e posso dire che ho conosciuto poche persone più soddisfatte di lei per quello che faceva. A chi le chiedeva perché non lavorasse, rispondeva di essere la manager della famiglia. Ed è verissimo: se si potesse fare (e oggi difficilmente si può), tutta la famiglia ne avrebbe un giovamento non da poco.
        Non penso che sia quello che si fa, ma come lo si fa che ci soddisfa….

      2. ola

        @A
        Se hai letto il quinto paragrafo, mi sembra che Costanza non stia sostenendo niente di diverso, pero’il tuo pensiero “E ti assicuro che il talento di una donna non è soltanto quello di essere madre.” e’incompleto, dovrebbe essere “Non tutte le donne sono madri allo stesso modo”, pensa per esempio a una Santa Teresa di Calcutta o a una Chiara Amirante o a una Flora Gualdani.

  6. Valeria Maria Monica

    Meno asili nido per tutti!
    Perché sono un servizio costosissimo, (alle famiglie sembra di pagare tanto, ma le loro rette coprono una percentuale minima del costo di gestione dei servizi 0 3, che è scaricato sulla fiscalità generale), e perchè sono un servizio che non risponde a un bisogno “dei bambini” ( fino a tre anni sono troppo piccoli per socializzare, e i pur bellissimi progetti educativi degli asili nido non forniscono, in realtà, allo sviluppo dei bambini nulla di veramente essenziale, nulla che le loro straordinarie testoline in frenetico sviluppo neuronale non conquisterebbero anche da sole, nell’ambiente familiare. ( A meno che non vogliamo parlare di contesti familiari davvero gravemente deprivati: ma qui torniamo allora a collocarci in un ottica assistenziale e non educativa).
    Gli asili nido sono una vacca sacra ideologica, nati e pompati dalle regioni rosse, con, in fondo, la visione distopica di una società in cui i bambini sono allevati dalla collettività tramite una categoria di educatori professionali, mentre gli individui adulti – maschi e femmine allo stesso modo – sono completamente assorbiti dalle attività produttive.
    Solo una tale distorsione ideologica – portata a termine con successo – impedisce oggi di vedere l’evidenza: cioè che, per quanto una donna possa avere capacità professionali pari a quelle degli uomini, il valore ECONOMICO del suo lavoro di cura nell’ambito familiate è talmente ALTO che , dove è valorizzato e riconosciuto, con adeguati assegni familiari o con altri strumenti, la società diventa più RICCA.
    Pensate alle mamme di noi baby boomers. Pensate a quanto, allora, la società risparmiava in asili nido e tempo prolungato, e pre scuola, e post scuola, e servizi mensa e centro estivo e CREM e CREN e compagnia bella. E non parliamo del valore economico legato all’ambito dell’assistenza agli anziani e ai malati in ambito familiare.
    Le nostre mamme hanno fatto ricca l’Italia, mentre i nostri padri, lavorando solo loro, riuscivano comunque a comprare la casa e a mandare i figli all università.
    Quindi, va benissimo che una ragazza voglia studiare, e fare l’ astrofisica.
    Ma che sia chiaro che, se questa ragazza avesse voluto “SOLO” dedicarsi alla cura della sua famiglia, il suo contributo ECONOMICO allo sviluppo del paese sarebbe stato comunque altissimo, e questo le si sarebbe dovuto riconoscere, moralmente e materialmente.
    Purtroppo la incapacità di riconoscere il valore del lavoro delle mamme ha minato talmente tanto la società italiana da portarci al disastro demografico. Eppure ancora adesso, con le bende sugli occhi, siamo qui a parlare di più asili nido.
    E ciecamente ci buttiamo a capofitto nella implosione demografica.

    1. Thelonious

      @Valeria Maria Monica
      mi dispiace ma sono totalmente in disaccordo con questo punto di vista, che mi sembra altrettanto ideologico e fuorviante che quello che denunci.

      Sono padre di tre figli, mia moglie lavora, abbiamo bisogno di due stipendi, per cui penso di parlare a ragion veduta.

      Meno asili nido? Servizio costosissimo? E allora? con tutte le tasse che paghiamo (abbiamo una pressione fiscale altissima) non abbiamo diritto ad avere servizi che favoriscono le famiglie?
      Ci rendiamo conto che, nonostante i proclami, l’Italia è uno dei paesi che meno favorisce le famiglie e la natalità?
      Questo avviene per tante ragioni, ma certamente anche economiche.

      Meno asili nido nel 2019 quasi 2020? applicando categorie dell’Italia degli anni 30?
      Ignorando che intanto (per varie ragioni, anche non tutte giuste) la situazione è completamente cambiata?

      1. Io invece concordo in pieno con Valeria Maria Monica (oltre che con il post di Costanza) e vorrei far notare a Thelonious che, proprio perché paghiamo tante tasse, non è giusto che lo stato butti via i nostri soldi in un modo così poco efficace come gli asili nido.
        I numeri la smentiscono: i paesi che investono cifre astronomiche in asili nido (Francia, Svezia, …) hanno natalità appena superiori a quella (bassissima) dell’Italia. Le salate rette degli asili nido coprono solo il 27% del costo (https://www.minori.it/sites/default/files/Costi%20di%20gestione.pdf). Questo significa che la salata retta + l’altro 73% pagato dallo stato fanno quasi uno stipendio per la mamma che resta a casa. E ogni 5-6 mamme che restano a casa liberano 5-6 posti di lavoro contro l’unico posto perso dall’educatrice del nido. Faccia bene i conti sig. Thelonious: l’asilo nido è la classica risposta sbagliata a un problema giusto.
        E c’è dell’altro. In Italia non manca il lavoro: manca il lavoro retribuito. La mamma che sta a casa, se avanza tempo, ha a disposizione centinaia di migliaia di associazioni di volontariato, per tutti i gusti, con tutto il contorno di gratificazione e relazione umana associate.

          1. @ Thelonious
            Confermo quel che ho detto: a fronte di grandi spese i risultati di Svezia e Francia sono molto modesti. Questo grafico di Google magari aiuta:

            https://www.google.com/publicdata/explore?ds=d5bncppjof8f9_&met_y=sp_dyn_tfrt_in&idim=country:ITA:ESP:DEU&hl=it&dl=it#!ctype=l&strail=false&bcs=d&nselm=h&met_y=sp_dyn_tfrt_in&scale_y=lin&ind_y=false&rdim=region&idim=country:ITA:FRA:SWE:USA&ifdim=region&hl=it&dl=it&ind=false

            Francia e Svezia restano sempre sotto il fatidico tasso di fecondità 2,1. E infatti io non ho scritto che siano peggio dell’Italia, ho scritto che non sono tanto meglio. Ho aggiunto anche il grafico degli Stati Uniti, assolutamente sovrapponibile a Francia e Svezia pur essendo un paese che notoriamente non spende soldi in assistenza e previdenza per la natalità.

            Investire in asili nido è il modo più dispendioso (e umanamente più umiliante per le mamme e per i bambini) per affrontare il problema. Ovviamente ci saranno anche casi in cui i nidi sono la soluzione “meno peggio”. Ma proporli (o imporli?) a tappeto per tutti è una boiata pazzesca. E purtroppo questa balzana idea (che suona tanto da stato totalitario) è appannaggio sia della destra che della sinistra.
            Restituiamo i figli alle loro famiglie, per favore!

      2. Francesco Paolo Vatti

        Thelonius, ma è proprio la continua ricerca di servizi che alza le tasse e obbliga le famiglie ad avere due stipendi! E’ il cane che si morde la coda….

    2. Francesco Paolo Vatti

      Valeria Maria Monica, sottoscrivo pienamente! Noi maschi ci siamo voluti il femminismo per aver sottovalutato il lavoro in casa delle nostre mamme….

  7. Francesca

    Quei genitori che hanno scelto di rimanere con i propri figli hanno fatto benissimo. Culturalmente per i genitori di oggi è veramente dura perché l’accudimento di figli non viene considerato un bene prevalente fra gli interessi dello Stato. Il mercato del lavoro è oltremodo rigido : all’uscita non è garantito il rientro. L’idea stessa di famiglia come tutelato dalla Costituzione viene messo in discussione. Ma arriverà di sicuro il momento storico in cui anche i governi dovranno affrontare seriamente la necessità del ricambio generazionale con tutte le scelte forti e incisive che consentano la tenuta di paesi dove la denatalità e il conseguente invecchiamento strutturale stanno portando all’eclissi di civiltà secolari.

  8. Antonio Spinola

    Tutto vero, per carità. E ci sono certamente casi particolarmente difficili (precarietà del lavoro anzitutto), ma di fondo è la rincorsa a un’ambigua (e artefatta) uguaglianza socio-economica che ha portato a questo stato di cose.
    Ci viene insegnato di evitare il consumismo, ma anche che, se non abbiamo tutto quel cumulo di prodotti di ultima generazione, se…, se…, se…, siamo dei falliti, e i nostri figli soffriranno l’isolamento e la vergogna. Così ci neghiamo come padri e come madri, trasformandoci in animali da lavoro.
    Abbiamo certamente più del necessario, ma ci condanniamo a mettere sempre più il profitto al primo posto.

    1. Beppe

      @Antonio Spinola
      io sono stato testimone, negli anni ’70, del passaggio da una civiltà di madri di famiglia fertili ad una società di lavoratrici sterili.
      Da una civiltà in cui c’era solidarietà tra vicine di casa, amiche, parenti … a una società dove ti accorgi che è morto qualcuno solo dalle pubblicazioni comunali.
      Perché è avvenuto questo passaggio?
      Perché le donne hanno incominciato a farsi la guerra tra di loro a chi aveva vestiti, mobili, auto, appartamenti … più grandi e belli.
      Ho visto tutto questo con i miei occhi.
      E’ per questo che hanno dovuto pompare nel bilancio famigliare una enorme quantità di denaro.
      Hanno spaccato tutto, trasformandosi in un gigantesco volano di sviluppo economico, passato alla storia come “consumismo”.
      Il ciclo “virtuoso” di una economia viziosa.
      Adesso i nodi vengono al pettine, e su tutti i fronti : finanziario, ecologico, occupazionale, sociale, sessuale, culturale, istituzionale.
      E non è mica finita : siamo solo al primo girone in discesa, vedrai adesso che cosa succederà alla previdenza sociale … siamo seduti su una bomba ad orologeria.
      I nostri antenati hanno “limitato” lo sviluppo psico-fisico delle loro donne “chiudendole” in casa?
      I nostri antenati si sono dimostrati più saggi di noi.
      Fine.

  9. Monica

    Grazie Costanza per questo articolo illuminato e illuminante… ricalca in pieno la scelta obbligata di lavorare che mia mamma fece per necessità, lavori umili che la impegnavano molto in termini orari ma che erano poco pagati ovviamente… ancora oggi non perde occasione per dirmi che sa di avermi trascurata ma che non poteva fare diversamente perché lo stipendio del papà non bastava per pagare affitto, bollette e pasti (non uscite in pizzeria, parrucchiera, estetista, sport, vacanze… mai vista sta roba in casa mia!). Comunque, grazie anche al suo lavoro, io ho potuto studiare e laurearmi e trovare un lavoro promettente in termini economici e di carriera ma… quando è nata la mia prima figlia, d’accordo con mio marito e potendocelo permettere, e sottolineo potendocelo, ho lasciato tutto per stare a casa e seguire lei e successivamente la sorella, e ancor oggi sono grata per la scelta che ho potuto e voluto fare… per me non c’è lavoro che tenga di fronte al privilegio di poter stare con le mie figlie anche se questo ha comportato qualche rinuncia sul piano della indipendenza economica

  10. Francesca

    Penso di essere tra le fortunate che hanno quanto meno potuto ragionare su cosa fare, per poi combattere strenuamente (con il datore di lavoro) per realizzare il proprio ideale di conciliazione tra casa e famiglia. Premesso che l’ipotesi di lasciare il lavoro non si è mai posta per necessità economiche, ho cercato di conciliare il lavoro e i bambini (3) cercando di usufruire (e spesso anche di forzare la mano…) di tutte le possibilità offerte dall’azienda per stare con i miai figli: part time, lavoro da casa, lavoro in sedi più vicine a casa, trasferimenti di sedi.
    Una cosa però la vorrei dire per dare un contributo a questa riflessione: premesso che da quando sono diventata mamma la famiglia ha la priorità su tutto, a me PIACE LAVORARE. Mi soddisfa il mio lavoro, mi gratifica la mia indipendenza economica, mi fa piacere poter partecipare alla vita sociale già solo uscendo di casa vestita meglio di come farei se non lavorassi, è intellettualmente stimolante avere a che fare con altri professionisti, mi fa piacere mettere in pratica quello per cui ho studiato per tanti anni: in più, ho notato – per differenza rispetto a quando sono stata a casa in maternità – questa soddisfazione ha un effetto positivo sulla famiglia, non solo perchè non sono una desperate housewife, ma soprattutto perchè il fatto di avere una “dignità” anche fuori della famiglia è un valore anche per i miei figli, che mi apprezzano di più e mi considerano non solo una “erogatrice di servizi domestici” ma anche una professionista.
    Sono particolarmente orgogliosa del mio essere stata “pioniera” all’interno della mia azienda della necessità di conciliare la vita privata con il lavoro: le mie riflessioni si sono tramutate in molti “tabù” e muri sfondati!

    1. Beppe

      @Francesca
      scusa, cara, … ma che lavoro fai?
      La mia è una domanda, non una provocazione.
      O, se preferisci, con i tempi che corrono, è una domanda provocatoria.

    2. Alessandra

      ⁸grazie Francesca e grazie anche a Costanza, ma appunto un contributo così incisivo e giusto come il suo, deve comprendere e avere anche lei uno sguardo ” ideologico” ( sorry) x nn commettere l errore dei giornali citati sono d’accordo pieni di cecità proprio teorica ( ok ecco la parola giusta! Va difeso non solo il diritto scontato ( o scontabile) individuale di lavorare, ma la sua “fertilita” . L analisi di lavoro “triste e interscambiabile” di call center e altro degrado.. ovviamente ci trovano d’accordo. nell analisi, ma poi bisogna ugualmente non fermarsi al consueto ordinario intelligente status di analisi , ma ‘volare alto’ sul dovere, utilità e bellezza di compiere valore altro che la famiglia. Anzi Per lei, proprio per lei, che mi deve vedere saper salire, salire la scala degli obblighi e delle sfide ardue, sperimentazioni degne degli uomini, bellissime e fertili anche in prove così da vedere.. piccole.
      C e una lotta giusta di posizione, di critica, come ha espresso Costanza e di conversa ce n’e una alta un po rischiosa, vertiginosa nuova da nn lasciare a coraggiose e fragili femministe, che è di sfida, di ricerca, di miglioramento non garantito ma coraggioso, forte, eroico Anche x questo siamo umani, anche questi azzardi intelligenti Dio vuole da noi. Patrimonio unico questo campo di battaglia, delle mamme. Come ha fatto Maria 🌺💐🌸

    3. Francesco Paolo Vatti

      C’è una sola cosa che non capisco: perché in casa dovrebbe vestirsi peggio che in azienda?

    4. Ale

      Grazie, Francesca. La mia esperienza è stata simile alla tua. Anch’io tre figli, mai portati al nido, anche se non ho mai smesso di lavorare. I primi due sono nati quando ero ricercatrice all’estero e ho potuto scegliere facilmente opzioni come il part time o il telelavoro. La prima figlia me la sono portata spesso al lavoro in fascia, che dormiva beata mentre io lavoravo.

      La terza è nata in Italia ed è stata una lotta più dura conciliare tutto, perché nel nostro paese non si è ancora abituati ad immaginare il lavoro più a misura di mamma, ma ce l’ho fatta lo stesso. Come te, io amo il mio lavoro e penso che essere madre mi abbia resa più empatica, più creativa e più efficiente sul lavoro, ma anche che l’energia e la soddisfazione che mi vengono dalla professione si ripercuotano positivamente sulla mia famiglia.

      Meglio sarebbe se la politica si concentrasse su norme che aiutano ed incoraggiano il part-time, gli stipendi dignitosi, il lavoro flessibile, il rientro nel mondo del lavoro delle mamme dopo che si sono prese una pausa per accudire i figli piccoli. Io conosco tante donne che non hanno potuto lasciare per questo: perché magari potevano permettersi di stare a casa qualche anno, ma poi temevano che non sarebbero mai più rientrate nel mondo del lavoro. A mia sorella è successo così. Ha lasciato per stare con i figli – il suo lavoro richiedeva turni che mal si conciliavano con la famiglia – e ora che l’ultima figlia ha 6 anni e mia sorella vorrebbe riprendere a lavorare, non riesce e tutti le contestano il fatto che non abbia maturato esperienza lavorativa e che ci sia “un buco” nel suo CV. Come se crescere tre figli fosse niente e non meritasse niente.

  11. Lenin lo aveva compreso bene: “Gli asili sono il germe dei comunisti”. Non a caso Renzi e compagni di recente hanno proposto l’obbligo scolastico dai tre anni ! Si tratta di un preciso percorso storico, che affonda le sue radici quanto meno nella Rivoluzione Francese. Dal capitalismo (parola di Chesteton) che ha strappato tante donne alla casa per lavorare in modo disumano e ha contribuito a trasformarne il rapporto col marito in senso dialettico, per passare al comunismo che ha istituzionalizzato l’educazione (non solo l’istruzione) di Stato, per formare l’ “uomo nuovo” nel “paradiso in terra” cui aspiravano i marxisti. Le democrazie occidentali hanno proseguito in modo soft gli stessi obiettivi e con maggiore successo. L’asilo a due anni (o prima) è oggi un dogma. Purtroppo non è solo per motivi economici che i figli vi vengono parcheggiati, ma anche perchè non siamo più abituati alla fatica di accompagnare i piccoli che Dio ci ha affidato. Troppo faticoso, troppe monellerie, troppo tempo da dedicare loro, giocare, leggere, parlare di quel Dio che dovremmo loro far conoscere specie nell'”età dei perchè”. Ma è proprio a quella età che noi li releghiamo nelle strutture (il male peggiore sono quelle religiose dove c’è ancora qualche Suora santa, ma che non sarà mai la stessa cosa di una mamma). In quelle strutture si formeranno i futuri relativisti e atei, pronti ad assorbire le più svariate ideologie (dall’indifferentismo sessuale all’ecologismo all’animalismo, etc.). Ormai i bimbi vengono ingabbiati nel leviatano-stato sia dal grembo materno e dunque sembrerebbe un pò eccentrico non mandarli a due-tre anni negli asili. Il mito dello stato educatore è un frutto dell’epoca rivoluzionaria, ma i Pontefici (da Leone XII in poi ) ci ricordano che erano la famiglia e la Chiesa ad adempiere al sacro mandato di Cristo, di educare. Una delle più grandi civiltà della storia, Roma antrica, non aveva il sistema scolastico. Oggi chi resiste a questo dogma ? Un approccio come quello di Opzione Benedetto dovrebbe rispondere anche a questo. E’ fondamentale.
    Le moderne democrazie hanno fatto in modo che non basti un solo stipendio (è vero). Opprimono la proprietà privata (è vero). Inducono subolamente i giovani a credere al mito della laurea (che poi non basta senza master e annessi vari come l’Erasmus che serve anche a mandarli lontano dalle proprie radici e certamente in contesti lontanissimi dall Fede, specie nel nord Europa) per poi sposarsi dai 35 anni in su, dopo aver imposto un obligo scolastico sempre più esteso e infruttuoso. La casa, in modo diretto o indiretto è tassata. Tanto altro ci sarebbe da aggiungere. Per sintesi, aggiungo che vi è un sistema volutamente pensato contro la famiglia.
    Un Sacerdote santo ci ha detto una volta (e oggi concordo) che nessuno morirebbe di fame (salvo casi rarissimi come la donna rimasta vedova con figli a carico) se lei rinunciasse al lavoro. In realtà saremmo poveri e con tante difficoltà, ma non in miseria (le due cose vanno distinte, perchè la miseria è un male, la povertà non necessariamente). Allora dobbiamo scegliere tra fare la volontà di Dio (“Cercate prima il Regno di Dio”) o rifugiarci nelle logiche umane e negli alibi (per cui troviamo mille vie contorte per conciliare anche ciò che non si può conciliare se non raramente). Non dico che sia facile, ma se abbiamo Fede, è possibile. La verità è più semplice: anche la maggior parte dgli sposi cattolici non vuole aprirsi alla vita realmente (e spesso si utilizzano anche i metodi naturali come “contraccettivo cattolico”, e ciò in distonia da quanto ha voluto ribadire San Paolo VI). Pochi sono disposti a fare quello che la Vergine Maria faceva con Suo Figlio, accudirlo ed educarlo, parlandogli di quel Padre da cui Lui stesso era stato mandato a salvarci.Siamo tutti devoti di Maria Santissima ma spesso lo siamo a chiacchiere. Dunque per molti, meglio che ci siano gli asili nido, magari con qualche possibilità di stare qualche ora col piccolo, per gentile concessione dello Stato. Non sto dicendo che il lavoro femminile sia da escludersi : Santa Zelia Martìn era un’imprenditrice del famoso merletto di Alencòn, ma quando dovette parzialmente rinunciare seppe farlo, disciplinando il suo lavoro e donando all’umanità nove Santi tra cui Santa Teresina. Il problema è che se diciamo ancora oggi e dopo tutti i disastri che sono sotto i nostri occhi, che che le nostre figlie al primo posto devono porre lo studio e il lavoro, ovviamnete la loro prima vocazione che è matrimoniale (o religiosa) sarà sempre secondaria nel loro immaginario. Il problema persiste anche se lavoro/reddito/”relizzazione” femminile ed educazione dei figli sono entrambi al primo posto, con uno strano. La missione educativa spetta principalmente e a seconda delle fasi esclusivamente ai genitori. Vogliamo continuare a delegare lo stato, i baby sitter, i nonni, internet, epserti e specialisti di ogni risma, le conseguenze ? Continueremo a “produrre” i futuri atei, anche se magari per la gioia di mamma e papà, con un titolo di studio, un stipendio da schiavo/dipendente in qualche mega apparato pubblico o privato dove poter attendere da atei la pensione, che forse (dico forse) concederanno loro le maggioranze musulmane che legifereranno tra pochi decenni alle minoranze occidentali e post cristiane.
    Fabio

    1. Thelonious

      @Fabio

      nei tanto vituperati paesi del Nord Europa (orrore ! orrore!) le famiglie giovani sono molto più favorite dallo Stato, e infatti il tasso di natalità presso di loro è molto più elevato che in Italia, che a dispetto di tutti i proclami sulla famiglia, nulla fa per favorire la generazione di nuove vite.
      Con tutto questo, sono contento di essere italiano e di tradizione cattolica, e la cultura nordeuropea non mi appartiene affatto. Però per fare analisi corrette occorre guardare la realtà, osservarla. Se la osservi, vedrai che il quadro non corrisponde alla tua descrizione.

      E’ vero, si tratta di un fatto culturale, prima che politico. Ma per fare analisi, anche a partire da nomi importanti come Chesterton, bisogna osservare il dato della realtà.
      E i dati di natalità per paese obbligano a fare qualche considerazione.

      Come diceva acutamente Alexis Carrel, “Molto ragionamento e poca osservazione, conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”

      1. Francesco Paolo Vatti

        Comunque, che gli Stati totalitari cerchino di sottrarre i figli alle famiglie è vero da Sparta in poi.

      2. Antonio Spinola

        Spiace doverlo affermare, ma lo Stato che “favorisce le famiglie giovani” è generalmente lo Stato di una società industriale che ha ovviamente enorme bisogno dei tuoi figli, quindi “generosamente” te li toglie dai piedi tutto il giorno, educandoli fin dalla nascita secondo la sua etica laica, colpendo al cuore i valori e i legami familiari, riducendo la tua casa a dormitorio.
        Un aiuto devastante.

        1. Thelonious

          @Antonio Spinola

          allora viva gli stati come il nostro che ti succhiano il sangue con le tasse più alte d’Europa, sprecano risorse in mille modi e, infine, non aiutano le famiglie che mettono al mondo i figli !
          Bravo ! applausi ! E questo sarebbe un giudizio che si basa sulla sussidiarietà e la solidarietà?
          Mia moglie ed io abbiamo tre figli, avuti abbastanza presto, lavoriamo in due e ci facciamo il mazzo praticamente senza nessun aiuto (come quasi tutti in Italia).
          Come noi altre famiglie che, nonostante tutto questo, decidono che vale la pena mettere al mondo figli.
          E tu dici che sarebbe un male se lo Stato sanguisuga che ci sta sopra ci aiutasse un pò di più come famiglia?
          E si può sapere tu, concretamente, cosa proponi? Sono curioso: fatti, però, non chiacchere, please.

          1. giovi

            Mi inserisco con un esempio sull’allattamento. Leggo che , In Italia, ci saranno bonus per l’allattamento artificiale. Ecco, lo considero un esempio di aiuto devastante. Per la mia esperienza, a contatto da decenni con decine di madri, i casi in cui l’allattamento artificiale è necessario per motivi medici sono praticamente nulli, ma spesso manca un’attenzione alle puerpere, che si trovano sole in un tempo come quello di oggi in cui le famiglie sono isolate e i bambini pochissimi. Se l’allattamento dunque non parte subito alla grande ( che poi, ogni coppia mamma-figlio ha i suoi tempi, non necessariamente quelli delle tabelle) , il reparto maternità si stufa, il pediatra si stufa, il papà si stufa e si preoccupa, e via con la soluzione apparentemente più semplice, quella del latte artificiale.
            Tanto è vero che , sempre per la mia esperienza, oggi sono le mamme più disagiate o immigrate ( da me, soprattutto marocchine ) che , in mancanza di un sostegno efficace, usano il latte artificiale. Un vero aiuto , a mio parere, sarebbe quello di usare quei quattrocento euro del bonus per il latte artificiale per attività di formazione e sostegno nei primi giorni dopo il parto, a tutto vantaggio della salute e dell’intimità di mamma e figlio, che non dovrebbero rinunciare all’allattamento materno. Poi, ci sarebbe anche l’aspetto che dopo i primi tre mesi molte mamme rinunciano ad allattare per tornare al lavoro e anche qui si potrebbe discutere se il bonus per il latte artificiale sia una vera soluzione.

            1. giovi

              e meno male che i pediatri hanno protestato: raramente si è vista una maggiore incompetenza, e pure a tutto campo, in tutti campi di cui si occupano, dalla scuola alla sanità, di quella dei 5S !

            2. Francesco Paolo Vatti

              Confermo questo racconto: il mio secondo ci ha messo quasi un mese a poppare come si deve e perdeva peso e non dormiva, non facendo dormire neanche noi. Io mi ero già stufato e spingevo per il latte artificiale, ma per fortuna mia moglie tenne duro e tutto andò a posto….

              1. giovi

                Quello che cerco di dire alle mamme ( e ai papà) è che se il bambino ha qualche difficoltà col latte materno, che è quanto di meglio possa avere al mondo, addirittura personalizzato sulle sue esigenze di crescita ora per ora, figuriamoci con quei mattoni di latti artificiali, che, come sentii ad un corso d’aggiornamento, fanno dormire i bambini perché affaticano talmente la digestione che il bimbo si abbiocca !

          2. Antonio Spinola

            Caro Thelonious
            no, non penso proprio che “sarebbe un male se lo Stato sanguisuga che ci sta sopra ci aiutasse un po’ di più come famiglia”, ci mancherebbe!
            Ma bisogna capire che se permetti allo Stato che ti sequestri i soldi e poi chiedi che si prenda in carico i tuoi figli, devi accettarne le (devastanti) conseguenze. La “sussidarietà” è una chimera perché uno Stato laicista non vuole semplicemente i tuoi soldi, vuole la tua anima, e se non gli dai la tua, si prende quella dei tuoi figli. Che è quello che sta accadendo.
            Soluzioni? Non sono un politico, ma, per il momento, direi meno Stato e meno tasse.

  12. Elisabetta

    In generale sono d’accordo, ma secondo me bisogna anche considerare che un lavoro anche poco importante dà l’indipendenza economica, e questo non è una cosa trascurabile, né per l’autostima della donna né per l’equilibrio del rapporto con il proprio marito/compagno. Quando una donna non lavora spesso il budget familiare è gestito dal marito. Io vengo da una famiglia in cui mio padre lavorava e mia madre cresceva i 4 figli, ma mio padre dava tutto lo stipendio a mia madre che lo gestiva (bene) e non si è mai sentita umiliata. Però conosco diverse situazioni familiari in cui non è così. Per non dimenticare il fatto che una donna può subire una separazione, o può perdere il marito, perché nella vita non si sa mai, ed in quel caso, se non ha un lavoro, sono dolori. Credo che l’alternativa giusta, e che dà tranquillità, sia un reddito per le donne che decidono di stare a casa a crescere i figli.

    1. Beppe

      @Elisabetta
      … quindi avevano ragione quelli che nel ’72 si sono strenuamente opposti al divorzio, sostenendo che avrebbe trasformato il matrimonio in una burletta e il rapporto uomo/donna in una idiozia.
      Da cui la strenua necessità di vivere, ora, ciascuno aggrappato al proprio stipendio, in un solitario sforzo, come un granchio sulla scogliera battuto dalle onde in una notte di tempesta.

  13. Francesco Paolo Vatti

    Bellissimo articolo, che condivido nella sua maggior parte. Sono un po’ perplesso sul fatto che il mercato del lavoro, al maschile, possa effettivamente essere trasformato: quando parla delle professioniste, penso che la pressione dalla clientela renda pressocché impossibile ridurre gli orari… I professionisti, specialmente dopo la crisi, sono sempre più sottoposti alla fretta e alla necessità di fare bene e subito, rispondendo alle e-mail pochissimo (spesso troppo poco) tempo dopo. E’ molto difficile che si possa fare qualcosa in questo senso. E le donne che conosco e che sono in vista nella professione, sono ancora più stressate e spesso stressanti degli uomini….

    1. Federica

      @Beppe
      Giusto, per evitare che la donna senta come necessità l’indipendenza economica, meglio togliere direttamente l’opzione facendo sì che le coppie sposate debbano stare insieme per forza.

  14. Antonio Spinola

    Ovviamente però, “indipendenza economica”, “autostima”, “realizzazione di sé”… sono altrettante cariche di dinamite opportunamente predisposte (di comune accordo!!!) per far saltare in aria una famiglia in qualsiasi momento…
    Non mi sembra proprio una buona idea.

    1. Francesco Paolo Vatti

      Antonio Spinola, pienamente d’accordo. Cercare l’indipendenza all’interno della coppia significa volerne nei fatti star fuori: nella coppia bisognerebbe essere interdipendenti, non dipendenti.

  15. Pingback: Donne, figli e lavoro | Sopra La Notizia

  16. Elisabetta

    Vorrei incidentalmente aggiungere che il modello della donna che tradizionalmente sta a casa ad accudire i figli mentre il marito porta a casa i soldi è un modello tutto occidentale, relativamente recente e riferito alla borghesia. Le mie nonne erano contadine: lavoravano quanto gli uomini, nei campi e in casa, ed accudivano i figli e i vecchi. Le ragazze andavano in città a servizio, finché non si sposavano. E provate a chiedere ad una donna filippina, in Italia per fare la colf o la badante, come funziona a casa loro: funziona che sono le donne che emigrano e lavorano per mandare i soldi agli uomini che se ne restano a casa e per lo più non lavorano.

  17. Antonio Spinola

    Ovviamente parliamo di occidente (ossia cristianità) e del suo modo di pensare la famiglia lungo i secoli.
    Questo modo fu sconvolto dalla rivoluzione industriale, che ha allontanato i figli dai genitori e i mariti dalle mogli. Che si trattasse di agricoltura, di commercio o di manifattura, il lavoro raramente separava i componenti della famiglia, il più si svolgeva in casa e nei suoi pressi, cosicché l’ambito propriamente domestico e quello lavorativo erano interconnessi e permeabili.

    1. ola

      @Spinola colpito e affondato.
      Facendo attenzione a non scadere in improbabili quanto infalsificabili nessi causali e’perfettamente evidente a chiunque che lo stesso comunismo non sarebbe stato pensabile senza i nuovi spazi sociali e del pensiero aperti dalla prima rivoluzione industriale.

  18. Luigi

    “Scegliere quanto e come, cioè non adattarsi a un mondo del lavoro che è tutto maschile, nel senso che ha orari e tempi e regole pensati per chi non deve prendersi cura di altre persone.”

    Ripeto pacatamente una domanda già fatta altre volte.
    Davvero si è pensato che l’uguaglianza con i maschi sarebbe stata solo nei diritti? O forse inconsapevolmente si è prestata fede alla narrazione femminista per cui, lungo i secoli, gli uomini avrebbero gozzovigliato semplicemente parassitando le povere donne schiavizzate?

    È di un’ovvietà ai margini del lapalissiano, che se si pretende l’uguaglianza con gli uomini questa preveda diritti e doveri. Anzi, sempre più spesso accade che le donne abbiano molti più diritti degli uomini.
    Si comincia a comprendere il perfido ma sottile inganno sottostante?

    Il tutto, ammettendo per assurdo che il mondo del lavoro sia davvero tutto maschile, cosa che ovviamente non è.
    Infatti da che mondo e mondo anche gli uomini si sono presi cura degli altri; secondo la loro natura, ovviamente diversa da quella femminile, per cui non poteva che essere diverso anche il modo in cui si curavano degli altri (come del resto le donne hanno sempre lavorato, pur in maniera naturalmente differente dagli uomini).

    Per dire, ovviamente non c’erano donne al Kahlenberg o sulle galere a Lepanto.
    Ma anche questo è occuparsi degli altri; altri che avrebbero per altro fatto una fine molto ma molto più miseranda e dolorosa di chi tardivamente comprenda che la rana, se tenta di assomigliare al bue, finisce per scoppiare.

    Per millenni il “lavoro” non fu maschile, ma più correttamente secondo natura. Non per nulla il modello di utopia sociale di Tolkien è “the Shire”, la Contea.
    Oggi il mondo del lavoro, fondamentalmente, non è maschile bensì antiumano.

    Ciao.
    Luigi

    P.S.: complimenti a Valeria Maria Monica, Beppe e Fabio; le cui opinioni condivido completamente.

  19. Nunzia

    @Beppe.
    Capire ciò che hanno scritto Elisabetta e Federica è semplicissimo salvo che non si voglia capire, ma questa è una realtà che accomuna non poche persone. Del resto non a caso la saggezza popolare ha coniato uno splendido modo di dire: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”!
    L’indipendenza economica per una donna come per un uomo è fondamentale e questo lo affermo non soltanto come donna ma come psicologa, abituata a condividere da oltre trent’anni i meandri più reconditi delle unioni sentimentali. L’indipendenza economica è vitale innanzitutto per l’autostima e ciò che possederla comporta nelle relazioni con il mondo e con gli altri e poi consente di sentirsi alla pari con il proprio compagno/a.
    Questo però non piace a molti uomini, perché viene meno quella sudditanza psicologica legata soltanto alla situazione economica, il modo più becero e controproducente per legare a sé una persona uomo o donna che sia. Sudditanza che altrimenti diventerebbe piacevolissima per entrambi laddove però ci fossero consapevolezza e libera scelta. Del resto che cosa è o dovrebbe essere una unione sentimentale tra due persone se non l’”affidarsi” reciproco?
    L’affidamento inizia nell’incontro, come disse la vecchia veggente Diotima a Socrate nel “Simposio” di Platone: incontro dei bei corpi, poi dei bei pensieri e delle belle azioni che avvengono in questi corpi e alla fine in un istante che forse è concesso solo una volta nella vita, incontriamo la “Bellezza”.
    L’Amore, quando c’è, accende l’entusiasmo e ogni parvenza di ricatto lo spegne.
    Auguri.

    1. Beppe

      @Nunzia
      guarda, figliola, che se non ci fosse la gente “maschilista” come me a creare tutti questi casini nella vita di coppia … tu moriresti di fame.
      Non puoi fare il lavoro della vetraia, se non c’è qualcuno che spacca i vetri.
      Quindi, educatamente, ringraziami perché sono io che metto i soldi nel tuo conto corrente.
      I genitori, i nonni, i patriarchi dai tempi di Adamo ed Eva sono rimasti assieme senza l’aiuto della psichiatra.
      Forse Andromaca si è sentita umiliata da Ettore … perché tutte le sue sensibilità di giovane mamma erano lì davanti al suo uomo?
      Di fronte all’implosione delle 4 cosette di cultura classica che citi (tra l’altro interpretandole come ti è più comodo), l’ultimo dialogo tra Ettore e Andromaca brilla come un sole nella galassia.
      Ma non ti è mai venuto in mente che il tuo lavoro è inutile?
      Negli ultimi 30 anni hai setacciato tra l’immondizia, prodotta da gente che ha trattato le relazioni di coppia come sacchi della spazzatura.
      Quando tu hai incominciato a lavorare, 30 anni fa, Minghi e Mietta cinguettavano il “trottolino amoroso”, adesso, intanto che stai leggendo queste righe, tua figlia sta guardando 7 rings di Ariana Grande sull’iPhone.
      I tempi sono cambiati : it’s not my business, ‘is yours.

    2. Francesco Paolo Vatti

      Mi spiace, ma non sono d’accordo: l’indipendenza economica è un modo per essere meno unito all’altro. Devo, però, dire che la nostra società ha perso interamente l’importanza del dono, cosicché le dinamiche che lei dice sono spesso, purtroppo, vere. Ma, se le cose funzionano, ognuno dei due coniugi dovrebbe donare qualcosa all’altro: tradizionalmente l’uomo dovrebbe donare alla donna il proprio stipendio e la donna dovrebbe regalare all’uomo la serenità (scusate, ma non la ritengo meno importante dei soldi, che, per me, non sono tutto). Fuori da questa logica, il matrimonio diventa sicuramente un rapporto di forze, come il rapporto datore-dipendente, e sicuramente le dinamiche che lei dice trionfano. Ma penso che sarebbe più giusto recuperare la dimensione del dono che rendersi reciprocamente indipendenti, come due estranei.

  20. Simonetta

    Bravissimo! Non ero arrivata al tuo commento, ma era quello che volevo scrivere. Il lavoro è dignità, sacro, mantiene la famiglia, ma oggi, l’hai detto è antiumano. Pranzi trangugiati di fretta, richieste impossibili, come se fosse questione di vita o di morte fare tutto subito. Un’urgenza che in realtà non esiste. Per non parlare di quanto la gente è imbestialita quando guida. Alla guida salta fuori il massimo dell’inciviltà. Penso a quando papà lavorava a pochi km da casa, ci si trovava a pranzo. Adesso per lavorare si va spesso lontano, ore trascorse in auto sottratte ad altro, stress inutile. Ci vorrebbe una nuova rivoluzione nel lavoro, per un lavoro a misura d’uomo, non il contrario.

  21. Fabio

    “Indipendenza economica”: non vi ricorda dunque, come acutamente Francesco Paolo accenna, ad una visione dialettica della coppia ? Qualcosa che ha a che fare con una visione dell’altro come “l’inferno”, o comunque un avversario da gestire ? Il marxismo e il femminismo hanno vinto. Il lingiuaggio rivela ormai una assuefazione ai postulati della modernità, ma non è questo che Dio ha voluto: “…e i due saranno una carne sola…”. Se c’è l’amore oblativo, tutto il resto viene da sè, mediante una intesa e un dialogo coniugale autentico, profondo anche se non privo di fatiche, errori, crisi. Una intesa che non può prescindere dai ruoli conferiti nella mascolinità e femminilità, comunque. Non c’è bisogno di riconoscimenti salariali o sindacali dall’una o dall’altra parte quando paraaimo di Matrimonio Sacramento. E’ come se la Chiesa chiedesse al Suo Sposo l’indiendenza in qualcosa, ma la Chiesa è totalmente dipendente dal Suo Sposo Crocifisso per Lei (che dunque si è fatto Servo e prigioniero nell’Eucarestia per lei, altro che indipendenza !). E’ un movimento reciproco di donazione totale, dinamica della Santissima Trinità, e i coniugi ad immagine di tale Amore trinitario sono costituiti sin dall’origine.

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