Il freddo dentro

di Costanza Miriano

Questa volta non ho parlato con padre Maurizio, quindi non so cosa dirà venerdì al primo dei cinque passi di quest’anno, dedicato alla paura, e purtroppo io non ci sarò perché ad Arezzo e Prato. Però voglio dire qualcosa anche io sulla paura, che sarà il tema dell’incontro.

Innanzitutto voglio dire che anche io avrei una paura tremenda se non confidassi in Dio, e ogni volta che stacco la mano dalla sua mi torna, la paura. Paura di morire e di tutte le piccole morti che sono gli insuccessi, gli abbandoni, la paura della solitudine, di non essere amati, della casa piccola dello stipendio basso e via dicendo. Avrei soprattutto, paurissima della morte dei nostri figli, molto più che della mia o di mio marito. Mi sembrerebbe intollerabile. Io penso che  tutte le paranoie e le ipocondrie dell’uomo contemporaneo vengano dalla paura della morte, e ci mancherebbe che non ne avesse, avendo eliminato Dio. Io se non credessi sarei morta di paura. Soprattutto paura di non essere amata abbastanza. Non mi ricordo se fosse santa teresina, comunque c’è una santa che si stupiva che tutta la gente lontana dalla fede non la facesse finita con la vita. Come fanno a reggersi in piedi? Probabilmente distraendosi (l’industria più fiorente è senza dubbio quella dell’entertainment).

Con i miei figli – due in particolare – quando erano piccoli e le paure ancora me le dicevano direttamente, facevo il gioco “alla peggio”. Dicevo sempre: va bene, mettiamo che sia come dici tu, che succeda la cosa peggiore. Che ti perda. Che i compagni ridano del tuo costume di carnevale. Che il compito vada male. Che tu cada. E allora? Qual è il problema? Che succederà mai? Tutt’al più muoio, mi rispose una volta un figlio che immagino voglia mantenere l’anonimato, svelando appunto quale sia la paura che sta dietro ogni timore. Ma il Signore ha vinto la morte, ricominciavo ogni volta a raccontare, mentre per sicurezza controllavo dietro la porta, sotto il letto e dentro l’armadio che non ci fosse un mostro o un furetto (la paura l’avevamo ereditata da una storia di scoiattoli).

Siamo in un tempo che vuole esorcizzare tutte le paure: quella della sofferenza, quella della malattia (con l’eutanasia), quella dei figli disabili (con la diagnosi prenatale: leggi, l’eliminazione dei malati), quella del futuro in generale (non si fanno figli), quella dell’impegno (non ci si sposa), quella della noia e della solitudine (siamo sempre connessi). Quanto alla morte, poiché non si può esorcizzare, non se ne parla mai (quando qualcuno “si spegne”, o “ci lascia”, o “sale in cielo” vietato farlo vedere ai bambini). Non si vive preparandosi, come con l’esercizio della buona morte, non si nomina mai, e giustamente, perché se non ci fosse un Padre buono ad aspettarci sarebbe un incubo.

Ma quella di controllare le paure ignorandole è un’illusione, funziona solo per un po’. L’unico modo è andare in fondo alle paure, sperimentandole. Vivendo e verificando. Andando da soli in cantina a prendere il latte (cantare Heidi molto forte aiuta). Andando alla festa dove non conosci nessuno e hai paura di passare per sfigata (ovviamente passerai davvero per sfigata, ma scoprirai che sopravvivi lo stesso). Uscendo con quella persona, facendo quel lavoro per il quale non sei perfettamente adeguata. Lo puoi fare, ma solo se sai che c’è qualcuno che ti ama pazzamente, con un amore più tenero di quello del primo bacio che Maria diede a Gesù bambino (non so quale mistico lo abbia detto, ma da quando l’ho sentito dire da un sacerdote non riesco a smettere di pensarci).

51 pensieri su “Il freddo dentro

  1. francesco

    niente male una Fede basata sulla paura.

    inibitori dei recettori della serotonina come se piovesse.
    dovremmo ascoltare di piu’ il nostro corpo. lui sa cosa fare.

  2. Non mi sembra che Costanza abbia descritto una “fede basata sulla paura”. Ha fatto presente, giustamente, che chi non ha fede diventa inevitabilmente vittima della paura, oppure si condanna a distrarsi per tutta la vita. CIoè, più che dare un motivo per aver fede, ha spiegato cosa succede a chi non ne ha. Ed è una chiave di lettura fondamentale per il mondo contemporaneo.

  3. Nicola

    Condivido soprattutto la paura per il destino dei figli, per i quali prego tutti i giorni sin dal giorno della nascita del primogenito.
    Grazie a Dio, la Fede che le persone che il Signore mi ha messo accanto nella vita mi sostiene ad affrontare e superare le paure.
    E come ha detto Don Julian Carron nei giorni scorsi:
    «Quando uno, nella paura e nello sconforto, vede avverarsi nell’esperienza di un altro ciò che desidera, è allora che il cristianesimo comincia di nuovo a diventare interessante».
    E anche l’esempio quotidiano di Testimoni come te ci aiutano Costanza. Grazie.

  4. Costanza Miriano

    Ovvio, non ho detto che la mia fede è basata sulla paura. Ma che se non avessi fede avrei paura. E’ il contrario. Comunque sono contenta per te se non ti spaventa essere mangiato dai vermi e finire nel nulla. Come sarebbe se non ci fosse Dio.

    1. Paola

      Costanza per me sei meglio degli antidepressivi: mi hai fatto fare una bella risata in questa tetra mattinata novembrina. W Monastero Wi-fi! Poi invece c’è chi rafforza la propria autostima e si tira un po’ su convincendosi di essere psicologicamente più forte perche non ha bisogno di “credere”, basandosi sull’idea che la fede sia il solito “oppio dei popoli” e bla bla bla. Per dimostrare a se stessi e agli altri che si è “forti”, si nega qualsiasi bisogno di fede. Ovviamente il meccanismo psicologicamente non funziona più se NON E’ VERO che la fede è dettata dalla paura. Quindi, se il pensiero che tutta l’esistenza si concluderà fra una manciata di anni (chi più chi meno) in cenere o vermi, fa stare meglio, c’è poco da dire. La fede, parafrasando Costanza, è pratica estrema per donne e uomini senza paura, un dono da chiedere e rinnovare ogni giorno, con coraggio…mica robetta da fifoni, ne sanno qualcosa i Santi!

      Ciao!

      1. Francesco Paolo Vatti

        In realtà è vero: chissà perché c’è gente che dice di non credere e sembra godere della non esistenza di Dio… Penso che un ateo, se è una persona ragionevole, dovrebbe essere triste di non essere riuscito a trovare Dio. L’atteggiamento dovrebbe essere: per quanto ci abbia provato, non l’ho trovato, che peccato! Questo, però, avviene raramente. Chissà perché!

        1. Le ragioni della “non-fede” e gli atteggiamenti che ne seguono o quelli da cui derivano, non credo siano così semplici da catalogare…

          Davvero poi si può pensare che un Uomo possa arrivare a dire: “…per quanto ci abbia provato, non l’ho trovato (Dio), che peccato!”?

          Delle due l’una: o la sua ricerca è stata un inganno (una falsa ricerca), o Dio è il dio dell’assurdo… ha dato perfino Suo Figlio per poi “nascondersi” agli occhi di chi lo cerca (con cuore sincero)?

          1. Gigi

            1) Potresti leggere Giuseppe Prezzolini, uno dei più grandi pensatori del ‘900 ( non laureato e studioso autodidatta): ha cercato tutta la vita, un Papa addirittura gli ha offerto la sua amicizia e l’aiuto spirituale, prima dalle colonne del Corriere della Sera poi privatamente, alla fine della fiera comunque non Lo ha trovato, è morto dicendo:” Che peccato!” .
            2) Nessun essere umano sotto il cielo e ripeto: NESSUNO, è senza fede. Quando c’è un dono dall’alto, perché la Fede è un dono e dunque ESCLUDE automaticamente il MERITO del credente ( se ciò che possiedi ti è stato donato…allora di che ti vanti?), quando c’è questo dono,dicevo, la tua fiducia è in una PRESENZA; se il dono di questa GRAZIA (etimologia: gratis) non c’è…allora la tua fiducia sarà in una ASSENZA, CIOÈ PORRAI LA TUA FEDE ( scommetterai la tua vita) NELLA NON ESISTENZA DI DIO. Fede, in entrambi i casi…

            1. @Gigi, non ho del tutto compreso il senso ultimo del tuo intervento…

              Quanto a “dono” e “ricerca” dell’Uomo, quando scrivo “ricerca” intendo il desiderio sincero dell’animo che risponde ad una chiamata, non ne faccio quindi una questione di merito umano se non nell’esercitare la propria libera volontà nell’aderire al Dono, alla Grazia.
              Sul CCC leggo:

              La fede è una grazia

              153 Quando san Pietro confessa che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Gesù gli dice: « Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli » (Mt 16,17). 184 La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa. « Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” ». 185

              La fede è un atto umano

              154 È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse (come, per esempio, quando un uomo e una donna si sposano), per entrare così in reciproca comunione. Conseguentemente, ancor meno è contrario alla nostra dignità « prestare, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e della nostra volontà a Dio quando si rivela » 186 ed entrare in tal modo in intima comunione con lui.

              La fede e l’intelligenza

              158 « La fede cerca di comprendere »: 195 è caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che egli ha rivelato; una conoscenza più penetrante richiederà a sua volta una fede più grande, sempre più ardente d’amore. La grazia della fede apre « gli occhi della mente » (Ef 1,18) per una intelligenza viva dei contenuti della Rivelazione, cioè dell’insieme del disegno di Dio e dei misteri della fede, dell’intima connessione che li lega tra loro e con Cristo, centro del mistero rivelato. Ora, « affinché l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo […] Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni ». 196 Così, secondo il detto di sant’Agostino: « Credi per comprendere: comprendi per credere ». 197

              La libertà della fede

              160 Perché la risposta di fede sia umana, « è elemento fondamentale […] che gli uomini devono volontariamente rispondere a Dio credendo; che perciò nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura».200 « Dio chiama certo gli uomini a servirlo in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza, ma non coartati. […] Ciò è apparso in sommo grado in Cristo Gesù ». 201 Infatti, Cristo ha invitato alla fede e alla conversione, ma a ciò non ha affatto costretto. « Ha reso testimonianza alla verità, ma non ha voluto imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno […] cresce in virtù dell’amore, con il quale Cristo, esaltato in croce, trae a sé gli uomini ». 202

              1. @Gigi
                Bariom ha citato a proposito vari passi del CCC. In sintesi: la fede è un dono, ma i doni siamo liberi di rifiutarli. Anche il Sacrificio di Cristo è un dono, che può liberarci dai nostri peccati. Ma siamo liberi di rifiutarlo. Il “merito”, dunque, si riduce a questo: accettare il dono e rendersi degni di riceverlo. Comunque richiede un atto di volontà da parte nostra, libera e non scontata.

    2. TèaVe

      È come dici, ed io che ho una fede debole e intermittente lo esperimento. Però vorrei capire, da te e/o altri, la ragione per cui il difetto di fede sia un peccato e condanni, perché una risposta l’avrei ma è proprio quella che mi abbatte.

      1. TeAve.
        Tutti abbiamo una fede debole rispetto alla chiamata che Dio ci rivolge. Pero’ per fortificarla la prima esigenza e’ quella di essere umili, riconoscerci peccatori, quali siamo, come il pubblicano del Vangelo. Entrare in una Chiesa, inginocchiarsi e pregare come il pubblicano, significa mettersi in ascolto di quello che il Signore ci vuole dire. L’equivoco, che traspare anche dall’intervento di Gigi, e’ quello di credere che noi possiamo trovare Dio per mezzo di una nostra ricerca o comunque di una nostra iniziativa. Dio e’ irraggiungibile, se non e’ Lui che scende, attraverso il Cristo, al nostro livello e che ci chiama. Egli lo fa sempre, a noi tocca solo di dire di si’, iniziando un cammino di conversione che e’ frutto di una grazia che ci viene sempre data. L’importante e’ non disperare, perche la misericordia di Dio e’ infinita e Lui vuole non la condanna, ma la nostra salvezza.

        1. Di nuovo si può leggere il passaggio del CCC “La fede e l’intelligenza n.158”, che ho riportato poco più in alto…

          Considerare la sempre utile (e necessaria) preghiera “Signore accresci la mia Fede”, e anche che se si vuole realmente progredire in un cammino di conversione, è INDISPENSABILE una guida spirituale/confessore-abituale, perché affidarci al solo nostro intelletto/sentimento/moto-spirituale può essere ingannevole, sia in senso di una esaltazione sia in quello di una erronea continua auto-accusa.

          Quanto alla condanna per un “difetto di Fede”, forse è il caso di riandare alla nota “parabola dei talenti” (Mt 25, 14-30) dove risulta piutosto chiaro quale sia la colpa e la conseguente condanna.

  5. Alejandra

    Muy buena reflexión,gracias.
    Leo con traductor de google de Chrome, pero no pierdo la esperanza de algún día poder leer el blog en español.
    Saludos desde Chile.

      1. Credo che questa frase riassuma tutto:

        resta la criticità di un’arte “molto pensata” che non si riesce a capire

        Il resto dell’articolo, di fatto, è inutile (*) perché alla fine scende nello stesso campo di speculazioni intellettuali dell’artista (o supposto tale). È l’errore che non dobbiamo compiere.

        La questione dirimente è che di fronte ad un capolavoro di arte sacra (di cui abbiamo tonnellate di esempi; in realtà la cosa vale anche per l’arte non sacra) prima ne subisci l’effetto (di bellezza, di pietà, di commozione) e poi puoi anche leggerti pagine di analisi che ti fanno capire ogni minimo dettaglio, il che certamente completa la comprensione dell’opera, ma rimane una cosa facoltativa.

        Se l’ordine viene invertito, ovvero se prima deve partire lo spiegone, allora c’è qualcosa che non va.

        (*) L’autore l’ho letto dopo il pezzo.

        1. Difatto l’arte (vera} sacra e non, affascina, coinvolge, commuove, senza bisogno di “spiegone* alcuno e anche chi non è in grado di comprende qualsivoglia analisi (o spiegone di cui sopra).

          1. Infatti, secoli e secoli di generazioni di “semplici” (quelli che, come hai scritto ieri – o l’altro ieri? – non si “appropriano” delle cose di Dio, ma le accettano e basta) hanno apprezzato secoli di arte sacra senza spiegoni (che non avrebbero neanche potuto capire).

            Dal pezzo di Valli:

            “O’ famo strano? Ma sì, famolo”.

            Ho pensato la stessa cosa. Il “famolo strano” è una costante dell'”arte” moderna: “artisti” che evidentemente non hanno ispirazione né grazia, dunque per far parlare di sé devono “colpire” l’attenzione con qualche escamotage.

            1. Io qui ci vedo anche qualcosa di più subdolo. Magari non consciamente realizzato dall’artista ma frutto del suo orizzonte culturale.
              Dato che ogni cultura ha i suoi miti e anch’io da adolescente li ho abbracciati acriticamente, c’è una parte di me che risuona a questo messaggio. Spero di sbagliarmi però.
              Io in questo altare ci vedo il mito classicista, nato col Rinascimento e poi rilanciato dall’Illuminismo, secondo cui la Chiesa ha schiacciato con il suo oscurantismo la perfetta bellezza del mondo pagano. Chesterton, per stigmatizzare questo atteggiamento, citava i versi di un poeta inglese di fine ‘800
              “Hai vinto, pallido Nazareno,\
              e il mondo è triste e grigio”
              Ecco, quest’opera in me fa risuonare questo pensiero. Sicuramente l’autore protesterebbe che questa non era affatto la sua intenzione, ma tutti sanno che le opere di ognuno riflettono anche pensieri inconsci. Se questa influenza culturale è ancora presente in me che da anni cerco di “evangelizzarmi nel profondo” (cit. di uno scrittore-psicologo cristiano), tantopiù può emergere in un artista dichiaratamente ateo.

              Leggo che l’autore stesso dichiara di aver voluto rappresentare un’umanità in attesa di Redenzione. Ma Redenzione da cosa? La mia metà illuminista risponderebbe “dall’inutile peso del misticismo per ritrovare la libertà perduta”.

              Se qualcuno volesse smentirmi sarò contento, ma per ora sono convinto che questo è il pensiero che anima l’autore, consapevolmente o no.
              Questa è l’atmosfera culturale, il desiderio di riallacciarsi all’Antichità saltando 1000 anni di Medioevo, come una brutta sbornia della civiltà occidentale.
              A livello di ricerca storica questo mito è ormai superato, ma culturalmente continua ad aver peso. Mi colpì per esempio quando 15 anni fa scrissero l’introduzione alla Costituzione Europea cominciando con Tucidide e terminando con Voltaire… e in mezzo nulla di importante. 🙁

              1. Per fare un esempio analogo ma in positivo, mi torna in mente la base del portale romanico di santiago di Compostela. Lì, le colonne istoriate dell’ingresso poggiano su creature mostruose… perchè la Chiesa È la pietra poggiata sopra le porte dell’inferno per tenerle chiuse. Mica sopra un armonioso paganesimo che avrebbe distrutto.
                Ma mi rendo conto che sto facendo un processo alle intenzioni inconsce, il che è decisamente contro il fair play, quindi prendete questi commenti solo come un mea culpa contro i miei miti culturali pregressi.

                  1. Ma mi rendo conto che sto facendo un processo alle intenzioni inconsce, il che è decisamente contro il fair play, quindi prendete questi commenti solo come un mea culpa contro i miei miti culturali pregressi.

                    Io penso che potresti aver ragione, ma come hai scritto l’autore potrebbe negare. Perché però dovremmo credergli? La smania di piazzare la propria “opera” in un contesto prestigioso può anche far mentire la gente (figuriamoci). È proprio per questo che io preferisco tagliare la testa al toro ed evitare analisi complesse: ci fanno perdere tempo, ci immettono in un labirinto di discussioni che non portano da nessuna parte. E intanto l’opera resta lì. Molto più banalmente, se fossi di quelle parti, in quella chiesa non metterei più piede. Se un buon numero di fedeli facesse così, ci sarebbero molte più probabilità di farla rimuovere, senza aumentare troppo l’entropia dell’universo.

                    1. Vedi Fabrizio anche pensare alla “smania” di taluni per avere la propria opera in “ambiente prestigioso” diventa processo alle intenzioni…

                      Può essere vero tutto, può essere vera l’analisi alle intenzioni di zimisce, o l’esatto contrario, ma il nocciolo del problema è un altro:

                      Chi analizza, vaglia, soppesa il valore liturgico oltre che artistico dell’opera?
                      (E potrebbe al limite anche vagliare le reali intenzioni dell’ “artista”…)

                      Se smania c’è o c’è stata (oltre che incompetenza dal punto di vista artistico-liturgico), chi ha concesso spazio (sacro) a tale smania?
                      Perché io posso “smaniare” sin che voglio, ma se trovo un diniego, non è che piazzo il “mio” altare notte tempo.

                      Su questo la Chiesa (e mi duole dirlo), latita da troppo tempo, non ha (o lo ha solo nominalmente) un Dicastèro che si occupi delle “opere d’arte e dell’ingegno” (dall’iconografia all’architettura) destinate agli spazi liturgici.
                      Le scelte sono lasciate al giudizio anche del singolo parroco, o consiglio pastorale o poco più in alto nella gerarchia a seconda dell’importanza della “locazione”, ma tali scelte sono troppo spesso bacate da gusti personali, rapporti personali se non sudditanza psicologica-culturale (sic) rispetto l’artista di turno (non parliamo poi se questa è una cosiddetta “star” – peraltro non di rado atea o agnostica – doppio sic!).

                      All’Arte, all’Artista si dovrebbe applicare ciò che normalmente si applica alla vita spirituale e concreta di ogni credente.
                      La Fede e la Vita non disgiunte, non vedono tarpate le “ali della libertà”, ma la libertà non è individualismo, personalismo, anarchia… la Libertà (che fondamentalmente è Cristo, vivere per Cristo, con Cristo, in Cristo) diviene Servizio («…chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore») e quindi, l’Arte, l’Artista e il suo talento, si mettono al servizio, piegano il capo dell’alterigia che talvolta gli artisti invade, a servizio della Comunità, della Parola (Verbo), della Liturgia, traendo dal tesoro della Chiesa, della sua Tradizione, “cose antiche e cose nuove” – parafrasando Matteo quando parla di ogni scriba divenuto discepolo – perché il passaggio sta proprio lì… lo scriba non era “persona qualunque”, aveva un servizio, ma anche doti e talento, ma diverso è essere semplice “scriba” o “scriba che si fa discepolo”.

                      Difronte a opere come questa di cui parliamo, mi spiace ma il “risultato” (al di là di cosa uno consideri “bello” o “brutto” – qui la ricerca del “bello” è veramente impresa ardua), non mi fa intravedere nè “cose antiche”, nè “cose nuove”, soprattutto non innalza il mio spirito a nessun moto di meraviglia, di lode e di benedizione, anzi, finisce per distrarre il mio sguardo dal segno profondo che è l’Altare (Cristo stesso), dall’immenso ed escatologico Sacrificio e Rito che vi si compie e questo temo sia evidente ai più, perché non c’è bisogno di sapere cosa sia un pentagramma per avvertire una nota stonata.

                      Scusate, mi sono fatto prendere la mano e sono caduto nello “spiegone” 😐 😉

  6. La morte e la paura della morte che ne consegue, sono entrate nel modo per l’invidia del Diavolo “e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (leggere con discernimento questa affermazione della Sapienza).

    E’ certo che tutte le paure che ci assalgono, che sono come fantasmi, spauracchi, angosce, tarli della mente, non vengono da Dio – anche se Dio le permette – e rimandano TUTTE alla morte, che sia quella fisica, che sia quella “ontologica”, la morte del nostro “essere interiore”, del nostro io.

    Della paura, delle paure, ne facciamo esperienza tutti, causa il comune e nostro (poco nominato come si è detto altrove) Peccato Originale, anche in assenza di altri peccati che maggiormante ci allontanano da Dio e ci consegnano alle nostre paure.

    Poi non è che “avere Fede” significhi automaticamente non avere più alcuna paura, non provare angosce (persino Cristo ha provato angoscia all’avvicinarsi della Sua Ora), ma molte, moltissime paure che attanagliano l’Uomo nel suo vivere quotidiano, ne determinano scelte (non libere) e azioni (rarissimamente buone), sono appunto “fantasmi”. Cioè “apparizioni” inconsistenti, non-reali, proiezioni di qualcosa che neppure si verificherà nel concreto, ma che il Diavolo ci agita davanti, forte delle nostre debolezze, per portarci allo sconforto (sino agli esiti più tragici) e per tentare nella Fede chi Fede ha (“Veramente Dio esiste?!” “Veramente ti ama?!” “Questo sarebbe tuo Padre?!”).

    Chi ha Fede entra nel “combattimento”, appoggiato a Cristo, alla Sua Croce, fidando in Dio e chiedendo aiuto allo Spirito (e a tutta la schiera dei Santi), chi non ha Fede, combatte con le risorse umane che ha, talvolta “vince” (ma ritengo sempre per misericordia di Dio), tantissime volte soccombe, generalmente – come sottolinea Costanza – si ALLIENA! (gioco, feste, viaggi, sesso, sino a droghe, alcool e dipendenze varie).

    Per chi ha Fede, mi piace ricordare un piccolo spendido aforisma che credo aver già citato in altra occasione:

    “La Paura bussò alla porta… La Fede andò ad aprire… non c’era più nessuno!”

      1. @cinzia,

        “A subitanea et improvisa morte, libera nos Domine”

        “Liberaci Signore da improvvisa morta”, anche questa preghiera che tanti Santi e Padri (e spero semplici Fedeli) recitavano e recitano, la dice lunga sulla diversa visone della morte rispetto il mondo…

        Ricordo come anche io, prima della mia conversione, speravo in un bel “colpo secco”, uno “scciopone” come diceva quello 😀 , alla peggio un incidente stradale che non mi desse scampo… Una vera corbelleria per un Cristiano (e desiderio un po’ egoistico se si pensa ai propri cariche restano).

        Qui il correttamente inteso “timor di dio” non può che farci sperare di avere un Tempo di conversione, di redenzione, che ci consenta di poter ben sperare nella misericordia di Dio e soprattutto non essere disgraziatamente colti lontani da Lui.

        E’ una preghiera da applicare a noi stessi, ma non è certo un male invocarla per i nostri cari, soprattutto quando è concreta la possibilità che il tempo che stanno vivendo li avvicina alla loro Ora.
        Ed è una preghiera che Dio ascolta (posso dirlo per esperienza personale) e il vederla accolta dà una grande consolazione.

      2. rosa

        A Napoli c’è all’interno di un palazzone che la ha inglobata c’è la chiesa di Santa Maria del Buon Morire: ora è una parrocchia, una volta, era appena fuori le mura (o meglio prima che venissero costruite le mura spagnole) li aveva sede l’arciconfraternita dei bianchi: quando qualcuno stava morendo solo, qaundo nessuno si avvicinava ad un malato temendo il contagio,quando la scienza si arrendeva arrivavano loro e lo portavano ai piedi dell’altare della Madonna e restavano a fargli compagnia recitando l’intero ufficio.
        Naturalmente a turno: a tra i turnisti non mancavano mai nè la regina (futura beata) Maria Cristina di Savoia nè il re Ferdinando II.
        Ma quelli erano i Borboni, i re lazzaroni perchè invece di esprimersi in francese, sentivano come un dovere farsi comprendere dal proprio popolo.

    1. Mentelibera65

      Che poi è sintetizzato tutto bella lettera agli Ebrei :
      “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.”

  7. Pingback: Morirei di paura se non confidassi in Dio!

  8. ola

    > Cioè “apparizioni” inconsistenti, non-reali, proiezioni di qualcosa che neppure si verificherà nel concreto, ma che il Diavolo ci agita davanti, forte delle nostre debolezze, per portarci allo sconforto (sino agli esiti più tragici) e per tentare nella Fede chi Fede ha (“Veramente Dio esiste?!” “Veramente ti ama?!” “Questo sarebbe tuo Padre?!”).

    @Bariom verissimo! Grazie per il commento.

  9. Maria Cristina

    Io invece penso che la mania tutta moderna di considerare la “paura” qualcosa di negativo e di disprezzare la paura quale moto istintivo dell’anima, venga da un grande inganno. lL paura è una emozione che tutti gli animali hanno di fronte a un pericolo. Se non l’avessero finirebbero mangiati dopo pochi giorni di vita. Il mondo moderno che si discosta sempre più dalla realtà, ti insegna che puoi benissimo andare di notte vestita in minigonna nelle periferie degradate di una grande città senza avere paura. Così poi le ragazzine finiscono violentate e strupate. Insegnare ad avere una “sana” paura dei pericoli è il primo insegnamento per chiunque voglia educare alla realtà e non all’utopia.
    la paura come tutte le altre istintive reazioni di un organismo è un modo per l’organismo di proteggersi, adattandosi alla fuga o all’attacco ( avete in mente la pelle d’oca? sì anche quella è positiva, è dovuta alla scarica di adrenalina e somiglia alla reazione dei gatti a cui si rizzano i peli del dorso).
    La Natura fa le cose a ragion veduta e saggiamente se l’essere umano ha paura dei pericoli che lo minacciano, ciò è cosa buona è giusta. Togliete la paura e in un mondo di uomini anestetizzati ed ipnotizzati si farà strage dei più deboli. La lucina “Attenzione pericolo” che scatta nel nostro cervello una volta disattivata, ci estingueremo facilmente.
    Ina giusta paura quindi è positiva e chi non la òprova è un incosciente. Non avere “paura” del diverso è un mantra che si sente ripetere oggi. Ma perchè non dovrei avere paura del diverso? UN gatto non dovrebbe avere paura di un coccodrillo, o un uccello di un serpente?

    1. @Maria Cristina forse si stava parlando di paure un po’ diverse rispetto quella di trovarsi chessò, davanti ad una bestia feroce o ad un malvivente…

  10. nat

    La prima paura spesso è proprio quella di fidarsi e quindi di “cedere” totalmente a Dio.
    Quanti strattoni, ribellioni, fughe… precedono a volte questo abbandonarsi.
    La preghiera della grande Teresa d’Avila è la descrizione di questo percorso:
    dal ” Nulla ti turbi…” iniziale alla conclusione “e vivrai una grande pace”.

  11. Giuseppe

    Una bella sfida parlare della paura, quando c’è , tu non sei più, …….se ne esce con un FIAT voluntas.. Come ne uscì Gesù sudando sangue nel getszenami( Peguy )

  12. Angela

    Mangiati dai vermi ci finiamo in ogni caso e anche le “sane” paure così’ bene elencate ci continueranno a fare compagnia! Per non parlare poi del comune destino che ci accumula: la morte e il timore dell’ ignoto (perché’ poi avere paura di qualcosa che non si conosce) per gli uni e la consapevolezza di non essere stati all’altezza per altri (ma chi lo e’ veramente) Ma, non me ne voglia Costanza, io sento più’ la mancanza dell’amore terreno perché’ il vero assente e’ lui ed e’ questa la mia più’ grande paura.

  13. Carla casabassa

    Mi rifaccio ai commenti sull’altare. D’accordo su quanto detto sull “artista” , ma più terra a terra, perchè un parroco o un vescovo ha accettato, e pagato, per quell’orrore? (proprio nel senso che genera orrore, direi fisico)

    1. perchè un parroco o un vescovo ha accettato, e pagato, per quell’orrore?

      I modernisti, invece di essere “divorati dallo zelo per la casa del Signore”, sono ossessionati dalle mode… Devono seguire mode e tendenze che il mondo approva, perché sennò temono di non apparire moderni.

    2. @Carla la tua domanda è la stessa che ponevo ieri in un commento qui che poi non è “apparso” e che seguiva un commento di @Fabrizio anche quello “desaparecidos”.

      Lo ripropongo:

      Vedi Fabrizio anche pensare alla “smania” di taluni per avere la propria opera in “ambiente prestigioso” diventa processo alle intenzioni…

      Può essere vero tutto, può essere vera l’analisi alle intenzioni di zimisce (http://dumlucetsol.wordpress.com/), o l’esatto contrario, ma il nocciolo del problema è un altro:

      Chi analizza, vaglia, soppesa il valore liturgico oltre che artistico dell’opera?
      (E potrebbe al limite anche vagliare le reali intenzioni dell’ “artista”…)

      Se smania c’è o c’è stata (oltre che incompetenza dal punto di vista artistico-liturgico), chi ha concesso spazio (sacro) a tale smania?
      Perché io posso “smaniare” sin che voglio, ma se trovo un diniego, non è che piazzo il “mio” altare notte tempo.

      Su questo la Chiesa (e mi duole dirlo), latita da troppo tempo, non ha (o lo ha solo nominalmente) un Dicastèro che si occupi delle “opere d’arte e dell’ingegno” (dall’iconografia all’architettura) destinate agli spazi liturgici.
      Le scelte sono lasciate al giudizio anche del singolo parroco, o consiglio pastorale o poco più in alto nella gerarchia a seconda dell’importanza della “locazione”, ma tali scelte sono troppo spesso bacate da gusti personali, rapporti personali se non sudditanza psicologica-culturale (sic) rispetto l’artista di turno (non parliamo poi se questa è una cosiddetta “star” – peraltro non di rado atea o agnostica – doppio sic!).

      All’Arte, all’Artista si dovrebbe applicare ciò che normalmente si applica alla vita spirituale e concreta di ogni credente.
      La Fede e la Vita non disgiunte, non vedono tarpate le “ali della libertà”, ma la libertà non è individualismo, personalismo, anarchia… la Libertà (che fondamentalmente è Cristo, vivere per Cristo, con Cristo, in Cristo) diviene Servizio («…chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore») e quindi, l’Arte, l’Artista e il suo talento, si mettono al servizio, piegano il capo dell’alterigia che talvolta gli artisti invade, a servizio della Comunità, della Parola (Verbo), della Liturgia, traendo dal tesoro della Chiesa, della sua Tradizione, “cose antiche e cose nuove” – parafrasando Matteo quando parla di ogni scriba divenuto discepolo – perché il passaggio sta proprio lì… lo scriba non era “persona qualunque”, aveva un servizio, ma anche doti e talento, ma diverso è essere semplice “scriba” o “scriba che si fa discepolo”.

      Difronte a opere come questa di cui parliamo, mi spiace ma il “risultato” (al di là di cosa uno consideri “bello” o “brutto” – qui la ricerca del “bello” è veramente impresa ardua), non mi fa intravedere nè “cose antiche”, nè “cose nuove”, soprattutto non innalza il mio spirito a nessun moto di meraviglia, di lode e di benedizione, anzi, finisce per distrarre il mio sguardo dal segno profondo che è l’Altare (Cristo stesso), dall’immenso ed escatologico Sacrificio e Rito che vi si compie e questo temo sia evidente ai più, perché non c’è bisogno di sapere cosa sia un pentagramma per avvertire una nota stonata.

      Scusate, se mi sono fatto prendere la mano e sono caduto nello “spiegone” (cit. @Fabrizio) 😐 😉

      P.S. aggiungo questa mattina per “dovere di cronaca” che “La qualità del nuovo presbiterio è dovuta anche al lungo percorso di riflessione e gestazione, durato in tutto tre anni. L’intervento è stato reso possibile dalla generosità del benefattore Franco Moggio e da Ivano Valagussa, fino a pochi mesi fa parroco e oggi vicario episcopale dell’arcivescovo di Milano, che ha presieduto una commissione composta da Giancarlo Santi, Andrea Dall’Asta, Carlo Capponi, Claudio Magnoli, Francesco Tedeschi, Giovanni Orsini e dalla direttrice del Museo MA*GA Emma Zanella, a testimonianza del valore globale assunto dall’intera operazione.” (come riporta Avvenire).

      Quindi lunga gestazione, commissione, ecc. ecc.
      Risultato…? Bello o brutto a parte (pure questione non secondaria, ma al limite opinabile), dipende da qual è il punto di partenza dell’analisi critica, ma anche da quali sono i “valori” che le diverse analisi presentano come risultato.

  14. Si parla di paura…..

    Per la mia esperienza ammetto che ho avuto paura per molti anni e ogni volta che ero per strada del ritorno del lavoro, quando sentivo la sirena di un ambulanza andavo ancora più veloce per arrivare a casa, temevo sempre che sia mia cara figlia nell’ambulanza.

    Ma devo dire che una forza mi è stato dato, e non smettevo di cantare La Croce Glorioso del mio Signore Risorto.
    Andavo avanti cosi…..fino al giorno della sua chiamata in cielo.
    Grazie.

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