L’aborto e l’infelicità delle donne

2016-05-02_220158

di Costanza Miriano

C’è un’infinità di argomenti contro l’aborto, ma io, visto che mi piace perdere facile, scelgo il più opinabile, il più attaccabile, il meno spendibile in un dibattito pubblico: l’aborto rende le donne infelici. Si potrebbe affrontare il tema sul piano filosofico, come Bobbio (o la Paola Belletti, la mia filosofa preferita, di certo la più gnocca), culturale, come Pasolini, di fede, come fa la Chiesa, o ancora economico, come fa chi elenca nomi dei finanziatori dei prochoice e cifre (fiumi di denaro: perché?). Si potrebbero contestare i numeri falsi che hanno alimentato falsi miti e portato all’approvazione delle leggi sulla base di bufale (come la sentenza Roe – Wade negli Usa o la campagna radicale in Italia), e mostrare come l’aborto ha risparmiato pochissime vite di donne evitando l’aborto clandestino ma ha sterminato schiere infinite di bambini che senza la 194 sarebbero nati.

Si potrebbe raccontare la storia delle leggi e delle bugie, come Socci nell’imperdibile Il genocidio censurato, o raccogliere le voci di medici che dopo migliaia di corpi straziati non ce la fanno più, a volte neanche gli abortisti più convinti, perché loro lo sanno che stanno tradendo il giuramento di Ippocrate, per cui hanno promesso di curare e non di procurare morte.

Invece a me l’argomento che mi infiamma – lo so, “a me mi” non si dice, ma serve a sottolineare -, quello che mi fa arrabbiare, che mi toglie anche il sonno quando incontro qualche storia di donna alle prese con LA decisione della sua vita (e non solo della sua), è che le donne sono infelici se abortiscono, e a me dispiace tanto per loro, e mi arrabbio per le bugie che hanno ascoltato. Non credo che sia neanche un fatto di bontà, o di sensibilità o nobiltà d’animo. Le donne soffrono perché le nostre viscere più profonde e ancestrali fremono quando uccidono la vita che pulsa dentro di loro, e che chiede di essere accolta, chiede sangue e cellule e carne e fiato per resistere. È una questione prima di tutto animale. Una donna lo sa che sta facendo una cosa contraria a quello a cui tutto il suo essere tende. Lo sa che il suo corpo e il suo cervello sono programmati per questo. Lo sa che sta uccidendo il suo bambino, e non sta raschiando via il frutto del concepimento. Lo sa che poi per tutta la vita si chiederà chi sarebbe stato quel bambino, che gusto di gelato avrebbe preferito, se avrebbe avuto paura dell’acqua o del buio o dei ragni. Si tormenterà per questo piccolo che lei ha lasciato andare via da solo, nel freddo, tra i rifiuti, tradito dalla sua mamma.

Certo, se la potrà raccontare per un po’. Per un bel po’, anche. Io le conosco direttamente, di persona, nomi e facce. Alcune sono arrivate alla fine della vita senza riuscire ad ammettere a se stesse quello che avevano fatto. Perché era troppo doloroso e faticoso e complicato ammettere di avere sbagliato tutto. Poi sul letto di morte invocavano quel bambino. Le ho viste coi miei occhi. Donne che a 80 anni non riuscivano a perdonarsi di un aborto clandestino fatto magari 60 anni prima. Donne che si erano indurite e sono rimaste sole. Donne che avevano portato la nevrosi nella loro famiglia, facendone pagare il prezzo anche ad altri figli. Donne dipendenti dall’alcol, dagli psicofarmaci. Donne che non potevano più guardarsi allo specchio. Donne che avevano perso tutta la stima di sé, e che quindi non si facevano stimare dagli uomini. Donne che non denunciavano gli stupratori perché a causa di un aborto fatto anni prima pensavano di meritarsi quel male.

Eppure nessuna di quelle donne si meritava nessun male, tanto meno una violenza. Quelle donne si meritavano di essere prese per mano, abbracciate, contenute in un abbraccio più grande del dubbio, della paura, dell’incertezza. Andava detto loro che non sarebbero state sole: a una mamma non serve tanto per dire sì. Serve solo una spinta, perché poi una mamma trova dentro di sé delle energie che neanche sospettava di avere. Una mamma prende a spallate i muri, solleva le montagne, dorme tre ore a notte e ne ha ancora sempre per tutti, per leggere I viaggi di Giovannino Perdigiorno e preparare la cena e ascoltare un racconto di supereroi anche se non si siede da diciannove ore.

E le mamme che hanno abortito, sempre mamme sono, oggi si meritano un abbraccio, qualcuno che le lasci piangere fino a che gli occhi si secchino e la mente si svuoti, qualcuno che permetta loro di guardare il male fatto, di perdonarsi e di ricominciare, ricordando loro che tutti siamo peccatori perdonati infinite volte al giorno. Ma per avere perdono serve chiederlo, guardare una volta, una sola, quello che si è fatto, perché neanche i regali si possono ricevere se noi non li si accolgono.

Non è che solo le donne che abortiscono abbiano qualcosa da farsi perdonare, basta essere uomini per essere poveri uomini, come diceva Mazzolari. Il punto è che sono loro che non si perdonano, perché continuano a dirsi di avere esercitato un diritto, quando sanno benissimo, da qualche parte nelle viscere, che non è così. Non voglio assolutamente in nessun modo alimentare la mistica della madre santa eroica perfetta. Non è che essere mamma sia niente di straordinario, né ci rende particolarmente speciali in sé il fatto di partorire (lo fanno anche gli animali, volevo dire). E’ avvenuto svariati miliardi di volte e avverrà ancora, mentre le piogge continueranno a cadere e i tram ad andare e le patatine a essere fritte, non è che il mondo si fermerà perché una fa un figlio. Perché c’è anche l’esagerazione opposta, a volte, almeno tra noi occidentali. Abbiamo talmente tanto perso il senso della naturalezza della maternità che poi quando capita a una, pare la fine del mondo. Si mobilitano schiere di nonni, si fanno i party coi regali delle amiche, gli album fotografici, si comprano attrezzature atte allo sbarco di un commando di piccole dimensioni in Vietnam, si fanno analisi e controlli che manco alla NASA prima di una missione su Marte. Essere mamme è fisiologico, è normale. Siamo nate per questo, così come camminiamo perché abbiamo due gambe. Poi si può camminare con eleganza come una modella, magari danzare come una étoile, o marciare verso l’oro olimpico, oppure si può camminare arrancando con le buste della spesa, come la maggior parte di noi, cioè essendo mamme normali, che a volte sbagliano a volte fanno bene. Non c’è nessun merito a essere mamme, è nor-ma-le.

Né voglio al contrario alimentare la mistica della maternità tutta delizie e angeli che svolazzano intorno al focolare. Credo che nessuna di noi tragga particolare soddisfazione dal pulire vomiti alle tre di notte o dallo spazzare da terra pezzi di patata lessa spalmata. Non è questo il punto. E poi si può essere mamme in molti modi, anche orribili (io mi accontenterei di essere una madre decente). Anzi, credo che quasi tutte noi proiettiamo il nostro mondo interiore ferito – mai totalmente riconciliato, sempre memore del peccato originale – nel rapporto più viscerale che abbiamo. Possiamo essere insopportabili, possessive, invadenti, fanatiche. Possiamo anche essere affette da una sorta di delirio di onnipotenza nei confronti dei nostri figli, dei quali dimentichiamo troppo spesso che non sono nostri (noi diamo una mano a Dio, gli permettiamo di usarci, ma i figli sono i suoi). Rischiamo spesso di essere così madri da dimenticare di essere prima spose, ed estromettere i padri dal rapporto, privandoli del ruolo fondamentale: tagliare il cordone, non solo quello di carne, mandare i figli fuori di casa, proteggerli dalla madre, rappresentare il principio di realtà. Siamo tutte un po’ quella mamma dell’esercizio di grammatica che racconta spesso Franco Nembrini (compito: analizza la mia mamma mi vuole bene. La=articolo determinativo mia= aggettivo ossessivo). Spesso non ci accontentiamo di essere mamme, vogliamo essere mamme al cubo, e questo non è certo un bene. Ma è in qualche modo anche per questo che dico che sono certa che una donna abortendo faccia una cosa contro la sua più profonda natura.

Mi si obietterà che non è vero niente, che ridurre le donne a corpi da fattrici è da Medio Evo e da cattonazista-fascista-islamica (cattoislamica ora che ci penso è da Nobel dell’ignoranza)bla bla bla, e che comunque le donne devono essere libere di rovinarsi la vita, se lo desiderano. Ci sarebbero molte cose da rispondere, prima di tutto che c’è anche un’altra vita in gioco, e potrei andare avanti per ore. Ma il punto che fa fremere le mie viscere come dicevo è che c’è un bombardamento culturale su queste donne che non le rende pienamente consapevoli di quello che stanno facendo. Non è vero che siamo liberi. Siamo tutti anche culturalmente condizionati nelle nostre scelte. Paola Bonzi, tanto per dirne una, solo abbracciando, contenendo, offrendo aiuto economico è riuscita a far nascere 18mila mamme e altrettanti bambini. Nessuna mamma deve essere lasciata sola. Mai più. Una donna ha solo bisogno di qualcuno che le dica quanto è bella e forte, che non è sola, che qualcuno la aiuterà a provvedere al suo bambino, che la aiuti a vedere la felicità pazza e strabordante alla quale è stata miracolosamente chiamata. Io ne sono testimone. Ci può essere, molto spesso c’è, un momento di sgomento di fronte alla chiamata: non è il momento, il lavoro, non ci sono i soldi, la casa è piccola, lui non mi ama, non lo amo, sarà la persona giusta, ma i fratelli come la prenderanno, li trascurerò, adesso che ero tornata magra, ho la tiroide sfasata, è il quarto cesareo, il cuore fa i capricci, è il sesto figlio, era la prima sera che uscivo con quest’uomo, proprio adesso che mi hanno offerto il posto in America/all’università/nello studio, sono grande e il bimbo potrebbe avere problemi. Lo sgomento arriva, spesso, ma la morte non è mai la soluzione. Chiedete a una mamma che ha già figli di uccidere quello di sette anni, visto che non c’è posto in casa. Vi guarderà come se le aveste chiesto di strapparsi via il cuore a morsi. Ecco, si tratta solo di dire a tutte le donne che stanno abortendo che si stanno strappando via il cuore a morsi, solo che non ha sette anni ma qualche giorno di vita.

pubblicato il 16 marzo 2015

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8 maggio 2016 a Roma

La Marcia per la Vita

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36 pensieri su “L’aborto e l’infelicità delle donne

  1. Maria

    Una madre di una compagna di una mia figlia, di cui diventai amica, mi raccontò la tragedia della sua vita, così diceva. Sposatasi giovanissima e con il marito spesso fuori per lavoro, a diciotto anni aspettava il secondo bambino: spaventata, si rivolse a un’ostetrica del paese (in tempo di aborto vietato). Con dei ferri questa ostetrica le disse che stava provocando l’arresto della gravidanza e che presto avrebbe espulso il feto. Questo no accadde e la gravidanza andò avanti con tanto sollievo della mia amica che, mi disse, “dovevo essere stordita a pensare una cosa del genere” e ad aver pagato per farlo”. Ma dopo il sesto mese ebbe una brutta emorragia e perse il bambino, con grande dolore e rimpianto. Ebbe un altro piccino poco dopo cha a due anni morì tragicamente e lei visse per tanto tempo in la convinzione che Dio l’avesse voluta castigare.
    Riuscì a rasserenarsi solo quando ebbe ancora dei bambini e mai più li volle mettere in discussione. Ora è anche nonna ma io conosco quel l’ombra che le vela il sorriso..,

  2. Dall’essere in sé culle della vita, a sepolcri della morte…

    Il fatto è che accettare di dare la vita è anche umanamente accettare di sacrificare parte della propria. Rinunciare a una parte della propria vita (piccola o grande che sia) per donarla ad una nuova Creatura.

    Entrare in una morte, invece di dare la morte, per permettere che una vita nasca…

    Oggi come oggi, in una cultura e una mentalità che sempre più ti spingere e ti insegna a “difendere” la tua vita (con le unghie e con i denti), dicendo e mentendo che non hai altro, ciò che è sempre stato naturale per una donna, non più facile o meno impegnativo (come per un uomo che deve pur avere parte in questo…), oggi pare impresa insormontabile, insostenibile, quando non addirittura inaccettabile.

  3. cinzia

    Conosco diverse donne che hanno abortito, e nessuna di loro è felice. Una, che è stata sempre stramba…. ora ha l’Alzheimer.
    Un’altra ha abortito a 37 anni, tanto ci sarebbe stato dopo il tempo di fare un figlio, eventualmente…. ma non è stato così. E allora, a parte il fatto che è sempre arrabbiata, si è legata ai suoi cani più che se fossero figlioli, e quando un suo cane vecchio è morto ha sofferto in maniera indicibile. Ovviamente non ha mai apertamente detto nulla del suo aborto, ma io penso che dopo 15 anni stia ancora soffrendo per essersi fatta convincere a rinunciare a suo figlio.
    Perché è vero…. “abortendo … si stanno strappando via il cuore a morsi”

  4. Carla Ferrari

    A 14 anni subisce una violenza e resta incinta. Vuole tenere il bambino. Così le suggerisce il suo istinto materno! Per non farsi condizionare non dice niente alla madre che è abortista convinta. All’ ottavo mese, con la pancia che non si può più nascondere, confida al parroco che sta per avere un bimbo ma non sa come fare. Lui mette su un gruppo di volontari che la aiuteranno tutte le mattine con la bimba mentre lei è a scuola. Continua gli studi; la madre si disinteressa della nipote e si limita ad ospitarle in casa chiarendo che non presterà alcun aiuto alla figlia e alla nipote, e così farà! La ragazza con tanta fatica ma tanto coraggio e determinazione riesce a diplomarsi. La parrocchia non la abbandona mai. Compie 18 anni vuole andare via dalla madre perché non regge più la situazione. Viene ospitata in parrocchia per qualche anno in cambio di lavori e impegno all’interno della parrocchia. Intanto fa mille lavoretti e si da da fare. La bimba splendida cresce armonica ed amata. La nonna invece cade in depressione. Questa ragazza ora a 23 anni ha una figlia di 8 ed è riuscita a prendere in affitto un appartamentino , fa l’infermiera da un dentista che le ha dato un par- time favorevole come orari. Quel dentista sono io! Ieri mi ha detto: sono la persona più felice del mondo, con la mia bimba.
    Sapete la motivazione per cui l’ho scelta al colloquio di lavoro? Mi ha detto: ho 22 anni sono sola con una bimba di 7 anni. Ma che ne pensate? L’ho assunta perché se ha avuto quella forza e quella determinazione sarà così anche sul lavoro. Non ha MAI FATTO UN GIORNO DI ASSENZA. !
    Meditare meditare!

    1. Grazie Carla, la tua testimonianza mette in luce anche un altro aspetto.
      L’aiuto, l’accompagnamento, il farsi carico. Se quella giovane ragazza non avesse incontrato le persone che ha incontrato, forse lei avrebbe ceduto, forse avrebbe maledetto il giorno che… o forse no, ma quando si viene interpellati o coinvolti direttamente non ci si può tirare indietro.

      Se un peccato di omissione avesse portato ad un peccato di aborto, di quest’ultimo si sarebbe comunque partecipi…
      Nel caso che racconti si è invece pertecipi di un’opera di Grazia e del Dono di una Vita.

      1. Carla Ferrari

        Il signore ci chiede di essere fecondi. Ci sono tanti modi per essere madre, nonna, zia! La provvidenza di dio passa attraverso di noi. Dobbiamo solo lasciarla lavorare, farci strumento della sua grazia, senza pietismo o perbenismo ma con tolleranza, fermezza, generosità. Perché ogni aborto, ogni suicidio ogni disperazione è anche un po’ colpa nostra e del nostro egoismo e della nostra cecità . Restiamo vigili e vedremo un mondo diverso, ricco di gioia, bello e pieno di dio.
        Rischiamo un po’ la pelle per amore!

  5. Bri

    Mi viene da estrapolare questa frase
    ” Il punto è che sono loro che non si perdonano …”

    e mi permetto rispettosamente di tradurla in
    ” Il punto è che sono loro che non accettano il perdono di Dio. (punto)”

    Si dica quindi e si sappia che l’aborto è di natura così maligna che può portare persino a dubitare di poter essere perdonati
    Il vero frutto avvelenato del male compiuto

    1. @Bri, “non accettano” sa di rifiuto… il problema è e resta, “non si perdonano”…

      Facendo una esempio più terra-terra: tradisco mia moglie, potrei anche ottenere il suo perdono ed essere certo dal suo atteggiamento di essere stato perdonato… ma resta il fatto che potrei non perdonarmi di averla tradita.

      E’ cosa diversa dal dubitare del Perdono di Dio, problema che comunque è cpncreto e che come giustamente sottolinei, è un altro dei “frutti avvelenati” del male compiuto.
      E’ opera dell’Accusatore, che non ti da tregua. Fa leva sui tuoi sensi di colpa (anche giusti e sacrosanti) per farti dubitare di essere stato perdonato e rinfacciarti continuamente il male commesso (dopo averti magari spinto a compierlo).

      1. Bri

        @bariom
        con tutto il rispetto per i casi reali, chiedo perdono se non mollo il punto e proseguo in questa direzione e ribadisco:
        razionalmente come fai a non perdonarti se hai accettato il perdono ricevuto?
        Se credi, e ci credi, piangi sincere lacrime di pentimento sui piedi di Gesù finchè Lui ti aiuti a rialzarti e ti dica “Va ora, i tuoi peccati sono rimessi”, e muta le tue lacrime di dolore in lacrime di gioia.

        Dopo quel “Va ora” basta. Non è un “per adesso vai, poi vedremo, senti la mia segretaria e fissiamo un appuntamento tra 6 mesi così facciamo il punto su questa situazione qui”

        E’ che quel “potrei non perdonarMI d’averla tradita” rinchiude in sè un subdolo qualche cosa
        cioè lo capisco perchè è un modo di ragionare che mi appartiene molto.
        E so bene per esperienza che introduce altro male.
        Non ci si deve ostinare a rimanere prigionieri del pentimento
        Il pentimento è la strada che porta al perdono.
        Ma una volta dentro al perdono il pentimento deve starne fuori (che non vuol dire cancellarlo, eh, ma la sua funzione si è esaurita).

        PS.
        Quanto hai descritto bene l’azione maligna che si annida nei sensi di colpa

        1. Thelonious

          @Bri: come dici tu, RAZIONALMENTE non è giusto non perdonarSI una volta ricevuto il perdono, e tuttavia l’uomo non è solo razionalità (grazie a Dio).
          In più, se una persona pian piano cresce nella grazia di Dio e quindi nella luce interiore, vengono alla luce, oltre alle colpe gravi, anche colpe minori di cui prima neppure si accorgeva.

          Questo non significa che Dio non l’abbia perdonato, ma indica un rimorso di coscienza per un’azione che (a prescindere dal perdono avuto) rappresenta un’ingiustizia. Se tu hai ucciso una persona, anche se vieni perdonato, quella persona non riacquista più la vita.

          Su questo punto ti suggerisco la bellissima lettura del Miguel Manara di O.V. Milosz su questo punto, nelle pagine dei colloqui tra Miguel e l’abate.

          1. Bri

            @Thelonious

            Grazie, mi appunto il suggerimento di lettura

            Oltre non aggiungo in tema perchè non vorrei dire fesserie.
            Troverei però utile leggere altri (altri perchè ulteriori non perchè diversi 😉 ) commenti sul “rimorso di coscienza” a perdono ricevuto.

        2. @Bri, quando avrai letto Thelonious, avrai letto anche la mia risposta che faccio mia in toto… 😉

          Io non credo affatto ci sia un che di subdolo in quel “potrei non perdonarmi“…
          Parlando per me stesso, ci sono varie cose di cui non mi perdono. Come ne esco? Sapendo che Dio mi ha perdonato, ha chi ho fatto del male ho chiesto perdono, ho riparato se ho potuto (ma le ferite ai sentimenti altrui sono difficili da riparare). Tengo questa sofferenza del “non perdonarmelo” come monito per non ripetermi ed essere più consapevole delle mie azioni… e alla fine rimetto tutto a Dio, che meglio di me sa amare me e amare e consolare chi ho fatto soffrire.

          Questo senza nulla togliere o senza voler sminuire i rischi di sensi di colpa-accusa-dubbio sul Perdono.

  6. lumpy

    Carla, tu sei la prova del fatto che quando i datori di lavoro sono persone, cristiani, madri e padri di famiglia, allora non succedono cose come “le dimissioni firmate in bianco” in caso di maternità, o lo scartare sistematicamente mamme, spose, ma anche giovani papà e sposi.

    Conosco molto da vicino, ahimè, ragazze laureate col massimo dei voti che sono state sistematicamente scartate ai colloqui perché hanno osato indossare l’anello di fidanzamento e dichiarare che nelle loro prospettive di vita c’era il matrimonio e l’apertura alla vita. Così come conosco donne che sono state esposte al mobbing da parte delle loro colleghe al rientro dalla maternità, una cosa che -come bene ha scritto Costanza- ormai è sparita dall’orizzonte della normalità. Fanno un figlio (se lo fanno) e pare una cosa inaudita, ingestibile, gigantesca. Per non parlare di quelle che dicono “no grazie, non mi interessa, io voglio pensare a me, voglio realizzarmi nel lavoro”. E quante sono! I numeri dell’inverno demografico sono da brividi.

    Quando a dare lavoro erano persone, erano cristiani, allora la famiglia era un pregio, non una zavorra. Ora a dare lavoro sono cose, entità, astrazioni che -essendo cose- cercano solo persone da reificare. E “fidanzamento”, “matrimonio”, “figli” sono parole che nella maggioranza dei casi condannano il tuo cv al cesto della carta straccia.

    1. …e se fossero persone potrebbero essere anche peggio!

      p.s. non sapevo che nel curriculum vitae figurasse anche la voce fidanzamento.
      Comunque uno potrebbe anche fare come ha fatto la Miriano, sposarsi in segreto, nelle mani del vescovo.

  7. …semplicemente basterebbe dire a tutte le donne che volessero abortire che sarebbe come se si strappassero via il cuore a morsi, o come se uccidessero un figlio di sette anni (per esempio). Ecco!

  8. Belinda

    Grazie Costanza per averlo scritto. Il dolore delle donne che hanno abortito è un tabù, una realtà che mette in discussione il dogma della libertà di scelta. Qui il link del trailer di una piccola opera, praticamente autoprodotta, sul dolore, il punto di vista della mamma e del bambino.

  9. 61angeloextralarge

    Al volo… chiedo preghiere perché una coppia di sposi in attesa di un bambino dichiarato down, intende abortire. Grazie!

  10. “Lo sa che poi per tutta la vita si chiederà chi sarebbe stato quel bambino, che gusto di gelato avrebbe preferito, se avrebbe avuto paura dell’acqua o del buio o dei ragni. Si tormenterà per questo piccolo che lei ha lasciato andare via da solo, nel freddo, tra i rifiuti, tradito dalla sua mamma.” Succede per una figlia persa per malattia, figuriamoci per una figlia fatta morire… Grazie Costanza! Spero che tu non abbia mai provato questo dolore.

  11. Maria elena

    Stupendo.
    Conosco donne che ha no abortito, solo chi ha sane tiro l’abbraccio di Dio è riuscita a vivere.

  12. Corrado

    Grazie Costanza hai affrontando in modo convincente il problema dal lato giusto ed autentico : quello del cuore delle donne . Averlo farmelo conoscere ha aumentato la mia contrarietà all’aborto.

  13. fra' Sereno (François Marie)

    Grazie Costanza per tutto l’articolo. Lo sappiamo noi confessori che l’aborto fa soffrire le donne, tutte, un dolore così profondo che, quando no viene affrontato può portare fino a gravi depressioni. Non si riesce sempre a comprendere quanto faccia male al marito. Invitiamo sempre le donne che confessano questo peccato a chiedere ai mariti di confessarsi per la loro complicità, partecipazione. Quello che è altrettanto difficile è valutare il danno fatto ai fratelli e sorelle, venuti prima o dopo. Quando lo sanno (e vengono a confidarlo, cosa più che rara) l’effetto è devastante: perché lui ucciso e io risparmiato? posso avere fiducia nei miei genitori? Come difendersi se non indurendosi, nel dolore o nell’egoismo: si salvi chi può, penso a me stesso, ci sto e ne approfitto.

  14. isa

    Circa 27 anni fa rimasi incinta a 40 anni…..avevo 2 figli grandi ,maggiorenni di cui uno mi faceva vivere una situazione drammatica……. Mi accorsi della gravidanza in un momento di grave depressione…La vita che era dentro di me mi dette il coraggio di reagire e decidere di pensare solo a quella creatura. Arrivata al 5° mese di gravidanza ,reazione positiva al test che rivelava reazione materno fetale da Rh ……..Ho lottato con le plasmaferesi per levare gli anticorpi che attaccavano la mia creatura…….poi , per colpa di un amniocentesi (necessaria ), ecco le doglie … Vasosuprina a manetta col cuore a mille x 2 giorni ….. Ho partorito ancora con la flebo , sulla barella, lungo il corridoio …..La bimba era viva e l’ho sentita muovere…..in sala operatoria le hanno messo un mascherina per aiutarla a respirare…ma i polmoni non erano ancora completi. Quando mi sono svegliata dall’anestesia ,per il raschiamento, ho provato rabbia, dolore, frustrazione , disperazione e quella sensazione di viscere strappate , vuote, ferite…il petto scoppiava perchè reclamava il diritto di allattare…..l’unico conforto è stata una infermiera che, scusandosi, mi ha comunicato che aveva battezzato la bambina in extremis col nome Paola. Ho benedetto quella infermiera e ancora adesso sento Paolina vicino a me anche se non l’ho nemmeno vista , e penso che Dio me l’abbia mandata ,come un angelo , per salvarmi dalla disperazione. Ho poi perso un figlio di 40 anni,ma il dolore è stato ugualmente straziante….Il cordone ombelicale lega ai figli con un nodo d’amore così forte che nemmeno la morte e il tempo può sciogliere. Sono stata sempre contraria all’aborto e se avessi dato ascolto alla logica dell’opportunità materiale avrei dovuto abortire tutte e tre le volte. Ho provato,è vero, un immenso dolore, ma sono serena davanti a Dio perché ho fatto tutto il possibile per la vita di tutti i miei figli.

  15. gianfranco Falcone

    Ho un figlio Down. E’ la gioia di vivere e vorrei che venissero a vederlo tutti quelli che dicono che in questi casi sarebbe stato meglio abortire. Ama Mozart, e se ascolta una sua composizione a lui ancora sconosciuta riconosce lo stile e dice: “Questo è Mozart”. Chi avendo figli “normali” può dire altrettanto?

  16. Federica

    Io sono il prodotto di un aborto che mia madre, cristianissima, rifiutò di fare quando il medico di famiglia, ad una sua lamentela per la gravidanza indesiderata, le rispose proponendole il modo di “risolvere il problema”. Infatti in casa c’erano già un maschietto di sei anni e una bimba di undici mesi e nel dopoguerra una bocca in più da sfamare non veniva considerato proprio un regalo, soprattutto se il capofamiglia era senza lavoro.

    Per fortuna sua e di tutta la famiglia lei rifiutò la soluzione di quell’individuo, che ricordo benissimo per quanto era “untuoso” e sgradevole quando, da piccina, veniva a visitarmi se mi ammalavo.

    Di lì a pochi anni a mio padre offrirono la dirigenza di un’importante società, con conseguente grande benessere economico, ma, quando io ero poco più che ventenne, uno dopo l’altro cominciarono ad ammalarsi e a morire, mia sorella anche molto giovane, e a me per decenni è toccato assistere, come unica figlia, una madre gravemente cardiopatica.

    Quando mi ringraziava riconoscente per tutto quello che facevo per lei la prendevo in giro dicendole: “E tu che non mi volevi…”, costringendola a rispiegarmi che sì, era contenta di avermi avuta, ma all’inizio era andata in depressione…

    Ad ognuno di loro ho procurato una morte cristiana, assistendoli con amore e con le mie preghiere, non facendo mancar loro la presenza spirituale di un sacerdote e oggi ci sono solo io a curare le loro tombe e a far dire le Messe per le loro anime.

    Non ho avuto una vita facile, però non triste, e oggi sono una felicissima nonna, ma ogni volta che leggo gli articoli sugli aborti non posso fare a meno di pensare: se i miei genitori mi avessero uccisa, che ne sarebbe stato di tutti loro senza di me?

    1. @Federica è bello il tuo racconto, ma se tu fossi mancata certamene Dio avrebbe provveduto loro come fa il Buon Padre con ogni Figlio… anche quello che si trova in errore o errori ha commesso.

      Siamo tutti “servi inutili”… con la presunzione spesso di essere indispensabili 😉

      1. Enrico

        Hai ragione, Dio trova sempre la maniera di provvedere agli uomini (che sono ‘servi inutili’).
        Però è anche meraviglioso vedere come persone nate per sbaglio, per caso, o anche nonostante spinte all’aborto, si rendano utili agli altri rivelando come siano miseri i nostri giudizi e le nostre opinioni (e come non possiamo assolutamente prevedere il futuro).

        1. Non c’è dubbio, infatti ho esordito con “è bello il tuo racconto”, bello proprio nel senso che ha sottolineato 😉

  17. Matilde

    Sono rimasta incinta a 47 anni con due figli di 20 e 22 e un marito che era ormai abituato ad avermi tutta per se’. La sorpresa che ho provato era grande ma ancor più’ grande e profonda era la gioia interiore . Era un regalo inaspettato dal Cielo e così’ prezioso che non potevo metterlo a repentaglio facendo pericolosi esami invasivi per sapere prima del tempo quanti cromosomi avesse, tanto quell’eventualità in cuor mio l’avevo già accettata. Avevo letto con iniziale stupore testimonianze bellissime di genitori di bimbi down felici e già’ mi sentivo una di loro. Invece è’ nata una meravigliosa bimba senza problemi, che ora ha di 5 anni, che è la luce della nostra famiglia e tiene testa ai fratelli con i quali ha un rapporto bellissimo, per non parlare del papà’ che è’ persino ringiovanito da quando c’è’ lei. Quando incontro famiglie con bimbi down provo molta ammirazione, affetto e comunanza di sentimenti per quei fantastici genitori e per quei bimbi speciali, che non puoi non amare. Come loro testimoniano l’aborto non è mai una soluzione, la soluzione è accogliere la vita. La vita ti ripaga sempre. Occorre solo un po’ di coraggio e sana pazzia, occorre affidarsi a Chi tutto può.

  18. M

    @Federica Sì, la vita dei tuoi genitori sarebbe stata assai più triste e miseranda senza la tua sollecita e amorevole presenza. La vita che ti hanno donato gliel’hai restituita centuplicata. Con buona pace di tutti i liberi pensatori, mi arrogo la libertà di pensare che, chi è atto a pensare liberamente, la vita nn la sceglie, ma piuttosto l’accoglie; sempre! Nn esiste alcuna ragione ragionevole che possa giustificare l’uccisione di un bambino

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