Sulle case di tutti

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di Marco Tarquinio    da Avvenire

Una «N» per marchiare, per umiliare, per discriminare, per derubare legalmente. La impongono – in carattere arabo, lo stesso che affianca il titolo che apre questa pagina – i fondamentalisti musulmani sunniti dell’Isis a Mosul, in Iraq. «N» come «nasara», seguace del Nazareno, cioè cristiano. «N» come marchio di vergogna. Ma vergogna solo e soltanto per coloro che lo usano, che si proclamano credenti in Dio e si dimostrano feroci portatori e servi di odio, sopraffazione e violenza.

Quella «N» la portiamo anche noi, con disarmato e dolente orgoglio, con consapevole partecipazione alla sorte delle donne e degli uomini cristiani di Mosul e di ogni altro perseguitato a ragione della propria fede. Questo è il giorno giusto per dirlo, e – speriamo – non da soli. Perché quella «N» la portiamo nell’anima, nel cuore, sulla pelle, e non come una cicatrice amara o una bandiera di guerra, ma come l’inizio di una parola di fraternità e di libertà.

Vogliamo che si sappia – e sogniamo che tutto il mondo trovi la passione e il coraggio necessari per gridarlo – che quella «N» è stata tracciata anche sulla soglia delle nostre case, sull’uscio delle scuole che frequentano i nostri figli, davanti alle nostre chiese e ai luoghi di culto di chi crede diversamente da noi eppure ci è fratello, sui muri di tutti i civili edifici di città che sogniamo libere, sicure e accoglienti per ogni cittadino, per ogni ospite, per ogni profugo.

Vogliamo tutto questo. E vorremmo anche riuscire a dire che quella «N» non è soltanto una ferita profonda. È un’eco dura e potente della Croce di Cristo in una terra vicina e lontana, come ormai tutte le terre del mondo, come le tante, troppe terre che per i cristiani continuano a essere, ma mai prima così intensamente, terre di quotidiano martirio. Quella «N» è la conferma di una promessa impressionante e difficile, di una speranza che sfida le logiche e le paure degli uomini e delle donne di ogni tempo. È una frazione esigente e splendente di ciò che Gesù annuncia a chi l’incontra e si lascia toccare e cambiare dalla verità dell’incontro: «Beati voi – sta scritto nel Vangelo di Luca (6,22) – quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo».

logo-dentroQuella «N» incisa per infamare e per depredare, per umiliare e per esiliare può allora aiutare tutti – ma proprio tutti – ad aprire gli occhi, a ritrovare la voce, ad agire senza esitazioni, per umanità contro la prevaricazione e la persecuzione degli inermi. Quella «N» vuole essere e, infatti, sembra un sigillo di dominio e di morte, ma può essere convertita nel principio di una frase antica e nuova: nessuno aggredisca il fratello, nessuno su di lui commetta ingiustizia.

 

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30 pensieri su “Sulle case di tutti

  1. Quella N usata come la Stella di David da chi aveva nel cuore null’altro che odio e discriminazione. Prevaricazione e supposta supremazia. Diabolica volontà di cancellare, annientare un supposto nemico.
    Quel simbolo che, come a rendere reale il suo significato “Scudo di David”, nonostante l’odio e i milioni di morti, non ha visto la vittoria di chi lo voleva cancellato per sempre assieme a colororo per cui ben altro rappresentava e rappresenta.

  2. Siamo orgogliosi di portare il nome di Cristo e non degli idoli o dei falsi dei. Quando vedremo così anche certi nostri pastori? Hanno permesso che le chiese diventassero dormitori per chi ci addita, pensando di insultarci, con quella famosa N.

  3. Sara

    Orgogliosi di appartenere al numero di coloro che sono definiti da una N, preghiamo per i nostri fratelli di Mosul, dell’intero Iraq e di ogni parte del mondo dove si soffre e si è perseguitati a motivo di Cristo.

  4. Orgoglio può darsi, dolente un po’, disarmato per niente. Pensare che l’occidente non abbia nulla a che vedere con i vari fanatismi violenti di quelle parti è da ipocriti.

  5. Lorenza

    Dite a Tarquinio che è facile scriversi sul petto una N ideale per i cristiani di Mosul. Spenda un po’ di pathos anche per i cattolici italiani, come Suor Eugenia Libratore, la superiora del Sacro Cuore di Trento additata da giorni al pubblico ludibrio per non aver rinnovato il contratto ad un’insegnante lesbica ( e a 29 insegnanti etero che nessino si fila).
    La solidarietà con i cristiani di Mosul non costa niente, con i cristiani di Trento invece bisogna metterci la faccia!

    1. Certo può valere come il “voler bene” ai poveri bimbi africani, piuttosto che prendersene uno in casa, ma speriamo che anche in questo caso sia et-et… 😉

      Poi si vedrà… quando le N (Dio non voglia), saranno scritte fuori dai nostri portoni di casa.

    2. Giancarlo

      Bariom non se n’è ancora accorto, perché dorme saporito tra quattro guanciali, ma anche qui in Italia, noi cattolici, abbiamo scritto bella grossa, sulla fronte, la N di Nazareno.

      Hai pienamente ragione, Lorenza. I cattolici sono prevaricati, derisi, insultati, minacciati e CALUNNIATI anche qui, in Italia. Tarquinio però non mi sembra che brilli per coraggio in difesa delle buone battaglie che qui, in Italia, potrebbe combattere. La vicenda di suor Eugenia Libratore è un esempio illuminante del “coraggio” di Tarquinio e di tanti altri “cattolici” come lui. Come il direttore dell’Adige, ad esempio, “cattolico” anche lui; però non ci ha pensato due volte a calunniare suor Eugenia, a scrivere IL FALSO contro una suora cattolica pur di vendere qualche copia in più del suo giornale.

      A parte il fatto che, se anche fosse vero che quella lesbica fosse stata licenziata, suor Eugenia avrebbe agito nel suo pieno diritto garantito dalla costituzione. Ma, cosa volete, fa tanto gay-friendly alzare un polverone in favore dei finocchi; pazienza se arriva qualche schizzo di merda addosso ad una suora cattolica. L’importante è stare sempre (rigorosamente) dalla parte del più forte.

      Orgoglioso di essere un Nazareno.

  6. Come dicevo… si vedrà quando (Dio non voglia), le N, saranno scritte fuori dai nostri portoni di casa, e ognuno avrà da pensare al proprio “orgoglioso” coraggio…

  7. Lorenza

    Nel nostro piccolo noi trentini laici(il vescovo é latitante) ci stiamo esponendo e in qualche modo la n ce l’abbiamo giá,anche se certo non abbiamo perso casa e lavoro siamo tutti schedati e conosciuti a causa della partecipazione alle sentinelle, alle numerose lettere a sostegno di suor Eugenia e altro. Comunque a Tarqunio e al Vescovo non é richiesto alcun atto eroico. Non rischiano nulla,ergo sono degli ignavi e dei pavidi. Suor Eugenia ha solo L’aiuto dei laici, che certo si muovono con prudenza, ma stanno agendo a tutti i livelli, pubblici e privati con lettere ai giornali firmate personalmente (in una comunitá piccola come la nostra pesa)comunicati stampa delle associazioni di appartenenza, intervento presso i politici locali e nazionali. Solo la Chiesa ufficiale tace Eppure ha solo da perdere, sia dal punto di vista morale che materiale. Ora affossano le scuole cattoliche, domani toccherá ad altre realtà
    , fino a che si arriverá anche ai nostri vescovi e ai nostri curiali, ai loro beni, che a Trento sono ingenti, e al loro portafogli. Mi dispiace ma sarà un giusto castigo. Ha ragione Bariom quando dice che ciascuno deve (giá ora si presentano situazioni spinose)pensare al suo coraggio, ma non reputo assolutamente fuori luogo sferzare i generali disertori, considerato che molti di noi laici, senza avere alcun dovere di stato rispetto a questa specifica questione, non abbiamo rifiutato di combattere.

    1. @Lorenza, è nella natura delle “cose divine” e delle profezie, che ci sarà un vaglio… basta leggere anche solo l’Apocalisse.
      Per questo, sferziamo pure, scandalizziamoci e deprechiamo, ma preghiamo di mantenere la Fede e di restare attaccati a Nostro Signore quando e se sarà il momento.

      Per me chi afferma: “sono pronto al martirio” prima che l’ora sia giunta, pecca quanto meno di imprudenza se non di superbia.

  8. Giancarlo

    Allora dormi proprio della grossa. Stanno già scritte, le N, sulla nostra fronte.

    La maggior parte dei cattolici ormai è intimorita, si vergogna, ha paura. In Italia è permesso, ai cattolici, di proclamarsi tali solo se sono favorevoli al matrimonio gay. Altrimenti ti massacrano. Mio figlio, diciassette anni quasi compiuti, è l’unico, in classe, a proclamarsi cattolico, a difendere la chiesa, a sostenere una visione cattolica del mondo e dell’uomo. E’ l’unico cattolico in una classe di ventidue persone. E non è ben visto.

    1. “Allora dormi proprio della grossa.” Ce l’hai con me Giancarlo?

      Bene, bravo (tuo figlio).
      I miei pure… ma tu naturalmente pensi io dorma (se era diretto a me…), perché è risaputo: qui sei tu, il più “sveglio” del reame 😉

      Ti vorrei vedere però con una bella N in fronte… sta di fatto che oggi è molto facile “nasconderla” (non tu – non sia mai…), ma quando vivi a Mosul e ce l’hai sul portone, veramente rischi che ti sgozzino per la strada! Allora vorrei vedere i “cuor di leone” che anche qui si proclam tali…

      Torno ai miei “no comment” ai tuoi “comment”… hai sempre un modo di apostrofare gli altri (vedi sopra) per me insopportabile 😐

  9. Come è strana la storia: io che sono il più vecchio mi ricordo bene quando per avere un lavoro bisognava passare prima dal parroco, per evere il benestare, e i figli dei non sposati (in chiesa) erano guardati male (a scuola), per non parlare dei divorziati separati o quant’altro, come figli del peccato. Ora è venuto questo nuovo bacchettonesimo contrario, postmoderno, che poi magari tornerà come prima, o anche peggio.

    1. Corsi e ricorsi della Storia caro Alvise… e la Storia (il cui svolgersi è come ben sai noi si sostiene) è nelle mani di Dio e non è detto che il suo svolgersi non serva anche (o detto “anche”) a purificare la Religione di tutti i moralismi, perbenismi, condanne, giudizi e messe alla gogna che poco hanno a che fare con il Cristianesimo.
      Come anche a passare per il crogiuolo tutto ciò che che va purificato… Così nella Storia, così nella vita di ogni credente.

      Questo dico riguardo l’attegiamento dei cuori (lo stesso che avevano a loro tempo i Farisei), non certo riguardo ciò che era, è e rimane, male o peccato.

      1. Faccine ironiche a parte, chi non sa cos’è esattamente l’infibulazione, usi google per qualcosa di utile e si informi su questa terribile pratica… 😐

    1. La Boldrini è in ritiro spirituale a Castelporziano, occupata a ritemprarsi in vista delle maratone parlamentari che l’aspettano in agosto

    1. Giusi

      Io sto qua e quando arriveranno perchè arriveranno spero solo che il Signore mi dia la forza del martirio.

  10. «Iraq, perché Dio permette la strage dei cristiani?»
    di Amal Marogy

    Amal Marogy è docente di Lingua araba all’Università di Cambridge ed è la direttrice esecutiva della Fondazione Aradin che si propone di mantenere viva la memoria, linguistica e storica, dei cristiani in Medio Oriente. La sua testimonianza è quella di una cristiana irachena la cui famiglia ha vissuto e vive in prima persona, con immensa fede, la tragedia dei cristiani in Iraq. Si tratta di un grido di dolore che diventa motivo di maggiore fede e di maggiore impegno a livello accademico, e non solo, per salvare il patrimonio di migliaia di anni che rischia di scomparire con la prossima generazione. (v.c.)

    Alcune settimane fa, mentre cercavo disperatamente di avere qualche notizia su Mosul e su mia zia suor Utuur, mi sentii come una bomba che stava per esplodere nel momento in cui mi imbattei nella notizia che più temevo: “Due suore, due giovani orfane e un ragazzino nelle mani dell’Isis”. La mia mente è stata subito travolta dagli interrogativi: “Perché stanno rischiando la vita, per amor del cielo?”, “Come può Dio permettere tutto questo?” Tuttavia la domanda più importante e appropriata di tutte era: “Dov’è Dio?”

    Era la stessa domanda che mi aveva ossessionata per un paio di mesi dopo che lo scorso febbraio avevo visitato a Budapest la Casa del Terrore, il museo che testimonia i tragici effetti dei regimi che oppressero l’Ungheria durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, a Budapest. Una volta che le porte di ferro si erano chiuse alle mie spalle, un’ondata di angoscia e disperazione aveva cominciato ad avvolgermi e si trattava probabilmente degli stessi sentimenti che dovevano avere attanagliato i prigionieri che avevano salito e sceso le scale di quel luogo dell’orrore. La nostra triste visita si sarebbe conclusa con la visita allo scantinato. Il viaggio in ascensore che ci condusse nel sotterraneo fu abbastanza lungo da potere essere accompagnato dal video di un testimone che descrisse con ogni dettaglio la cerimonia dell’impiccagione. Il mio giovane ospite, in realtà un mio studente, mi condusse da una cella di tortura all’altra, illustrandomi i macabri dettagli dei metodi usati e degli strumenti di tortura esposti. Mi narrò con estrema pazienza la storia che si celava dietro ogni immagine appesa alle pareti di alcune celle.

    Nel corso di quella visita inquietante, la mia mente e il mio cuore sono stati impegnati nel più atroce dibattito interno che io abbia mai vissuto, argomenti e pensieri schizzavano avanti e indietro ad una velocità impressionante. Tuttavia, il momento in cui fui messa a più dura prova fu quando mi venne mostrata una cella dove i prigionieri venivano immersi nell’acqua sporca e maleodorante per giorni e giorni. Fu in quell’istante che non riuscii più a reprimere il grido: “Dov’è Dio?”

    La domanda che avevo sempre cercato di tenere nelle retrovie della mia mente e che è la domanda che è destinata a tormentare chiunque sia stato educato a credere nel buon Dio, diventò improvvisamente prioritaria. Di tanto in tanto sentivo una dolce voce sussurrarmi una risposta chiara e precisa: “Sono qui! Nessuno può entrare in quella cella senza di me al suo fianco, porto ancora i segni della Croce.”

    Raramente sono stata colmata con tanta pace e gratitudine verso il mio Dio, che non solo è onnipotente, ma che ha provato in prima persona il dolore più profondo e la paura più grande che possa mai trafiggere un cuore umano. Inoltre, Gesù non è solo colui che ha sofferto, ma è anche colui che sa cosa significa vedere il dolore negli occhi dei propri cari il cui dolore e angoscia silenziosi sono talvolta più difficili da sopportare rispetto a qualsiasi altra sofferenza fisica. Solo lui poteva comprendere il dolore che stava trafiggendo il cuore di sua madre mentre osservava l’agonia del suo unico e innocente figlio.

    Ci vorrebbero più di dieci pagine per narrare la scuola della sofferenza vissuta dalla mia famiglia, scuola simile a quella di numerose famiglie irachene. Mio padre è morto vent’anni fa, lasciando una bella vedova di 28 anni e quattro bambine. Mia nonna paterna ha visto distruggere la sua casa ben due volte. Sia da parte materna che paterna, le mie nonne e due giovani zii, rispettivamente, sono morti a breve distanza l’uno dall’altro. Tuttavia, è stato grazie alla grande fede della mia famiglia che ho potuto letteralmente toccare con mano e ho sempre potuto individuare i segni, anche se sbiaditi e vaghi, lasciati dal buon Dio come segno della sua presenza. È stata proprio quella bella e semplice fede che è stata messa alla prova prima in Ungheria e per l’ennesima volta nelle ultime settimane. Ma la mia famiglia aveva ancora ragione: Dio manda la sofferenza solo a coloro di cui si fida, perché ha bisogno di persone per aiutarlo a portare la sua pesante croce.

    La mia famiglia si è sempre sentita privilegiata dal fatto che Dio ci abbia scelti e ci abbia mostrato la sua misericordia e il suo favore. È stato grazie alla mia nonna paterna “analfabeta” che ho imparato che Dio non tenta mai nessuno né lo mette alla prova al di là della sua capacità. È stata la stessa donna, intelligente e coraggiosa, che quando ha visto la nostra casa in macerie, ha lodato Dio e ha versato lacrime per quindici minuti, per poi rialzarsi ed esclamare: “Tutte le cose materiali sono mera sporcizia nelle nostre mani, Dio sia benedetto per sempre!”. Sono venuta a conoscenza di questo episodio solo grazie a mia madre che era con lei e fu colpita dalla sua reazione. Perché mia nonna ci ha mai narrato nulla di quella casa, né si è mai lamentata né ha mai maledetto qualcuno.

    Ora so bene, non solo in teoria, ma con una convinzione che colma tutto il mio essere, che ciò che Dio disse a Satana su Giobbe si riferisce a ciascuno di noi: “Tu arriverai sin qui, ma non oltre”. Sì, è vero che il male sembra aver preso il sopravvento, sì, è il nostro momento. Tuttavia, nessuna autorità sulla terra, per quanto brutale possa essere, può infliggerci qualcosa se non è concesso da Dio per il nostro bene più grande. La mia famiglia ci ha insegnato a dare a Dio un’opportunità prima di sbattergli la porta in faccia.

    Suor Utuur, in arabo “profumo”, e l’altra suora hanno svolto il loro ritiro annuale in cattività, ma in comunione con il loro ordine che celebrava il ritiro annuale altrove. Lei ci ha raccontato di essere riuscita a sfidare il governatore islamico che le stava interrogando, rifiutando di rinunciare all’abito religioso e soprattutto alla propria fede perché lei e le sue compagne stavano sperimentando l’inconfondibile presenza e azione dello Spirito Santo in mezzo alle urla di dolore e di angoscia che le circondavano e che straziavano i loro cuori. Dio ha permesso che una cosa del genere potesse accadere perché aveva urgente bisogno di preghiera e di riparare per tanto dolore e male ingiustificati. Mia zia e le altre suore erano lì per portare il profumo e la luce di Cristo a illuminare il cuore di tenebra in cui tante persone erano state scaraventate. Erano Cristo che procedeva in mezzo a tutto quel terrore e orrore con la sua dolce e inconfondibile voce: “Non abbiate paura, sono con voi!”

    La domanda “Dov’è Dio?” è, nel migliore dei casi, ingiusta e implica un’altra domanda: “Dov’è l’uomo?” Tuttavia, quando Gesù stava coronando il suo cammino in croce con una morte vergognosa e dolorosa, non si è posto quella domanda, ma se n’è posta una più pertinente che ognuno di noi, molto probabilmente, pronuncerà ad un certo punto nella vita: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Si tratta di una domanda sincera che può essere rivolta a Dio ed è l’unica domanda che Dio non lascerà mai senza risposta. È una domanda che rivela la profondità della nostra dignità e della nostra umanità e il mistero insondabile di Dio.

    Il nostro modo personale di vivere la Croce vuole insegnarci che in mezzo a tutta la sofferenza la gloria di Dio Padre si manifesta e lo splendore del Figlio risorto si manifesta perché dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è Libertà, c’è la pace! Grazie, zia Utuur, grazie alle altre sorelle e agli altri compagni coraggiosi, soprattutto al bambino, per avere dimostrato ancora una volta che Dio è ancora responsabile di noi perché Egli è buono e la Sua misericordia dura per sempre.

    da La Nuova Bussola
    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-iraq-perche-dio-permette-la-strage-dei-cristiani-9826.htm

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