Sto uscendo con qualcuno anche se sono sposato

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di Jarrid Wilson

Ho una confessione da fare: Mi sto incontrando con una persona anche se sono sposato. Lei è una ragazza incredibile. E’ bella, intelligente, astuta, forte e ha un’immensa fede in Dio . Mi piace portarla fuori a cena, andare al cinema, a teatro, e dirle sempre quanto è bella. Non riesco a ricordare l’ultima volta in cui sono rimasto arrabbiato con lei per più di cinque minuti, e il suo sorriso sembra sempre illuminare la mia giornata indipendentemente dalle circostanze.

A volte mi viene a trovare a lavoro senza preavviso, mi cucina cose deliziose. Non riesco a credere quanto sono fortunato ad essere uscire con qualcuno così, anche se sono sposato. Vi incoraggio a provare e vedere come può diventare la vostra vita .

Oh! Vi ho già detto che la donna con cui sto uscendo è mia moglie? Che cosa vi aspettavate?

Solo perché siete sposati, non significa che i vostri appuntamenti debbano finire.

Ho bisogno di continuare a uscire con mia moglie anche se siamo sposati. Non dovrei smettere di corteggiarla solo perché entrambi abbiamo detto “Lo voglio”. Troppe volte vedo rapporti che smettono di crescere perché la gente smette di prendere l’iniziativa e di riempire di attenzioni il partner.

L’appuntamento è un momento in cui si conosce qualcuno in un modo speciale e unico. Perché smettere? Non si dovrebbe. Quelle farfalle nello stomaco del primo appuntamento non devono svanire solo perché gli anni sono passati. Svegliarsi ogni giorno e corteggiare il coniuge come se foste ancora ai primi appuntamenti. Se lo farete, vedrete un drastico cambiamento in meglio nel vostro rapporto .

La chiave in ogni rapporto è la comunicazione e l’azione di costante ricerca. Nessuno vuole stare con qualcuno che non tiene a queste cose con tutto il cuore . Vi incoraggio a dare appuntamenti al vostro coniuge, impegnarvi con tutto il cuore, e capire che tutto ciò non dovrebbe finire solo perché avete detto: “Lo voglio”.

Jarrid Wilson

fonte> JarridWilson.com

42 pensieri su “Sto uscendo con qualcuno anche se sono sposato

  1. Concordo, uscire spesso con la propria moglie, andare a cena ogni tanto, andare al cinema.

    Darle un appuntamento… cioè invece di tornare a casa a prenderla per poi uscire, darsi un appuntamento, nel tal posto, alla tal ora (magari al “solito” posto di quando si era fidanzati), pero mi raccomando, se poi tarda, non iniziare a brontolare, ma, come si faceva ai primi appuntamenti: “ma no, figurati… sono qui da solo 5 minuti (bugia). E poi aspettarti mi fa gustare di più il momento in cui ti vedo arrivare…”.

    Così la si “costringe” a farsi bella, si esce dal grigiore pantofolaio-televisivo, o dal vortice risucchiatutto della prole gridante-festante-giocante-piangente.
    E se si fa bella glielo si può dire, lo si può notare: “sei proprio carina stasera… anzi sei bellissima. Bella come il primo giorno che mi ha concesso un appuntamento. Bella come quel giorno quando mi guardavi tutta “occhi e sorrisi” dall’altra parte di quella pizza… ricordi?

    Si, bisogna uscire con la propria moglie… è tassativo.
    E se è troppo, veramente troppo, che non si esce più, tanto che quasi si è perso il come ed il perché… beh, sarà meglio prendere due biglietti per-dove-vi-pare-basta-lontano-da-qui e partire.
    Non occorre una crociera di un mese, basta un weekend, due giorni fuori, ma rigorosamente SOLI mi raccomando 😉

    Ma non scordate di andare a Messa 😉

  2. il problema è che dopo 15 anni di corteggiamento post-matrimoniale caduto nella totale indifferenza o addirittura respinto sdegnosamente, uno alla fine vive meglio lasciando perdere. io capisco che una donna ha molto più da fare che un uomo, o che magari si vergogna a confessare qualche malessere o fatica, però dovrebbe anche considerare che pure il marito ha bisogno di essere aiutato nelle sue difficoltà, nelle sue debolezze, nei suoi bisogni. se no la regola diventa che chi ha la rogna se la gratta, e a quel punto arriverà, presto o tardi, qualcuna che si darà la briga di grattare la rogna altrui e, come diciamo noi veneti, quando si ha fame tutto sembra buono.

    1. Sì Andrea, quel rischio c’è…

      Come dire: attenzione mogli con i vostri “mal di testa”, che mettete i vostri mariti (che son uomini deboli) nella mani del demonio…

      Chi ha orecchi per intendere…

  3. Giancarlo

    Sono davvero così importanti le farfalle nello stomaco? Non sono innamorato di mia moglie. Anzi, ad essere sincero, non sono mai stato inamorato di mia moglie. Però la amo con tutto il cuore, le sono fedele, condivido con lei i sogni, le speranze, le paure, le fragilità.

    Ho cinquantatrè anni e spero davvero di riuscire a non avere nessun’altra donna. E così sia.

    1. sara s

      Ciao Giancarlo, ti dico in punta in piedi, vista la differenza di età e di esperienza nei nostri matrimoni, che le farfalle nello stomaco non sono la cosa più importante in qualsiasi rapporto (anche col proprio lavoro, con la fede, con i fiori che nascono a primavera), ma sono fortemente augurabili, a mio parere, e desiderabili. Che bello che dici di amare tua moglie, e lo credo. Ma chiedi anche di esserne innamorato, non solo che non ci sia un’altra! E’ un aiuto enorme che ci viene dato proprio per amare in profondità. Credo che ci siano i momenti di aridità, in cui l’amore è solo e soltanto una decisione, magari sofferta. Ma, come è poi con Dio, queste sono prove, sono momenti in cui si saggia la consistenza ultima della propria vocazione, e sì, accettiamoli, ma come lo scotto da pagare per la nostra umanità fragile segnata dal peccato originale. Però noi siamo fatti per godere, e pienamente, non per ingoiare pillole amare. Nel godimento c’è anche l’emozione di uscire insieme una sera, di sentirsi desiderati in corpo e anima e sempre, sempre, e per sempre! Io sono commossa per questa grazia che mi vien fatta, che più vado avanti più amo mio marito follemente: nel tempo si radicano le ragioni e insieme si moltiplicano le farfalle…una cosa non esclude l’altra, anzi!

      1. Giancarlo

        Cara Sara, non ho mai pensato che essere innamorati sia una brutta cosa. Penso che sia un aiuto molto grande, che rende tutto più facile. Credi che non desidererei essere innamorato? Lo desidererei invece. Il fatto è che la vita è più complessa e più difficile di quello che non siamo portati a credere.

        Le zampate che il diavolo è riuscito ad infliggere alla mia anima, quando ero ancora un ragazzo, hanno lasciato ferite profonde, che sanguinano ancora. Ma non hanno spento in me il desiderio di una bella famiglia, con tanti figli e tanta gioia da dividere. Così, quando si è presentata l’occasione, con un coraggio che ancora oggi non so spiegarmi, ho parlato apertamente a colei che sarebbe diventata mia moglie, e le ho spiegato che io non ero più capace di innamorarmi, ma che mi sarebbe piaciuto fare una famiglia con lei. Lei mi ha creduto e ci siamo sposati. Oggi sono diciassette anni che siamo sposati, abbiamo tre figli e rifarei mille volte quella scelta. Tutto bene, dunque? Non tutto bene, naturalmente. A volte è faticoso stare insieme, ma nutro, nei confronti di mia moglie sentimenti sinceri di gratitudine, amicizia, simpatia. Le voglio bene e saperla felice e serena mi rende felice. Manca l’innamoramento e la passione. E’ la nostra croce e l’abbiamo abbracciata insieme. Ma siamo sereni e confidiamo in Gesù, di fronte al Quale ci siamo promessi amore per sempre.

        Mio fratello ha vissuto un lungo e bellissimo fidanzamento, coronato da un matrimonio fiabesco. Entrambi ancora giovani e belli, hanno avuto un figlio ed una vita felice insieme, in una bellissima casa. Poi lei si è innamorata di un altro. Hanno divorziato e mio fratello si è risposato. Ed odia con passione la sua prima moglie.

        E’ complessa la vita. Ma bella.

        1. sara s

          grazie che ti sei esposto così e perdonami se mi sono permessa. Le tue parole ti rendono merito e tua moglie è fortunata.
          Sì, la vita è bella e complessa, e anch’io quando parlo di “farfalle” non penso al matrimonio fiabesco, agli sposi giovani e belli ecc. Penso a un lavoro quotidiano, perché ci vuole anche quello per essere innamorati. Fermo restando che poi ognuno ha il suo temperamento e le sue ferite storiche con cui deve fare i conti, penso che generalmente non solo per amare, ma anche per essere innamorati (l’aspetto più spumeggiante e invitante dell’amore) ci vuole grande impegno e un pizzico di furbizia, non è una cosa che nasce sempre spontanea.
          E poi ringraziare se ciò accade, con umiltà, perché, come tu mi ricordi, noi non siamo in grado di nulla, nemmeno di accendere un cerino.

          1. Il problema sta anche nel fato che troppo spesso (anche qui come per altre scelte importanti della vita) sottovalutiamo l’importanza FONDAMENTALE di chiedere aiuto, discernimento (chiamiamolo come vogliamo) a Dio.

            Perché, se poi sosteniamo continuamente “senza di Lui non possiamo far nulla”, non chiedere a Dio di mostrarci lui la persona chiamata ad essere nostra moglie/marito una volta appurato che è quella la vocazione a cui – anche qui – egli ci chiama?

            Troppo spesso si fa conto solo so nostre valutazioni, nostri sentimenti o anche “farfalle nella pancia” che non sono spesso sufficienti ad indicare colui o colei che condividerà tutta la nostra vita “sinché morte non ci separi”.
            Altrimenti si ha la classica sensazione del “terno all’otto” e si pongono anche le basi al discorso per fallimento dei matrimoni per “errori di valutazione” (vedi sotto Cardinal Kasper).

            E’ solo un considerazione, non una critica a nessuno, tantomeno a Giancarlo che ha condiviso qui il suo percorso

        2. Sara

          Giancarlo, ti sono vicina: comprendo le tue parole. Preghiamo e viviamo in Gesù!

          1. Giancarlo

            Sara, se ti riferisci alla mia situazione familiare, sia ben chiaro: io sono sereno, anzi, io e mia moglie siamo sereni. E’ vero che portiamo una croce, ma siamo anche consapevoli che c’è chi porta croci ben più pesanti.

            1. Sara

              Sì, l’avevo capito e ti ringrazio anche di questo: anche io e mio marito portiamo una grande croce e nelle tue parole ho trovato ulteriore speranza. Perdonami se mi sono permessa: mi era venuto spontaneo dirti che capivo quanto affermavi.

  4. Penso si possa considerare in tema quanto riporto.

    Il testo non più segreto della relazione bomba che ha aperto il concistoro sulla famiglia. Con l’indicazione di due vie per riammettere alla comunione i divorziati risposati. Sull’esempio della Chiesa antica.
    Ecco qui di seguito i passaggi cruciali della relazione.

    IL PROBLEMA DEI DIVORZIATI RISPOSATI
    di Walter Kasper

    […] Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo – come lo ha fatto il buon Samaritano – considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.

    Tutti sanno che la questione dei matrimoni di persone divorziate e risposate è un problema complesso e spinoso. […] Che cosa può fare la Chiesa in tali situazioni? Non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo. […] La domanda è dunque come la Chiesa può corrispondere a questo binomio inscindibile di fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo i divorziati risposati con rito civile. […]

    Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella dell’ultimo Concilio. Anche allora esistevano, per esempio sulla questione dell’ecumenismo o della libertà di religione, encicliche e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere altre vie. II Concilio senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte. Ci si può chiedere: non è forse possibile un ulteriore sviluppo anche nella presente questione? […]

    Mi limito a due situazioni, per le quali in alcuni documenti ufficiali vengono già accennate delle soluzioni. Desidero porre solo delle domande limitandomi ad indicare la direzione delle risposte possibili. Dare però una risposta sarà compito del Sinodo in sintonia con il papa.

    PRIMA SITUAZIONE

    “Familiaris consortio” afferma che alcuni divorziati risposati sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio irrimediabilmente spezzato non è mai stato valido. […] Secondo il diritto canonico la valutazione è compito dei tribunali ecclesiastici. Poiché essi non sono “iure divino”, ma si sono sviluppati storicamente, ci si domanda talvolta se la via giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali.

    In alternativa si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale.

    Indipendentemente dalla risposta da dare a tale domanda, vale ricordare il discorso di papa Francesco rivolto il 24 gennaio 2014 agli officiali del tribunale della Rota Romana, nel quale afferma che dimensione giuridica e dimensione pastorale non sono in contrapposizione. […] La pastorale e la misericordia non si contrappongono alla giustizia ma, per così dire, sono la giustizia suprema, poiché dietro ogni causa esse scorgono non solo un caso da esaminare nell’ottica di una regola generale, ma una persona umana che, come tale, non può mai rappresentare un caso e ha sempre una dignità unica. […] Davvero è possibile che si decida del bene e del male delle persone in seconda e terza istanza solo sulla base di atti, vale a dire di carte, ma senza conoscere la persona e la sua situazione?

    SECONDA SITUAZIONE

    Sarebbe sbagliato cercare la soluzione del problema solo in un generoso allargamento della procedura di nullità del matrimonio Si creerebbe così la pericolosa impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto a concedere quelli che in realtà sono divorzi. […] Pertanto dobbiamo prendere in considerazione anche la questione più difficile della situazione del matrimonio rato e consumato tra battezzati, dove la comunione di vita matrimoniale si è irrimediabilmente spezzata e uno o entrambi i coniugi hanno contratto un secondo matrimonio civile.

    Un avvertimento ci ha dato la congregazione per la dottrina della fede già nel 1994 quando ha stabilito – e papa Benedetto XVI lo ha ribadito durante l’incontro internazionale delle famiglie a Milano nel 2012 – che i divorziati risposati non possono ricevere la comunione sacramentale ma possono ricevere quella spirituale. […]

    Molti saranno grati per questa risposta, che è una vera apertura. Essa solleva però diverse domande. Infatti, chi riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo. […] Perché, quindi, non può ricevere anche la comunione sacramentale? […] Alcuni sostengono che proprio la non partecipazione alla comunione è un segno della sacralità del sacramento. La domanda che si pone in risposta è: non è forse una strumentalizzazione della persona che soffre e chiede aiuto se ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? La lasciamo sacramentalmente morire di fame per- ché altri vivano?

    La Chiesa dei primordi ci dà un’indicazione che può servire come via d’uscita dal dilemma, alla quale il professor Joseph Ratzinger ha già accennato nel 1972. […] Nelle singole Chiese locali esisteva il diritto consuetudinario in base al quale i cristiani che, pur essendo ancora in vita il primo partner, vivevano un secondo legame, dopo un tempo di penitenza avevano a disposizione […] non un secondo matrimonio, bensì, attraverso la partecipazione alla comunione, una tavola di salvezza. […]

    La domanda è: Questa via al di là del rigorismo e del lassismo, la via della conversione, che sfocia nel sacramento della misericordia, il sacramento della penitenza, è anche il cammino che possiamo percorrere nella presente questione?

    Un divorziato risposato: 1. se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile, 4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento, di “metanoia”, il sacramento della penitenza e poi della comunione?

    Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale. Non è la strada larga della grande massa, bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessata ai sacramenti. Non occorre forse evitare il peggio proprio qui? Infatti, quando i figli dei divorziati risposati non vedono i genitori accostarsi ai sacramenti di solito anche loro non trovano la via verso la confessione e la comunione. Non mettiamo in conto che perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo? La nostra prassi collaudata, non si dimostra controproducente? […]

    LA PRATICA DELLA CHIESA DEI PRIMORDI

    Secondo il Nuovo Testamento, l’adulterio e la fornicazione sono comportamenti in fondamentale contrasto con l’essere cristiani. Così, nella Chiesa antica, accanto al- l’apostasia e all’omicidio, tra i peccati capitali, che escludevano dalla Chiesa, c’era anche l’adulterio. […] Sulle relative questioni esegetiche e storiche esistono una letteratura ampia, tra la quale è quasi impossibile orientarsi, e interpretazioni differenti. Si possono citare per esempio da una parte G. Cereti, “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”, Bologna 1977, 2013, e dall’altra H. Crouzel, “L’Eglise primitive face au divorce”, Paris 1971, e J. Ratzinger, […] 1972, [riprodotto] su “L’Osservatore Romano” del 30 novembre 2011.

    Non può però esserci alcun dubbio sul fatto che nella Chiesa dei primordi, in molte Chiese locali, per diritto consuetudinario c’era, dopo un tempo di pentimento, la pratica della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza.

    Sullo sfondo di tale pratica va forse inteso anche il canone 8 dei Concilio di Nicea (325), rivolto contro il rigorismo di Novaziano. Questo diritto consuetudinario viene espressamente testimoniato da Origene, che lo ritiene non irragionevole. Anche Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno e alcuni altri vi fanno riferimento. Spiegano il “non irragionevole” con l’intenzione pastorale di “evitare di peggio”. Nella Chiesa latina, per mezzo dell’autorità di Agostino questa pratica venne abbandonata a favore di una pratica più severa. Anche Agostino, però, in un passo parla di peccato veniale. Non sembra quindi aver escluso in partenza ogni soluzione pastorale.

    Anche in seguito la Chiesa d’Occidente, nelle situazioni difficili, per le decisioni dei sinodi e simili ha sempre cercato, e anche trovato, soluzioni concrete. Il Concilio di Trento […] ha condannato la posizione di Lutero, ma non la pratica della Chiesa d’Oriente. […]

    Le Chiese ortodosse hanno conservato, conformemente al punto di vista pastorale della tradizione della Chiesa dei primordi, il principio per loro valido dell’oikonomia. A partire dal VI secolo, però, facendo riferimento al diritto imperiale bizantino, sono andate oltre la posizione della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza, riconoscendo, insieme alle clausole dell’adulterio, anche altri motivi di divorzio, che partono dalla morte morale e non solo fisica del vincolo matrimoniale.

    La Chiesa d’Occidente ha seguito un altro percorso. Esclude lo scioglimento del matrimonio sacramentale tra battezzati rato e consumato, conosce però il divorzio per il matrimonio non consumato, così come, per il privilegio paolino e petrino, per i matrimoni non sacramentali. Accanto a ciò ci sono le dichiarazioni di nullità per vizio di forma; a questo proposito ci si potrebbe però domandare se non vengono messi in primo piano, in modo unilaterale, punti di vista giuridici storicamente molto tardivi.

    J. Ratzinger ha suggerito di riprendere in modo nuovo la posizione di Basilio. Sembrerebbe essere una soluzione appropriata, che è anche alla base di queste mie riflessioni. Non possiamo fare riferimento all’una o all’altra interpretazione storica, che rimane sempre controversa, e nemmeno replicare semplicemente le soluzioni della Chiesa dei primordi nella nostra situazione, che è completamente diversa. Nella mutata situazione attuale possiamo però riprenderne i concetti di base e cercare di realizzarli al presente, nella maniera che è giusta ed equa alla luce del Vangelo.

    1. vale

      ah,sì.c’era completa anche su “il foglio” di sabato. ed alla fine un’altra paginata con una critica di de mattei al testo di kasper. al di là di quel che si possa pensare, il de mattei sostiene che kasper si sbaglia quando sostiene che vi furono padri della chiesa che tollerarono o giustificarono “seconde nozze” col coniuge ancora in vita. con tanto di citazioni( che, ovviamente mi sono controllato).
      quindi sono sempre più perplesso.

    2. Giancarlo

      Spero davvero che Admin pensi ad un qualche articolo che ci aiuti a riflettere sulle parole del cardinale Kasper. Però io non ce la faccio più e qualcosa bisogna che la dica subito.

      Non voglio entrare nello specifico delle due “situazioni” proposte alla riflessione dal cardinale Kasper, anche perché non ne avrei la competenza. Però mi pare che il prof. De Mattei abbia risposto in maniera impeccabile ed il cardinale Kasper, rosso in viso, dovrebbe affrettarsi a fare retromarcia.

      Io, molto più modestamente, vorrei domandare dov’è la giustizia nel riammettere alla santa comunione una persona divorziata e risposata che vive costantemente nel peccato.

      Anche se papa Francesco si è raccomandato di astenersi dalle casistiche, io vorrei presentare un esempio concreto per far capire la mia indignazione. Poniamo dunque il caso di una donna che, sposata con figli, lasci suo marito e si risposi con un altro. Dopo un certo tempo, decide di fare pace con Dio. Secondo il cardinale Kasper, dopo un percorso penitenziale e senza chiederle di rinunciare al suo secondo matrimonio, dal quale magari ha avuto altri figli, ella potrebbe essere assolta dai suoi peccati e riammessa alla santa comunione. ……………. Eh be’, certo, cosa non può fare la misericordia? In fondo, poverina, si è cacciata in un pasticcio ed ora l’unico modo per tirarla fuori è avere misericordia nei suoi confronti. In fondo, se è davvero pentita del fallimento del suo primo matrimonio, perché dovremmo negarle la grazia della comunione con Dio?

      A parte il fatto che in tutte le chiacchiere del cardinale Kasper manca la parola “peccato”. Si parla di “comunione di vita matrimoniale spezzata”, si parla di “fallimento”. Però non si parla di peccato. Ma la mia domanda è un’altra. Abbiamo finora guardato all’esempio, che ho voluto portare, solo dal punto di vista della “povera peccatrice pentita”. Proviamo, adesso, a metterci nei panni del marito, il quale, tradito ed abbandonato, continua a credere nella validità del suo matrimonio e continua ad essere fede alla moglie. Mettiamoci adesso nei panni dei figli, anche loro traditi ed abbandonati (se non formalmente, quanto meno nella sostanza).

      Cosa si sente di dire, il misericordioso cardinale Kasper, al marito ed ai figli traditi ed abbandonati?

      1. Giancarlo per quanto possa comprendere la “indignazione” (ma anche questa conta il giusto…), il nocciolo del problema non credo sia cosa rispondere al tal marito/padre o moglie/madre, che a ben guardare cristianamente parlando ed agendo, avrebbero già la loro risposta…

        Qui c’è ben altro in gioco e per il poco che conta il mio pensiero, credo tornerò (ahi voi) sull’argomento.
        Ma non ora…

        1. Giusi

          Io sto con De Mattei. Kasper ha posizioni eretiche anche in altri campi. D’altro canto se gli hanno fatto fare la relazione un motivo ci sarà. I media hanno già titolato: il Papa apre ai divorziati. In un telegiornale ho visto rispolverare una lettera di Gerry Scotti non ho capito a chi il quale pare non veda l’ora di fare la comunione, la Mondadori sta per tirare fuori il Settimanale: il mio Papa dedicato a Bergoglio (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/03/03/chi-il-mio-papa/) e vissero tutti felici e contenti. Io tra un po’ mi rinchiudo in un eremo così non leggo più niente che mi sta venendo la depressione!

        2. Giancarlo

          No, scusa Bariom, dimentica pure la mia indignazione, che è l’ultimo dei problemi. Rispondi, piuttosto ai problemi che pongo: c’è un problema di giustizia. Misericordia verso i peccatori? Certo, ma… dopo aver risarcito le vittime. CRISTO DI DIO! Oppure ognuno può fare quel che cazzo gli pare, che tanto poi c’è la misericordia di Dio?

          1. @Giancarlo forse dovresti fare un bel respirone, contare sino a dieci, se non altro per non presumere cose che non ho mai affermato.
            Non pretendo tu ti ricordi miei precedenti interventi, ma non ce n’è uno che avvalori il tuo ipotizzare… anzi.

            Detto questo mi pare ti accalori troppo invocando una giustizia che vedrebbe ben pochi di noi non ritrovarsi ridotti in cenere.

            Appena mi sarà possibile tornerò (a Dio piacendo) sull’argomento

            1. Giancarlo

              Con certezza posso affermare che non sarei incenerito dalla giustizia che invoco! La giustizia che invoco è, mi pare, quella che la chiesa ha sempre e giustamente preteso. Siamo tutti peccatori . Io per primo! Ma quando vado a confessarmi recito l’atto di dolore, prima di ricevere l’assoluzione: …. MIPENTO e mi dolgo…. PROPONGO, COL TUO SANTO AIUTO, DI NON OFFENDERTI MAI PIU’…

              Pentimento e… promessa di non peccare più! Non è possibile aggirare questo paletto. Non basta il pentimento, ci vuole anche la promessa.

              E abbasta!

              1. Non tanto per acquietare l’animo desideroso di giustizia di Giancarlo, ma perché già due giorni fa avevo scritto questo commento, che oggi riporto per quel che possa valere il mio pensiero, su un tema dove ben altre menti dotate di ben altra sapienza si stanno applicando.
                …………………………………………………….

                Nella visione di molti oggi, si prende la constatazione dell’attuale “disastro” di molti Matrimoni (sopratutto tra cattolici perché credo sia questo il punto dolente) e le derivanti nuove unioni, come una ormai ineludibile e inevitabile situazione e si cerca di correre ai ripari, anche se con le migliori intenzioni, cercando strategie che mi paiono quelle di chi “chiude la stalla dopo che i buoi sono scappati” o di chi cerca di utilizzare cure che possono (potenzialmente) portare ad altre disfunzioni, a cui poi cerceremo altre soluzioni.

                Lo stesso Kasper in un passaggio qui riportato, che fa riferimento alla consuetudine della Chiese Ortodosse di riconoscere sino a due matrimoni “non riusciti” (sino a due, non si comprende poi perché non sino a 3/4/5 ecc), a sostegno delle proprie tesi, dice:
                ” Le Chiese ortodosse… facendo riferimento al diritto imperiale bizantino, sono andate oltre la posizione della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza, riconoscendo, insieme alle clausole dell’adulterio, anche altri motivi di divorzio, che partono dalla morte morale e non solo fisica del vincolo matrimoniale.”

                Ora, tralasciando ovviamente la morte fisica, perché dovrebbe essere invalidante la “morte morale” (termine che andrebbe meglio approfondito…)?
                E’ o non è Gesù Cristo Signore della Vita e della Morte? Ha o non ha Cristo sconfitto una volte per tutte la Morte?
                O dobbiamo arrenderci al fatto che vi sono morti da cui Cristo non può salvarci (tranne quella in cui liberamente scegliamo ahi noi di vivere)?
                La “morte morale” di cui si accenna, ha o non ha a che fare con il peccato? Certamente… dell’uno, dell’altro o di entrambi i coniugi.
                Che si deve fare quindi? Accettare la sconfitta e una morte che viene dal peccato?
                Il peccato ovviamente non risiederebbe propriamente nel matrimonio “fallito”, se ci si intende sul termine. Fallito in cosa? Nella incapacità di convivere, di accettare la diversità dell’altro, nell’esaurirsi di un sentimento? Tutte casistiche (e non queste soltanto) di cui i coniugi dovrebbero essere ben consapevoli già prima di accedere al Sacramento, in quanto concrete evenienze che hanno a che fare con la natura umana ferita dal Peccato Originale, che crea in tutti un serio impedimento “a morire per l’altro” (tematica non certo nuova per questo blog e per chi lo porta avanti…), ad amare gratuitamente. Come dovrebbero sapere i coniugi, che è in CRISTO che le loro promesse prendono sostentamento, forza e trovano vita nuova (anche quando il vino della festa è terminato).
                Se per “matrimonio fallito” intendiamo la genesi e la giustificazione di un rapporto fuori dell’originario Matrimonio, allora dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, perché in questo nuovo rapporto si consuma iI peccato di adulterio (ricordare come questo possa sussistere anche nel segreto di un cuore ora ci porterebbe lontano).
                L’adulterio, come tutti i peccati, certamente può essere perdonato, ma come può non più sussistere quando il coniuge che esce da un Matrimonio “fallito”, lo fa per unirsi ad altro uomo o donna? Che ne è della condizione del pentimento e del proponimento a non peccare più? Sappiamo che altre cadute sono possibili, ma cosa diversa è vivere deliberatamente una situazione stabile di peccato (e peccato mortale).

                Vi è poi tutto quanto riguarda la Teologia del Corpo e la chiamata alla sua santificazione in quanto a Tempio dello Spirito Santo e il senso dell’Unione Sponsale nel suo aspetto corporale. Una Santità che sempre può essere “riacquistata” grazie al Sacramento della Riconciliazione, ma restano le condizioni di cui sopra.

                A questo proposito riporto un altro passaggio del discorso di Kasper:
                “Un divorziato risposato:
                1. se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio,
                2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro,
                3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile…”

                1) Benissimo, è certamente cosa necessaria e una volta pentito agisce di conseguenza..
                2) Prima non erano chiari? Possibile, ma se ora lo sono dovrebbe fare di tutto per tornare a quegli obblighi. Certo esiste l’eventualità non remota che l’altro coniuge non accetti, ma per lui/lei (altro coniuge) dovrebbero valere le stesse condizioni. Per di più se la “controparte” e credente, è chiamata a riprendere a sé il coniuge a rispetto dei suoi impegni (che il peccato dell’altro non esclude) e in nome della Misericordia di cui tanto si parla.
                Nel caso di assoluta (ma non possiamo dire immutabile) impossibilità, vivrà negli obblighi morali e fisici che il vincolo del Matrimonio prevede, sapendo che Dio provvede a che ciò sia possibile, offrendo gli eventuali sacrifici a che Dio conceda la ricostruzione dell’originario Matrimonio.
                3) Non è necessario abbandonare gli “obblighi” assunti, specie in presenza di altri figli, ma tra questi obblighi (civili e morali) non può, a mio giudizio essere inclusa l’unione corporale che è prettamente unione “sponsale” di fronte a Dio e alla Chiesa e al senso profondo e univoco che questa unione ha.

                Un altro punto che ritengo debole nel pensiero di Kasper:
                “La (persona) lasciamo sacramentalmente morire di fame (perché altri vivano)?”

                Ho messo tra parentesi il – perché altri vivano – perché ritengo il segno della non-partecipazione all’Eucarestia, o per la precisione la non-assunzione del Corpo di Cristo, non ha principalmente la funzione di “segno per gli altri”…
                C’è da chiedersi, lasciare “sacramentalmente morire di fame” (concetto che andrebbe approfondito) o è più prudente (tranne che non si cambi Dottrina e Diritto Canonico) lasciare che il divorziato ri-accompagnato e quindi in stato di adulterio che deliberatamente non vuole modificare, “mangi la propria condanna” ?! (1Corinzi 11, 27-29)
                Forse meglio un “prolungato digiuno”, accedendo a tutte gli altri aiuti spirituali che Dio dona attraverso la Sua Chiesa.

                A mio giudizio oggi, sulla spinta di una realtà sociale della famiglia fortemente modificata, ma si badi bene, “fortemente modificata” dalla mentalità del mondo e da una mentalità “anti-evangelica” (che tollera, anzi esalta come buone le situazioni di peccato) e delle sofferenze che ne derivano, si rischia in un “eccesso di misericordia” di ledere non solo il concetto di unicità ed indissolubilità del Matrimonio, ma il concetto stesso di peccato e dell’unica strada da percorrere per esserne definitivamente liberati.
                Strada che come ben sappiamo, richiede che, appoggiati alla Grazia e all’Alleanza di Dio, si accettino combattimento, rinunzie e il passaggio per una “porta stretta” che obbliga anche a lasciare il peccato, definitivamente alla spalle. Con più le situazioni si saranno aggrovigliate, tanto più difficile e doloroso sarà questo passaggio… parafrasando (se non è una forzatura) il Vangelo di ieri del giovane ricco “… è più facile che un cammello…” , può dirsi forse lo stesso per altri legami che non riguardano le ricchezze materiali.
                Ritengo, la vera Misericordia, stia nell’indicare l’Unica Via, Cristo. “Raddrizzarne i sentieri” è percorso interiore che non e “lastricare altra strada – possibilmente più facilmente percorribile – di buone intenzioni”.

                Ulteriore rischio e dimenticare il lavoro da fare “a monte”: un nuova Evangelizzazione che è fatta anche di nuova, seria, concreta, anche esigente, Formazione Cristiana degli adulti… soprattutto degli adulti. E ad un’altrettanta seria formazione e preparazione al Sacramento del Matrimonio, che non eviterà certamente cadute e scelte diverse nella libertà degli individui, ma che ritengo sia la base necessaria per frenare uno sfacelo che è sotto gli occhi di tutti.
                Sfacelo di cui non c’è di che meravigliarsi, visto che – sarà bene non dimenticarlo – la Famiglia è la “culla dei Figli di Dio” e a chi preme più di ogni altro che questi Figli non trovino né culla né riparo, ma che anzi non vedano mai la Luce?
                Va da sé che il mio vuol essere un grido di allarme, non certo un alzare “bandiera bianca”!

        3. Giancarlo

          Poi, scusa eh, non ho capito quale sarebbe la risposta che avrebbero il marito/padre o la moglie/madre traditi ed abbandonati. La risposta per loro, se sono cristiani coerenti, è che sono tenuti a rimanere fedeli al coniuge fedifrago, perchè quando si sono sposati hanno promesso per sempre, non solo fino a quando anche il coniuge sarebbe rimasto fedele. Quindi, secondo te, chi è tradito deve solo tacere, mentre chi tradisce, se chiede perdono (ma senza riparare al torto! CRISTO DI DIO!) può essere perdonato e riammesso alla comunione con Dio.

          ………. C’è qualcosa che non mi torna.

          1. Giusi

            Giancarlo scusa, al di là dei contenuti, non mi piace quell’espressione per giunta gridata. Non bisogna nominare il nome di Dio invano.

            1. Giancarlo

              Forse non riesco a spiegarmi. Le mie non sono imprecazioni ma invocazioni. Io mi domando e VI DOMANDO se è possibile sentire un cardinale (e che cardinale!) della chiesa cattolica che dice simili scempiaggini! Ma come si fa a mantenere la calma? Io non lo so. NON LO SO!

              Quand’ero bambino (QUAND’ERO BAMBINO! Non quand’ero cardinale…. QUAND’ERO BAMBINO!) mi insegnarono che , per avere l’assoluzione bisogna essere pentiti del peccato commesso!….ma… non solo! Bisogna anche promettere di NON PECCARE PIU’! Come può, una persona divorziata e risposata, promettere di non peccare più? NON PUO’ PROMETTERE E NON PUO’ ESSERE ASSOLTO!

              E abbasta!……………

              1. Giusi

                Credimi ti capisco ma pure l’ira è peccato. Sono sconvolta anch’io e non da ora. Rifugiamoci nella preghiera tanto a un certo punto sarà il Signore a rimettere le cose a posto.

  5. 61Angeloextralarge

    Mi piace sto post! W chi corteggia mogli/mariti non altrui! E… W chi si fa corteggiare del mogli/mariti non altrui… 😉
    Sono fortunatissima… il mio ancora mi corteggia… in difetto sono io che a volte mi dimentico di farlo. Sob! 🙁

  6. giuliana75

    Ogni tanto scherzando ma non troppo penso che se esistesse la reincarnazione potrei desiderare di diventare un divano per poter incontrare mio marito da vicino, oppure una tv che trasmette la partita della juve.
    Una cosa è certa, ci amiamo con tutto il cuore, ma farebbe anche molto bene essere guardate con quello sguardo che aveva per me in quel magico periodo che fu il fidanzamento. Come ha detto Sara, non saranno fondamentali le farfalle nello stomaco ma sono auspicabili. In questi mesi siamo ovviamente molto presi dalla nuova nata, dagli impegni e dalle necessità pratiche. Ma appena è possibile bisogna ritagliarsi momenti per la coppia, senza ansia ma con regolarità o almeno con impegno. Da qui il dovere minimo di non trascurarsi e diventare vecchie ciabatte che circolano per casa con l’aria sfatta e il pigiamone anti-stupro…..

  7. Devo dire che piace anche a me questo post, è..simpatico. Rende bene l’idea di “rigenerazione” di un rapporto, da compiere in due….anche se magari non funzionerebbe x tutte le coppie, x tutte le situazioni….
    Non ho saputo resistere alla tentazione di fare un commentino!
    Nell’amare ci può anche essere una fase di innamoramento, ma non sempre nell’innamoramento c’è vero amore.
    Io amo mio marito. Come non ho mai amato nessuno prima. E il bello è lì, è che sono anche innamorata di lui…esattamente così com’è. = )

  8. Maria Grazia

    Quant’è vero….! E quante volte l’ho detto a mio marito ….purtroppo senza risultati….perché ostinarci a non capire?

  9. Giovanni

    Sarebbe interessante capire da quanto tempo è sposato questo signore, che lavoro fa e se ha figli, poi ne riparliamo.

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