chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica.»
(T. S. Eliot, Tradizione e talento individuale del 1917)
di Daniela Bovolenta
Fatica. Torno a scrivere dopo mesi, per riflettere su un elemento dell’educazione, la fatica.
Potrei parlare della fatica di educare, di seguire e far crescere, di crescere noi stessi genitori insieme ai nostri figli, la fatica di essere vigili, di alzarsi di notte, seguire di giorno, rispondere sempre, dare possibilità, creare spazi, stimoli, interessi. La fatica di conciliare vite a volte esigenti, impegni lavorativi, con i bisogni di giovani umani bisognosi di ogni cosa.
Ma questa è una fatica che sta sotto gli occhi di tutti, a volte idolatrata, a volte scansata, certamente una parte nota e visibile del ruolo di genitori ed educatori.
C’è una fatica, però, che rimane più in ombra, quasi un rimosso, uno sforzo che un tempo era accompagnato da certa retorica, forse, ma che oggi è scongiurato, taciuto, evitato. Lo sforzo che deve fare chi impara. La capacità di stare su un libro, su uno strumento musicale, su un esercizio ginnico, per un tempo più lungo di quello che sembrerebbe spontaneo e naturale, la capacità di applicarsi anche quando comincia a fare male, quando non è più divertente, quando dobbiamo fare forza su noi stessi per andare avanti. Questa fatica, più ancora della varietà dei talenti naturali, è il vero elemento anti-democratico dell’educazione, l’elemento che fa la differenza tra un virtuoso e un dilettante, tra un esperto e un orecchiante, l’elemento che non può essere surrogato da altre persone, o solo molto parzialmente.
Tale elemento è, a mio avviso, tra i più latitanti nella formazione famigliare e scolastica delle nuove generazioni. Un frainteso senso di premura per i piccoli può averci indotti a risparmiare loro alcune salutari fatiche, magari per scoprire che sono state sostituite da una specie di tour de force del divertimento – celebrazioni di tutto, complesse feste di compleanno dalle età più tenere, pizzate, gioco organizzato… -, a tale premura, però, si è aggiunta una componente ideologica, la convinzione che il bravo insegnante non sia quello che motiva alla fatica, portando verso l’alto, ma quello che la sbriciola, offrendone pezzetti pre-digeriti verso il basso. Ne parlavo anche qui.
Ma la vera questione, ancora più urgente, è che nulla può motivare la fatica, se non la profonda convinzione di perseguire un obiettivo che abbia valore. Hannah Arendt scriveva: «il vero problema dell’educazione sta nell’estrema difficoltà […] di realizzare anche quel minimo di conservazione, quella situazione conservatrice assolutamente indispensabile per “educare” i giovani. […] L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, se li amiamo tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi: e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti» (Hannah Arendt, “La crisi dell’istruzione” in Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 2001; corsivo mio).
Ecco, se ciò che vogliamo trasmettere improvvisamente non ci sembra più così importante, se uno spontaneismo a oltranza ci impedisce di prenderci la responsabilità del mondo così come lo abbiamo ricevuto e il compito di trasmetterlo alle nuove generazioni, se la nostra cultura ci sembra equivalente, forse peggiore, di molte altre, se pensiamo che tra un’idea nata nel solco di una cultura millenaria e un pensierino estemporaneo e senza radici ci possa essere una pari dignità, allora non avrà alcun senso la fatica come elemento dell’educazione. Lasciamo i ragazzi sul divano e vediamo quel che ne verrà.
A quel che sembra è la via intrapresa quasi coralmente dalla scuola italiana e occidentale, la via intrapresa anche da molte famiglie e probabilmente dalla società nel complesso, seppur con ammirevoli eccezioni. La strana illusione che tra civile e selvaggio, tra barbarie e civiltà, sia in fondo più libera e divertente una mancanza di passato, di struttura, di contenuto, a tutto vantaggio di spontaneismo e improvvisazione, si è fatta ormai ampiamente strada nell’arte, nella cultura e nel pensiero di massa dei nostri tempi. Non potrebbe essere altrimenti, perché una vera cultura, una civilizzazione, è sempre qualcosa di non massificante, un dialogo tra pensieri e talenti, tra urgenze creative, nuove soluzioni e consapevolezza delle proprie radici, che – in definitiva – è consapevolezza di sé.
La stessa parola tradizione sta assumendo sempre più un’accezione negativa, dire “tradizionale” di una cosa è quasi come dire museale o superata, in un mondo in cui tutto deve essere nuovo, fresco, cool. Inutile dire che il nuovo è difficile e impegnativo, per lo più si tratta di un vecchio inconsapevole di sé.
Rimane, invece, come tratto distintivo della formazione individuale quell’elemento supplementare di fatica, quell’elemento di tradizione nel senso di “tradere”, cioè “trasmettere”, che è la vera possibilità di pensiero a un tempo razionale e creativo. Cioè, in definitiva, un modo di redimere il tempo, di farne qualcosa che resiste allo scorrere indistinto, per farne una costellazione di elementi di valore.
«Redimere tempus. — L’unica nobiltà dell’uomo, la sola via di salvezza consiste nel riscatto del tempo per mezzo della bellezza, della preghiera e dell’amore. Al di fuori di questo, i nostri desideri, le nostre passioni, i nostri atti non sono che «vanità e soffiar di vento», risacca del tempo che il tempo divora. Tutto ciò che non appartiene all’eternità ritrovata appartiene al tempo perduto.»
(Gustave Thibon, L’uomo maschera di Dio, SEI, Torino 1971, p. 262)
fonte> Canone Occidentale
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Proprio oggi stavo leggendo un poema di Eliot, con gli occhi sbarluccicosi!
Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008
“Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano.
L’educazione non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
Carissimi fedeli di Roma, da queste semplici considerazioni emerge come nell’educazione sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore, certamente, ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. E’ responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo…
Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana: anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita.”
“…alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita.” E’ proprio quel che volevo (indegnamente), dire anch’io: al di là dell’esempio, della buona volontà, dell’impegno, se non amiamo abbastanza ciò che dovremmo trasmettere sentiremo in fondo che non ne varrà davvero la pena e lasceremo perdere…
Daniela, hai detto molto bene, tutt’altro che indegnamente 😉 ho riportato le parole di Papa Benedetto per la convergenza con quanto hai scritto…
MI piace particolarmente questo passaggio: “Ecco, se ciò che vogliamo trasmettere improvvisamente non ci sembra più così importante, se uno spontaneismo a oltranza ci impedisce di prenderci la responsabilità del mondo così come lo abbiamo ricevuto e il compito di trasmetterlo alle nuove generazioni, se la nostra cultura ci sembra equivalente, forse peggiore, di molte altre, se pensiamo che tra un’idea nata nel solco di una cultura millenaria e un pensierino estemporaneo e senza radici ci possa essere una pari dignità, allora non avrà alcun senso la fatica come elemento dell’educazione”
Il Regno del Cielo patisce violenza e i violenti l’acquistano 😉
Parole sante. Bisognerebbe trovare un equilibrio tra la mamma tigre cinese (aberrante!) e la mamma italica forse un po’ troppo protettiva. Ai miei tempi (tipica espressione carampanica!) in definitiva c’era. Si giocava (tanto!) ma si sapeva che prima il dovere e poi il piacere. Si facevano prima i compiti ma senza recalcitrare, andava da sè che fosse così. I bambini non erano attaccatI a tutte quelle orribili macchinette, correvano, si scatenavano, facevano giochi sani con niente poi, una palla, delle pietre, una pistola finta (la guerra per scherzo non ha mai ammazzato nessuno e non ha mai reso violenti) e tanta fantasia. La tv dei ragazzi durava un’ora ed era veramente per bambini. Si vadano a leggere i libri di Annalisa Colzi per capire che oggi invece dietro ai cartoni per bambini (soprattutto i giapponesi) c’è la massoneria e il satanismo (sono pieni di messaggi neanche tanto subliminali). La sera, dopo Carosello, si andava a letto. Io ero felice e vedevo intorno a me bambini felici. Merendine non ce n’erano, si mangiava la torta fatta dalla mamma o dalla nonna o pane fatto in casa con pomodoro e olio d’oliva. Tutto poi ruotava intorno alla chiesa, al sacerdote e alle suore. Al mio paese c’erano quelle di Maria Ausiliatrice, facevano di tutto: giochi, preghiere, corsi. Il sacerdote era un santo: Don Antonio Nigro, scandali: neanche uno. Dopo il ’68 lo sfacelo in famiglia e a scuola…..
concordo in pieno…
Il problema, Giusi, è che non si può più guardare a quei tempi, sperando che tornino da soli: anche loro avevano i loro difetti, soprattutto quello di basarsi troppo sulle consuetudini, come se queste potessero da sole strutturare un essere umano. Le consuetudini sono, spesso, cose buone, ma vanno riempite di contenuti, invece quell’equilibrio di cui parli è stato spazzato via, non sempre resistendo adeguatamente alla propria soppressione. Anzi, si ha l’impressione che, nel complesso, le nostre società occidentali contemporanee siano andate a braccia aperte verso la propria decomposizione: contraccezione, che significa rottura del legame tra sessualità e riproduzione, divorzio, aborto, lavoro massiccio femminile, teorie di genere, eutanasia, denatalità… Tutti questi fenomeni non sono stati soltanto fortemente promossi da alcune influenti lobbies culturali, ma hanno trovato un ventre molle in cui affondare, popolazioni arrendevoli e anche un po’ complici, hanno trovato, in sostanza, adulti che non hanno dato ai propri valori abbastanza importanza da credere che fossero degni di essere trasmessi, che valessero la fatica di educare ad essi le nuove generazioni. Non basta guardare indietro, a un mondo che non c’è più anche perché non ha saputo resistere, ma guardare avanti, a un mondo tutto da ricostruire.
Certo. Era solo un ricordo. Sulle cause e le soluzioni si potrebbe discutere ad oltranza. Era proprio un altro mondo. Mia mamma per esempio lavorava pure (faceva l’insegnante) ma noi quattro figli non ne abbiamo mai risentito perchè intanto le leggi erano diverse e consentivano alla donna di stare a casa di più in maternità e poi avevamo i nonni, le zie, le cugine, insomma la donna che partoriva non era sola, aveva un tessuto sociale intorno che considerava la maternità una cosa bella e i bambini una gioia. Adesso, senza generalizzare, conosco diverse ragazze che portano l’unico figlio al nido perchè la mamma non ha voglia di tenerlo….. Capisco l’asilo che è un modo per crescere e socializzare ma il nido ho sempre pensato che sia una crudeltà…. eppure ci sono donne che non hanno alternative.
Questa viene considerata un’eroina:
http://www.ingenere.it/segnalazioni/la-tenacia-di-wendy-contro-gli-antiabortisti
E questo è quello che ha deciso la Corte Suprema usa
http://www.tempi.it/usa-corte-suprema-matrimonio-gay-non-solo-uomo-e-donna?fb_comment_id=fbc_507411269330389_4677707_507414689330047#.UcsDQth_zkc
Così siamo messi…..
Che poi anche il modo di dare le notizie: “boato di gioia”. Poi si guarda il video e sono dei gridolini di quattro sgallettati. Con lo stesso metro, cosa avrebbero dovuto scrivere delle manifestazioni oceaniche in Francia contro i matrimoni gay?
http://video.corriere.it/boato-gioia-a-corte-suprema-usa-che-dice-si-nozze-gay/1cb1457c-de71-11e2-a52f-c37b24c469f9
Fortunatamente negli USA esiste una Conferenza Episcopale pugnace, che ha reagito immediatamente con affermazioni chiare e nette (lontane da certo ecclesialese felpato e circumloquente):
“Oggi è un giorno tragico per il matrimonio e per la nostra nazione… La salvaguardia della libertà e della giustizia esige che tutte le leggi rispettino la verità, inclusa la verità sul matrimonio… Ora è tempo di raddoppiare i nostri sforzi nel testimoniare questa verità. Il futuro del matrimonio ed il benessere della società sono in pericolo…
La nostra cultura ha dato per scontato troppo a lungo ciò che la natura umana, l’esperienza, il senso comune e il sapiente progetto di Dio confermano: che la differenza tra un maschio e una femmina è importante, e che la differenza tra una mamma e un papà è importante… Ora è tempo di rafforzare il matrimonio, non di snaturarlo…
Quando Gesù insegnò il significato del matrimonio – l’unione esclusiva per tutta la vita di marito e moglie -, egli indicò di nuovo l’origine della creazione da parte di Dio della persona umana come maschio e femmina (Matteo 19). Sfidando i comportamenti e le leggi del suo tempo, Gesù insegnò una verità impopolare che tutti possono capire.
La verità del matrimonio permane, e noi continueremo a proclamarla impavidamente con fiducia e amore.
Noi invitiamo tutti i leader e le persone di questa buona nazione a unirsi saldamente nel promuovere e difendere l’unico e solo significato del matrimonio: un uomo, una donna, per la vita.”
http://www.usccb.org/news/2013/13-126.cfm
Già.
Lungi da me voler criticare o sminuire quanto affermato dalla Conferenza Episcopale USA, ma ciò che mette in pericolo il futuro del matrimonio, che per la verità è già seriamente in pericolo (io per lavoro ho a che fare anche con chi “mette su casa” e vi posso assicurare che chi parla de “il mio fidanzato”, la “mia fidanzata” o anche solo del classico “ci dobbiamo sposare” sono uno su trenta e passa), e la totale perdita di senso e di valore che questa “istituzione” – non voglio nemmeno parlare di Sacramento – ha ormai raggiunto da tempo…
E questo, diciamoci la verità, anche perché troppo spesso oggi, il Matrimonio celebrato come Sacramento, non dà, di fatto, alcuna testimonianza di “differenza”, di valore, di Santità.
Anzi spesso, dà (scandalosa) testimonianza del contrario, proprio da coppie che, per usare i termini del “popolino”: vanno (o andavano) sempre in Chiesa…
Ci sarebbe forse da preoccuparsi dello “scimmiottamento” pedestre e insulso di ciò che dovrebbe essere un MATRIMONIO, se l’unico e il solo Matrimonio fondato in Cristo brillasse talmente di fulgida luce dell’Amore di Dio, da risultare indiscutibilmente “altro”, e desse tali segni di Amore, Unità, Comunione, Fecondità da lasciare chiunque senza parole, portasse chiunque a desiderarlo e chi dileggia, smentito dai fatti, seppure arrivasse poi a dire che “quell’uva è acerba” giusto perché “sta troppo in alto…”?
Prendiamo esempio dai Santi, i Grandi Santi (non che ve ne siano di piccoli)… forse c’è chi può sostenere che sono stati grand’uomini e Fede e Dio poco c’entrano, la Chiesa poi ancora meno.
Ma di fronte ai Grandi Santi, la gente tutta s’interroga, resta ammirata… e tace!
Che s’inventino pure la “para-santità” laico-ateo-agnostica… han poco da inventare.
Questo hanno da essere i nostri matrimoni: Santi Matrimoni, della Santità Feriale che ognuno riconosce, senza che sia assunta agli altari e che non siano “uno qui” e “uno lì” come mosche bianche a dire “che quei due han preso bene…”, “gli è andata di lusso” e allora si che ogni altra “combinazione” , sarà solo “parodia” e la parola Matrimonio, tornerà ad essere quello che deve essere e non la si userà più “appiccicata” a questo o quello… come anche nel mondo (grazie a Dio) la parola Santità, non si “appiccica” a questo o a quello!
lo spirito tradizionalista non ha nulla in comune con un tradizionalismo falso e gretto che conserva certi riti,stili o costumi solo per amore delle forme antiche e senza alcun apprezzamento per la dottrina che li ha generati. questo non sarebbe tradizionalismo sano e vero, ma archeologismo.
di fronte alla lotta fra una splendida tradizione cristiana in cui palpita ancora la vita ed un’azione rivoluzianaria ispirata alla brama smodata di novità cui si riferiva LeoneXIII nelle parole iniziali della Rerum novarum,è naturale essere difensore del tesoro delle buone tradizioni,perché esse sono i valori del passato cristiano ancora esistenti e che si tratta di salvare
(Plinio Correa de Oliveira- rivoluzione e controrivoluzione)
Plinio Correa de Oliveira è uno dei miei autori di formazione, ma purtroppo scriveva in altri tempi, tempi in cui c’era ancora qualcosa da conservare… oggi, purtroppo, stiamo in ginocchio tra le macerie: più che conservare si tratta di ricostruire dalle rovine e neppure civilizzando dei barbari ignari: civilizzando, se sarà possibile, dei barbari ostili.
Eppure i “barbari ignari”, sono ancora molti…
Ignari del fatto che una vita più serena (se non felice) è così a portata di mano 😉
“C’è una fatica, però, che rimane più in ombra, quasi un rimosso, uno sforzo che un tempo era accompagnato da certa retorica, forse, ma che oggi è scongiurato, taciuto, evitato. Lo sforzo che deve fare chi impara. La capacità di stare su un libro, su uno strumento musicale, su un esercizio ginnico, per un tempo più lungo di quello che sembrerebbe spontaneo e naturale, la capacità di applicarsi anche quando comincia a fare male, quando non è più divertente, quando dobbiamo fare forza su noi stessi per andare avanti.”
C’è una fatica… che in sostanza coincide con una parola: sacrificio.
“Barbaro” termine ormai aborrito da chi impara (o dovrebbe imparare), ma anche a volte, da chi insegna. 😐
Sacrificio, dolore…. Non si affronta il tema della fatica, del dolore e della morte. Come se non parlarne li eliminasse…. E infatti i ragazzi sono impreparati a vivere. Perchè solo affrontando il dolore e usandolo per crescere si dà un senso alla vita. Ecco perchè bevono, si drogano: per anestetizzarsi. Tempo fa ho letto un libro del veggente Renato Baron quello delle apparizioni di Schio (non sono riconosciute ma non importa). Lui sosteneva di avere avuto la visione dell’Inferno del Purgatorio e del Paradiso e di non aver visto tra i dannati giovani tipo quelli che muoiono dopo le notti brave negli incidenti stradali. Ha chiesto il perchè alla Madonna, Regina dell’Amore e Lei gli ha risposto: “Li ho salvati io, perchè non sono responsabili”…. Lo credo anch’io: non sono responsabili. Sono figli del disatro che abbiamo combinato. Non gli è stato insegnato niente, niente di vero, niente di autentico. Qualcuno però è responsabile. Ecco mi verrebbe da dire: guai ai responsabili!
sì, certo, barbari. ma siccome noi si è gente di mondo, lo intendiamo alla greca: non come offesa ,ma semplicemente come chi parla sia foneticamente che significativamente un linguaggio non comprensibile:-)
Scusatemi l’OT ma mi serve un’informazione.
Sto cercando un sito chiamato (mi sembra) “Cristiani d’Europa” e mi sembrava che una volta fosse tra quelli suggeriti in questo sito.
Magari mi sbaglio sul titolo, ma era scritto da dei ragazzi…
So di non essere stato per niente chiaro ma avete un’idea di cosa sto parlando?
forse era Cuore d’Europa… http://www.cdmi.it/blog/
http://www.cdmi.it/blog/
grandi entrambi! Grazie!
Domani (ammesso che l’azienda mi autorizzi) sarò dalle 15 in poi in via del Quirnale 26 a parlare di Donne e lavoro. Più che parlare temo a farmi tirare ortaggi decomposti, visto il parterre delle altre relatrici (Senonoraquando, Lorella Zanardo, donne imprenditrici, oltranziste delle quote rosa…), davanti a cui chiederò maggiori discriminazioni per le mamme lavoratrici.
La sera alle 21, invece, andrò a rilassarmi tra volti amici, parlando dei miei libri con don Fabio Bartoli alle Benedette Serate organizzate dalla parrocchia di san Benedetto al Gazometro, in via del Gazometro 23.
Questa sera invece sarò ospite a TgTg su tv2000 alle 20:55.
ah le benedette serate! Come vorrei essere lì! ma perché non fate una cosa in streaming con hangsout? O con qualche altro accrocchio che admin sicuramente conosce, così ti vediamo in diretta anche da Milano, Torino, sao Paulo…..?!
temeraria costanza…..
Impavida, direi. 🙂
Beh certo sfidare don Fabio è una impresa da titani!
ne abbiamo parlato proprio oggi al corso annuale per docenti Faes dove si sta illustrando il nuovo progetto culturale che parla di cultura del bello, della reciprocità e del lavoro
Qui a Torino non esistono le scuole Faes, purtroppo, e probabilmente non me le potrei permettere, ma ho grande ammirazione per quel che fate!
Grazie, Daniela Bovolenta, per questo articolo.
Grazie, Daniela!
Sono un’insegnante e le tue parole, come già altre volte, sono un balsamo! E’ così difficile lavorare nella scuola portando avanti questa idea di educazione! Non solo perché siamo in pochi a farlo, ma soprattutto perché siamo considerati retrogradi e perché siamo osteggiati anche dalle famiglie, dei cui ragazzi cerchiamo di prenderci cura al meglio, sentendo la responsabilità del nostro difficile e delicato compito! Che però è anche entusiasmante ed appassionante e, alla fine, grazie alla risposta dei ragazzi, anche ricco di gioie e soddisfazioni, rare forse ma splendenti e per questo anche più preziose!
Grazie ancora!