La cozza

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di Andrea Torquato Giovanoli

Ieri sera mia moglie ha enucleato una sacrosanta verità: nostro figlio, il piccolino, “è ‘na cozza”!

In effetti non lo si può lasciare un attimo che inizia a strepitare, lamentando con evidenza un’impellente necessità d’esser preso in braccio, e non smette di piangere fino a quando o viene accontentato, oppure esaurisce in un sonno inquieto.

Con ancora l’eco delle parole di mia moglie negli orecchi, come disincarnato da me stesso guardo mio figlio, ed in questa sua volontà di stare sempre attaccato al genitore mi trovo a scrutare il riverbero di quell’anelito ontologico dell’anima umana d’essere e stare nell’abbraccio del Padre, perciò conseguentemente mi domando: perché, se il destino dell’uomo è rimanere in quest’abbraccio per l’eternità, Dio non tiene con sé l’anima fin dal momento in cui questa viene da Lui creata?

O meglio: perché l’Altissimo ha scelto, contrariamente alla sorte degli angeli, che l’anima dell’uomo fosse vincolata alla materia e che la sua creazione fosse inscindibilmente legata alla pro-creazione dei genitori nella carne?

Poi però vedo che al mio stranimento ancora una volta è mio figlio a rispondere, a modo suo: già, perché poco dopo essere stato accontentato ed aver ottenuto di essere preso, inizia a protendersi verso gli oggetti che lo circondano, e comincia a dimenarsi per cercare di afferrarli senza uscire dall’abbraccio del genitore, il che procura a quest’ultimo l’inestimabile sollazzo di un esserino di otto chili che si dimena vivacemente tra le mani, come una sorta di grosso pesce appena tolto dalla lenza che si dibatte freneticamente per tornare in acqua.

Questo suo atteggiamento di cupidigia verso gli allettamenti mondani denuncia ai miei occhi quella natura umana ferita dal peccato originale, ma disvela altresì quello stampo divino nel quale l’uomo è stato creato, immagine di quella signoria del Padre sul cosmo di cui l’uomo è stato fatto massimo “gestore” fin dalla sua genesi, perché, nella cooperazione con l’Altissimo, egli governasse sul mondo.

Giocoforza, allora, che il mio piccolino voglia, come ciascun altro uomo, “appropriarsi” della materia circostante per esperirla, comprenderla e, in un certo senso, riplasmarla, in un atto creativo che rimanda a quella scintilla del divino che in lui alberga ed a cui è destinato per una grazia che però è chiamato a corrispondere con la sua libera volontà.

Ed è qui che casca l’asino: infatti il Padre anela anch’egli all’abbraccio eterno con l’uomo, ma vuole che questo desiderio sia ricambiato nella piena libertà, e non costretto dalla mancanza di alternative.

Come un genitore il quale, pur compiaciuto che il figlio richieda di essere preso e pur desideroso di stringerlo a sé, non lo raccoglie, ma lo depone fra i suoi giochi, in uno spazio appositamente preparato perché lui faccia tutte quelle esperienze confacenti alla sua natura ed al suo stato e che hanno come unico scopo di aiutarlo a crescere, a maturare un libero arbitrio che ha per meta il riconoscimento dell’amore del genitore per lui: allora sarà chiamato a scrutare, in quel temporaneo diniego dell’abbraccio paterno, una volontà di bene per se stesso, prima di tutto, e ciò è possibile soltanto con una manifestazione di fiducia verso l’Altro, naturale espressione di una volontà libera che declina la propria autodeterminazione per aderire ad un disegno di provvidenziale, definitiva, felicità.

Ecco che allora quell’abbraccio eterno col Padre sarà davvero completamente esaustivo poiché non più richiesto per comodità o per paura dell’ignoto, ma bramato con la consapevolezza di come quello sia la massima esperienza cui è destinata ogni singola anima.

E personalmente credo che proprio in questa differenza di prospettiva si giochi il senso di quella relazione con Dio in grado di trasfigurare la vita dell’uomo, fin da subito, come caparra di un paradiso che sarà per sempre.

Perciò, figlio mio, visto che tua madre ti ha già preparato il tappetone con tutti i tuoi giochini e la conchetta di cuscini tutt’intorno, ora ti mollo lì: così potrai cominciare a crescere…

17 pensieri su “La cozza

  1. No, che non è casuale la combinazione fra quanto ho appena letto in questo chiarissimo articolo e quanto sono andato subito a rileggermi su “La nuova bussola quotidiana” per la penna di Roberta Vinerba:
    “Cosa nasconde in sé un ragazzo che ha la freddezza di dire ai coetanei di dover andare a comprare la benzina sapendo in cuor suo della ragazza agonizzante sulla quale l’avrebbe cosparsa? È sufficiente ragionare di valori che mancano? Ci basta parlare della scuola che latita? E ancora: la solita argomentazione, giusta certamente, della crisi della famiglia?
    Non c’è forse qualcosa di più profondo, di più oscuro, di più antico e originario che sta all’uomo come una ferita putrescente dalla quale si sprigionano gas sulfurei, dolore, cancrena che prende possesso di tutto il corpo fino a farne una enorme massa decomposta?
    La questione è tutta qui: ci stupiamo ogni volta della profondità dell’abisso della malvagità umana perché ci dimentichiamo che l’uomo è ferito nella libertà, nella volontà, nella conoscenza. Dimentichiamo, perché ci fa comodo crederci onnipotenti, buoni, liberi, adulti, emancipati, che l’essere umano è un poveraccio che ai piedi dell’albero del bene e del male ha scelto il male. Vogliamo dimenticarci che il peccato originale esiste, che agli albori del mio essere vi è una impossibilità, quella di amare, di essere libero per amare.” http://www.lanuovabq.it/it/articoli-coriglianoe-il-fattorepeccato-originale-6557.htm

    Ne ho fatto cenno con un sms ieri a Costanza. E sono contento che il discorso ci porti in profondità a guardare la realtà… “effettuale” con occhi disincantati unitamente a un atteggiamento di amore profondo per quell’emergenza educativa di cui non possiamo non farci carico, ciascuno col ruolo e l’esperienza che si ritrova. pigienne

    1. 61Angeloextralarge

      Padre Giuliano: grazie per questo commento.
      Personalmente non mi stupisco più della malvagità umana. Inoridisco, questo sì. E chiudo letteralmente gli occhi e le orecchie: ci sto male fisicamente. Ma lo stupore è finito da tempo. La malvagità la combatterò fino alla fine dei miei giorni e non accetterò mai la minima ingiustizia e violenza fisica e morale. Ma lo stupore non fa più parte di me, anche se non è per rassegnazione o accoglienza.

  2. “… perché l’Altissimo ha scelto, contrariamente alla sorte degli angeli, che l’anima dell’uomo fosse vincolata alla materia e che la sua creazione fosse inscindibilmente legata alla pro-creazione dei genitori nella carne?”

    Già, perché?

  3. E allora caro Andrea attendiamo che ” ‘sta cozza ” si trasformi in un’ostrica che veda nascere al suo interno la perla più preziosa che esista la mondo: la Fede.

    Ma a voler essere ancora più diretti: lo stesso Gesù Cristo, quel Cristo che si incarna in ogni Cristiano, perché sia visibile al mondo.

    Se restiamo nella metafora, è interessantissimo vedere come le perle siano coltivate (le perle in natura sono di per sé rarissime“L’intervento consiste nell’inserire nel molle tessuto del mollusco, in un canale ricavato con un bisturi, una porzione del mantello di molluschi della stessa specie che vengono sacrificati per preparare il materiale d’innesto.”

    Non fa pensare questo al Sacrificio di Cristo, che da Dio si è fatto (Uomo) della nostra stessa specie… non fa pensare al Sacrificio Eucaristico?
    Nel nostro “molle tessuto di molluschi” (sovente siamo e ci comportiamo come veri “molluschi” anche spiritualmente… e ben si conosce il senso del “modo di dire”), viene innestato il “tessuto” del Re, del Forte, il Signore dei Cieli e della Terra, ma anche di Colui che è l’Uomo per eccellenza, il Nuovo Adamo.

  4. 61Angeloextralarge

    Andrea: abitando in una città di mare apprezzo molto il post sulla cozza. 😉 E mi accodo a Bariom sull’attendere la trasformazione in ostrica.
    Dio è un Padre perfetto, l’ho imparato da tempo. Perché la sofferenza? Perché la malattia e la morte? Credo fermamente che sia un grande mistero divino. Non sta a noi giudicare. Capiremo quando saremo davanti a Lui, ma a quel punto forse la risposta non ci interesserà più. Quante volte mi arrabbio e litigo con Lui? Tante! Ogni volta che qualcuno che conosco si ammala o muore. Ogni volta che sto male io. Ogni volta che qualcuno che conosco mi dice: “Tizio è malato di tumore. Preghiamo?”. Prego sì. ma prima ci litigo! “Ma insomma? Non hai già sofferto Tu per noi?”. Sono le mie scaramucce da figlia ribelle. Sono un po’ come il figlio che prima dice: “No” e poi va a compiere quello che il padre ha chiesto. Di bello c’è che le mie scaramucce passano velocemente (un paio di giorni al massimo a seconda dei casi) e mi arrendo, ma è una resa fiduciosa e a volte dolce. Che io sia sadica e masochista allo stesso tempo? 😉

  5. Gabriella Molcsan

    Caro papa’, complimenti per l’articolo e per la paternita’ che vive. Per quanto a “Questo suo atteggiamento di cupidigia verso gli allettamenti mondani denuncia ai miei occhi quella natura umana ferita dal peccato originale” … e’ un giudizio adulto e per di piu’ triste, moralistico. Di cui spero si possa sbarazzare per incontrare suo figlio nella purezza della sua gioia. Il suo bimbetto e’ un “embrione spirituale” che vive e ha il compito di crescere e diventare adulto a spese del suo ambiente. Il suo protendersi verso il mondo e verso le cose e’ pieno di amore e di interesse, non di cupidigia. Suo figlio vive sotto la spinta della sua “mente assorbente” e sta facendo un grandissimo lavoro di crescita: la sua e’ una fame mentale legittima che esige nutrimento. Eh si, il grande lavoro inizia dopo che il bambino e’ lavato, pulito, nutrito … Maria Montessori lo spiega cosi’ bene in uno dei suoi libri (“Il bambino in famiglia”). E poi pensi che bella cosa: il bambino ci ritene degni di essere scoperti, ci ritiene meta degna dei suoi sforzi di crescita. Auguri!

    1. Cara Gabriella, il termine cupidigia l’ho usato nel suo senso etimologico, per quella radice latina (cupio) che rende bene l’idea di un “desiderio irrefrenabile”, ma soprattutto va contestualizzato: serve a descrivere quella bramosia propria dei bambini i quali vogliono tutto e subito, nello specifico del brano sia l’abbraccio del genitore, sia tutte quelle attraenti “cosine” che compongono il suo ambiente. Ho scelto questo termine fuori dalla sua accezione comunemente negativa, ma ritenendo che mettesse bene in risalto quell’insoddisfazione intima che alberga nell’animo umano, quell’ontologica nostalgia di Dio che nell’uomo, fin da neonato, a causa della sua natura ferita dal peccato originale, rischia di essere fraintesa e proiettata sulle realtà mondane. Se preferisce, può leggere “concupiscenza” al posto di “cupidigia”: il senso è quasi il medesimo, ma è un po’ meno “aspro” 😉

  6. francesco

    ” il Padre anela anch’egli all’abbraccio eterno con l’uomo, ma vuole che questo desiderio sia ricambiato nella piena libertà, e non costretto dalla mancanza di alternative”

    Rifrasando: l’amore profuso dal Padre ad un Figlio torna come amore filiale: e questo ritorno identifica, concretizza il rapporto tra il Padre (ed ogni altro genitore) e la prole.
    Ottimo.
    Genitore amore figli

    Ora spiegami cosa centra questo: “la sua creazione fosse inscindibilmente legata alla pro-creazione dei genitori nella carne”. Nel senso che non depositiamo migliaia di uova che poi abbandoniamo?
    Nel senso che un genitore adottivo essendo amputato della fisicità e della memoria della gestazione e del parto non potrà mai essere ricambiato come un genitore “naturale”?
    Mah

    1. Mannò caro Francesco, significa semplicemente questo: che, al contrario degli angeli (che sono puri spiriti), l’Altissimo ha deciso di legare le anime immortali dell’uomo alla materia.
      Tutto qui 🙂

      1. Scusa Francesco, Mi sono perso un pezzo per strada: la pro-creazione è il dono contingente al vincolo dell’anima alla carne per chiamare il padre e la madre a sperimentare (in nucleo) quella stessa genitorialità originale di Dio 🙂

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