La differenza di chi segue Cristo

Pubblichiamo parte del discorso del cardinale di Parigi, André Vingt Trois,  per l’apertura dell’Assemblea   plenaria della Conferenza Episcopale Francese del 16 aprile 2013.

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[…] L’insistenza del Papa nell’esortare la Chiesa a volgersi verso la “periferia” del nostro mondo è indubbiamente molto più significativa di quanto non si potrebbe supporre a prima vista. È chiaro ch’egli intende riferirsi alle periferie sociali delle nostre società, e che ci invita ad affiancare tutti quelli bistrattati dalla vita. Ma, e ciò è stato meno capito e sottolineato, egli parla parimenti anche delle “periferie esistenziali”, che non ricomprendono solo l’emarginazione sociale, bensì anche quei drammi interiori della libertà umana e quella disperazione che sono il risultato d’un mondo prodigo in giudizî severi senza annunciare al contempo la speranza della misericordia.

Non vediamo, infatti, che, sotto le apparenze d’un liberalismo morale, o, per meglio dire, d’un libertarismo morale, le nostre società celano l’avidità di denunciare i colpevoli, ossia quelli che non si assoggettano alla legge comune?[…]

I lunghi mesi di dibattito a proposito del progetto di legge sul matrimonio per persone dello stesso sesso hanno fatto emergere faglie di divisione prevedibili ed annunciate. Esse sono un buon indicatore d’un cambiamento degli ubi consistam culturali. L’invasione, organizzata e militante, della teoria di genere, particolarmente nell’ambito educativo, e, più semplicemente, la tentazione di rifiutare ogni differenza fra i sessi, ne sono un chiaro emblema. Si tratta del rifiuto della differenza quale modo d’identificazione umana, specialmente della differenza sessuale. È l’incapacità d’accettare che vi siano differenze fra le persone. Ci si rifiuta di ammettere che le persone non siano identiche. Non sono identiche nelle loro identità sessuale, ma non sono nemmeno identiche nella loro personalità, e il principio imprescindibile della vita sociale consiste precisamente nel far vivere insieme persone che non siano identiche, nel far coesistere le differenze fra individui in modo pacifico e non con la violenza.

Ebbene, se si fanno scomparire gli strumenti per identificare le differenza nelle relazioni sociali, ciò vuol dire che, attraverso un meccanismo psicologico che conosciamo bene, si genera una frustrazione dell’espressione personale, e che questa frustrazione compressa sfocerà prima o poi nella violenza, per far riconoscere la propria identità particolare contro l’uniformità ufficiale. Sicché si sta preparando una società violenta. Cosa che vediamo già nel fatto che l’incapacità d’accettare un certo numero di differenze nella vita sociale abbia portato alla cristallizzazione di rivendicazioni di categoria da parte di piccoli gruppi, o di sotto-insiemi identitarî, i quali pensano di non potersi far riconoscere che ricorrendo alla violenza. La nostra società ha perso la propria capacità d’integrazione, e massime la sua capacità d’uniformare in modo omogeneo le differenze nell’insieme d’un progetto comune.

A mio avviso, dunque, la legge per il matrimonio delle persone omosessuali rientra in questo fenomeno, ed anzi lo accentua facendo leva sulla differenza più indiscutibile, ossia la differenza sessuale, e provocherà ciò che io ho evocato: l’occultamento dell’identità sessuale come realtà psicologica, ed il fermentare, il fiorire d’una netta rivendicazione del riconoscimento della sessualità differenziata. Questa spiegazione, benché semplice, sfugge ad un certo numero di menti avvedute, quantunque queste dovrebbero avere a cuore la pace sociale nei prossimi anni. Il fatto che sia stato fatto ricorso ad ogni mezzo per evitare un pubblico dibattito, compresi i regolamenti e le procedure parlamentari, può difficilmente camuffare l’imbarazzo dei promotori di questo progetto di legge. Prevalere con un atto di forza può semplificare la vita per un momento, ma non risolve nessuno dei problemi che bisognerà comunque affrontare. Per evitare di paralizzare la vita politica in un periodo in cui s’impongono pesanti decisioni economiche e sociali, difatti, sarebbe stato più ragionevole e semplice non mettere in moto questo processo.

Si conferma così, a poco a poco, che la concezione della dignità umana che emerge allo stesso tempo dalla saggezza greca, dalla Rivelazione ebraico-cristiana e dalla filosofia dei Lumi non è più riconosciuta da noi come un bene culturale comune, e neppure come punto di riferimento etico. La speranza cristiana è sempre meno riconosciuta come valore comune, e, come sempre, sono i più deboli a farne le spese. Si tratta d’un profondo cambiamento in primis per i cristiani stessi. Il fatto di voler seguire Cristo ci colloca ineluttabilmente in una differenza sociale e culturale che dobbiamo accettare. Non dobbiamo più aspettarci dalle leggi statali ch’esse difendano la nostra visione dell’uomo. Dobbiamo trovare in noi stessi, nella nostra fede in Cristo, le ragioni profonde dei nostri comportamenti. Seguire Cristo non risponde più ad un vago conformismo sociale; è frutto d’una scelta deliberata che ci contraddistingue nella nostra differenza.

Fenotipo di questa linea di frattura sono anche le intenzioni di legiferare sulla laicità. Noi avevamo già espresso le nostre perplessità relativamente ai progetti di legge che limitavano la libertà individuale riguardo al modo d’abbigliarsi od ai simboli religiosi. Tanto è comprensibile che la vita comune, specialmente nel mondo dell’impresa, sia disciplinata da regole di coabitazione pacifica, altrettanto sarebbe dannoso per la coesione sociale se venissero stigmatizzate persone legate ad una religione ed al praticarla, specialmente Ebrei e Musulmani. In questo ambito, infatti, le misure coercitive provocano più intolleranza e chiusura che tolleranza ed apertura. Bisogna dunque vedere un segno inquietante nel fatto che, al giorno d’oggi, nessun culto in Francia sia stato non dico consultato, ma nemmeno contattato in merito a questi argomenti, e parimenti nessuno sia stato coinvolto nei lavori preparatorî?

È in questo contesto generale che dobbiamo riflettere sulle condizioni della nuova evangelizzazione. Per vivere nella nostra differenza senza lasciarci ingannare e tentare dalle protezioni ingannevoli d’organizzazione tipo ghetto o contro-cultura, noi siamo chiamati ad approfondire il nostro radicamento in Cristo e le conseguenze che ne derivino per ciascuna delle nostre vite. A che scopo combattere per la salvaguardia del matrimonio eterosessuale stabile e basato sul bene dell’educazione dell’infanzia, se le nostre stesse azioni rendono poco credibile il fatto che si possa effettivamente vivere secondo questo modello? A che scopo batterci per difendere la dignità degli embrioni umani, se i cristiani stessi tollerano l’aborto nella propria vita? A che scopo lottare contro l’eutanasia, se non assistiamo in modo umano i nostri fratelli in fin di vita? Né le teorie, né i filosofi, potranno convincere che la nostra posizione sia quella giusta. Sarà l’esempio che noi daremo, invece, ad attestare il fatto che i nostri principî abbiano un fondamento valido.

La mobilitazione impressionante dei nostri concittadini contro il progetto di legge a favore del matrimonio di persone dello stesso sesso è stata un bell’esempio della eco che il nostro punto di vista ha potuto avere nella preoccupazione generale. A prescindere dai sondaggi più o meno pilotati, infatti, l’espressione delle preoccupazioni profonde incontra un’inquietudine reale sull’avvenire che ci si prepara. Ridurre queste manifestazioni a frutto di mania confessionale retrograda e omofoba non corrisponde affatto a quello che tutti hanno potuto constatare.

Sappiamo bene che gli allarmi che formuliamo riguardo ai rischi che vengono fatti correre alle società, senza alcuna applicazione del principio di precauzione, non sono sempre né compresi, né accettati. Ma non possiamo restare muti dinanzi al pericolo. Come potremmo tacere, quando vediamo i più deboli della nostra società venir minacciati? I bambini e gli adolescenti educati al libertarismo sessuale; gli embrioni strumentalizzati nella ricerca, in spregio agli ultimi risultati internazionali; le persone in fin di vita non assistite nelle loro malattie e nella loro sofferenza, ed incoraggiate a ricorrere al suicidio assistito; gli indifferenti o gli incoerenti di fronte ai disoccupati, alle famiglie nelle miseria soggette ai rigori dell’espulsine senza alternative, i campi-rom smantellati in numero crescente, etc.

La battaglia che dobbiamo combattere non è una lotta ideologia o politica. Essa è una conversione permanente onde i nostri comportamenti siano conformi a ciò che diciamo: più che denunziare, dunque, si tratta d’impegnarsi con attitudine positiva nelle azioni che possano cambiare la situazione nel lungo termine. Dobbiamo noi stessi lasciarci evangelizzare dalla buona novella di cui siamo i testimoni. Allora il divario che dovesse apparire fra la nostra maniera di vivere ed i conformismi della società non potrà venir percepito come un giudizio di tipo farisaico, bensì come uno spazio d’accoglienza ed una speranza. Possiamo ricordarci della Lettera di San Pietro che abbiamo letto da poco nelle Letture: “La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, vedendo le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (I Pt, 2, 12).

 André Vingt Trois

La versione integrale del discorso è disponibile QUI

Grazie a don Luca per averci fornito il testo e a Scriteriato per la traduzione.

5 pensieri su “La differenza di chi segue Cristo

  1. “per l’apertura della Conferenza Episcopale Francese del 16 aprile 2013.”

    il doppio spazio tra “della” e “Conferenza Episcopale Francese” mi fa pensare che sia stata solo una svista: tra quelle due parole aggiungerei “Assemblea Plenaria della” 🙂 altrimenti come frase è un po’ infelice…

    E grazie a Costanza Miriano e agli altri autori per queste pagine! Le ho appena scoperte e vi ho già trovato tanti articoli interessantissimi!!

  2. Esatto: siamo uguali nei comportamenti (si vive tutti allo stesso modo, eremiti a parte, forse) ma non siamo identici in interiore Homine, nella personalità, siamo non paragonabili l’uno con l’altro, non confrontabili, non comprensibili.
    Fuori si appertiene alle chiese, al conformismo di ogni genere etc. dentro tutto questo vive in maniera differente persona da persona, vicenda da vicenda, esperienza da esperienza, carattere da carattere….

  3. Twentyrex

    Una interpretazione del messaggio del Papa corretta, profonda e perfettamente calata nella realtà. Un grazie alla redazione per averla inserita nel blog. Per chi esercita un’attività professionale di qualsiasi tipo e per chi partecipa alla vita sociale queste considerazioni, non solo inducono ad una seria riflessione interiore, ma impongono di adottare atteggiamenti coerenti e determinati.

  4. “Ma, e ciò è stato meno capito e sottolineato, egli parla parimenti anche delle “periferie esistenziali”, che non ricomprendono solo l’emarginazione sociale, bensì anche quei drammi interiori della libertà umana e quella disperazione…”

    Su queste prime righe mi piace soffermarmi… chi arriverà sino alle “estreme periferie” dell’animo, del dolore umano? Quale azione pastorale, quale pianificazione di evangelizzazione o di annuncio… nessuna. Perché nessuna di queste, potrà essere così ben “progettata” e così capillare da arrivare a queste estreme periferie che alle volte coincidono con veri e propri “deserti”.
    Sta ad ognuno di noi, ognuno di coloro che già hanno incontrato Cristo, forse alla periferia della propria esistenza per farne pian piano, anche con un lungo e “faticoso” percorso di conversione, il centro della propria esistenza, non più la “periferia”, ma il “centro nevralgico” e l’Agorà”. Sta a chi questi drammi interiori, queste vite lasciate ai margini, non per una estrema povertà sociale, per la povertà del cuore, per la povertà d’amore, per la povertà di Cristo, può incontrare e incontra tutti i giorni in qualunque ambiente del proprio vivere quotidiano, in seno alla famiglia, piuttosto che nel proprio palazzo, o nel proprio ambiente di lavoro, ma anche a volte semplicemente, scambiando due chiacchiere con un emerito sconosciuto.

    E’ lì, in quel momento, con quella particolare persona, che ti esterna tutto il suo “mal di vivere”, o anche non lo esplicita, ma tu lo conosci o glielo leggi negli occhi, è lì che l’Annuncio deve arrivare… l’Annuncio semplice, misericordioso, umano che è portare la nostra esperienza, senza proclami e senza giudizi, la storia di Salvezza che Dio ha fatto con noi. E’ lì che Cristo può raggiungere quelle “periferie”, è lì che da quelle “periferie”, quei luoghi lontani, l’uomo può essere ricondotto a Cristo, alla Casa del Padre, alla Chiesa. E noi non possiamo esimerci dal farlo, magari per non esporci, magari per l’ipocrita e deleterio “rispetto umano”. Ognuno di noi è chiamato a dare ragione della propria Speranza.
    Non farlo sarebbe una grave mancanza alla Carità, sarebbe non donare l’elemosina al povero, sarebbe un grave peccato di omissione…

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