Elogio della tenerezza

di don Fabio Bartoli

Si vabbè, ma con tutte le lodi che si tessono da queste parti al maschio forte non vorrei che si dimenticasse che la forza ha bisogno necessariamente di un pendant che è la tenerezza e che, come esiste una tenerezza femminile, esiste ed è indispensabile anche una tenerezza maschile, a meno che, care amiche, non vogliate tutte sposare Rambo o Bruce Willis.

Intendiamoci, la tenerezza non è contraria alla forza, anzi la presuppone, perché per essere teneri bisogna presentarsi nella debolezza e solo chi è davvero forte può mostrare le proprie debolezze senza paura. Solo chi è davvero umile sa mostrare la propria fragilità perché pensa di non aver niente da perdere.

La tenerezza mi sembra la virtù più tipica e completa dell’uomo maturo, di colui che è padrone dei propri sentimenti e quindi non ha vergogna di mostrarli. Per dare tenerezza infatti occorre essere perfettamente integrati in se stessi, bisogna aver spento in sé ogni egoismo e ogni violenza, altrimenti la nostra tenerezza non sarà credibile e verrà percepita come una forma raffinata di seduzione (e quindi in ultima analisi come un’azione manipolatoria, una forma di violenza).

Eppure di niente questo tempo ha bisogno come della tenerezza, è sempre più evidente infatti che un mondo spietato, regolato solo da rapporti di potere ha costruito una società disumana, inadatta alla vita. La vera profezia oggi è stabilire rapporti nuovi, basati sulla debolezza e quindi sull’esaltazione dell’altro. Perché a questo mira la tenerezza, alla promozione dell’altro, a dirgli “tu sei prezioso, tu vali”.

Dobbiamo scoprire la debolezza come valore, come opportunità e non come deficit, o non è forse vero ciò che dice Paolo: “quando sono debole è allora che sono forte”? Oppure “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”? E non è questa alla fin fine la grande profezia del Magnificat “Deposuit potentes et exaltavit humiles”?

C’è una guerra in corso, una guerra spietata tra i sani forti ed efficienti e i deboli e inadeguati. Bambini, anziani, disabili sono carne da macello in questo scontro. Questo ci costringe a prendere posizione, dobbiamo scegliere se stare dalla parte dei forti ed efficienti o da quella dei poveri e deboli. Dalla parte dei deboli però si può stare solo facendosi deboli con loro, accostandoli quindi con tenerezza e non con l’aria di chi “vuol far del bene” e parte quindi inevitabilmente da una posizione di dominio, di superiorità, finendo, sebbene forse senza volere, con il ferire molto più che guarire, con l’umiliare anziché aiutare.

Questo mondo che non sa che farsene dei deboli li abortisce, li termina (ma sempre con assistenza sanitaria) li ghettizza con la scusa di aiutarli, li umilia nella presunzione di sapere cosa è meglio per loro, inventa per loro fantasie erotiche che non fanno altro che rimarcare la loro debolezza ed insufficienza umiliandoli sempre più.

Nessuno che dica loro che la loro vita vale a prescindere, non per ciò che hanno o che fanno, ma per ciò che sono, nessuno che dica loro “tu sei prezioso, tu vali moltissimo”. Nessuno che li ascolti, nessuno che si metta accanto ad un anziano o a un disabile per capire ciò che vuole davvero, nessuno che perda tempo a mostrare loro tenerezza, perché per poter essere teneri con loro occorre innanzitutto permetter loro di essere se stessi e quindi di sfogare la loro rabbia, le loro frustrazioni, lasciarsi accusare da loro se hanno accuse da farci, metterci in discussione, essere pronti a cambiar vita, far spegnere la violenza che hanno accumulato in tante umiliazioni patite permettendogli di usarla contro di noi… e tutto questo domanda tempo, tantissimo tempo, perché richiede di morire a se stessi un po’ ogni giorno.

Nessuno può essere tenero senza permettere all’altro di entrare nella sua vita, senza mettersi in gioco, per questo può farlo solo l’adulto davvero maturo e risolto, cioè il contrario dell’eterno adolescente di cui parlavamo in qualche post fa.

***

Disegno di Lorenzo Zapp (Lorenzo lo trovi anche su facebook)

70 pensieri su “Elogio della tenerezza

  1. angelina

    Caro don Fabio, è un piacere leggerti. Non sempre i sacerdoti parlano con franchezza di dinamiche relazionali ed espressione dei sentimenti (a dirla tutta, gli uomini in generale. Con le dovute eccezioni, s’intende). L’argomento è bello e sorprendente, c’entra forse qualcosa il recente incontro diocesano con Jean Vanier?

  2. C’entra sì, io sono pressocché innamorato di Jean Vanier, ho avuto la fortuna di conoscerlo trent’anni fa, quando ancora ero in seminario, e da allora l’ho sempre seguito con grande ammirazione. Impossibile pensare alla tenerezza maschile senza pensare a lui.

      1. angelina

        Non conosco l’opera omnia…. “La Comunità, luogo del perdono e della festa” è da leggere, secondo me.Don Fabio saprà far meglio 😀

      2. Senza dubbio “La comunità…” è un capolavoro, ma Jean non è uno scrittore, è persona da incontrare, da abbraciare, da stringergli la mano enorme, da farsi sommergere dalla sua fisicità esagerata…
        Il teologo dell’Arche è (o meglio era) H. Nouwen e in tutti i suoi scritti, a partire da “L’abbraccio benedicente” trovi tutta la spiritualità di Jean Vanier

        1. Giusi

          C’è sempre da imparare: non conoscevo nè Jean Vanier nè Henri Nouwen. Li aggiungerò alla pila di libri da leggere. Chissà se, prima di morire, riuscirò a leggerli tutti!

    1. angelina

      Mi ha davvero messo allegria la scelta di ‘questo’ relatore per il primo degli incontri dedicati ai sacerdoti nell’anno della fede. Ai sacerdoti romani, dico. Un filo d’aria nuova: un dialogo che inizia con un abbraccio promette bene! 😀

  3. I martiri che hanno offerto la loro vita, sono l’espressione della forza umana. L’apparente fragilità fisica di Madre Teresa e la sua forza che deriva dall’essere santi e Giovanni Paolo II negli ultimi giorni di pontificato. Davide contro Golia. La sgangherata e disarmata band degli apostoli di fronte ai soldati romani.

  4. …Fabio Bartoli:
    …perché passare del tempo con i deboli lo chiami “morire a se stessi”?
    Prima chiami essere se stessi la forza di essere deboli, e poi chiami questo farsi deboli come morire a se stessi.
    Insomma, hai voluto usare per forza questa la formula “morire a se stessi” che è in-umana.
    ;Ma in-umana è per questo già parte di un’ altra esistenza nella luce eterna?

    1. Alvise, in parte hai ragione, l’espressione “morire a se stessi” è quasi gergale e di difficile comprensione al di fuori di un contesto ecclesiale, appartiene ad un linguaggio che tra l’altro è in uggia anche a me e che non uso volentieri.
      Però il concetto che questo termine esprime ha profonde radici bibliche ed è pressocché ineliminabile dal Cristianesimo (è il concetto di sacrificio e di combattimento spirituale contro quello che S. Paolo chiama l’uomo vecchio) ed è difficile trovare una formula che dica la stessa cosa senza dover usare contorte perifrasi, ecco perché mi rassegno ad usarlo.
      Sicuro che ciò che ti dà fastidio non sia anziché la parola la realtà che designa? 🙂

      1. Fabio:
        Tutte le parole liturgiche o sacrali (in tutti i campi)mi danno noia (e poi le uso lo stesso anche io,impossibile farne a meno!)
        Credo di riuscire a capire che cosa vuoi dire con “il concetto che designa”, ma, restando in superficie, dipende da come uno si pone nei confronti del sacrificio di sé che può essere praticato da tutti (senza nemmeno, a volte, sentirlo come sacrificio di sé)
        Conosco qualcuno che non solo non lo designerebbe mai come “morire a se stessi”, ma non lo designerrebe mai in nessun modo, come non definirebbe l’azione di respirare “respirare a se stessi”.

  5. Tenerezza è anche misericordia.
    Anche qui non quella che si fa “calare dall’alto”, ma quella di Dio che ha “viscere di misericordia”. Quella misericordia che ti fa compatire l’altro (patire-con) e ti porta a gesti di tenerezza che sono come balsamo per chi li riceve e gioia profonda per chi li dona.
    Quei “piccoli” gesti che a volte danno il senso profondo all’esistenza.

  6. Erika

    Caro don Fabio, mi fai desiderare di vivere a Roma per poter assistere alle Messe da te celebrate.
    Una cosa che mi lascia a volte l’amaro in bocca è che in questi tempi non si fa che lanciare strali contro il cosiddetto “buonismo”. Anche a ragione, a volte, per carità. Però a rischio di perdere di vista la bontà.
    Invece Gesù, come sottolinea anche Costanza nel suo libro, pur compiendo il gesto più eroico e virile che si possa immaginare, cioè prendere su di sé il carico dell’umanità tutta, ha vissuto la Sua vita senza mai perdere la tenerezza, quella mitezza che viene da una suprema forza.

  7. Antonella

    Grazie!E’ un post davvero interessante.
    “per essere teneri bisogna presentarsi nella debolezza e solo chi è davvero forte può mostrare le proprie debolezze senza paura”Credo sia di aiuto nelle relazioni con gli altri ma anche e soprattutto dentro casa propria.
    Mi interessa la visione dell’uomo nel suo complesso, anima, corpo e psiche. Dovremmo forse parlare di queste dinamiche con più energia nelle parrocchie, dando strumenti o input che possano aiutare anche nella sfera puramente relazionale oltre che di fede.

    1. Anch’io sono sinceramente affascinato da queste dinamiche, ma il “puramente” relazionale lo vedo necessariamente “immerso” nella Fede, o si rischia di fare “puramente” della socio-psico-pedagogia.

      Altrettanto affascinante è vedere come queste dinamiche si sviluppino in Cristo, vero Dio e vero Uomo.

    2. Come maschio non saprei concepire la mia maschilità sganciata dalla fede, nel senso che trovo in Gesù un modello di maschio insuperabile a cui far continuamente riferimento e nel senso che sperimento ogni giorno come la Grazia, che mi raggiunge nella preghiera tocca la mia carne, cioè anche la mia maschilità, plasmandola, trasformandola, rendendola al tempo stesso più umana e più divina, giacché “santo” non significa altro che “compiutamente uomo”.
      Hai ragione nel suggerire tra le righe che la nostra catechesi spesso è “disincarnata” e dunque non insegna questa concretezza del vivere ispirato dalla fede, non è però del tutto vero, spesso non significa sempre. Personalmente metto l’Incarnazione in tutto ciò che faccio e dico e non ho certo attinto dalla luna quest’idea, ma l’ho ricevuta dalla catechesi a cui io stesso ho attinto.
      Tutta la spiritualità di CL ad esempio (quella vera, non la caricatura che ne leggi sui giornali) si basa su questo, come anche tante altre fonti letterarie e/o spirituali a cui nella mia vita ho bevuto (da Chesterton a Mazzolari, passando per Peguy, Milani e Karol Wojityla, non proprio gente che è passata nella Chiesa senza lasciar traccia)

      1. Vero don Fabio che spesso non significa sempre, ma spesso avviene un po’ troppo spesso…

        La catechesi come le omelie (spesso non sempre ;-)) come tu dici sono “disincarnate”, o troppo teologiche o troppo spiritualistiche, dotto o astratte… pensare che il Vangelo, ma la Scrittura tutta è così concreta, parla così tanto della nostra vita concretissima!
        Ma occorre essere condotti, istruiti, “illuminati”, su quanto la Scrittura insegna, anzi essendo Parola di Dio, cerca coloro che la vogliano incarnare, perché la Parola di Dio è parola creatrice.. il Verbo.

        Ma spesso (non sempre) non c’è neppure il tentativo di dare uno spessore psicologico, esistenziale alla Parola.. al massimo ci si rifà alle dinamiche tra i Discepoli, che restano però “altro da noi”, altre persone, altro tempo, un’altra storia.

        E così si finisce nei “buoni sentimenti” (buonismo) che portano solo a veder che ne siamo incapaci o a dire: “io lo faccio (e quindi sono meglio degli altri…)”.
        Ma la gente ha bisogno di una verità con cui leggere la propria esistenza, le proprie difficoltà, le proprie sofferenze, anche i propri peccati, ha bisogno di sentire che attraverso la Parola Dio illumina la loro Vita.

        Basta vedere questo blog di Costanza.. certo alle volte ci sono disquisizioni di quasi alta teologia “all’ultimo sangue” (in senso buono), ma laddove Costanza tocca – con il suo modo e il suo stile – fatti anche apparentemente banali, ecco che si apre un fiume di interventi e si comprende che alcuni vengono da “fuori”, da chi non sa che fare con la teologia (non che sia inutile intendiamoci), ma che chiede, cerca una risposta, una luce… “sono qui, a questo bivio, in questo buio, dove devo andare? Che posso fare?”.

        Io so che nella Parola di Dio, incarnata nella storia della Salvezza, incarnata in Cristo e oggi nella Sua chiesa, ci sono le risposte… a chi a percorso già quel cammino (non necessariamente presbiteri), ha chi è stato dato il dono del Discernimento (idem), la Potenza di donare il Perdono dei peccati (necessariamente presbiteri!), l’obbligo – mi sento di dire – di portare chiunque ascolti (anche una “semplice” omelia) a quelle risposte.

      2. Antonella

        Caro Don Fabio,
        piacere di conoscerla “virtualmente”.
        Ho 3 punti:
        1)ma come mai i mejo preti de roma se chiamano tutti Fabio???:)
        2)spesso non è sempre…condivido, ma devo ammettere che in provincia faccio fatica a trovare omelie concrete che diano un nuovo stimolo alla conversione personale o ad affrontare la nuova settimana. Il mio commento non voleva comunque essere critico. Ho scritto “dovremmo”. Io in primis per anni non avevo (e il processo è tuttora in corso ovviamente) vissuto/compreso la bellezza dell’integrazione totale dell’uomo. Una fede coadiuvata e stimolata dalla ragione (come diceva Giovanni Paolo II), che si avvale dell’arte, della scienza, della psicologia. Tutte cose che la chiesa ha fatto nei secoli ma non “sempre”.
        3) Bello quanto scrive Bariom.
        Ho finito i punti ma rinnovo il mio Grazie!

        1. grazie dei complimenti, sono immeritati ma fanno comunque piacere.
          Quanto al nome Fabio c’è stato in realtà un periodo in cui qui a Roma c’è stata una sorta di alluvione, in effetti siamo in 4 (io, Rosini, Pieroni e Fasciani – il quarto è più giovane, ma ne sentirete parlare presto, fidatevi) che ultimamente ci siamo trovati per motivi diversi a fare un po’ di rumore, ma siamo come il somaro che ha portato il Signore nella Città Santa, ci becchiamo un po’ degli applausi che spetterebbero a Lui, che per nostra fortuna non è geloso 😉

    3. Francesca

      @ Antonella
      Sulla tenerezza ho letto uno spunto interessante di Romolo Taddei, che mi sembra rispondente al tuo desiderio di approfondire il legame tra fede e psicologia di coppia. Lui dice che la tenerezza nella persona ha due origini: una antropologica e una teologica. La prima è insita nel fatto che nessuno di noi si è auto-generato ma è nato da un padre e una madre: indissolubilmente, il mio cuore ha un desiderio di tenerezza, di essere circondato, voluto, desiderato, amato. La seconda che sempre riguarda l’uomo, ha però a che fare con come è fatto Dio, il Dio-Trinità della rivelazione cristiana: Lui stesso è relazione, non è singolo, non è a sè stante ma si è “rotto” per generare un movimento fuori da sè. Quindi l’uomo, che somiglia a Dio in questo, dona tenerezza nelle relazioni o almeno ha scritta questa potenzialità dentro se stesso. Da una simile base di partenza, che è meravigliosa, crescono tutti i rapporti interpersonali, quindi anche quello di coppia: consapevoli della dimensione teologica e antropologica della tenerezza, l’una incompleta senza l’altra, ecco che ci vengono forniti gli strumenti per crescere in entrambe le dimensioni… ti lascio con la curiosità, il titolo del libro cui mi riferisco è “Cammini di tenerezza, di speranza e di gioia” (Effatà Editrice)

        1. Francesca

          @ Bariom
          Effettivamente, l’aggettivo “rotto” è un’espressione usata da Crispino Valenziano, noto critico di iconografia, durante una conferenza a Latina nel lontano febbraio 2010. Commentando la Trinità di Rublev, Valenziano ha portato l’attenzione sulla geometria usata dall’artista per comunicare la Trinità allo spettatore: la Trinità nasce circolare, in quanto è Amore che non ha bisogno d’altro, realtà totale di per sè, completa e perfetto. Ma per amore, la Trinità sceglie liberamente di rinunciare alla sua circolarità, di “rompersi” letteralmente per raggiungere l’uomo: infatti, chi guarda l’icona è in realtà guardato da lei e, se messo di fronte, si trova esattamente nel punto di fuga della prospettiva vista dalla parte dei tre personaggi.
          Comunque “aperto” va benissimo 🙂

          1. Cara Francesca,
            lungi da me fare la critica al critico (non ne ho né le capacità, né le competenze), ma è interessante notare come anche nella scrittura delle icone, l’uso della prospettiva inversa (o ribaltata) nasce, da Rublev in poi, come giustamente sottolinei, proprio per “aprire” lo spazio dell’icona verso chi la guarda, a introdurre il soggetto rimirante nello spazio “altro”, rappresentato dall’icona stessa.

            Così come nella dinamica Trinitaria noi veniamo (per grazia ricevuta) invitati a entrare e partecipare nel circolo di Amore che non viene mai inter-rotto, ma si apre e si espande. Così come l’Amore non si divide, ma si moltiplica.

            Ciò detto prendi il mio scrivere, come un “gioco” lessicale e riguardo Valenziano… chapeau!

  8. 61Angeloextralarge

    Grazzzzzie don Fabio! Faccio fatica ad immaginare Bruce Willis in versione “tenerezza”… ma l’immagine sopra è troppo forte. Smack a Lorenzo! 😀
    Mi viene voglia di utilizzare-modificare un termine particolare, rifacendomi ad una nota pubblicità (chissà se mi danno qualcosa… almeno per Natale): tenerestenza. Po’ fa al caso dell’uomo forte ma tenero? Che poi è il mio mito. Soprattutto perché è la versione più simile a Gesù: tenerezza incarnata e resistenza (fortezza-forza) incarnata, tutto amalgamato con misericordia, bellezza, etc. Ah, che Uomo! 😉

  9. Alessandro

    Lunedì 22 aprile 2013 Costanza sarà all’Università della Santa Croce nell’aula Giovanni Paolo II
    per tenere un intervento intitolato “E’ il padre che indica la strada” (ore 10,15) nell’ambito del convegno “La figura del padre nella serialità televisiva”:

    http://bib26.pusc.it/csi/pcc2013/program.html

  10. Mario G.

    Geniale e mitico caro don Fabio.

    Condivido tutto e tra i tanti rilancio queste due affermazioni che mi hanno trapassato: ” Per dare tenerezza infatti occorre essere perfettamente integrati in se stessi, bisogna aver spento in sé ogni egoismo e ogni violenza, altrimenti la nostra tenerezza non sarà credibile e verrà percepita come una forma raffinata di seduzione (e quindi in ultima analisi come un’azione manipolatoria, una forma di violenza)” (….) “Dalla parte dei deboli però si può stare solo facendosi deboli con loro, accostandoli quindi con tenerezza e non con l’aria di chi “vuol far del bene” e parte quindi inevitabilmente da una posizione di dominio, di superiorità, finendo, sebbene forse senza volere, con il ferire molto più che guarire, con l’umiliare anziché aiutare.”

    Che grazia averti conosciuto!

    Un forte abbraccio ed un arrivederci ancora, a Dio piacendo.

    1. 61Angeloextralarge

      Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. (matteo 5,12) 😀

    2. «Un tarlo che serpeggia»? Ponson du Terrail si roderà d’invidia ;-).

      Comunque, lettura lettura istruttiva e illuminante in tema di usi, costumi e forme espressive della razza ‘antropologicamente superiore’.

      A parte gli scherzi, è un peccato che nella sua foga stroncatoria la Gandolfi abbia perso di vista il suo stesso punto di partenza, quello delle 45.000 copie vendute, nell’Italiuccia analfabeta e soprattutto di questi tempi.
      Da una che scrive sul Corrierone ci si aspetterebbe che provasse a ragionarci su, a fare un minimo di analisi di quello che dopotutto – piaccia o no il tema – è un fenomeno commerciale di un certo interesse. Sarebbe stato più elegante se avesse stroncato i due simil-pamphlet formulando qualche accorta ipotesi di risposta alla domanda iniziale.

      Invece con questo stile “cioccolatino al livore” si resta col vago sospetto che, a parte il tema, siano le 45.000 copie vendute a dare un po’ noia…

    3. Molto onesto pubblicare “anche” una stroncatura,,,,
      Che poi non è una stroncatura, ma il discorso che tanti potrebbero fare dopo avere letto il libro.
      Invece, mi ripeto, un libro (un’opera letteraria intendo) non si giudica dalla tesi che sostiene.
      Sennò è un libro a tesi. Ma ancora più importante è lo stile. La classe della scrittura. Il qualcosa in più che fa di uno che scrive uno scrittore. La Miriano non ha stile, non ha classe. D’altra parte, non per nulla, viene dalla televisione!
      Andrebbe bene per un dibattito televisivo, su RAITRE, in più puntate, con diversi invitati, anche, perché no, in prima serata. In televisione la Miriano, essendo, oltre che intelligente, anche una donna bella e affascinante e simpatica, riuscirebbe molto meglio, e magari arriverebbe a convertire e/o a interessare molte più persone.

      1. Eh che diamine, quanto spreco di artiglieria pesante! Mi pare Gramsci quando dava dell’onesta gallina alla povera Carolina Invernizio, colpevole di essere un’autrice di successo. 😛

        1. 61Angeloextralarge

          Viviana: questa la devo dire… Ma Gramsci era per caso invidioso di una onetsa gallina? 😉

            1. 61Angeloextralarge

              Viviana: Della serie ” a pensar male si fa peccato ma … quando ci vuole ci vuole? 😉

      2. 61Angeloextralarge

        Alvise Maria: nun ce prova’! Che la Miriano non ha classe nun lo poi di’, sa! Si nun c’ha classe lei… chi ce ll’ha? La Gandolfi? Mica per partito preso, ma… 😛

      3. Giusi

        Scusa Alvise, per andare a vedere la foto dell’ateo che ti chiedeva Angela in un altro post, mi sono letta alcuni tuoi scritti: mi è venuta l’angoscia! No dico: ti pare di avere classe e stile? Una scrittura funerea, senza spazi, senza aria, senza sbocchi e senza speranza! Il libro di Costanza (ho letto il primo), non sarà un capolavoro della letteratura universale, ma si legge di un fiato, è leggero, brioso e al tempo stesso dice cose profonde. Per quanto riguarda la stroncatura, legittima per carità, almeno dovrebbe riguardare gli argomenti del libro! La cosa comica è che molti commenti rimproverano a Costanza di volere una donna in un modo esattamente antitetico a quello da lei descritto!

        1. “La cosa comica è che molti commenti rimproverano a Costanza di volere una donna in un modo esattamente antitetico a quello da lei descritto!”

          Un caso evidente di Orgoglio e Pregiudizio (ma senza Mr Darcy…)

        2. Giusi:
          …sì, hai ragione, lo so, a me non mi riesce scrivere, sono peso e noioso e ripetitivo ecetra.
          Ma io scrivo per me.
          La messa in onda non pretende certo di comunicare nulla agli altri.
          E’ fine a se stessa. Solipsistica. Maniacale. E’ piena la rete di dementi uguali che eruttano cazzate.
          Io sono uno. Non per nulla non solo non sono “pubblicato” ma nemmeno lo verrei essere.
          Mi rendo conto da me del mio essere zzero. Mi dispiace per la noia che ti sei presa.
          Non lo fare più!!!

          1. Giusi

            E’ vero fino a un certo punto. Se ci si crea un blog vuol dire che si intende comunicare con l’esterno. Se uno vuol fare il solipsistico scrive a casuccia sua e occulta in un cassetto. Non ho detto che tu sei zero. Non mi permetterei mai. Secondo me sei pure intelligente. Ho detto che quello che scrivi mi fa venire l’angoscia. Magari ti vengono bene le parole crociate (citazione del grande Giorgio Gaber) 🙂

            1. angelina

              Giacché è uscito qui l’argomento, vorrei chiederti Alvise: ma perchè i settenari sdruccioli?

      4. admin

        Alvise per risponderti userò una mail arrivata giusto giusto un paio d’ore fa, forse non la dovrei rendere nota ma non metterò il nome né altro che possa identificare l’autrice:

        “Da 2*enne, (ancora zitella!) laica e comunista, ti faccio i
        complimenti per la tua scrittura e per i contenuti che non condivido
        ma trovo di una genuinità e di uno spessore rari.”

    4. La stroncatura seppur elegante ci sta se letta solo da un punto di vista materialistico o secolarizzato. E’ evidente che la prospettiva cambia completamente se si esclude il significato trascendente della nostra vita. Il punto di vista di Costanza assume pienezza in un contesto do vita cristiana. In verità costituisce un ottimo ricettario anche per una donna non credente ma difficilmente quest’ultima si dispone volontariamente a rinunciare alla soddisfazione dei propri desideri appagandosi solo dell’affetto famigliare.

    5. C’è poi da dire che la “stroncatura” si perde in una banalità finale di tutto rispetto:
      “No, mia madre non parlava così. Ma neppure mia nonna, che oggi sarebbe ultracentenaria.”

      E allora!!?? (con tutto il rispetto per la madre e la nonna…)

      E’ che probabilmente per risalire a chi parlava così, bisognerebbe andare troppo indietro nel tempo.. diciamo un 2000 e rotti anni? .-)

    1. 61Angeloextralarge

      Stu.pen.do!
      Costanza Di Classe Miriano batte Sara Stroncatrice Gandolfi 45.000 a ZERO… 😉

  11. condivido pianamente queste parole e aggiugo che l’uomo tenero..è un UOMO giusto e libero di amare ed essere amato…grazie della risposta che aspettavo ai miei perchè..è giunta così ……

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