Pro-fanum, ovvero “c’è della spazzatura”

di Cyrano

(Questo è il secondo pannello del dittico aperto ieri col post di Daniela Bovolenta)

Può darsi, tuttavia, che la questione dello stile non sia il primo cruccio anche degli altri – dei gitani della fede. Sì, perché anche stare in piedi su d’una tavola da surf è una questione di equilibrio, e l’equilibrio è l’obbedienza a una legge, l’ottemperanza simultanea a tutte le sue regole. Niente sembra più emblematico della libertà di uno che scivola sul pelo dell’acqua (a parte, naturalmente, il già venerato sciatore alpinista!), eppure niente è tanto grottesco e ridicolo quanto la sgangherata pantomima di uno che sta perdendo l’equilibrio. Il grande successo di pubblico di Paperissima si deve essenzialmente a questo: anche chi vive senza assoggettarsi a un recinto visibile, a una regola definita, anche questi – se è semplicemente un uomo – cerca soltanto di salvarsi, e per questo sa di non essere esentato dall’esigente rigore della regola invisibile.

In qualche momento potrà pure invidiare i suoi lontani cugini claustrali: in un monastero il tempo (ossia l’esistenza e lo scorrere dell’essere) viene scandito da ore, e oltre a quelle di preghiera ci saranno quelle di lavoro, quelle di riposo, quelle di esame di coscienza e revisione, quelle di nutrimento e di ristoro, perfino quelle di correzione fraterna. I suoi lontani cugini sanno, insomma, quando e dove, con massima probabilità, alcune cose capiteranno: la regola sosterrà qui, ammonirà là, castigherà lì e loderà qua. Lo zingaro della fede, invece, è in balia dell’imprevisto: questo è il prezzo e il rischio della sua libertà, e non finirò mai di stupirmi di quanto siano simili tra loro gli anomali tipi di attrito che tengono un treno sul suo saldo binario e quelli che mantengono una lama sul precario specchio di ghiaccio.

Una cultura è data sempre e comunque dalla delimitazione (è la radice indoeuropea della parola, che lo dice), eppure l’esperienza della fede – che dal culto genera cultura – non può confinarsi nel culto, e neanche nella cultura. La fede amante, che costruisce monasteri, bastioni e chiostri, si configura già da sempre come il loro oltrepassamento; così pure l’amore fedele, che costruisce famiglie, focolari e case, si predispone da sempre a lasciar andare via quelli che vi sono nati, e che pure mai smettono di esserne parte.

Oltre. Così il fondatore del Cristianesimo, ossia della Chiesa cattolica, ha scongiurato per sempre l’ipoteca della sterilità per il proprio recinto: lo ha stabilito per scavalcarlo, lo scavalca per stabilirlo. Il grande Giove, difatti, non ha più credenti non solo e non tanto per la sua tendenza all’intimità con le mogli dei propri ospiti, ma molto di più perché l’Olimpo, casa sua, è “sopra” (ossia fuori portata) per definizione. Il grande Sacerdote della vera fede, invece, non ha scelto un “sopra” per il proprio grande sacrificio, ma un “oltre”, dal momento che la croce si stagliò fuori dalla città.

Superfluo stare a richiamare tutte le nozioni di diritto (sia giudaico sia romano) che configuravano la città come il luogo da preservare dall’impurità (a cominciare dalle sepolture) in quanto è raccolta attorno al tempio: nel cuore del fanum sta la casa di Dio, e la cinta muraria è precisamente – come nei monasteri – il perimetro sicuro del raggio d’azione di quella potenza benefica. L’unica azione di culto in cui la legge giudaica ha coinvolto il pro-fanum è la liturgia del capro espiatorio, che viene espulso dal fanum dopo essere stato caricato dell’impurità che questo non può e non deve contenere. Questa liturgia è parte di quella celebrata dal Grande Sacerdote dell’Alleanza eterna, che sintetizza in sé l’agnello innocente del fanum e il capro peccatore del pro-fanum.

Così la trasgressione di Dio ha confuso per sempre le speranze arroganti (e in fin dei conti atee) di quelli che speravano di potersi garantire il paradiso osservando una regola con mera formalità (magari “impeccabile”); allo stesso modo ha posto nel pro-fanum il cuore del fanum – il sacramento di Dio che si comunica.

Difficilissimo capirlo senza esagerare: in fin dei conti l’eccesso mistico è quello in cui la regola è trasgredita in modo così divino da non essere passibile di accusa alcuna. Che dire di una Teresa d’Avila che, da un certo punto della sua vita in poi, affermò di non poter più peccare? È vero, san Giovanni scrisse la stessa cosa, ma l’Evangelista non aveva potuto leggere che il (grandissimo) Concilio di Trento aveva condannato espressioni simili come eretiche. Teresa sì!

Pietro contro Giovanni, allora, e Giovanni contro Pietro? Sì, questa è la versione dei miopi, di quelli che non conoscono né Pietro né Giovanni… A differenza di quanto spesso si dice, il problema non è ciò che Gesù aveva detto alla Samaritana, ossia che «i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità», ma ciò che Gesù aveva detto a Nicodemo non molto tempo prima: «Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito». Sbaglierebbe di grosso, chi prendesse questa per una mera tautologia: in realtà significa che “spirito” non è “questo” o “quello”, o qualunque altra cosa possiamo definire, ma precisamente, esclusivamente e semplicemente, “ciò che è nato da Dio”.

In fondo, se le cose non stessero davvero così, e se una regola buona e santa non potesse pervertirsi nella peggiore delle carnalità, perché Paolo avrebbe detto che alcuni «vogliono la vostra circoncisione per poter trarre vanto dalla vostra carne»? Non è stato Dio a comandare la circoncisione? E quando l’avrebbe abolita? Gesù ne ha mai parlato? Ma non era circonciso Gesù stesso? Non era circonciso Paolo stesso?!

Eppure bisognava che i segni dell’Alleanza fossero ripensati alla luce della nuova ed eterna trasgressione di Dio: bisognava che tutti capissero che «la legge è buona, e il precetto è buono, giusto e santo», ma che «non è la circoncisione o la non circoncisione che conta, bensì l’essere creatura nuova».

E nessuno può essere creatura nuova se, guardando alla trasgressione con cui l’agnello è diventato capro senza smettere di essere agnello, non si distacca interiormente dalla propria regola, anche se continua a seguirla, considerandola «come spazzatura, al confronto di Cristo Gesù, e al fine di guadagnarlo».

98 pensieri su “Pro-fanum, ovvero “c’è della spazzatura”

  1. Poi domani spiegate ai poveracci del web, i semplici navigatori che restano affascinati da questo testi così intensi e rimanere stupiti a bocca aperta come davanti ad un tramonto terribile di cui colgono l’immenso significato senza comprenderlo, ecco per noi che gustiamo senza razionalizzare, domani ci date una spiegazione usum ingegneri di che cosa in fondo ci hanno regalato con sublimità di penna e immagini Daniela e Cyrano? Diciamo in 140 caratteri? Grazie. Grazie per questa irruzione nel sublime.

      1. Marco De Rossi

        Piu’ o meno: 384 parole, 2389 caratteri.
        Comunque cosi’ lo comprendo anche io, grazie.

  2. La scrittura di Cyrano è come il tichetoche del Barcellona: una ragnatela di passaggi con accelerazioni brucianti e devastanti: “la trasgressione di Dio” è sintesi geniale e travolgente, mi commuove fino alle lacrime: sic dilexit mundum, fino a tradir se stesso e la legge da lui stesso creata…
    bentornato amico mio, ci sei mancato

  3. Pingback: La triplice cinta | Sposati e sii sottomessa

  4. è tornato! Il nasone è tornato! Peccato che io però sono ancora sott’acqua: Cyrano il tuo post è salvo, niente riassuntino di fefral!

  5. Per planare un attimo al suolo: la simbologia quadrata della casa, sello spazio chiuso, sacro o che altro, è presente anche nella forma quadrata del castrum dell’esercito romano, con le due strade centrali che formano una croce(!)
    Che potrà aver voluto significare?

  6. Erika

    Viviamo tutti in un hortus conclusus.
    La nostra natura non ci consente di fare a meno dei recinti.
    Poi c’è chi si fa uno steccato di legno, chi si chiude in un tripudio di arabeschi, chi erige muri che non consentono neanche di guardare fuori.
    Le regole servono, non siamo (ancora) capaci di farne a meno, pero’ non dimentichiamo che sottomettersi alle regole passivamente a volte può essere anche pigrizia, o vigliaccheria.
    In fondo Gesù e’ stato condannato a morte per volere dei più ortodossi tra gli ortodossi, dagli studiosi della Legge.

  7. Erika

    Dimenticavo: Daniela e Cyrano, grazie.
    I vostri post sono meravigliosamente densi.
    Costringono alla lettura attenta, all’introspezione, alla preghiera, forse.
    Tutte cose di cui c’è disperatamente bisogno, se non vogliamo che il nostro hortus diventi un recinto di galline starnazzanti (io per prima, e’ chiaro!).

  8. 61Angeloextralarge

    Grazie Cyrano! Stile spadaccino e sticcata di gran classe, degno seguto del post di ieri. Grazie ancora, Daniela! Smack! 😉
    “Pietro contro Giovanni, allora, e Giovanni contro Pietro? Sì, questa è la versione dei miopi, di quelli che non conoscono né Pietro né Giovanni”: questo è il fulcro? L’essere miopi? Miopi per ignoranza?
    Quanto mi piace la trasgressione di Gesù! Doveva essere uno “fuori di testa”, visto come stavano le cose ai suoi tempi! Rivoluzionario-trasgresivo sì, ma per AMORE! Questa è la vera trasgressione: AMARE!

  9. Come diceva Paolo, tra il post di ieri e quello, altrettanto pregevole, di oggi si è accumulata una lussureggiante densità non immediatamente metabolizzabile. Mi viene solo in mente, nel cercare di mettere a fuoco il filo conduttore di questo dittico, di aver capito che ogni cinta chiusa deve servire a ascendere, che ogni qui rimanda a un altrove.

    1. Alessandro

      Sono d’accordo con Andreas. Mi riesce difficile commentare la variopinta densità di questi due post, quindi li medito e li rumino in silenzio

  10. Le diatribe di questi giorni con il signor Michele hanno avuto come risultato quello di oscurare i bellissimi post e i temi proposti da Daniela e Cyrano.
    Non so se il signor Michele sia un troll, ma l’effetto è stato quello.
    Invito quindi da adesso tutti i commentatori ad attenersi più strettamente possibile ai temi proposti.
    GRAZIE

    1. Roberto

      Admin, siamo nelle tue mani! La presunta pseudo-tolleranza da liberale ottocentesco che pretende di concedere il diritto a chiunque di dire qualunque fesseria senza alcun limite di spazio-tempo non ci appartiene, perché noi siamo cattolici – ma solo tu puoi cacciare a virtuali pedate nel sedere certi piagnucolosi atei-bigotti (oh, e chiunque altro, me per primo, se così dovessi ritenere opportuno, s’intende!).
      Prendila come una “trepidante supplica” che ti levo come a colui che ha autorità su questo luogo: facce’ sognà! 😀

      1. Bene Roberto, approfitto del tuo intervento per fare una cosa che mi è stata chiesta dal signor Michele:
        rendere nota la mia decisione di non dare più la possibilità di intervenire al signor Michele perché nonostante il suo tono apparentemente pacato l’ho trovato intriso di una vis polemica fatta di stereotipi anti-cattolici e di sarcasmo
        che non ci è gradito che crea un eccessivo scompiglio e non giova al clima del blog.
        Ero riluttante a dare questo annuncio perché ci sono stati altri utenti bannati e non ci sono mai stati proclami ne giustificazioni, ma a questo punto ho pensato di fare un’eccezione.

        Mi ha chiesto però una cortesia e cioè di girare un messaggio a Lidia e a tutti, eccolo:

        “Mi farebbe piacere se potesse informare Lidia (post “Scommetti che ti innamori?”, 13 giugno 2012 alle 10:34) che non posso rispondere alla sua cortese replica in quanto sono stato escluso dal blog: magari pubblicamente, perchè mi secca che si pensi me ne sono andato di mia spontanea volontà.”

        Chiedo a tutti di non commentare (sia in senso positivo che negativo) questa decisione che non è all’ordine del giorno non è stata messa ai voti e non è argomento di discussione. Naturalmente siete liberi di non essere d’accordo e di non seguire più un blog così “antidemocratico”: sopravviveremo.

        1. lidia

          commento solo per ringraziarti della gentilezza di passare il messaggio per me. Grazie Admin!

      2. FilippoMaria

        Non commento la tua decisione admin, ma mi unisco alla “trepidante supplica” di Roberto! 🙂
        E poi approfitto per ringraziare Daniela per la sublime sintesi delle 17.04! Davvero molto interessante! Grazie!

  11. Marco De Rossi

    A dire il vero questi ultimi due temi non li ho capiti.
    E’ ovviamente colpa mia, nel senso che non ho una cultura cosi’ raffinata da coglierne il senso, ma non mi vergogno a dire che non ho capito proprio di cosa si parli.

  12. Velenia

    Mi sa che devo farmi una mappa concettuale per assimilare i due post,metterei come parola chiave: Il Verbo si è fatto carne,cioè la Regola è quell’Uomo.Quid est veritas? Vir qui adest.
    Però qui ci sono 35 gradi e potri anche sragionare,ditemi Cyrano e Daniela se ho capito bene.

    1. Mappa concettuale, a richiesta di Velenia, per quel che riesco, poi imploro l’intervento di Cyrano.
      – Un’accusa seria, da valutare a fondo, che viene mossa a noi cattolici è di avere un “manuale” di comportamento, delle “regole”, senza attivare una profonda libertà di coscienza.
      – Noi invece sosteniamo, ritengo a ragione ma va argomentato, che la nostra libertà è nel riconoscere la Verità, nel seguire Cristo, tutto ciò che dall’esterno sembra costrizione è esercizio di libertà per il bene, che poi è il fine ultimo della libertà data da Dio.
      – La libertà, anche cristianamente concepita, non annulla la tendenza al male post peccato originale, dunque il bene e la virtù sono anche -non solo- abiti da indossare, pieghe da prendere, regole da seguire, per acquisire appunto una disposizione abituale al bene, che è il contrario del vizio.
      – In tutto ciò si creano difficili equilibri – proprio come nell’esempio del surfista – in cui le leggi dello spirito vanno assecondate e cavalcate, per dare un risultato finale che sembra facile e disinvolto, ma è sempre frutto di fatica ed esercizio.
      – In tale gioco di equilibri si sale una specie di scala, per cui la regola sostiene – non determina – la santità, la santità porta alla libertà (provate a pensare a santa Teresa d’Avila).
      – Il recinto in questo contesto è segno di spazio chiuso lateralmente, cioè aperto verso l’alto: quel che sembrava una limitazione determina una salita, uno sbocco verso Dio.
      – Il recinto non è e non deve essere l’oggetto e il fine del nostro agire: il fine ultimo è l’unione con Dio, che permette di bruciare ogni regola, dopo che ci ha fatto da gradino verso l’alto (il sabato per l’uomo, ecc…).
      – Ulteriore piano possibile, oltre a quello personale, la trasposizione di tale dinamica sul piano sociale, il limes, la frontiera, non è il modo per tenere lontano il diverso, ma il modo per delimitare un “noi”, una condivisione, una cultura che necessariamente richiede una certa dose di condivisione. Con Régis Debray, opportunamente citato ieri da Andreas, “La frontiera è da intendersi come un vaccino contro l’epidemia dei muri, come un rimedio all’indifferenza e una salvaguardia dei vivi”.
      Vi prego, non rimandateeeemi, ho appena finito di aiutare i figli con le ultime interrogazioni, prometto che tenterò di recuperare! 🙂

      1. Altro che rimandare, questa ulteriore integrazione merita il segno distintivo della lode per gli autori di questo meraviglioso dittico! 😉
        Sottoscrivo ogni punto, ringrazio nuovamente Daniela, e rilancio con Debray: «A cosa serve, in definitiva, la frontiera? A fare corpo. E così ad alzare la testa. Il recinto esalta il rampicante e ci copre d’invisibile. Ogni luogo chiuso è un “dispositivo che ci induce a salire”» (Elogio della frontiera, p. 51).

  13. Posso dire solo grazie, a entrambi, per la profondità dei post. E poi sorrido, pensando a cosa possa significare concretamente quel chiostro chiuso, quelle regole, così vere e così forti che permettono di “scavalcare”. Sorrido perché nel mio piccolo lo sto vedendo, in una mia amica appena entrata in clausura, tra i monti, in qualcosa di davvero chiuso e pieno di regole. E meraviglia delle meraviglie, questa sua libertà ha accresciuto anche la mia, e mi ha aiutata a scavalcare e starle più vicino di prima nella preghiera…

  14. Credo che già dalla scelta iniziale del modo di stare in scena di Cyrano subito sul registro dell’insuperabile oscuro cesellatore barocco (nel senso più positivo del termine) il nostro caro simpaticissimo amico abbia scelto una “maniera” che non mette bene in risalto le sue doti di intelligenza cultura sesnsibilità eccetra…Invece (ritengo,) zigozagando sempre tra il lusco e il brusco impedisce a se stesso di esprimere al meglio le sue straordinarie qualità intellettuali(pur nella maestria dell’intarsio mentale) E non lo dico per dire (per quello che può contare che lo dica io):
    …tutto questo, forse, dico, per giustificarmi del fatto che io del suo ultimo post ho capito solo le parole “capro espiatorio”!

  15. vale

    giusto così. in fondo è il sabato che è fatto per l’uomo. e non l’uomo per il sabato.
    ma i simboli,come le regole,talvolta,sono importanti. se non altro per capire da dove si viene e dove si vuol andare.e come.
    real e barcellona sembrano non averlo capito: finiranno per essere degli stranieri a sé stessi. e per denaro…
    Tolta la storica croce concessa dalla Chiesa in via del tutto straordinaria a Re Alfonso XIII nel 1920 (e inoltre divieto ai giocatori di farsi il segno di croce in campo. http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2320

      1. vale

        …e gli han tolto pure la spada.però l’han messo in un hortus conclusus.di plastica.

  16. Leggevo su un giornale francese che a una squadra di seconda divisone (sponsorizzata e composta da immigrati misulmani) non è stato permesso di mettere sulla maglia la scritta: “allah è grande”, nemmeno in arabo.

    1. vale

      beh, se non cogli la differenza(altro è il reiterato segnarsi di calciatori-che a parte alcuni che co credon veramente- lo usano solo come forma scaramantica) tra un simbolo che è parte della casacca o del logo della squadra(come milan o bologna,per es.)-o di qualunque altra cosa si tratti- da sempre-perché nata così, da quell’altro evento, non ho niuna risposta ragionevole da offrirti. sia chiaro. stessa cosa sarebbe stata se fosse stato altro il motivo per cui l’han tolto. ma “questo” motivo mi pare abbastanza e doppiamente triste….

  17. sorriso

    Quindi, media-e-midia, ti piace di piu’ la statua con le teste mozzate e sanguinanti?…mah.

    1. Mi piacciono le cose come sono, non rivedute e corrette ad usum Delphini (specie quando il delfino è la political correctness). Quel modello iconografico si chiama Santiago matamoros e ha una sua ragion d’essere storica. Nella nostra storia ci sono tante cose orrende ma non è nascondendole sotto un paravento di fiori finti che ci renderemo più buoni e più belli.

  18. Ieri non avevo capito cosa volevano dire le allusioni a Cassano…
    Ora ho letto i giornali e ho capito. Che cosa ho capito? Almeno una cosa: che i giornalisti sono degli infami!!!

  19. Roberto

    Daniela, ti ringrazio per la traduzione. Mi ha aiutato molto. 😀 Un inchino a entrambi per la densità atomica dei due post.

    Questi post su regole e Leggi, assieme al commento sopra della nostra meravigliosa Erika (ma anche alle ciancie inutili e petulanti del troll dell’altro giorno), mi hanno fatto scattare un’associazione d’idee che ha disseppellito il ricordo di un discorso dell’allora Cardinal Ratzinger su “Israele, Chiesa e mondo” che potrebbe avere qualche assonanza con il tema.

    Sono in imbarazzo su quali parti scegliere, quindi finirò per postare una mezza lenzuolata, ma dato che comunque per ora ho la sensazione che nessuno se la senta di maneggiare la nitroglicerina che ci avete posto in grembo, bhe!…

    http://www.zenit.org/article-18112?l=italian

    […]

    Ora non c’è nulla di tanto discusso quanto la questione del Gesù storico. […]
    Poi il Catechismo mostra la relazione Gesù-Israele in tre ambiti di riferimento: Gesù e la Legge (577-582), Gesù e il Tempio (583-586), Gesù e la fede d’Israele nel Dio unico e Salvatore (587-591). Passa quindi a esaminare il destino finale di Gesù: la sua morte e resurrezione, in cui i cristiani vedono realizzato e portato alla sua massima profondità teologica il mistero pasquale di Israele.

    Gesù e Israele

    Qui ci occuperemo in particolare del capitolo centrale su Gesù e Israele, che è fondamentale anche per l’interpretazione del concetto di regno di Dio e per la comprensione del mistero pasquale. Ora, sono proprio i temi della Legge, del Tempio, dell’unicità di Dio a portare in se tutta la carica esplosiva delle lacerazioni ebraico-cristiane. È possibile comprenderli in maniera storicamente corretta, coerente con la fede e nel primato della riconciliazione?
    A dare di farisei, sacerdoti e giudei un’immagine generalmente negativa non sono state solo le prime interpretazioni della storia di Gesù. Proprio la letteratura liberale e moderna ha riportato in auge il cliché delle contrapposizioni: farisei e sacerdoti vi compaiono come sostenitori di un rigido legalismo, come rappresentanti della legge eterna del potere costituito, delle autorità religiose e politiche, che impediscono la libertà e vivono dell’oppressione altrui. In linea con queste interpretazioni ci si pone a fianco di Gesù e si ritiene di continuare la sua battaglia, impegnandosi contro il potere clericale nella Chiesa e contro l’ordine stabilito nello Stato. Le immagini del nemico di certe battaglie moderne per la libertà si confondono con le immagini della storia di Gesù e tutta la sua storia è in fondo interpretata, in tale prospettiva, come una battaglia contro il dominio dell’uomo sull’uomo mascherato dalla religione, come l’avvio di quella rivoluzione in cui egli ha sì dovuto soccombere, ma che proprio con la sua sconfitta ha trovato un inizio che ora deve portare alla vittoria definitiva. Se Gesù dev’essere visto così, se la sua morte va intesa in un contesto del genere, il suo messaggio non può essere la riconciliazione.

    Fedeltà di Gesù alla Legge

    È di per se chiaro che il Catechismo non condivide questa ottica. Per tali questioni esso si attiene soprattutto all’immagine di Gesù del Vangelo di Matteo e vede in Gesù il Messia, il più grande nel regno dei cieli; come tale egli si sapeva obbligato a «osservare la Legge, praticandola nella sua integralità fin nei minimi precetti» (578).
    Il Catechismo collega dunque la particolare missione di Gesù alla sua fedeltà alla Legge; vede in lui il Servo di Dio, che porta davvero il diritto (Is 42,3) e diventa perciò «Alleanza del popolo» (Is 42,6; Catechismo 580).
    Il nostro testo è dunque molto lontano dai superficiali tentativi di armonizzazione della storia di Gesù carica di tensioni. E anziché interpretare il suo cammino in modo superficiale, nel senso di un presunto attacco profetico al rigido legalismo, cerca di far emergere la sua autentica profondità teologica.
    Lo si vede chiaramente nel passo che segue:

    «Il principio dell’integralità dell’osservanza della Legge, non solo nella lettera ma nel suo spirito, era caro ai farisei. Mettendolo in forte risalto per Israele, essi hanno condotto molti Ebrei del tempo di Gesù a uno zelo religioso estremo. E questo, se non voleva risolversi in una casistica “ipocrita”, non poteva che preparare il Popolo a quell’inaudito intervento di Dio che sarà l’osservanza perfetta della Legge da parte dell’unico Giusto al posto di tutti i peccatori» (579).

    Questo pieno adempimento della Legge implica che Gesù prenda «su di sé “la maledizione della legge” (Gal 3 ,13), in cui erano incorsi coloro che non erano rimasti fedeli “a tutte le cose scritte nel libro della Legge” (Gal 3,10» (580). La morte in croce trova così una spiegazione teologica a partire dall’intima solidarietà con la Legge e con Israele; in questo contesto il Catechismo pone un legame con il giorno dell’Espiazione e intende la morte di Cristo come il grande evento espiativo-conciliativo, come piena e completa realizzazione di ciò che i segni del giorno dell’Espiazione significano (433; 578).

    Compimento della Torah mediante la Legge del Vangelo

    Con queste affermazioni siamo giunti al centro del dialogo ebraico-cristiano, al decisivo punto nodale tra riconciliazione e lacerazione.
    Prima di proseguire nell’interpretazione della figura di Gesù che stiamo qui delineando, dobbiamo ancora chiederci che cosa significa questa visione della figura storica di Gesù per l’ esistenza di coloro che si sanno radicati nell’ «olivo di Israele», nella figliolanza di Abramo.
    Laddove il conflitto di Gesù con il giudaismo del suo tempo viene presentato in maniera superficialmente polemica, si finisce per derivarne un’idea di liberazione che può intendere la Torah solo come una servitù a riti e osservanze esteriori.
    La visione del Catechismo, tratta principalmente da Matteo ma in definitiva determinata dall’insieme della tradizione evangelica, porta logicamente a una prospettiva del tutto diversa, che desidero qui” esporre in modo esauriente:

    «La Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge [ = della Torah]. Il Discorso del Signore sulla montagna, lungi dall’abolire o dal togliere valore alle prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità nascoste e ne fa scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità divina e umana.
    Esso non aggiunge nuovi precetti esteriori, ma arriva a riformare la radice delle azioni, il cuore, là dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano la fede, la speranza e la carità[…]. Così il Vangelo porta la Legge alla sua pienezza mediante l’imitazione della perfezione del Padre celeste[…]» (1968).

    L’unità tra l’annuncio di Gesù e l’annuncio del Sinai

    Questa visione di una profonda unità tra l’annuncio di Gesù e l’annuncio del Sinai viene ancora una volta sintetizzata con riferimento a un’affermazione neotestamentaria, che non è solo comune alla tradizione sinottica, ma ha un carattere centrale anche negli scritti giovannei e paolini: dall’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo dipendono tutta la Legge e i Profeti (1970; Mt 7,12; 22,34-40; Mc 12,29-31; Lc 10,25-28; Gv 13,34; Rm 13,8-10). Per i popoli l’inclusione nella discendenza di Abramo si compie concretamente aderendo alla volontà di Dio, in cui precetto morale e confessione dell’unicità di Dio sono inseparabili, come risulta particolarmente chiaro nella versione marciana di questa tradizione, in cui il duplice comandamento è espressamente legato allo Shema’ Isra’el, al sì all’unico Dio. All’uomo viene comandato di assumere come criterio la misura di Dio e la sua perfezione.
    […]

    L’interpretazione che Gesù dà della Legge: conflitto e riconciliazione

    Ora però si pone inevitabilmente la domanda: una simile visione del legame tra Legge e vangelo non è forse un arbitrario tentativo di armonizzazione? Come si spiega allora il conflitto che ha portato Gesù sulla croce?
    Tutto ciò non è in contrasto con l’interpretazione della figura di Cristo dataci da Paolo? Non viene così smentito l’intero insegnamento paolino sulla grazia a favore di un nuovo moralismo e con ciò non viene annullato l’articulus stantis et cadentis ecclesiae, la novità essenziale del cristianesimo?
    La parte morale del Catechismo, da cui abbiamo tratto l’esposizione fin qui presentata della via cristiana, su tale punto corrisponde pienamente a ciò che in precedenza avevamo desunto dalla parte dogmatica relativa alla figura di Cristo. A ben vedere, da questo fatto emergono due aspetti essenziali, in cui è racchiusa la risposta alle nostre domande.

    La profonda compenetrazione dei due Testamenti

    Con la presentazione appena esposta dell’intima continuità e coerenza tra Legge e vangelo, il Catechismo resta rigorosamente all’interno della tradizione cattolica, così come è stata formulata soprattutto da Agostino e Tommaso. In essa il rapporto fra Torah e annuncio di Gesù non è mai stato visto in chiave dialettica, per cui Dio apparirebbe nella Legge sub contrario, e dunque come avversario di se stesso. In essa non vigeva la dialettica, bensì l’analogia, lo sviluppo nell’intima corrispondenza, in conformità con la bella affermazione di sant’ Agostino: nell’Antico Testamento è nascosto il Nuovo, nel Nuovo è manifesto l’Antico. Per illustrare la profonda connessione tra i due Testamenti che ne deriva, il Catechismo cita un testo molto bello di san Tommaso:

    «Ci furono […], nel regime dell’ Antico Testamento, anime ripiene di carità e della grazia dello Spirito Santo, le quali aspettavano soprattutto il compimento delle promesse spirituali ed eterne. Sotto tale aspetto, costoro appartenevano alla nuova legge. Al contrario, anche nel Nuovo Testamento ci sono uomini carnali […]» (1964; Summa theologiae, I-II, 107, 1, ad 2).

    La Torah come creazione unitaria

    Con ciò si è anche già detto che la Legge viene letta profeticamente, nella tensione interiore della promessa.
    Quel che significa una simile lettura dinamico-profetica emerge nel catechismo dapprima in una duplice forma: la Legge è portata alla sua pienezza mediante il rinnovamento del cuore (1968); esteriormente ciò ha come conseguenza il venir meno delle osservanze rituali e giuridiche (1972). A questo punto si pone però una nuova domanda: come è potuto accadere? Come si concilia tutto ciò con il compimento della Legge fino all’ultimo iota?
    […]
    Gesù non ha agito come un liberale, che raccomanda e pratica lui stesso un’interpretazione della Legge aperta e accomodante. Nel confronto tra Gesù e le autorità giudaiche del suo tempo non sono di fronte un liberale e una gerarchia chiusa e irrigidita nel proprio tradizionalismo. Una tale ottica, tanto diffusa, misconosce alla radice il conflitto del Nuovo Testamento; in tal modo non si rende ragione né di Gesù né di Israele.
    La sua apertura della Legge Gesù l’ha piuttosto realizzata in senso pienamente teologico, nella consapevolezza e con la pretesa di agire nella più intima unità con Dio, il Padre, proprio in quanto Figlio, di agire cioè nella piena autorità di Dio.
    Solo Dio, infatti, poteva interpretare in modo tanto radicalmente nuovo la Legge e proclamare questa trasformazione e conservazione come il significato da lui realmente inteso. L’interpretazione della Legge data da Gesù ha senso solo se è un’interpretazione derivante da un mandato di Dio, se è Dio stesso a spiegare se stesso.
    Il conflitto tra Gesù e le autorità giudaiche del suo tempo non riguarda in definitiva questa o quella singola prescrizione legale, ma la pretesa di Gesù di agire ex auctoritate divina, anzi di essere lui stesso questa auctoritas. «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30)

    Il conflitto che si conclude sulla croce

    Solo spingendosi fino a questo punto si coglie la tragica profondità del conflitto. Da una parte Gesù ha aperto la Legge, ha voluto aprirla non come un liberale, non con una minore fedeltà, ma nella più stretta obbedienza al pieno compimento, a partire dal suo essere una cosa sola con il Padre, ovvero dall’unica realtà in cui Legge e promessa potevano diventare una cosa sola e Israele poteva divenire benedizione e salvezza per i popoli.
    Dall’altra parte Israele «doveva» vedere in tutto ciò qualcosa di molto più grave della semplice trasgressione di questo o quel precetto, cioè la violazione dell’obbedienza fondamentale, del nucleo originario della rivelazione ricevuta e della sua fede: «Ascolta, Israele, il tuo Dio è un unico Dio».
    Qui due diverse obbedienze si scontrano ed entrano in quel conflitto che doveva concludersi sulla croce.
    Riconciliazione e dissidio appaiono così intrecciati tra loro in un paradosso davvero insolubile.
    In questa teologia del Nuovo Testamento che il Catechismo ci presenta, la croce non può quindi essere vista come un incidente in fondo evitabile e neppure come la colpa di Israele, di cui quest’ultimo resterebbe macchiato in eterno, a differenza dei pagani per i quali essa significherebbe la redenzione. Secondo il Nuovo Testamento non ci sono due effetti della croce, uno che condanna e uno che salva, ma uno solo, quello che salva e che riconcilia.

    […]

  20. Caro Cyrano,
    Io sono nuova da queste parti. Capitata per caso su un post che parlava di figli, mi sono ritrovata a ridere, a sentirmi oggetto di dissertazioni, ad assenti e dissentire. Leggo questa frase Così la trasgressione di Dio ha confuso per sempre le speranze arroganti (e in fin dei conti atee) di quelli che speravano di potersi garantire il paradiso osservando una regola con mera formalità (magari “impeccabile”) e, mi spieghi se sbaglio, ma mi sembra di sentire ronzare le orecchie.
    I miei figli, mio marito, io, mia madre, i miei fratelli e sorelle, i miei amici. Tutti noi abbiamo speranze (ma non arroganti, ci mancherebbe altro. Uno dei orincipi cardine e’ l’umilta’ nei confronti di D-o e di chiunque al mondo ci abbia insegnato anche solo una lettera) di garantirci il paradiso attraverso impeccabile formalita’. Davvero. Lo credo. Possibile. Perche’ la regola dello shabat che ti costringe a chiudere l’azienda dal tramonto del venerdi’ quando i tuoi concorrenti approfittano della tua pausa per portarsi avanti con il lavoro, quando ti ritrovi in vacanza a Salerno e muori di fame ma non puoi fare altro che addentare una mela o una banana perche’ non esiste altro cibo kasher, quando mandi i tuoi figli in giro con la kipah e certa gente gli sputa in faccia, tu credi di avere dimostrato a D- o, attraverso il banale e il quotidiano, di amarlo davvero. A tal punto che sacrifichi i tuoi guadagni, il tuo stomaco e la tua incolumita’ fisica per la Sua Torah. Mi piacerebbe il mio servizio divino fosse impeccabile. Siamo esseri umani e solo pochi eletti possono vantare il privilegio, dopo 120 anni su questa terra, di avere questa definizione per i propri giorni. Ma mi creda Cyrano, nulla e’ pura formalita’. Un panino kasher, una gonna lunga oltre il ginocchio, un intero giorno dedicato solo alla famiglia, sono regole rigide. Ma sono il modo in cui D-o chiede a un ebreo di servirLo. Materialmente e spiritualmente.

    1. Roberto

      Ma no!
      Gentile Gheula, proprio Cyrano, tra tutti noi, non si merita questo genere di… “rimproveri”.
      Su quelli sono io a detenere un (geloso) monopolio!

      Direi che Cyrano allude a un’adesione di forma, senza cuore e senza amore, a un’adesione di “convenienza” a una struttura di “regole” per “arraffare” il bene della Salvezza – ma si capisce, no? Fin lì c’ero arrivato anch’io senza aiuto.

      Capisco che sia una lunga lenzuolata, ma mi sento di rinviarla, se le va, alla spapiellata che ho lasciato qua sopra.

      [ovviamente, ciò nulla toglie al mio ardente desiderio di volere tutti, ma proprio tutti-tutti, e quindi anche la sua bella famiglia, convertita alla Fede cattolica!]

    2. Cara Gheula, mi creda, so bene quanto la forma non sia una mera formalità. Creda pure che il mio post non voleva in alcun modo attaccare lo shabbat, il kasher o il più piccolo iota della TaNaK. Questo me lo hanno insegnato Gesù Cristo (che oltre a essere l’unico Figlio di Dio è un ebreo figlio di ebrea) e Paolo di Tarso (che «superava nello zelo molti suoi correligionari», a sentir lui)… Non che sia ossessionato dal pensiero di altri ebrei, quando scrivo. Ma da questi sì, come le riuscirà facile capire e credere. Gesù mi ha insegnato a dimenticarmi dei miei “meriti”, dopo aver osservato la regola, e a non rivendicare niente davanti a nessuno, ma in fin dei conti non sta scritto anche nel Deuteronomio (Helle haddebarìm) qualcosa di molto simile? «Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurata ai tuoi padri».
      La forza con cui osserviamo la Legge e le tante piccole leggi della giornata, quella forza ci viene da Dio, che ce la dà perché offrendoci i mezzi (ed è ancora poco, senza la mozione dello Spirito…) perché siamo salvati si conferma fedele e saldo nella sua Berìt. Questa è la “giustizia di Dio” di cui parla Paolo, ed è l’unica a cui credo.
      Vorrei poi dirle un’ultima cosa: mi tocca davvero, il suo dolore di madre per i segni discriminatori inferti ai suoi figli a ragione della fede di Abramo, nostro padre comune… ma in fondo che altro pegno ha ricevuto, Israele, da quella notte dopo la quale il suo nome non è stato più Giacobbe? Un colpo basso, un’anca sciancata. Ecco perché la Croce di Cristo è il sublime compimento delle promesse fatte «ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre»: perché in nessuno come in Cristo s’è visto che essere gli eletti di Dio produce e costa una gloria paradossale, fatta di maledizione e benedizione insieme – perché Dio vuole che tutto e tutti siano salvati, e per questo «ha rinchiuso ogni cosa nella disobbedienza, per poter usare a tutti misericordia».
      Pietro e Giovanni, più cristiani di me ma non meno ebrei di lei, se ne andarono via dal tempio felici di essere stati insultati per il nome di Gesù. A distanza di molti anni da quel giorno il vecchio Pietro (o chi per lui) scriverà quasi tutta la sua prima lettera sul tema del disprezzo che si patisce per amore della fede. Ecco, vede, in sintesi… quando non riusciamo a soffrire con gioia, forse in quel momento la dedizione con cui osserviamo la regola è (già) divenuta un po’ sterile, e forse allora la forma è (già) diventata mera formalità.

      1. giusto, Joe, urge una precisazione, per quanto possa sembrare poco simpatica: quando parlo di “ricevere sputi per la fede con gioia”, so di che si parla. Basta scegliere “la città giusta” per partecipare a una via crucis…
        In fin dei conti, però, non c’è bisogno di andare chissà dove: a San Giovanni, giovedì scorso, solo i megafoni del Papa potevano coprire i clacson degli inferociti automobilisti che avevano trovato la strada bloccata. Quando in certe città della Galilea ho visto degli uomini zelanti stendere strisce chiodate per strada il venerdì sera… beh, lì l’atmosfera era molto più composta! 🙂

        1. lidia

          c’ero anche io! 🙂 Magari ci siamo incrociati. Io dovunque guardassi vedevo dei miei amici, praticamente 😉 cmq io i clacson non li ho sentiti, però ero abbastanza vicina ai megafoni e forse per questo…cmq l’atmosfera era bellissima, vero? Un sacco di giovani e famiglie. e le suorine che non so come ma si intrufolano alla grande, e in men che non si dica sono accanto a Gesù e al Papa!
          PS: ho scoperto oggi che le suore che abitano nel mio palazzo hanno ricevuto il permesso di tenere in Ss. in casa, il tabernacolo sta esattamente sulla mia testa, la stanza sopra la mia camera. Wow, dormo e lavoro praticamente con l’Eucarestia accanto!

          1. sì, bell’atmosfera, anche poi a Santa Maria Maggiore (ma povero Benedetto, quanto era stanco alla fine!)
            Bello, beata te, come Samuele! 😀

    3. Immagino che le persone che sputano quando vedono una kipah (che se non mi sbaglio e’ un copricapo con il simbolo di israele) lo faccia perche odiano israele, gli ebrei e tutto il resto. Vorrei razionalizzare una cosa del genere ma mi rimane impresso solo la visione di bambini sputati in faccia per un cappello e mi viene lo schifo per questi individui. Un intolleranza e una violenza che non e’ accettabile.

      1. Caro Giulio, sulla kippa non c’e’ nessun simbolo di israele. Puo’ essere di velluto, a uncinetto, di cotone. E’ un semplice copricapo magari con dei disegni di macchinine per i piu’ piccoli. Chi sputa addosso a chi la porta, chi insulta chi se ne copre la testa, ha solo un sentimento che lo spinge. E non c’entra con le idee politiche. Razionalizzando al massimo e’ semplicemente uno che odia gli ebrei.

  21. Caro Cyrano,
    Io non soffro quando sputano sui miei figli. Perche’ quando loro continuano a portare la kippah fregandosene delle minacce del mondo intero, io sono la persona piu’ felice del mondo. E poi posso permettermi di dirlo? L’ebraismo non ci vuole vedere soffrire con gioia. Ma ci vuole felici e basta. E per essere felici uno dei segreti e’ scoprire D- o anche nella mera formalita’. Potrei andare avanti per ore, ma questo spazio e’ vostro quindi mi limito piu’ che posso. Grazie dell’ospitalita’

    1. Lungi da me la pretesa d’insegnarle l’ebraismo, ma la TaNaK l’ho letta anch’io, e vi ho trovato le benedizioni sul paziente Giobbe, ma anche la fine miseranda del povero Geremia… lo sa che potrei andare avanti per ore così.
      Correggo: Gesù non vuole vederci “soffrire con gioia”, bensì vederci “gioire (anche) nella sofferenza”*, e proprio per questo ha fatto di noi un intero popolo sacerdotale proprio con quell’immensa trasgressione che è la nuova ed eterna alleanza.
      C’è un loghion agrapton di Gesù, presente in pochissimi antichi manoscritti: «In quello stesso giorno, scorgendo un tale che lavorava di sabato, (Gesù) gli disse: “Uomo, se tu sai quello che fai sei beato; ma se non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge”».
      Ecco, non solo io (personalmente) penso che Gesù può certamente aver detto una cosa simile, ma credo che questo versetto sintetizzi benissimo lo spirito del mio post.

      *: Così Gianluigi De Palo ha raccontato su facebook chi era e chi è, ad esempio, Chiara. Mi permetto di riportare questo messaggio per via dell’invito al funerale ma soprattutto in ragione dell’impressionante forza di questa storia grande e terribile.

      Chiara Corbella è una ragazza nata in cielo questa mattina.
      Aveva 28 anni ed era sposata con Enrico Petrillo.
      Una coppia normalissima della generazione Wojtyla, cresciuta in parrocchia e a pane e Gmg.
      Dopo essersi conosciuti a Medugorje hanno fatto un cammino d…a fidanzati con l’aiuto di alcuni frati di Assisi, e si sono sposati nel settembre 2008.
      Chiara è rimasta subito incinta di Maria. Ma purtroppo alla bimba, sin dalle prime ecografie, è stata diagnosticata un’anencefalia. Senza alcun tentennamento l’hanno accolta e accompagnata nella nascita terrena e, dopo circa 30 minuti, alla nascita in Cielo.
      Ho assistito personalmente al funerale che è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Una vittoria di Cristo sulla morte, ribadita da questa piccola bara bianca e da due genitori che hanno scritto e cantato, ringraziando e lodando il Signore per tutta la Messa.

      Qualche mese dopo, ecco un’altra gravidanza. Anche in questo caso l’ecografia non è andata bene. Il bimbo, questa volta era un maschietto, era senza gambe. Senza paura e con il sorriso sulle labbra hanno scelto di portare avanti la gravidanza. Ho parlato io stesso con Enrico che mi raccontava la sua gioia di avere un bimbo anche se privo delle gambe.
      Purtroppo, però, verso il settimo mese, l’ecografia ha evidenziato delle malformazioni viscerali con assenza degli arti inferiori e incompatibilità con la vita. Anche in questo caso i due giovani con il sorriso (io l’ho visto e seguito quel sorriso che nasce dalla fede) hanno voluto accompagnare il piccolo Davide fino al giorno della sua nascita in cielo avvenuta (anche in questo caso) poco dopo la nascita terrena.
      C’ero anche al funerale di Davide. Anche lì tanta bellezza, tanta fede e una sorta di invidia per quella gioia portata nonostante la croce. Una gioia non finta e di circostanza, ma esempio per molte famiglie coetanee.

      Finalmente una nuova gravidanza: Francesco…
      Tutti noi amici abbiamo gioito non poco per questa notizia e per la speranza di Chiara ed Enrico verso la vita. Molti avrebbero – comprensibilmente – desistito dal riprovarci.
      E mentre le ecografie confermavano la salute del bimbo, al quinto mese di nuovo la croce.
      A Chiara è stata diagnosticata una brutta lesione della lingua e fatto, un primo intervento (non invasivo) i medici le hanno detto che si trattava di un carcinoma.
      Nonostante questo, Chiara ed Enrico hanno voluto difendere questa vita. Non hanno avuto dubbi e hanno deciso di portare avanti la gravidanza mettendo a rischio la vita della mamma.
      Chiara, infatti, solo dopo il parto (anticipato di un mese proprio per la gravità della situazione) si è potuta sottoporre ad un intervento più radicale e ai successivi cicli di chemio e radioterapia.

      Il sottoscritto e molte altre famiglie, sono testimoni oculari di tutte queste prove portate avanti con il sorriso e con un sereno e incomprensibile affidamento alla Provvidenza.
      Ho parlato più e più volte con Chiara ed Enrico di come in tutte queste prove mai si son lasciati sconvolgere, ma solo hanno accettato la volontà di Colui che non fa nulla per caso. E di come, sempre, hanno ripetuto la loro preghiera quotidiana di consacrazione a Maria terminante con TOTUS TUUS…
      Potrei raccontare molte altre cose… i mesi difficili di chemio e radioterapia, il rosario familiare del giovedì sera messo in piedi da varie famiglie a loro vicine, la consacrazione del loro figlio a Maria nella Porziuncola…

      Ora Chiara è nata in cielo. E in molti siamo testimoni di questa vita Santa.

      Vi invito al “funerale” che si terrà sabato 16 alle ore 10,30 presso la parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino.

      1. Cyrano:
        …lo dico con tutto il rsipetto, ma questo modo didire “nato in cielo” di una persona defunta mi sembra propri fuori luogo, nel vero senso, per me, e invece, suppongo, il contrario, per un cattolico?

        1. Visto e considerato che i protagonisti dei fatti esposti erano/sono indubitabilmente cattolici, l’espressione “nato in cielo” non mi sembra affatto fuori luogo. Scusi se glie lo dico, anch’io con tutto il rispetto: dopo aver letto una cosa del genere sarebbe stato meglio per Lei applicare l’antico proverbio: “il silenzio è d’oro.”

          1. Anche tra cattolici possibile esprimersi in maniera pù seria e meno angelicata, che ci guadagnerebbero invece che di perdercisi. Per quanto riguarda il silenzio: è d’oro per tutti.

            1. Guardi, queste Sue due ultime uscite mi fanno venire in mente una serie di espressioni ben poco angelicate anche per un non cattolico, ma applicherò il proverbio di cui sopra, quindi La saluto e Le lascio volentieri l’ultima parola, che mi pare sia l’unica cosa che Le interessa veramente, più che le tematiche proposte dal blog.

            2. 61Angeloextralarge

              Alvise Maria. nemmeno davanti al dolore non riesci a no polemizzare… Sei incredibilmente assurdo.

              1. Io ho pensato a quel bambino (nato in cielo) che se non fossero intervenute complicazioni sarebbe stato condannato a vivere senza gambe, dalla nascita, e mi sono venuti i brividi.

            3. Alvise, e chi ha detto che la serietà – o almeno come la intendi tu, ovviamente – sia un valore? Non la pensava così il tuo scrittore cattolico preferito: I do not like seriousness. I think it is irreligious (G. K. Chesterton).

              1. Non sarò di certo intelligente come Chesty, sarò probabilmente un imbecille, ma quei bambini morti di cui uno scampato per miracolo a una vita senza gambe e coi genitori che intanto sorridevano eccetra mi hanno messo addossso un senso di sgomento, come quando anche tutti di certo provano, penso, sgomento e quasi paura di fronte alle parole di invasati di ogni tipo. Mi è venuto anche in mente quello che si è detto qui nel blog con Francesca Miriano a proposito del pericolo che qualcheduno di noi un giorno si ritroverà cercerato a letto attaccato ai tubi della cosiddetta vita per colpa di gente che credono che sia giusto tenerci carcerati fino alla morte, il più a lungo che sia possibile.
                Sì, Andreas, di fronte alla morte serietà, contegno, rispetto anche formale, no gioia, o come volete chiamarla, solo uno stupido può rallegrarsi, o atteggiarsi a rallegrarsi o come volete definirlo, della morte di un figlio.

                1. Pistis

                  Mi permetto di aggiungere due righe, anche se so che non dovrei e che sarebbe molto meglio attenermi alla regola del silenzio citata sopra.

                  A me sono venute le lacrime agli occhi di fronte a questa storia (e chissà quante altre sconosciute ce ne sono!), ma sono lacrime di gioia. Ovviamente (per qualcuno qui mi sembra che non sia così ovvio) quei genitori non si rallegravano nè gioivano per la morte di un figlio: gioivano perchè amavano e sapevano che quel bimbo così atteso era ora tra le braccia di Dio.

                  E a me i brividi vengono per Francesco: quel bimbo, apparentemente così sfortunato perchè orfano, vivrà tutta la vita come testimonianza vivente della santità della madre. Essere figlio (o marito) di una Santa… questo sì che può dare i brividi.

                  Inutile, tutto questo un non credente non può capirlo. E se fosse del tutto ragionevole (come dovrebbe essere chi ama Chesterton, ma qui mi sa che il buon GKC avrebbe molto da ridire), impazzirebbe proprio per questo: perchè non può, in nessun modo umano, trovarvi una spiegazione.

                  1. lidia

                    senti Alvise, in un primo momento anche io ho pensato: ma..e perché lei non si è curata….e il bambino malformato….e questo….e quello…Poi, di colpo, ho capito che io non ho idea di cosa abbia sofferto questa ragazza della mia età, della sua scelta di amare il figlio fino a dare la vita per lui.
                    Noi siamo imbevuti di una cultura di morte, dove un bambino senza gambe è destinato ad essere ucciso, dove una donna che muore per suo figlio è sbeffeggiata dai più (me compresa, cioè, sbeffeggiata no, ma ho pensato, ma dai, come si fa ad essere felice al funerale del figlio). Grazie a Dio – davvero – adesso capisco tutto l’amore di Chiara. Il suo coraggio. Che credi, che le notti piangendo lei non se le sia fatte?
                    E poi, senza gambe. Ok, è orribile. Ma c’è gente che le gambe le ha perse ed è felice. Ci sono le protesi. c’è Bea, la ragazzina italiana senza braccia che APRIRà LE OLIMPIADI A LONDRA! E ha scritto una lettera dicendo “sono così felice, la vita è meravigliosa”. Certo, non indoro la pillola: davide sarebbe stato forse infelice, sicuramente Chiara ed Enrico avrebbero avuto una vita meno “da telenovela”. Ma io prego di avere un decimo del loro coraggio, del loro amore, della loro gioia.
                    Lo so che a prima vista sembra sconcertante…ma vai oltre le parole…guarda il cuore di questa madre, che è talmente poco ideologizzata che lei, invece di ammazzare “il nemico” come gli ideologizzati fanno ha lasciato morire se stessa per dare la vita al figlio (e poi si è curata, terrei a precisare, non è stata passiva ad aspettare la morte).
                    Alvise, preghiamo, te ed io, di incontrare persone così sulla nostra strada.

                    1. lidia

                      e comunque Davide, il bambino senza gambe, appunto, sarebbe “forse” stato infelice ma altrettanto forse – e più probabilmente – felice.
                      Condivido quanto detto sopra. loro due mica erano felici che il figlio fosse morto. erano felici che fosse vissuto. e che in cielo lo avrebbero rivisto. è una differenza enorme.
                      Eddai, pensa di aprire la bocca!! ci arrivi pure te. Se ci sono arrivata io…

                2. Alvise, nessuno ti dà dell’imbecille, perché assolutamente non lo sei. Ti chiedo solo che mondo è quello in cui “essere felici” equivale ad essere “perfettamente sani, pienamente efficienti”? Nessuno si rallegra per la morte e per il male, ed è per questo che la vita va accolta e accompagnata sempre. Altrimenti tanto varrebbe che nessuno di noi venisse al mondo, visto che tutti, prima o poi, conosceremo il dolore, la morte, la sofferenza. Ma che razza di mondo è quello dominato da questo mito dell’efficientismo, cioè dall convinzione che l’essere umano sia equiparabile a una specie un ingranaggio meccanico, dunque valutabile in temrini di efficienza e funzionalità? Non ti viene in mente che l’istinto di dover “tener in vita a tutti i costi” e l’idea che ci siano “vite di scarto” non sufficientemente “funzionali” scaturiscano entrambe da questo orizzonte?

                  1. Andreas:
                    Perché il dolore? Non si sa. Non ce n’è una ragione. Si patisce e basta. L’unica sarebbe o morire o non essere nati. O cercare di evitarlo, almeno agli altri. Se qualcuno considerasse che il dolore fosse un bene che patisca pure con gioia, anche, ma lui solo, non volesse decidere per quagl’altri.

                    1. Dunque, Alvise, saremmo solo questo: animali che attendono una fine insensata e meglio sarebbe per noi non essere mai nati… Questa non è un’idea nuova, lo sai meglio di me. Eppure dentro di te nulla ti parla di qualcosa più grande della vita stessa? Perché è un animale ben strano l’uomo: è l’unico a essere consapevole di dover morire ed è anche l’unico a comportarsi come se non dovesse mai morire. Non basta questo per riconoscere che la sua vita si eleva sopra quella della natura che lo circonda e perciò ha un valore incommensurabile?

                    2. Sono felice solo quando mi sembra di rivedere quando ero bambino e scoprivo la campagna e i boschi i fiumi e il venire la sera il buio misterioso….Poi entrai dai preti, poi entrai in altre scuole di città, poi già tutto finito…
                      No, non sono mai felice. E sto male. Ma questo non ha nessuna importanza. Sringo il culo e vo avnti. Sempre avanti si ha da andare, verso nulla.
                      Andreas:
                      mica male i Tragici greci!!!

      2. Mi dispiace per Chiara. Penso e spero che abbia avuto persone che l’amavano.Un abbraccio sincero ad Andreas che ha perso un amica. Il tuo e’ un racconto straziante.

      3. Mi scuso di nuovo, ma vorrei chiedere, chi sono quelle persone indicate da Cyrano, chi è la persona che dice “io ho assistito”, non ho capito a chi Cyrano si riferisce e perché.

  22. Joe turner: Si a milano, in via soderini… Ci sono anche gestacci e parole poco carine nel repertorio. Ma tutto questo ti rinforza, credimi. Ti cementa l’identita’ ricordandoti che sei diverso anche se tenti di assomigliare…

    1. tutto questo è uno dei motivi per cui storco il naso quando sento cattolici che parlano della Fede in termini meramente identitari…
      così funziona l’adesione a una squadra, al limite quella a un partito. Dalla fede ci si dovrebbe poter aspettare qualcosa di più, penso.
      Giovanni della Croce, pestato a sangue da briganti (certamente non in odium fidei), si consolava ripetendo, con le labbra maciullate: «Mi hanno trattato come Gesù, mi hanno trattato come Gesù…».
      Siamo fatti così (“così”… magari!): siamo gesuomani! 🙂

  23. Cyrano, ogni allusione ai presenti e’ puramente casuale? 🙂 io sono ortodossa solo con me stessa e i miei figli. Gli altri godono di tutte le liberta’ che desiderano e scelgono per se’. E quindi mi dissocio proprio da tutti quegli atti ‘ forzanti’

    1. adesso no, non era casuale. Beh, visto che ce l’ha vista dove non c’era, mi sono sforzato di non deluderla! 😉

  24. Caro Cyrano, dissento sui commenti fatti alle mie parole. Ma siccome non vorrei fa la fine di Michele (le cui colpe mi sono sconosciute) chiedero’ eventualmente uno spazio ad-hoc ( tipo l’angolo dei fratelli maggiori:)) a Costanza…

    1. qui non può parlare solo chi non è disposto a capitolare davanti a uno scacco matto – perché la Fede è anzitutto obbedienza alla verità – quindi «se ho parlato male, dimostrami dov’è il male» (anche un’altra volta, visto che ora è tempo di fare la nanna).
      Buonanotte a tutti!

  25. Lidia:
    volevi dire: pensa prima di aprire la bocca?
    Hai ragione, ma mi viene anche in mente:
    perché queste cose si DEVONO sapere, perché facebook?
    per dare una testimonianza agli altri? un esempio? per cosa?
    non è dignitoso buttare tutto dentro facebook, e poi da facebook nei blog e di seguito….

    1. lidia

      è vero, anche a me l’iper-esposizione dà fastidio. Ma cose così sono così belle che DEVONO venir divulgate. perché sennò divulghiamo solo il risultato di Italia-Croazia o peggio il nuovo fidanzato di Belen.
      Il messaggio di Chiara non è privato. è per tutti: c’è amore, c’è speranza, c’è fede. C’è una ragazza che mette l’amore prima della morte. e dici poco? Dai, se tutte le notizie fossero così!
      Dai Alvise….costruiamo una civiltà così, io da cattolica, tu da ateo o da credente nel dio-che-boh-non-si-sa-com’è-fatto, se credi, ma che sia una civiltà così. Di vita, non di morte.

  26. Siccome ieri qualcuno parlava dei soliti ritornelli falsi contro la chiesa cattolica è vero questo:
    Il 12 luglio del 1555 il papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “serraglio degli ebrei”, facendolo sorgere nel rione Sant’Angelo accanto al Teatro di Marcello. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità classica viveva nella zona dell’Aventino e, soprattutto, in Trastevere, vi dimorava ormai prevalentemente e ne costituiva la maggioranza della popolazione.

    Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco (glauci coloris).

    1. Joe, mi hai strappato le parole di bocca. P.S., a proposito del glaucus color (verdognolo o cilestrino più che glauco):

      Massimo Moretti, 2011. “Glauci coloris”. The Jews in the religious iconography of the Modern Age, Ebrei. In: Scambi e conflitti tra XV e XX secolo, Roma moderna e contemporanea, rivista interdisciplinare di storiaAnno XIX, 1, gennaio-giugno 2011
      Abstract.
      Starting from the review of certain documents detailing a curious controversy on the coloring of the sign that the Jews were forced to wear during the Jubilee with renewed rigor of Benedict XIII (1725), the essay analyzes the problem of color and shape of the Jewish pilleum, beginning from the requirements of Paolo IV and Pio V, and leading to the identification and the iconological analysis of the portrayal of the Jewish figure in paintings and decorative evolutions, not only Roman. The essay examples the case of Asan from Pesaro, a Levantine Jew who became a Turk, to in the social control of the religious minorities. Finally, after painting a picture of the Jewish figure using the various iconographies in which he is displayed, the existence and the function of sacred representation also for Jewish and catecumens is considered and analyzed, with an emphasis on urban realities particularly prone to conversion topic (Santa Maria ai Monti, S. Pietro in Vincoli).

  27. Claudiaelisa

    Daniela, grazie della mappa: mi serviva un aiuto. Avevo compreso i singoli punti (forse non tutti) ma nella mia mente non si rivelava la visione d’insieme.. Di nuovo grazie.

  28. Marco De Rossi

    http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2012/06/18/Vaticano-Bertone-molti-giornalisti-imitano-Dan-Brown_7054646.html

    Vaticano: Bertone, molti giornalisti imitano Dan Brown
    Il cardinale a Famiglia Cristiana: ‘Si continua a inventare favole o a riproporre leggende’
    18 giugno, 12:40

    CITTA’ DEL VATICANO – “Molti giornalisti giocano a fare l’imitazione di Dan Brown. Si continua a inventare favole o riproporre leggende”. Lo dice il card. Tarcisio Bertone a Famiglia cristiana, smentendo che un monsignore del Vaticano sia mai andato a Genova, quando lui ne era arcivescovo “per dissuadermi dall’accettare la proposta di Benedetto XVI che mi voleva come segretario di Stato. Totalmente falso”, aggiunge, però “continuo a leggere questo episodio”.

    BERTONE, MOLTE CALUNNIE, PESARNE CONSISTENZA – Contro il Vaticano in questi mesi sono state “propalate” “meschinità” e “menzogne” e infatti il Papa “ha parlato di calunnia”. Serve il “senso della proporzione dei fatti” e di “soppesarne la reale consistenza”. Lo afferma il card. Tarcisio Bertone a Famiglia cristiana: “chiesa è unita attorno al Papa”.

    “Se chi scrive al Papa vede violato un proprio diritto costituzionalmente garantito in Italia”, quello alla privacy, “qualche problema bisogna pur porselo”. O la Costituzione “prevede cittadini di serie A e di serie B?”. Se lo chiede il card. Tarcisio Bertone sulla fuga di documenti, parlando con Famiglia cristiana.

    IOR: BERTONE,GOTTI ALLONTANATO NON CONTRO TRASPARENZA- Gotti Tedeschi non è più presidente dello Ior non per “dubbi interni riguardo alla volontà di trasparenza” ma per “deterioramento di rapporti tra i consiglieri”. Lo dice il card. Tarcisio Bertone a Famiglia Cristiana, aggiungendo che “lo Ior si è dato regole precise ben prima della legge antiriciclaggio”.

    BERTONE; PAPA CI CHIEDE, PERCHE’ GABRIELE HA AGITO COSI’? – “Il Papa stesso ci ha chiesto più volte, in maniera accorata, una spiegazione sulle motivazioni del gesto di Paolo Gabriele, da lui amato come un figlio” e “le indagini sono ancora in corso”. Lo ha detto il segretario di Stato di Benedetto XVI, Tarcisio Bertone, in una ampia intervista a Famiglia cristiana.

  29. Marco De Rossi

    http://www.famigliacristiana.it/chiesa/news_1/articolo/intervista-bertone.aspx

    Esclusivo: parla il cardinale Bertone
    Un’intervista esclusiva al segretario di Stato vaticano: lo Ior, Gotti Tedeschi, il corvo, i cardinali, il dolore del Papa.
    18/06/2012

    E’ una grande esclusiva, quella che Famiglia Cristiana offre ai suoi lettori nel numero in edicola e in parrocchia da giovedì 21 giugno: un’intervista a tutto campo con il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano.

    Intervistato dal direttore don Antonio Sciortino e da Saverio Gaeta, il cardinale Bertone affronta tutti i temi più strettamente legati all’attualità. “Non ho alcun segnale”, dice, “di coinvolgimento di cardinale o di lotte fra personalità ecclesiastiche per la conquista di un fantomatico potere”. E sulla questione del “corvo” aggiunge: “La pubblicazione di una molteplicità di lettere e di documenti inviati al Santo Padre, da persone che hanno diritto alla privacy, costituisce, come abbiamo più volte ribadito, un atto immorale di inaudita gravità. E un vulnus a un diritto riconosciuto esplicitamente dalla Costituzione italiana, che deve essere severamente osservato e fatto osservare”.

    Sulle vicende relative all’allontamento di Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior, il cardinale Bertone dice che “la pubblicazione degli interventi del Consiglio di sovrintendenza mostra che il suo allontanamento non si deve a dubbi interni riguardo alla volontà di trasparenza, ma piuttosto a un deterioramento dei rapporti fra i consiglieri”.

    Dopo aver ironicamente commentato che “molti giornalisti giocano a fare l’imitazione di Dan Brown”, il segretario di Stato racconta di sé: “Io sono al centro della mischia. Vivo queste vicende con dolore ma anche vedendo costantemente al mio fianco la Chiesa reale”.

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