La triplice cinta

di Daniela Bovolenta

(Questo post è pensato per essere come il primo pannello di un dittico, la cui seconda anta – preparata da Cyrano – si aprirà domani: il tema era stato preso diverso tempo fa, ed ora ci è sembrato tempo di tornare a fare qualche considerazione ulteriore)

Per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità

 

(Fabrizio De Andrè, Smisurata preghiera)

C’è una libertà splendida, di cui non sono capace.

Libertà di zingari fedeli, con le loro Madonne dipinte su carri colorati, processioni fatte di canti selvaggi e fiori e conchiglie. Una libertà da giullari di Dio, semplici, spogli, felici. Anime slave, che reggono l’ebbrezza e il dolore, velate di tristezza nella gioia e di gioia nella sofferenza.

C’è una libertà di spiriti grandi, temerari, capaci di avventure estreme, di visioni, danze e battaglie. Una libertà di anime immense e bambine, che non tengono nulla per sé. Ho intravisto questa libertà nello splendore e so di non esserne capace. Se ci provo, cado subito, sbando, mi perdo.

A me servono confine, regola, ripetizione, metrica. Più minerale che organico, più romanico che barocco. Conto sulla bontà della regola, ché già faccio fatica a seguirla. Al rischio della libertà il cuore risponde con l’ennesima prostrazione. Forse è un peccato, non si tratta soltanto di poca fiducia in me stessa, ma anche di poca fiducia in Dio? L’eventualità è concreta.

Come un naufrago, mi tengo attaccata stretta a pochi relitti, sperando di aver scelto bene, che le forze durino e i soccorsi arrivino.

Circoscrivo l’uso della libertà, sapendo che i rischi sono enormi. Forse non è un bello spettacolo, per chi guarda dalla costa, eppure mi basta che i soccorsi arrivino in tempo. Voglio salvarmi, non è detto che riesca a farlo con stile.

In questa dialettica, tra una libertà che è un bene, ma difficile, e una regola, che viene in soccorso, sulla quale impegnare un pezzo di quella stessa libertà, si colloca per me il discorso sui recinti, così come quello su pudore e trasparenza.

«Or dunque, la triplice cinta […] è presente anzitutto come l’ideogramma della portata della Redenzione nel piano universale.

Ciascuno sa che, […] nella simbolica cristiana delle figure geometriche, il Quadrato rappresenta il Mondo, che è letteralmente la Mappa Mundi, la tovaglia del mondo, il nostro “mappamondo”, il planisfero terrestre e celeste. Detto questo, tre quadrati inscritti l’uno dentro l’altro, con centro unico, ovvero formanti un solo e medesimo insieme, rappresentano i tre Mondi dell’Enciclopedia del Medioevo, il Mondo terrestre in cui viviamo, il Mondo del firmamento in cui gli astri muovono i loro globi radiosi in immutabili itinerari di gloria, infine il Mondo celeste e divino in cui Dio risiede assieme ai puri spiriti». (Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946), Le Pietre Misteriose del Cristo, a cura di PierLuigi Zoccatelli, Roma 1997).

Il simbolo della triplice cinta è ampiamente diffuso, dai graffiti rupestri della Val Camonica ai chiostri di mezza Europa; i cavalieri Templari lo graffiarono sui muri durante la loro prigionia nel castello di Chinon.

È uno di quei simboli atavici, che precedono il (e forse alludono al) cristianesimo. L’uomo. Il cosmo. Dio. Oppure: la terra, il cielo, Dio. Tutti gli infiniti riverberi che hanno l’esistenza dell’uomo e la Salvezza di Cristo.

La triplice cinta è, ovviamente, anche un recinto, un modo per sistemare in uno schema qualcosa di molto più grande.

Si tratta della triplice cinta del cuore, da custodire e donare, con estrema cautela e assoluta generosità, della mappa del mondo, che è uno strumento per orientarsi, volgersi ad Orientem, come avviene appunto nella liturgia cristiana, verso il sole-Cristo che sorge: una traccia per procedere nel pellegrinaggio delle  nostre esistenze, un modo per ridurre le infinite varianti, possibilità, organicità della vita e trasformarle in un sistema, un tracciato, un percorso, da qui a lì, dalla terra al Cielo, una chiusura di strade laterali, che è apertura verso l’alto. La triplice cinta, infine, è simbolo della Gerusalemme Celeste.

Il confine, il recinto, l’hortus conclusus. Cioè, monasticamente, il chiostro: uno spazio chiuso al mondo, ma aperto al Cielo e a Dio.

La via della natura e quella della Grazia s’intrecciano, la seconda presupponendo e superando la prima. Il cristianesimo è anche una religione cosmologica, orientata, incarnata. Non dimentica la direzione da cui sorge il sole, il valore del fuoco e dell’acqua, del vino e del pane, del sangue e della luce. Non perde il senso del corpo, l’istinto, la forza della passione, ma sa cavallerescamente domarli e orientarli. 
Non si tratta di scegliere se perdersi in una natura panica e senza limiti o di chiudersi a chiave e negarla del tutto, rinnegarla e umiliarla: al contrario. Nella liturgia la natura assume un ordine, un’origine e un fine, un disegno sensato che nobilita e redime anche l’organico, un disegno che chiaramente non potremmo vedere dal fondo di una corrente che ci trascina, ma solo dal baluardo di una vetta che ci innalza.

La triplice cinta come immagine della Gerusalemme celeste, della nostra destinazione finale, la vera dimora in cui non ci sentiremo profughi, precari, esiliati.

«Si può dire, senza timore di sbagliarsi, che lo spiegarsi liturgico nella sua interezza si snoda in un universo di figure e di simboli che richiamano la nostra condizione di esiliati come anche il mistero della nostra appartenenza alla Città di Dio» (Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011). Il primo segno è la gioia, dice dom Gérard. Nella Gerusalemme saremo a casa nella gioia, è una città le cui mura sono fatte di pietre preziose, ci insegna l’Apocalisse, senza templi né candele, perché il tempio è l’Agnello e la gloria di Dio la illumina. Una città le cui mura non sono una debole difesa contro l’ignoto, corrispondono alla struttura profonda della nostra anima, sono la nostra vera dimora, la destinazione finale, la vera libertà che il nostro cuore desidera.

Vorrei suggerire che senza confine non si acquisisce maggiore libertà, la libertà barbarica del sangue, si perde al contrario ogni forma, si soccombe all’universo, alla natura, al Peccato, ma non posso escludere del tutto altre vie a me sconosciute e precluse. San Giovanni, ad esempio, il discepolo prediletto, ha poggiato l’orecchio sul cuore di Cristo, si è completamente immerso nel Mistero, ma è san Pietro che ci è dato come guida. Come si può replicare la mistica? Mi dissero un giorno che il martirio e la mistica sono doni da accettare, non da chiedere. Pietro invece, ci consegna sacramenti e catechismo: questo lo posso capire, posso farne la mia Mappa Mundi, hanno l’aspetto di buone mura per un solido recinto.

Non sono tuttavia le infinite possibilità realizzate che salvano, ma quell’unica perseguita fino in fondo, fino alla Croce e, con la Croce, fino alla Risurrezione.

Il mio pezzo di legno, appunto, da abbracciare, se ce la faccio.

45 pensieri su “La triplice cinta

  1. Bello, profondo e vero… ma altrettanto rischioso, perché la cinta non è esente da pericoli e se è vero che delimita e dunque offre protezione ed identità è anche vero che rinchiude e difende…
    Ciò di cui abbiam bisogno è di una cinta trasparente e aperta, che delimiti senza rinchiudere, identifichi senza escludere…
    C’è un episodio memorabile nel “dialogo con madonna povertà” (uno dei primi scritti francescani) in cui la Povertà domanda ai fraticelli di mostrarle il lor chiostro e Francesco la conduce sulla vetta del Subasio e da lì le mostra la valle del Tevere: “Ecco madonna il nostro chiostro”
    Sintesi ardita e mirabile! Il chiostro è il mondo! Perché a chi ha scelto la povertà per maestra e guida non resta neppure un muro per difendersi, perché la povertà è la nostra identità e il nostro confine, ciò che ci definisce e ci protegge… una cinta fatta non di mattoni, ma di scelte e rinunce e di adesione vergine e povera all’Unico

  2. nonpuoiessereserio

    premessa per Admin (chiedo scusa se utilizzo due nick diversi, se ti da fastidio dimmelo che posso fare il bravo e fare i logout necessari anche con il telefono).

    questo post mi è piaciuto e trovo rassicurante la regola, ne abbiamo bisogno per caricarci, per rintemprare lo spirito, per riconoscerci, per meditare e poi buttarci nella bolgia.

  3. Suggerisco la lettura di:
    Bruce Chatwin “La via dei canti” “Anatomia dell’irrequietezza”
    W.G.Sebald ” Gli immigrati” “Gli anelli di Saturno”
    Thoreau “Walden o la vita nei boschi”

  4. Sono ammirato non solo per la densità dei contenuti e delle sollecitazioni offerte da questo che sarebbe riduttivo definire un post ma anche per la magificenza e l’eleganza dello stile. Grazie, Daniela. Aspetto con trepidazione la seconda parte del nostro cadetto di Guascogna. Mi trovo perfettamente concorde, anche se mi occorrerà meditare a lungo lo scritto di Daniela. D’altro canto è questa la logica della pedagogia divina: l’elezione prima si concentra in Israele, poi si estende e si universalizza, è una elezione estesa. Di recente è uscito anche un interessantissimo e sorprendente Elogio della frontiera scritto dal vecchio militante socialista Régis Debray.
    Debray mostra che la frontiera e il confine non siano affatto assimilabili ai muri, costruzioni che impediscono ogni comunicazione. L’esclusione è connaturata al muro, non alla frontiera e alla cinta. Ed è proprio la lotta senza quartiere condotta nel nostro mondo all’idea stessa di frontiera ad aver provocato un ‘epidemia di muri.

  5. chiedo scusa per la domanda idiota: ma è successo qualcosa al mio computer o avete volutamente rimpicciolito i caratteri di scrittura sul sito?

  6. angelina

    La banda delle mogli e dei mariti, dei padri e madri e figli ha qualcosa di incoraggiante da dire alla cronaca del mondo, e non è un’opinione teologica. È una truppa di operai affaccendati, per nulla migliori o peggiori di altri, che hanno piantato una bandiera in mezzo al campo, ben in vista. La bandiera del matrimonio è una coercizione a tutti gli effetti, ma coercizione è sinonimo di incoraggiamento e non di schiavitù:
    «In ogni cosa che vale la pena fare su questa terra, c’è una fase in cui ognuno l’abbandonerebbe, eccetto che per ragioni di necessità o di onore. È da questo punto in poi che l’istituzione sostiene l’uomo e lo aiuta ad appoggiare i piedi sul terreno solido che ha davanti. La coercizione è una forma di incoraggiamento e l’anarchia (o ciò che alcuni chiamano libertà) è fondamentalmente oppressiva, perché è fondamentalmente scoraggiante. Se tutti galleggiassimo in aria come bolle, liberi di andare qua e là in ogni momento, il risultato pratico sarebbe che nessuno avrebbe il coraggio di cominciare una conversazione» (G.K.C. da Cosa c’è di sbagliato nel mondo).

    (A. Teggi, da Tempi)

  7. Bello. L’inizio mi piace tanto….
    “C’è una libertà splendida, di cui non sono capace.

    Libertà di zingari fedeli, con le loro Madonne dipinte su carri colorati, processioni fatte di canti selvaggi e fiori e conchiglie. Una libertà da giullari di Dio, semplici, spogli, felici. Anime slave, che reggono l’ebbrezza e il dolore, velate di tristezza nella gioia e di gioia nella sofferenza.

    C’è una libertà di spiriti grandi, temerari, capaci di avventure estreme, di visioni, danze e battaglie. Una libertà di anime immense e bambine, che non tengono nulla per sé. Ho intravisto questa libertà nello splendore e so di non esserne capace. Se ci provo, cado subito, sbando, mi perdo.

  8. 61Angeloextralarge

    Daniela grazie! Smack! 😀
    E’ da ieri che mi godo questo post, intenso e da meditare molto di più di altri: le frasi è giusto che penetrino goccia a goccia.
    “A me servono confine, regola, ripetizione, metrica”: questa sola, ieri, mi ha portato via molto tempo. Ho bisogno anche io di confini e di regole, mi danno una stabilità ed una sicurezza che altrimenti non avrei, ma… Ma? Ma quante volte, le “salto”, le annullo e “mi sfogo” nella più grande libertà ed incoscienza? Molte! Trasgressività, quanto ti amo ancora! Quanto mi piace essere “pazza”, fuori dalle righe! Non più con la faccia dei miei 15/20 anni (anche dopo in verità) ma con quella di oggi. Quanto mi piace quando qualcuno dei miei nipoti mi dice, non ancora abituato a me: “Ma zia! Quanti anni hai?”. Però… si accoda sempre mooolto volentieri! 😉
    Per il resto del post: medito! 😀

  9. perfectio:
    “È uno di quei simboli atavici, che precedono il (e forse alludono al) cristianesimo. L’uomo. Il cosmo. Dio.”
    Prima l’uovo (anche quello simbolo atavico) o la gallina(simbolo, il gallo nero, de vino Chianti Classico)?

    1. Intanto c’è un forse.
      Poi la formazione e diffusione di simboli nelle varie culture è molto complessa, dipende da legami invisibili che si vedono (o non si vedono) nel mondo.
      Infine, se “per mezzo di Cristo tutte le cose sono state create”, nulla di strano che Egli vi abbia lasciato delle tracce, che possiamo, talora, riconoscere. Ci sono da sempre, tali tracce, ma grazie alla Sua rivelazione possiamo guardarle con nuovi occhi. O girarci dall’altra parte, se non ce la facciamo.

      1. Non mi giro mai dall’altra parte, specialmente in fatto di graffiti e di resti del mondo preistorico che è uno di campi di studio più interessanti. Credo che però studiare la preistoria o i tempi più antichi con l’idea preconcetta di vedervi già le tracce di quello che abbiamo in testa noi mi sembra limitativo. L’inconscio collettivo di Jung (per dire)si può circostanziare in ogni manifestazione del pensiero e dell’arte umana senza per questo diventare esclusivo di nessuna tradizione o cultura. Tantomeno si può dire che il presunto inconscio collettivo atavico contemplasse digià in se stesso la dottrina cristiana come noi la conosciamo. Sennò che fine farebbe la rivelazione?

        1. Se ti mostro l’impronta di un dito su un vaso, tu vedi una traccia del suo creatore. Se ti presento il vasaio, conosci il creatore stesso. Credo che tu sia in grado di arrivare a tanto, e devo dire che non mi dispiace rispondere alle tue ripetitive domande, a patto che non forzino ciò che dico deformandolo per poter poi controbattere a una deformazione che non mi appartiene.
          Per inciso, l’esistenza dell’inconscio collettivo junghiano per me è molto più da dimostrare della santissima Trinità.

  10. fr. Romualdo

    filosofiazzero:
    consentimi un tassello che non vuole suonare critico nei tuoi confronti, ma per un utile complemento dottrinale di cui spesso noi cristiani non abbiamo piena consapevolezza. dunque, scrive sant’agostino (in Retractationes, I,XIII,3): “Ciò che dissi: ‘Tale è ai nostri tempi la religione cristiana…’, fu detto secondo il nome, non secondo il concetto che il nome esprime. Infatti questa, che ora si chiama religione cristiana, era anche presso gli antichi, e non mancò dall’inizio del genere umano, fino a quando lo stesso Cristo venne nella carne, e da allora la vera religione, che già esisteva, cominciò a chiamarsi cristiana […] Perciò ho scritto ‘Tale è ai nostri tempi la religione cristiana’; non perché non esistesse nei tempi passati, ma perché prese questo nome in seguito”.

    1. Interessante S. Agostino e anche verosimile che provenendo le religioni venute dal pensiero dell’uomo siano esistite già da sempre sotto altre forme più primitive.

  11. correggo:
    Interessante S. Agostino e anche verosimile che provenendo le religioni dal pensiero dell’uomo siano esistite già da sempre sotto altre forme più primitive.

        1. e siccome nihil tam absurdum dici potest quam ab aliquo philosophorum non dictum sit… 🙂 uno dei due ha torto, perché dicendo cose mutuamente contraddittorie o non possono avere ragione entrambi oppure nessuno (nessuno dei due e nessuno in assoluto) può essere detto e/o dirsi “filosofo”.

    1. Alessandro

      http://www.sciencedaily.com/releases/2012/06/120610151302.htm

      Lo studio coordinato da Reignerus è importante mostra che “i bambini sembrano più adatti ad avere una vita adulta con successo quando trascorrono la loro intera infanzia con i loro padri e madri sposati e specialmente quando i loro genitori restano sposati anche dopo”.
      Inoltre, “Social Science Research pubblica nello stesso numero un altro studio sull’argomento, che mostra serie carenze nelle ricerche precedenti, che sembravano non trovare difficoltà nei genitori dello stesso sesso. Loren Marks, della Lousiana University, ha trovato che gli studi precedenti erano inficiati dalla piccola dimensione dei test, da una scelta di soggetti pregiudizievole, e da definizioni di risultato troppo ristrette, che ignoravano fattori come la performance scolastica dei giovani, il lavoro e il coinvolgimento in attività criminali o nell’abuso di droghe.”

      1. Giuseppe

        Speravo di averti colto senza link…ed ero pronto a vantarmene..sigh.Ma fa nulla! Su questo argomento linka + che puoi!

  12. “i bambini sembrano più adatti ad avere una vita adulta con successo quando trascorrono la loro intera infanzia con i loro padri e madri sposati e specialmente quando i loro genitori restano sposati anche dopo”
    c.v.d.

  13. “Infine, se “per mezzo di Cristo tutte le cose sono state create”
    se, fai bene a dire se, se sono state crete e se è stato Cristo a crearle, tutto da dimostrare (nel vero senso)

    1. Filosofiazzero: dovresti iniziare a chiarire il tuo rapporto con la verità. Perché partendo dai presupposti nominalistici che mi pare di intravvedere in quel che dici, non c’è molto da parlare…
      Negando il principio di non contraddizione, come disse il buon Aristotele, si diventa dei tronchi d’albero!
      Allora si perde tempo, il proprio e l’altrui, in disquisizioni sofistiche (magari anche piacevoli e divertenti, per carità), che però non servono a molto… Dir che gli altri han sempre torto (o non hanno mai ragione) è uno sport troppo semplice!!

  14. JoeTurner

    OT ma non troppo:
    Per gli europei di calcio vi invito a sostenere gli azzurri ma in particolare il grande Antonio Cassano

    1. nonpuoiessereserio

      Ma i dispensatori di vaselina della rai (come li ha chiamati qualcuno) hanno provveduto a smussare i toni per conto del barese

  15. Pingback: Pro-fanum, ovvero “c’è della spazzatura” | Sposati e sii sottomessa

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