La dittatura della trasparenza – parte prima

di Andreas Hofer

Dovesse capitarvi di compiere un’escursione in qualche valle altoatesina, volgete lo sguardo alle vette circostanti. E subito scorgerete lassù, incastonata tra le rocce, la presenza austera delle centinaia di castelli, fortificazioni e manieri sparsi per l’intero Land come a silenzioso presidio di una delle componenti migliori dello spirito sudtirolese: la leggendaria, taciturna fierezza alpina, sedimento di una lunga storia di lotte e resistenze per l’autonomia della Heimat.

I castelli, ci dice José Ortega y Gasset nelle sue folgoranti meditazioni sui castillos, evocano sentimenti ambivalenti. Qualcosa di quelle dimore inaccessibili suscita in noi nello stesso tempo repulsione e attrazione. Se da un lato i loro torrioni sembrano respingerci, dall’altro ci inviano idee in grado di sollecitare la riflessione nella nostra parte più profonda.

Ma che possono dirci oggi questi bastioni solitari, così alieni alla nostra vita quotidiana? Che esistenze dovevano essere, così lontane dalle nostre, quelle di coloro che alloggiavano in un castello? Eppure, a saperla ascoltare, anche l’architettura parla dello spirito degli uomini che edificarono quelle costruzioni.

Un portico greco o romano ci è forse meno estraneo di un castello, nota Ortega, e questo per una ragione molto semplice. L’Età moderna, come l’Antichità, è impersonalista. Il Medioevo, l’epoca dei castelli, fu invece personalista. Tanto l’uomo antico quanto quello moderno è nulla se non è membro di una collettività, la Civitas o lo Stato, previa a ciascun individuo. Ora, la civiltà dei castelli nasce da un’ispirazione esattamente contraria.

Il castello, dimora di offesa e difesa, è il luogo che sancisce i limiti del potere della collettività. È espressione dell’avversione dello spirito umano all’idea secondo la quale la dignità personale deve essere rinvenuta nella partecipazione a una sostanza collettiva, per cui solo come membri di un organismo sociale si può dire di possedere un’esistenza umana. Nelle profondità più remote del nostro io tuttavia qualcosa si ribella a questa dissoluzione dell’individuo nel corpo collettivo della Polis. Risuona in noi l’eco di queste parole liberanti: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2, 27). Così Cristo ha spezzato per sempre l’incantesimo del “Grande Animale” platonico, quel collettivo ipertrofico in cui Simone Weil ha visto l’idolo societario per eccellenza: il “noi” che schiaccia e incatena brutalmente i singoli “io”.

Se Ortega non arriva a esprimersi in questi termini non si tradisce, credo, il suo pensiero dicendo che il castello in certo qual modo rappresenta la forma architettonica del pudore. Un’affermazione che  può sconcertare. Ma solo se non si è riflettuto a sufficienza sulla natura del pudore.

Questa parola pluridenigrata ha per noi un suono poco gradito e qualche residuato bellico del ’68 suole ancora associarla al semplice controllo delle pulsioni sessuali, quando non è decisamente incline a degradarla a fomite di inibizione e repressione. In un libro coraggioso, la psicanalista Monique Selz si è ribellata a questo giudizio semplicistico. È vero giusto il contrario, ci dice la Selz: il pudore, analogamente al castello, è luogo di libertà e difesa personale.

Come il castello è segno sensibile della difesa dell’individuale dall’invadenza del collettivo, così il pudore sancisce un limite interiore tra gli individui; la sua presenza sta a dimostrare nel soggetto l’esistenza di un luogo interno indisponibile ad ogni ingerenza esterna. «Il pudore – così scrive la Selz – trova il suo ruolo nel determinare uno spazio proprio a ciascuno, nel fatto di garantirne i limiti, di proteggerlo dall’intrusione da parte dell’altro e, viceversa, di prevenire un’intrusione nello spazio altrui».

Un amore di fusione, che volesse solo unirsi alla persona amata, come annullandosi, è modellato sull’indifferenziazione e sull’appropriazione. Perpetuare una simile forma d’amore equivale ad arrestarsi agli stadi iniziali del narcisismo senza alcuna possibilità di fondare una relazione autentica, quando invece, «incontrare davvero l’altro significa sperimentare i limiti, il vuoto, la solitudine. L’amore è possibile solo se chi ama e chi è amato sono distinti l’uno dall’altro, e quindi separati. Si tratta di prendere le distanze dalla proiezione di sé per riconoscere l’altro in quanto tale, ma anche l’estraneo presente in se stessi».

In questo senso il pudore, dice sempre la Selz, «non è un dovere morale ma una necessità vitale», rappresenta il requisito indispensabile della libertà individuale e del pieno sviluppo della persona in seno alla collettività. Senza pudore non c’è persona umana. Un concetto, questo, sul quale occorrerà ritornare.

(continua QUI)

128 pensieri su “La dittatura della trasparenza – parte prima

  1. Adriano

    Ma se il pudore è difesa della persona, allora il suo livello può essere deciso liberamente dalla persona stessa?

    1. Non “può”, naturalmente: deve! «Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne» (Gal 5,13).
      Intelligenti pauca.

      1. Adriano

        Bene… Quindi livelli di pudore diversi dai propri non sono da consideare sbagliati… E così neanche chi si oppone a imposizioni esterne da parte della collettività, che si chiami Stato o Chiesa.

        1. La Chiesa non impone mai ci indica la via della salvezza e ci dà gli strumenti per giungerci. Se in questo noi vediamo un’imposizione, il problema siamo noi e non la Chiesa, perché noi esseri umani deboli, giudichiamo attraverso la nostra stoltezza, arroganza e malintesa libertà. 🙂

          Leggendo l’articolo di Andreas da subito ho pensato a Santa Teresa d’Avila e il suo “Il castello interiore”. 😀
          Grazie! Ho reblogged!

        2. Alessandro

          Adriano, che significa “livelli di pudore”?.
          Il pudore è proprio di ogni essere umano, ed è difesa contro l’intrusione dello sguardo (in senso lato) altrui. Ma l’uomo 1) è libero 2) è influenzato dagli stimoli che riceve; l’intreccio di 1 e 2 può condurre a distorcere il pudore, a pervertirlo. Risultandone così un pudore talmente illanguidito da aver dimesso il suo ufficio di sentinella dell’intimità personale, e da rendersi condiscendente allo sguardo lesivo dell’intimità stessa (la società libertina – quella della dittatura della trasparenza – soffre di questo sfibramento del pudore); oppure un pudore ipertrofico, che protegge l’intimità fino a impedire sempre e comunque che altri entri in contatto con questa intimità, quand’anche il desiderio che anima la tensione a istituire una relazione con essa non miri a nuocerle, ma a riconoscerla e ad avvalorarla nella sua pienezza ed autenticità (è il pudore “puritano”, per così dire).

          1. Alessandro

            Quindi, può esistere un pudore “ammalato” (ne ho fatto solo due esempi). E può essere afflitto da questo pudore patologico anche un essere umano che rivendichi questo pudore patologico come scelto liberamente e quindi irreprensibile, incontestabile. Il fatto che nell’esercizio di questo pudore malato sia implicata la scelta libera non toglie che la malattia, in quanto tale, vada sanata. Anche del pudore la Chiesa indica le patologie, suggerendone inoltre e amministrandone i farmaci. Non impone i rimedi, li propone alla libera scelta del malato.

              1. Alessandro

                Questa replica non l’avevo letta, allora commento ora.

                Libero ognuno di gestire il pudore come vuole (libero ognuno di pigliare l’auto del colore che preferisce), tanto libero ognuno che questa libertà può esercitarsi ammalando il pudore. E il pudore ammalato non è paragonabile a uno splendido colore di un’auto che la Chiesa bigotta e repressiva vorrebbe impedire che sfavillasse. Il pudore ammalato è la ruggine che corrode e rovina l’auto, che deteriora ogni colore. La Chiesa indica le cure affinché la ruggine sia debellata, il pudore risanato.

            1. Se rispondessi positivamente alla tua domanda, senza dubbio nella seconda. Se mi astenessi completamente dal risponderti, probabilmente nella prima.

                1. ti sembro tipo da cadere in siffatte trappolette? 🙂
                  Anche tu devi del rispetto alla tua intelligenza…
                  De hoc satis.

                  1. Adriano

                    Trappole? Complotti? Mah, contento tu… 🙂
                    D’altra parte te tua delectant,me mea (così faccio il figo pure io col latinorum!)

  2. Alessandro

    Il mio pudore testimonia di una minaccia che mi sovrasta, quella dell’intrusione dello sguardo altrui, cioè dell’incunearsi in me di uno sguardo che mi offende. Uno sguardo – vale a dire – che non è all’altezza di guardarmi come andrei guardato, ossia uno sguardo che non sa riconoscere quello che sono (e perciò, appunto, è offensivo, degradante, svilente). Il pudore dice all’altro: attento, rettifica il tuo desiderio nei miei confronti perché questo desiderio aspira a trattarmi come quello che non sono (direi: è un desiderio che scade in concupiscenza), non mi rende giustizia. In genere, lo sguardo concupiscente, quello che suscita la difesa del pudore, mira a oggettivarmi, a rendermi cosa appetibile tra le cose.

    Il pudore dice che di me esiste un centro che va preservato, cui è lesivo accedere, o meglio: cui è lesivo accedere con un determinato sguardo (in senso lato: con una determinata intenzionalità), e al quale mi è invece gradito che l’altro acceda se il desiderio che anima il suo appressare la mia intimità la vuole onorare, non umiliare.

    Il pudore non esisterebbe in un mondo in cui il male fosse impossibile, in cui nessuno sguardo potrebbe farmi male. Il pudore perciò è lì ad attestare che il male è una reale presenza la cui imminenza, la cui incombenza va sorvegliata. E che il male non è impersonale: lo sguardo concupiscente di un essere umano può incarnarlo.

  3. Alessandro

    “Il pudore ha un duplice significato: indica la minaccia del valore e al tempo stesso preserva interiormente tale valore (cf. Karol Wojtyla, Amore e responsabilità, Torino 1978, pp. 161-178). Il fatto che il cuore umano, dal momento in cui vi nacque la concupiscenza del corpo, serbi in sé anche la vergogna, indica che si può e si deve far appello ad esso, quando si tratta di garantire quei valori, ai quali la concupiscenza toglie la loro originaria e piena dimensione.
    Se teniamo ciò in mente, siamo in grado di comprendere meglio perché Cristo, parlando della concupiscenza, fa appello al “cuore” umano.”

    (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 28 maggio 1980)

  4. 61Angeloextralarge

    “il pudore non è un dovere morale ma una necessità vitale”. mi piace! Abbiamo bisogno di più pudore, quello sano, non bigotto. 😉 Soprattutto a livello spirituale.
    Quanti castelli costruiamo in noi, anzi a volte siamo noi stessi dei castelli! Ci ergiamo nella nostra “forza”, nel nostro “potere”, e non ci rendiamo conto che è siamo fragile se non siamo colmati della Forza e del Potere di Dio.
    Quante volte ci difendiamo dagli altri? Tantisime! E non ci accorgiamo che così non passa neppure l’amore, l’amicizia e quanto altro di bello può esserci donato.
    Grazie Andreas! 😀

  5. Si tratta di una tematica enorme e ampia, quella del pudore, e solo un malato affetto da delirio di onnipotenza potrebbe pensare – impudicamente, è il caso di dirlo – di poter “dire tutto” in un post. Premesso questo, è decisamente improponibile la convinzione che l’individuo possa “determinare” a piacimento i “livelli di pudore” come se dovesse dosare un farmaco. Il pudore, come dice la Selz, ha a che fare con lo sviluppo di una personalità sana e dipende, ha ricordato giustamente Alessandro, anche da molteplici fattori “ambientali” (l’educazione ad esempio). Certamente non dipende solo dalla volontà del singolo individuo. Questa è la solita favoletta raccontataci da un’antropologia materialistica secondo la quale l’individuo è un ente che si autodetermina e “funziona” come un sistema di forze meccanico-naturali. La psiche umana di sicuro non si sviluppa in questo modo. Il pudore non ha solo a che vedere con la morale, direi piuttosto che si pone alla confluenza tra morale, costumi e vita psichica.
    Questo significa che possono esistere contesti sociali dove la spersonalizzazione dell’individuo è perseguita, coscientemente o meno. Certamente una “società della trasparenza” come la nostra, dove vige l’imperativo secondo cui tutto dev’essere detto o messo in mostra attacca radicalmente il senso del pudore. Preciso naturalmente che il senso del pudore è altra cosa rispetto alle sue specificazioni storiche, così come il bello può trovare diverse espressioni culturali e storiche senza per questo cessare di esistere. È evidente che le manifestazioni materiali del pudore sono soggette a un margine di fluttuazione. Ciò non toglie che dal punto di vista formale la nudità praticata, ad esempio, da alcune tribù indigene abbia un significato assai diverso dalla nudità come viene intesa secondo l’ideologia naturista o quella sessantottina. Il naturismo ad esempio, come scrive la Selz, riduce “il corpo a non essere nient’altro che un corpo”, quando invece la presenza del pudore sancisce l’esatto contrario, ovvero la presenza di un nucleo velato e nascosto, che va oltre il “fenomeno”, ciò che appare ed è visto. Non riesco a ritrovare il passo del libro in cui se ne parla, per cui cito a memoria. La Selz riporta gli studi antropologici sulle tribù indigene che ricordano come esse considerino la peluria delle parti intime alla stregua di una sorta di “protezione naturale”, come un velo. Per cui assolve una funzione di nascondimento e riserbo. Cioè è manifestazione del senso del pudore. Per fare un altro esempio, questo è il discrimine che fonda la distinzione tra nudo erotico e nudo artistico. Il primo risolve la persona nella mera corporeità. Nel nudo artistico, invece, l’artista attraverso la messa in evidenza della corporeità rimanda a un’ulteriorità, a ciò che è oltre la corporeità, vale a dire all’interiorità della vita personale.
    Ancora: anche i nazisti attentarono al pudore. È noto che nei Lager, lo attesta Robert Antelme nel suo “La specie umana”, la spersonalizzazione e la distruzione dell’umanità dei prigionieri passò, non a caso, attraverso un tentativo di distruggere il loro senso del pudore. I deportati non erano mai soli, sottratti allo sguardo pubblico. Anche lo scientismo, con la sua pretesa di ridurre la natura umana a natura tout court, in questo senso attacca il pudore.
    Il pudore, insisto, non va associato unicamente alla sfera della sessualità, ma questo si vedrà meglio, credo, nella seconda parte del post. Il pudore è ciò che impedisce alla comunione tra gli esseri di trasformarsi in fusione, dunque preserva l’identità individuale. E non solo: è una delle caratteristiche che distinguono il mondo umano da quello animale. Ecco perché chi vuole ridurre l’uomo a semplice “bestione evoluto” è nemico giurato del pudore.

    1. Erika

      Bel post e bellissimo tema, Andreas.
      Concordo sul fatto che il senso del pudore sia un valore importantissimo, che la nostra società ha svilito e svuotato, perdendo, con esso, anche il senso della dignità.
      Mi convince meno il parallelo che fai con il castello: esso e’, infatti, una struttura meramente difensiva . E’ costruito pensando alla sicurezza di chi si trova “all’interno”.
      A me pare invece che il pudore, oltre a una doverosa difesa della propria essenza più intima, sia anche un atto di protezione di chi e’ fuori.
      Se non esco in mutande, o non vado al mare in topless, lo faccio sia per proteggere il mio corpo dagli sguardi di chi potrebbe concupirlo, che per proteggere dal turbamento chi non deve essere costretto a osservare la mia nudità .
      E lo stesso vale per i sentimenti.
      Vanno protetti sia perché intimi e preziosi, sia perché sarebbe un atto di violenza scaricare addosso agli altri ogni personale stato d’animo.

      1. Erika: grazie anche a te. Io però non mi soffermerei troppo sulle analogie materiali, le metafore non sono mai calibrabili con precisione millimetrica. Il castello comunque non è mai stato un mondo chiuso, privo di comunicazioni con l’esterno. Sia come sia, Ortega dice che la civiltà dei castelli nasce dall’esigenza dello spirito umano di preservarsi dalla dissoluzione-fusione con un corpo collettivo, un vero e proprio “uomo collettivo”, Questa è esattamente la funzione assolta dal pudore. Il pudore assicura una distanza, sancisce il limite che separa l’io singolo dal noi collettivo. Poi è chiaro che questa “sentnella” particolare di nome pudore assolve una vera e propria funzione pubblica: preserva la libertà di tutti, non solo del singolo individuo pudico.

        1. 61Angeloextralarge

          Andreas: “Il castello comunque non è mai stato un mondo chiuso, privo di comunicazioni con l’esterno”…
          istintivamente, pensando ai castelli, mi viene subito in mente il “muro invalicabile”, la fortezza che si erge poderosa a mostrare la sua forza impenetrabile. Questo è emerso anche dal mio commento sopra. In effetti, devo “ragionarci un attimo” per ricordare che esistono i “ponti levatoi”. Comunque si aprono solo da dentro. .

          1. Angela: Diciamo così: la necessità vitale dello spirito umano che ha dato vita ai castelli in certo qual modo è la medesima che si trova alla base del senso del pudore. Storicamente comunque è così: il castello non è mai stato un mondo autosufficiente e chiuso, se non per esigenze di sopravvivenza, necessità vitali appunto. I castelli in origine erano villaggi fortificati (per esigenze di difesa dalle lotte di potere, dalle incursioni dei predoni, ecc.): «con la nascita dei castelli, la popolazione ha abbandonato i minuscoli villaggi e le fattorie isolate in cui prima era dispersa, concentrandosi in questi nuovi abitati fortificati che poi sono rimasti, per secoli, l’unica forma di insediamento» (S. Carocci, “Signori, castelli, feudi”, in AA.VV. “Storia medievale”, Donzelli, Roma 1999, p. 254). Il castello altro non è se non la forma fortificata di un villaggio, un agglomerato di famiglie, vale a dire che è al centro di una rete di relazioni, non è affatto un mondo chiuso. Certo allora non era molto consigliabile una comunicazione troppo stretta con gli incursori saraceni, ungari e normanni…. 😉

    2. Adriano

      Il nudismo, praticato nei luoghi giusti e senza ebiziniosismo, non ha nulla che fare con l’essere impudici, né con la spersonalizzazione. Non ci credete? Potete sempre provarlo (una sauna in un paese nordico o una spiaggia possono essere i luoghi giusti), anche se non tutti ci riescono.

        1. Adriano

          Non sapevo fosse così facile convincerti! 😛

          Sai, penso che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato. Questo non obbliga a provare tutto per poter avere un’opinione… Se si è consapevoli che la sentenza che si dà non si basa su un’esperienza diretta.

          1. Io l’ ho provato e lo provo ogni tanto, purtroppo tende a tirarmi quell’ arnese, per quanto cerchi di distrarlo pensando che so, al calcio. Forse sono poco nordico e troppo sudista o sudicio?

          2. Tua opinione. Se sei contento tu. Te la dici, te la racconti e ti dai ragione da solo. Come sempre del resto. Sarebbe così se la singola esperienza fosse fonte di verità assoluta. Siccome così non è rimane la tua esperienza e basta. Altrimenti anche il re del porno potrebbe dirmi che il porno “praticato nei luoghi giusti e senza ebizionismo, non ha nulla che fare con l’essere impudici”. Ecco perché non occorre aver provato tutto per poter giudicare, possiamo fare esperienza di una cosa vera, ma non è la nostra esperienza a qualificarla come tale.

            1. Adriano

              A differenza di altri qui dentro, non ho mai pensato che nella mia esperienza ci sia una verità assoluta. Per questo cerco di capire cosa fanno e cosa pensano gli altri… E di dare il mio contributo alla discussione.

              Dormi bene, Hofer! D’altra parte, le condizioni meteo dalle tue parti favoriscono il sonno… 😉

              1. Bla bla bla… “Tute ciacere”, come si dice dalle mie parti (anzi “da le me bande”). Oggi comunque non è bellissimo ma non piove e sabato c’era un caldo boia. E quest’inverno, mentre Roma era sotto la neve, qui c’era il sole comunque. Come ha detto un genio del pensiero, “sai, penso che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato”. Avrai forse un futuro come provocatore e teorico del luogocomunismo, di certo non come meteorologo…. 😀

                1. Adriano

                  A me il tempo così fa venire sonno… In ogni caso ti accorgerai da solo tra poco che succede in cielo.
                  Già, ciacere… E le tue, come le etichetti? :-):-)

                  Vorrei risponderti affibbiandoti titoli anch’io come hai fatto tu con me, ma abbiamo stili diversi e il mio non prevede l’offesa. Quindi buona serata! B-) B-)

                  1. Già, tu sei “eticamente superiore”: preferisci denigrare le persone in altro modo, magari correggendo virgole e apostrofi. Preferisci il veleno, come tutti i provocatori da mezza tacca.

                    1. Adriano

                      ” Già, tu sei “eticamente superiore”:”

                      Ah, questo lo dici tu. Errando (e pure grossolanamente), secondo me… Sai, non tutti hanno lo stesso livello d’autostima, e il mio non permette nessun complesso di superiorità, etica o no. Non so come sia la tua autostima e francamente non m’importa.

                      Una cosa è criticare testi o segnalare errori, un’altra è attaccare le persone. Mi spiace che tu invece confonda e sovrapponga due cose così distinte e veda un commento a un post (e solo a quello) addirittura come “veleno” verso di te o altri.

                    2. Ma certo: la tua è un’autostima da Special One, come sei umile tu non ne fanno più! S’è rotta la macchinetta! 😀
                      No no, tranquillo che so riconoscere i provocatori da mezza tacca. Solitamente non hanno argomenti e si attaccano a particolari insignificanti. Come raccattare puntini per le “i”, virgole, apostrofi mancanti, spulciare a destra e a manca. Cosa ci vuoi fare, anche in questo caso ognuno dà quello che ha.

                    3. Adriano

                      Andreas,

                      Ti ho già risposto qui sopra. Aggiungo solo che nei tuoi commenti leggo tanta rabbia e aggressività. E mi spiace per te…

                      Buona serata.

                    4. Sono contento che tu abbia tempo per dispiacerti degli altri. Evidentemente ne hai tanto a disposizione. A me dispiace invece vedere che lo butti vita inanellando commenti insignificanti. Ma come diresti tu, ognuno è diversamente dispiaciuto… 😀

                2. lidia

                  io ho conosciuto una volta un tizio che mi ha ricoperto di insulti perché avevo scritto una lettera Severgnini dicendo che mi dispiaceva di averlo perso in Germania, dava una conferenza e non sono arrivata in tempo. Questo tizio, dopo un po’ di lettere insultanti (a cui io – probabilmente per vanità ferita- ho risposto cercando di ragionare con lui) è arrivato a più miti consigli e mi ha detto “vabbè, interessante come scrivi cmq” e poi ha detto che mi aveva insultata perché credeva io fossi una sostenitrice del “luogocomunismo”. pensavo che questa parola se la fosse inventata lui, ma evidentemente non è così…non l’avevo mai sentita! Ma chi l’ha inventata?

                  1. Lidia: mi chiedi troppo… Mi pare d’averla letta anni fa se non ricordo male in un articolo di Socci. Ma questo chiaramente non prova che il giornalista senese ne sia l’artefice.

                  2. Alessandro

                    Neanch’io so chi l’ha inventata. Per ora non è accolta nei vocabolari (ho consultato Zingarelli e Treccani), ma è abbastanza diffusa, quindi prima o poi ci entrerà.

          3. Alessandro

            “Sai, penso che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato.”

            E chi l’ha detto? Non ho bisogno di schiaffeggiare qualcuno per sapere che è male, così come non ho bisogno di praticare il nudismo per sapere che sarei impudico a farlo.
            Questo non basta a dimostrare che il nudista sia impudico, ma basta a dimostrare che non è vero che il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato, di chi non ne ha fatto esperienza diretta.

            1. Alessandro

              O meglio: basta a dimostrare che non sempre è vero che il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato, di chi non ne ha fatto esperienza diretta. E allora: è possibilissimo che quello di cui discutiamo sia proprio il caso in cui non è vero che il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato, di chi non ne ha fatto esperienza diretta.

              1. Adriano

                Se rileggi quanto ho scritto, ho parlato di “uno dei casi”. Ribadisco: a differenza di altri non pretendo di avere la verità assoluta…

                1. Alessandro

                  Ho capito, ma occorre che mi dimostri che questo sia veramente uno dei casi “in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato”, perché ti ho mostrato che in altri casi non è vero che il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più ecc.
                  E come me lo dimostri? Sulla base di una tua personale opinione? Non basta, non è sufficiente.

                  1. Alessandro

                    Aggiungo: A) “non pretendo di avere la verità assoluta” e B)“Sai, penso che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato” sono enunciati inconciliabili.

                    In A dici che nessuno può conoscere la verità, in B dici di sapere che è vero che in alcuni casi il giudizio di chi ha provato qualcosa vale di più di quello di chi non l’ha provato. Cioè in B dici di conoscere almeno una verità. Ma ciò è inconciliabile con quanto sostieni in A.

                    1. Adriano

                      Molto banalmente (e mi pare fosse evidente) in A dico che IO non pretendo di avere una verità assoluta (uso la prima persona singolare), mentre in B esprimo la conclusione che ho tratto dalla mia esperienza, che può essere messa in dubbio da argomentazioni di altri.
                      A sostegno di qu

                    2. Adriano

                      A sostegno di questo, una similitudine: come si può sapere che una torta al cioccolato, già iniziata e di cui ci hanno parlato bene le persone che l’hanno mangiata, non è buona, se non la si assaggia? E cosa si rischia ad assaggiarla, visto chi l’ha già fatto non ha subito danni ed è ancora vivo? Ma, soprattutto, ha più valore il giudizio sulla stessa di chi l’ha assaggiata o di chi, a priori, non lo ha fatto?

                    3. Alessandro

                      “Molto banalmente (e mi pare fosse evidente) in A dico che IO non pretendo di avere una verità assoluta (uso la prima persona singolare), mentre in B esprimo la conclusione che ho tratto dalla mia esperienza, che può essere messa in dubbio da argomentazioni di altri.”

                      Va bene. Ma se è così, B può essere formulato così “io penso sia vero, ma può non essere vero, che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato.”

                      E come potrei trovare io (potrebbe trovare chicchessia) persuasivo, convincente l’enunciato “questo è uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa vale di più di quello di chi non l’ha provato” se tale enunciato, nel suo valore di verità, subisce la restrizione “io penso sia vero, MA può NON essere vero, che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato ecc.”?

                      Quanto all’assaggiare la torta, concordo con te sul fatto che in questo caso “il giudizio di chi ha provato qualcosa (il giudizio dell’assaggiatore) vale di più di quello di chi non l’ha provato (di chi non ha assaggiato)”, ma così abbiamo solo raggiunto la seguente conclusione:

                      – nel caso della torta “il giudizio di chi ha provato qualcosa vale di più di quello di chi non l’ha provato”
                      – nel caso dello schiaffo (cfr mio commento delle 15.13) “il giudizio di chi ha provato qualcosa (di chi ha schiaffeggiato) NON vale di più di quello di chi non l’ha provato (cioè, di chi non ha schiaffeggiato)”

                      ossia: in taluni casi C (almeno uno: quello della torta) “il giudizio di chi ha provato qualcosa vale di più di quello di chi non l’ha provato”, in talaltri casi D (almeno uno: quello dello schiaffo) “il giudizio di chi ha provato qualcosa NON vale di più di quello di chi non l’ha provato”.
                      Assodato il che, come faccio a sapere se il casso discusso (nudismo) appartiene a C o a D?

                      Ad ogni modo, tu stesso provvedi a sbloccare l’impasse, perché sul nudismo giungi a sostenere che “io penso sia vero, ma può non essere vero, che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato.”
                      Ho già commentato cosa discende da questa ammissione: “E come potrei trovare io (potrebbe trovare chicchessia) persuasivo, convincente l’enunciato “questo è uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa vale di più di quello di chi non l’ha provato” se tale enunciato, nel suo valore di verità, subisce la restrizione “io penso sia vero, MA può NON essere vero, che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato ecc.”?”

                      Ti faccio anche notare che l’enunciato A “IO non pretendo di avere una verità assoluta” è autocontraddittorio, perché può essere trascritto così: “è assolutamente vero (cioè: io possiedo questa verità assoluta) che io non possiedo alcuna verità assoluta”.

                    4. Alessandro

                      Ho scritto: “come faccio a sapere se il casso discusso (nudismo) appartiene a C o a D?”. E’ un lapsus calami involontariamente esilarante, credetemi, non una greve battutaccia 😉

                    5. Adriano

                      Alessandro.
                      Il punto è ancora più semplice: esprimo mie opinioni, frutto della mia esperienza o legati a fatti.
                      Nessuna intenzione di parlare in termini assoluti, né di convincere nessuno, entrambi leit motiv insistenti di alcune risposte, curiosamente scritte sempre dalle medesime persone (sembra che ogni opinione diversa rappresenti per qualcuno sempre e comunque un tentativo di imporre dogmi…). Quanto all’autocontraddizione, essa è solo apparente…

                    6. Alessandro

                      Adriano
                      “Il punto è ancora più semplice: esprimo mie opinioni, frutto della mia esperienza o legati a fatti. Nessuna intenzione di parlare in termini assoluti, né di convincere nessuno”.

                      Rileggiti, e vedrai che non è vero che non vuoi convincere (cosa peraltro che considero più che legittima: nelle discussioni posso/debbo cambiare idea ogni volta che mi imbatto in un argomento così forte da confutare una mia convinzione di marca opposta).
                      Scrivi: “Sai, penso che questo sia uno dei casi in cui il giudizio di chi ha provato qualcosa valga di più di quello di chi non l’ha provato.”
                      Insomma, stai dicendo al tuo interlocutore, il quale non ha fatto esperienza di nudismo, che in questo caso il tuo giudizio vale più del suo, perché tu di nudismo hai fatto esperienza. Che cosa stai dicendo pertanto al tuo interlocutore, se non questo, in definitiva: “CONVINCITI, cambia giudizio su questo tema, perché su questo tema hai torto, in quanto il mio giudizio, che è di segno opposto al tuo, vale di più del tuo, in ragione dell’esperienza che io ho fatto al riguardo e tu no”.
                      Insomma, in modo legittimo (ribadisco: legittimo) stai cercando di convincere il tuo interlocutore della validità della tua posizione, non ti stai limitando a fornirgli un’informazione sulla tua opinione in merito.

                      Ripeto: che te ne avveda o no, cerchi di convincere l’altro, non ti limita a ragguagliarlo su una tua opinione. A mio avviso in modo pienamente legittimo (ripeto), ma (ecco ciò che rileva) logicamente debole, non cogente, come mi son sforzato di mostrare (sicché non mi hai convinto; ma non mi irrita affatto che tu abbia cercato di farlo).

                      Quanto all’autocontraddizione, la ritengo reale e non apparente.

                    7. Adriano

                      “Che cosa stai dicendo pertanto al tuo interlocutore, se non questo, in definitiva: “CONVINCITI, cambia giudizio su questo tema,”

                      No, non sto dicendo questo. Infatti, dopo ho anche aggiunto: “Questo non obbliga a provare tutto per poter avere un’opinione… Se si è consapevoli che la sentenza che si dà non si basa su un’esperienza diretta”

                      In altre parole: non vuoi/non ce la fai a fare X? Libero di pensarla come vuoi; sappi, che il tuo giudizio su X non è frutto dell’esperienza e che, se dovessi formarmi un’opinione, la tua per me peserà di meno di quella di chi ha assaggiato la torta. Poi non è detto che non finisca a pensarla come te.

                      L’obiettivo di una discussione, per me, non è convincere, ma avere uno scambio d’opinioni con chi la pensa in modo diverso da me. L’obiettivo è un arricchimento di quello che so. Il che può portare a una modifica di ciò in cui credo (come giustamente dici tu), ma anche no. Quando discuto con amici musulmani non lo faccio perché li voglio convertire ma per conoscere meglio il loro credo, il loro punto di vista sul mondo.

                      Come detto, non penso che la regola del maggior valore dell’opinione che si basa sull’esperienza sia assoluta, ma sono convinto che sia applicabile al nudismo. E questo senza velleità di convincere.

                      Buona serata.

                    8. Adriano

                      Poi, sia chiaro, penso sia legittimo voler convincere qualcuno con argomentazioni e discussioni. Ritengo però che lo sia un po’ meno insultare chi la pensa in modo diverso.

                    9. Alessandro

                      “Come detto, non penso che la regola del maggior valore dell’opinione che si basa sull’esperienza sia assoluta, ma sono convinto che sia applicabile al nudismo. E questo senza velleità di convincere.”

                      Quindi all’interlocutore dici

                      1) sono convinto che l’opinione sul nudismo di chi ne ha fatto esperienza ha maggior valore di quella di chi esperienza non ne ha fatto,
                      2) ma questa convinzione vale per me. E non te la comunico per convincerti. Ti informo solo su una mia convinzione.

                      Se le interlocuzioni fossero condotte tutte con questo spirito, si ridurrebbero a una giustapposizione di opinioni soggettive nelle quali è sempre assente un argomento dirimente, decisivo, inoppugnabile, tale da costringere l’interlocutore ad aderire a questo argomento. A me pare il trionfo del soggettivismo, del relativismo.
                      Ritengo che se i discorsi all’interno dei gruppi umani fossero condotti tutti con questo spirito, non si perverrebbe mai a un’intesa stabile, tale che su essa si possano ideare e concretizzare progetti di lungo respiro e diffusamente condivisi. Mi pare che questo modo di discorrere, praticato sistematicamente, menerebbe a una incontrollata frammentazione individualistica, a una proliferazione lussureggiante di opinioni le più disparate e discordi: frammentazione e proliferazione disgregatrici di ogni tessuto comunitario, che ha da poggiare su convinzioni tenaci, salde e condivise.

                    10. Alessandro

                      Buona serata anche a te.
                      Per me, più che legittimo, cercare di convincere è inevitabile per una sana discussione. Ma di questo magari altra volta.

                    11. Adriano

                      Alessandro, il confronto d’idee può essere comunque fecondo. E anche se volessi convincere qualcuno, questo sarebbe il blog sbagliato, admin docet.

            2. Trovo sempre più irritante questa tiritera dell’empirismo: se non hai provato una cosa impossibile parlarne specie se male.
              Affermazione che si regge solo sulla sciocca emotività e si dissipa non appena la conduciamo alle sue conseguenze, test non distruttivo che utilizzo sempre per valutare la reale bontà e tenuta di una affermazione categorica. Se fosse vera in un colpo solo distruggeremmo medicina, psichiatria, psicologia, educazione e cose analoghe. Non solo: sarebbe impossibile parlare male, senza averlo provata di persona, di vivisezione, droghe, fumo, violenza domestica, suicidio, avvelenamento.
              Provoco? Sì. Di sicuro.
              Perché se una affermazione categorica vale, deve valere sempre, non solo a pezzi. Allora non saprebbe più categorica, ma solo opinabile, e quindi trascurabile nella ricerca della verità. Trascurabile che non vuol dire inutile. Diciamo a basso valore aggiunto.
              E’ curioso come questa, come il benaltrismo e il maalloravoismo (ma allora voi….), siano patologie del pensiero sempre più presenti in chi afferma di ragionare con la propria testa senza farsi plagiare da valori già annunciati.
              Mi ricorda quella famosa di Giuseppe Pontiggia dove una fidanza dice sfiduciata al moroso “ma perché non sei anche tu anticonformista come tutti gli altri?”.

              1. Paolo: concordo al mille per mille. È totalmente inconsistente questo empirismo a buon mercato e veramente incomprensibile come si riesca a sostenere con coginzione di causa una posizione del genere, con gli esiti suicidari da te ben descritti. E non può che essere altrimenti. Indovinatissima la frase di Pontiggia. Fa pendant con una battuta simile di Michele Serra, che qualche anno fa indicò in questa ridicola, reiterata e grottesca ostentazione della propria “autonomia di pensiero” la presenza di un vizio molto diffuso. La quantità esorbitante di individui pronti a giurare di “cantare fuori dal coro” è l’indizio più chiaro dell’esistenza di un altro coro: il coro di quelli che cantano fuori dal coro. Il conformismo degli anticonformisti.
                Come al solito GKC aveva la vista lunga a questo proposito: http://filiaecclesiae.wordpress.com/2012/03/25/elogio-del-pensiero-libero/

              2. Adriano

                D’altra parte la risposta data qui a tutte le recensioni negative del libro di Miriano è stata “le tue critiche non valgono nulla, perché tanto (invariabilmente) non lo hai letto”.

                1. admin

                  sbagliato: non TUTTE le recensioni negative ma SOLO quelle provenienti da chi NON aveva letto il libro.

                  1. Adriano

                    Io l’ho letto e recensito. E anche la mia è stata liquidata in questo modo nelle repliche che ho ricevuto. Quindi…

                    1. admin

                      sono considerazioni generali (date dall’osservazione di un certo numero di casi di critiche provenienti da persone che per evidenza o per ammissione non avevano letto il libro), che non avevano tenuto conto della tua recensione che era passata del tutto inosservata. Non si tratta di risposte rivolte alla tua recensione ma ad altre; infatti non ti è stato detto MAI detto “la tua critica non vale nulla, perché tanto non lo hai letto”. Quindi la tua affermazione “Io l’ho letto e recensito. E anche la mia è stata liquidata in questo modo nelle repliche che ho ricevuto.” è SBAGLIATA perché tu NON hai ricevuto repliche.

                    2. Adriano

                      admin,
                      Rileggi meglio. Queste erano repliche che si riferivano direttamente ed esplicitamente alla mia recensione di qualche settimana prima (linkata appena sopra). Chiunque può rileggere questi commenti. Ma non preoccuparti, non insisto su questo punto, penso di aver capito che non ti piace sbagliare… Forse è per questo che ti chiamano Hal, proprio come una divinità vichinga! :-):-):-):-)

                    3. Adriano, al di là delle tue sterili polemiche e del vittimismo cronico tipico di chi è privo di argomenti, ti sei reso conto che la tua “recensione”, chiamiamola così, non solo contiene la solita collezione di banalità ma più che altro è scritta davvero da cani? Dai, prova a mandarla a qualche rivista e vediamo che ti dicono… Non è che la tua opinone solo per il fatto di essere stata espressa meriti automaticamente anche di essere pubblicizzata, fattene una ragione.

                    4. admin

                      io leggo un commento di paulbratter che ti dice:

                      “Poi tu quando avresti scritto una recensione? Forse hai espresso qualche giudizio sparso qua e là nei commenti, ma scrivere una recensione è una cosa diversa”

                      poi leggo Cyrano che ribatte punto su punto alla tua critica (finalmente è stata scoperta grazie al tuo link)

                      Mi sai indicare precisamente dove ti viene detto “la tua recensione non vale perché non hai letto il libro” riferito a TE?

                    5. Adriano

                      admin,

                      ti ho già risposto ieri sera.

                      andreas
                      si chiamano recensioni anche le opinioni scritte su tripadvisor, per esempio. Non ho nessuna velleità letteraria, e tu? 🙂

                    6. Adriano

                      Il punto non è questo, ma il fatto che anche voi convenite (lo avete appena confermato) sul fatto che ci sono casi in cui l’opinione di chi ha avuto un’esperienza (o ha letto un libro) vale di più di chi giudica per “sentito dire”.

                      ps: com’era il tempo ieri sera, Andreas? 😉

                    7. admin

                      NO non mi hai risposto. non ti è stato mai detto quello che sostieni ti sia stato detto tant’è vero che non sai indicarmelo ma mi hai indicato altri commenti che dicono altro.
                      In ogni caso è evidente che a questo punto vuoi glissare (magari con una battuta “spiritosa”) perché quello che non sopporta di avere torto sei proprio tu

                    8. admin

                      aaah, il punto non è questo adesso….
                      quindi potresti ammettere che ti sei sbagliato quando hai detto che la tua recensione è stata liquidata con “non vale perché non hai letto il libro”?

                    9. Adriano

                      Hal,
                      Il commento che ti ho linkato non è di paulbratter, ma di cyrano. E no, il cambio di argomnto non è legato al fatto che penso di aver sbagliato, ma al fatto che quella delle recensioni è una digressione per dimotrare che anche per voi un giudizio che si basa sull’esperienza ha più valore. Ammetto che invece il secondo che ho linkato potrebbe non essere riferito alla mia recensione.y

                    10. Adriano

                      Hal,
                      Il commento che ti ho linkato non è di paulbratter, ma di cyrano. E no, il cambio di argomnto non è legato al fatto che penso di aver sbagliato, ma al fatto che quella delle recensioni è una digressione per dimotrare che anche per voi un giudizio che si basa sull’esperienza ha più valore. Ammetto che invece il secondo che ho linkato potrebbe non essere riferito alla mia recensione.

                    11. admin

                      bene. mi faresti per favore il copia/incolla del punto dove Cyrano sostiene che la tua recensione non vale perché non hai letto il libro?

                      (sul resto della questione non entro e non mi interessa come admin. Come “me stesso posso” potrei dire che posso ragionevolmente intuire, pur non avendo fatto nessuna esperienza diretta, che una mazzata sui denti sia abbastanza dolorosa da non volerla ricevere)

                    12. Adriano

                      Non ho più tempo da perdere ora.
                      Ribadisco: te l’ho già scritto ieri.
                      7-3-5-1

                    13. Adriano

                      ps: anche se non è così, libero di credere che questa sia una scusa e, se ti fa star bene, che hai ragione tu.

                    14. Alessandro

                      Adriano, dici:

                      “anche per voi un giudizio che si basa sull’esperienza ha più valore”, cioè “anche per voi, come per me, un giudizio che si basa sull’esperienza ha più valore di uno che non si basa sull’esperienza”.

                      Ma fino a ieri hai detto che per te non sempre, ma solo in taluni casi un giudizio che si basa sull’esperienza ha più valore di uno che non si basa sull’esperienza: “non penso che la regola del maggior valore dell’opinione che si basa sull’esperienza sia assoluta” (commento delle h 20.43)

                      Quindi dovresti dire: “anche per voi un giudizio che si basa sull’esperienza ha IN ALCUNI CASI più valore di uno che non si basa sull’esperienza”. Ma se dicessi così, lasceresti aperta la possibilità che quello del nudismo sia per “noi” uno degli altri casi, quelli nei quali un giudizio che si basa sull’esperienza NON ha più valore di uno che non si basa sull’esperienza.

                    15. admin

                      Bene. Ho ragione IO, TU hai affermato il FALSO e prendo atto che non hai (più) tempo da perdere; quest’ultimo lo prendo come un auspicio, credo, ampiamente condiviso.

                    16. Adriano

                      Hal,

                      Ho preferito lasciar passare un po’ di tempo, così la cosa magari si è sbollita e posso chiarire il punto con un po’ più di calma (anche da parte tua, spero).
                      Lieto che tu abbia trovato la risposta di Cyrano.

                      La frase incriminata l’avevo già riportata, citandola a parte, è la seguente

                      “Forse allora non avresti letto attentamente il libro (ma anche a una lettura superficiale questo dovrebbe essere chiaro…).”

                      In essa ho letto l’insinuazione al fatto che non avrei letto il libro. Tutto qui.

                      Su l’ultima affermazione che fai, per cui avresti ragione tu, con un ultimo slancio ti faccio solo notare che una risposta l’ho comunque ricevuta (diversamente da quanto avevi scritto tu).

                      Detto questo, noto che i blog spesso tirano fuori il peggio di tutti noi (me compreso), per cui, nonostante preferirei esser qui rispetto a quello che mi aspetta, ti saluto (almeno per un po’).

                      Alessandro,
                      Certo, è solo che nelle condizioni in cui mi trovavo non era facile scrivere tutto…
                      Il punto seguente potrebbe essere come distinguere quando il giudizio sull’esperienza vale di più e quando no.

                      Si potrebbe dire che il valore dell’esperienza sia, salvo eccezioni, maggiore, ma che in alcuni casi non è possibile/opportuno averla, per cui ci si deve far bastare l’esperienza altrui e/o altre fonti per il proprio giudizio.
                      Ma, come detto sopra, mi fermo qui.

                    17. admin

                      se quella è la frase incriminata vuol dire che la frase “la tua recensione non vale perché non hai letto il libro” NON c’è.
                      Ora con “grande soddisfazione” ti saluto
                      C I A O

      1. Alessandro

        Io non ci provo e già so che se ci provassi non ci riuscirei. Insomma non riuscirei in alcun modo a vivere come “non impudica” la mia nudità in quei contesti.

        1. zippy

          Rivedendo alcune scene di un film di Sordi (Le vacanze intelligenti) in un commento al post di di sabato scorso, mi è venuto in mente un altro film di Albertone che si intitola “Il comune senso del pudore”… divertente e intelligente, del 1976 ma quanto mai attuale..

  6. Claudia Mancini

    Sul tema del pudore, vorrei invitare anche a riflettere sulle persone che soffrono e, che a causa di una malattia fisica o psichica, si trovano comunque a dipendere temporaneamente o costantemente da altri. Non tutte le vite possono muoversi nel recinto di relazioni perfettamente simmetriche, in cui sono io a decidere quando e come sollevare il ponte levatoio del mio pudore. In situazioni di “cattività”, come quella della malattia, ci si trova a vivere relazioni di dipendenza che irrompono prepotentemente nella propria sfera di pudore, e non c’è scelta. Non puoi decidere del tuo corpo, e questo non può non incidere sulla tua anima. Questi rapporti di dipendenza possono instaurasi con persone che ci sono estranee, ma anche con persone che ci amano, il risultato non cambia: non decido io chi mi “tocca”, quando e come mi “tocca”, e la mia anima deve tacere, non può sollevare nessuna difesa. Non decido io quando e come “far toccare” la mia anima, quando il mio corpo ha esigenze che non possono aspettare. Il fatto che queste situazioni avvengano per necessità, e non per scelta, non cambia il risultato: per qualsiasi motivo un altro lo faccia, quell’altro mi ha “profanato”. Si dirà, questi sono casi estremi. Io, personalmente, credo che tutti i casi estremi siano in realtà paradigmatici dei casi normali. Siamo tutti bisognosi, tutti dipendenti; spesso, o a volte, il momento in cui noi pensiamo di poter abbassare le nostre “difese” di pudore, coincide con il momento in cui investiamo l’altro di “offese”. Così come il momento in cui pensiamo di dover alzare le nostre “difese” di pudore, puoi far sentire l’altro “escluso”, e quindi “offeso”. La dignità, come il pudore, le costruiamo all’interno di relazioni che, in quanto tali, implicano una reciprocità che non può essere quasi mai simmetrica o completamente autonoma.

    1. grazie, Claudia. Mi hai ricordato le pagine delle biografie di Gemma Galgani in cui si racconta di come Gesù la rimproverò di essere così spasmodicamente attenta a non lasciarsi vedere nuda dai medici che la curavano…

    2. Sì, è vero, Claudia. Bisogna ammettere che pressoché non esistono relazioni tra esseri umani dove si dia questa perfetta simmetria. Ci sono sempre momenti o situazioni in cui ciascuno di noi si trova inerme, in situazione di dipendenza, oppure al contrario in posizione di supremazia. Nel primo caso siamo potenziali vittime di violenza o volgarità, nel secondo potenziali autori di violenza o volgarità, dunque carnefici. Chiaramente nel caso di una grave patologia il momento “vittimario” è preponderante. Credo che l’unica via praticabile sia quella della riscoperta del mistero insito in ogni essere umano. Ogni creatura cela in sé un mistero inesprimbile, è un universo ignoto cui non abbiamo diritto di accostarci con la tracotanza del conquistatore. Più chi ci sta davanti è inerme, più occorre alzare la soglia del riserbo e, soprattutto, più occorre “staccarsene”, perché è naturale che la nostra invadenza lo costringerà, legittimamente, ad alzare le difese a tutela della propria dignità. Bisogna guardarsi da certi zelanti “amicizie” che mirano a renderci dipendenti, magari adducendo la scusa di “voler fare il nostro bene”. Le nobili intenzioni contano poco in questo campo. Chi ci vuole davvero bene ci vuole autonomi e liberi, in grado, per quel che ci permettono le nostre condizioni, di guidare da soli la nostra barca. Purtroppo una simile sensibilità non è da tutti e non sempre chi la possiede sa esercitarla.

    3. Alessandro

      Tuttavia la manipolazione del mio corpo può suscitare in me la difesa del pudore o no a seconda della intenzionalità che si esplica in quella manipolazione.
      La manipolazione delle pudenda del corpo di Tizio da parte dell’amante ricambiata non attiva in Tizio la difesa del pudore (poiché Tizio non avverte in questo contatto con il corpo altrui una violazione della propria intimità), quella invece che fosse operata da una estranea in ricerca di appagamento sensuale attiverebbe la difesa eccome, giacché Tizio vi coglierebbe un’ingerenza lesiva nella propria intimità. Ma se quell’estranea fosse un medico, Tizio potrebbe avvertire che quella manipolazione non è comandata dalla mira di ricevere appagamento sensuale dal suo corpo, ma dalla necessità di beneficare quello che è un paziente, non un destinatario di concupiscenza.
      Certo, le pudenda si chiamano così proprio perché lo sguardo/il contatto altrui che si applichi su di esse suscita pudore, ma, poiché il pudore non è incontrollabile e ha a che fare con la libertà e l’intelletto umani, il paziente bisognoso di accudimento che comporti la manipolazione di parti intime del corpo può, certo faticosamente, addestrarsi a concentrare l’attenzione propria sull’intenzionalita non concupiscente che guida l’atto manipolativo: ritengo che apprenderebbe così gradualmente a limitare l’insorgenza del pudore, mitigando così il disagio che tale insorgenza genera.

      1. Certo, ma noi non siamo mai solo “oggetto di scienza”, non siamo mai solo “natura”, per cui anche nel rapporto col medico occorre tener presente che il paziente ha una dignità personale. Anche in campo psicanalitico insorge questo problema durante la seduta. Per cui occorre “lavorare” su due fronti: certamente il paziente, proprio perché consapevole delle intenzioni positive del medico, deve essere in grado di non alzare eccessive barriere ma il medico deve essere consapevole che davanti ha una persona e non un insieme di organi. Essere sottoposti a un intervento a tutela della salute fisica non può diventare occassione di degradazione e umiliazione. E chi conosce l’ambiente medico sa bene invece quanto sia diffuso il cinismo oggi. E anche nell’amore non tutto è concesso. Il limite è sempre quello: non reificare la persona. Chiaro: i confini sono fluidi, ma la disposizione deve essere quella.

        1. Alessandro

          Certo, sono d’accordo. In una stagione in cui si eclissa la consapevolezza dell’indisponibile dignità della persona, è più infrequente imbattersi nelle “intenzioni positive del medico”.

      2. Alessandro

        Attingendo all’esempio di Gemma Galgani evocato da Cyrano, quel rimprovero perché era spasmodicamente attenta a non lasciarsi vedere nuda dai medici che la curavano è un invito a riporre sempre bene il proprio pudore, che è mal riposto se sopraggiunge a fronte di una intenzionalità non concupiscente, come quella del personale sanitario (anche i santi sbagliano… sebbene questo errore, questo eccesso di zelo lasci trapelare un abito virtuoso, cioè una coltivazione virtuosa della propria intimità e del senso del pudore che non può non accompagnarsi a tale virtuosa coltivazione).

        1. Alessandro

          Ogni atto reca in sé il contrassegno dell’intenzione che lo muove: perfino in un abbraccio posso capire con buona approssimazione se chi mi abbraccia lo fa per mero protocollo, se mi sta comunicando sincera amicizia o se al limite quell’abbraccio intende esprimere il desiderio di oltrepassare l’amicizia e sfociare in una maggiore intimità.

  7. Stavo riflettendo sulla natura umana e sul significato di libertà individuale e importanza di relazione con gli altri. Dio ha voluto la compagnia degli uomini, chiamati figli. Il castello mi ricorda una forma di clausura, se esso viene inteso come forma di difesa dalle barbarie mi piace, altrimenti escluderebbe la relazione totale con altri fratelli. In questi giorni molti nostri fratelli sono stati uccisi in Nigeria e in Kenia, sono martiri. C’ è una relazione tra loro e noi, sono membra di un corpo solo, espiano nostri peccati. Un mistero che ci avvolge tutti.

  8. ” C’ è una relazione tra loro e noi, sono membra di un corpo solo, espiano nostri peccati. Un mistero che ci avvolge tutti.”

    No. Io non lo credo.

    Per quanto riguarda il pudore, mi sembra molto riduttivo limitarlo solo al pudore della nudità fisica.
    Mi sembrerebbe più importante il discorso sull’avere il pudore di non fare azioni da vergognarsi e di non nascondere
    le azioni di cui vergognarsi. Io, per esempio, mi vergogno di essermi espresso a quel modo a proposito della chiusura della bussola. Non avevo pensato che ci potevano essere persone che ci lavorano per guadagnarsi da vivere.
    Mi vergogno di non averci pensato. E mi pesa. Queste sono vergogne vere e da espiare con il patimento interiore. Quanto alle castella nel Land Sudtirolese, è un discorso troppo complicato. Quanto al grande animale platonico, esso è stato rimpiazzato da tanti altri grandi animali, tra i quali la Città di Dio, e la comunione dei santi in un corpo solo di cui sopra.

    1. Erika

      Alvise, non e’ da tutti ammettere non solo di aver sbagliato, ma anche di vergognarsi del proprio errore.
      Io avvampo ancora di vergogna, a proposito di certe cose che ho fatto o detto e che hanno offeso in primis la mia stessa dignità, ma di solito fatico ad ammetterlo…
      Quindi…chapeau.

    2. Beh Alvise, avere l’umiltà di saper riconoscere i propri errori è indice di una grandezza d’animo di fronte alla quale io non posso che inchinarmi. Anche questa umiltà è uno spogliarsi, ma è uno spogliarsi che arricchisce la nostra umanità e non la immiserisce. A mia volta mi scuso per aver formulato giudizi così duri ieri.

    3. Alessandro

      Ok Alvise, ieri hai toppato di brutto, adesso ritorniamo a parlare serenamente.

      ”C’è una relazione tra loro e noi, sono membra di un corpo solo, espiano nostri peccati. Un mistero che ci avvolge tutti.”
      No. Io non lo credo.”

      Difficile che un agnostico lo creda. Ma in una prospettiva cattolica, nell’ottica della comunione dei santi, non è peregrino questo avvertire che si può soffrire ed espiare in Cristo per persone che nemmeno si conoscono, ma che sono anch’esse membra del corpo, la Chiesa, di cui Cristo è Capo e vivificatore.

    4. nonpuoiessereserio

      Alvise, a me è dispiaciuto davvero ieri quando sei stato giudicato pubblicamente, non limitandosi a dissentire dal tuo infelice commento. Questo dimostra quanta strada dobbiamo ancora fare. Chapeau anche da parte mia. Però basta sparar cazade.

    5. 61Angeloextralarge

      Alvise Maria: lo sapevo che anche tu hai un cuoreeee! 😀
      Mi piace questo tuo “vergognoso” commento. Non so inquanti avrebbero potuto fare la stessa ammissione di “colpa” che hai fatto tu. Smack! 😀

  9. Adriano:
    …perché non sei, sempre, tranquillamente conformista anche te come gli altri che dicono tutti che il pudore “deve” essere così e cosà?
    O vuoi essere, sempre, banalmente anticoformista anche te come gli altri che dicono tutti che il pudore “può” essere così e cosa?

    1. Alessandro

      non prendere le parti di Adriano in astratto, difendi i suoi argomenti dalle obiezioni se vuoi difendere la sua posizione!

  10. Non posso, non posso dimostrare la validità di nessuna posizione, io non ne sono capace, ma credo che nessuno sia capace di fare “dimostrazioni” sul terreno della morale o del costume o della trasparenza più o meno trasparente dei vestiti, che poi se, mettiamo, riuscissi a fare una abile dimostrazione ci sarebbe di sicuro qualcuno che direbbe che non è una dimostrazione valida e così all’infinito….. Credo che ognuno (e si torna al solito discorso) abbia le sue convinzioni che sono convinzioni come tutte le altre. Ora, intanto, zitto zitto, sono venuto a sapere che esiste un’altra santa, a Lucca,Santa Gemma Galgani. Non lo sapevo.

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    1. Certo. Si trovano ne le “Notas del vago estio”, un saggio comparso nel 1926 sulla rivista «El Espectador». In italiano la parte sui castelli si trova negli “Scritti politici”, Utet, Torino 1979, pp. 434-453.

  12. Dai comments emerge – chiaramente – como l’uomo cerchi sempre una scapatoia, uma scusa per i suoi errori! La Verità è una sola, è sempre quella, non cambia al sapore delle mode, nè dipende dalla ‘mia’ OPINIONE (che mò è diventata dogma), non è soggetiva… E mi domando: fino a quando saremo cechi e sordi? Un giorno ce la troveremo davanti – la Verità – e non ci saranno più scuse, argomentazioni (che sappiamo) vuote, ‘ma’, ‘se’, ‘però’…

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