È bello quel che è bello

di Francesca Nardini 

La moda viene intesa prevalentemente secondo due punti di vista: moda come andamento prevalente in un insieme di valori e quindi, applicato ai comportamenti umani, il trend seguito da più individui nel vestirsi; oppure moda come modo proprio di vestire, particolare ed indipendentemente da quanto accade fuori.

Da subito sembra obbligatorio schierarsi o con la prima interpretazione, massiva se non addirittura anonima, o con la seconda, più simile ad un satellite ruotante attorno alla personalità di ciascuno. Eppure, in entrambi i casi, sia che ci scopriamo moda-coristi sia che ci identifichiamo nei moda-solisti, sbagliamo comunque mira sull’argomento. Né l’approccio della corrente da seguire, né quello diametralmente opposto della scelta totalmente personale esauriscono il senso di quanto stiamo per esplorare.

Quando apriamo il guardaroba (gesto che il pubblico femminile esegue con grande ritualità!), infatti, niente ma proprio niente di ciò che vi è contenuto ha le sue radici nella totale estraneità a ciò che fuori casa viene proposto e considerato indossabile. Qualunque capo avrà la sua storia, il suo perché e si troverà in quel posto, appeso o ripiegato che gli capiti, perché prima è stato nelle stesse condizioni su uno stand. I moda-solisti sono in genere molto suscettibili di fronte a questa affermazione e tendono a difendere, ad esempio, i capi fatti a mano, apparentemente non passati per la lunga autostrada delle catene di negozi. Liquideremo subito la faccenda: anche quelli non sono del tutto originali, in quanto ispirati da pagine di riviste specializzate.

L’aver calcato le scene di una boutique o di una rivista rende i capi di un guardaroba non fini a se stessi e fa cadere immediatamente un sipario definitivo sul manifesto dei moda-solisti. D’altro canto, nessuna ma proprio nessuna donna (e suppongo nessun uomo di gusto) andrebbe fiera nel dire di seguire la moda senza obiezioni e di avere nel guardaroba ciò che qualcun altro le ha proposto ed imposto: non è assolutamente femminile, il che ci basta per definirlo non umano e per disapprovare l’atteggiamento insipido dei moda-coristi.

Ma allora quando parliamo di moda, di cosa parliamo veramente? L’etimologia del vocabolo eleganza è il latino “eligere”, che significa scegliere. E’ esperienza comune quella di scegliere, è umana, caratterizza e scandisce ogni ora della giornata. Scegliere è anche tagliare: non scelgo se non rinuncio a qualcosa, operazione dolorosa cui tutti vorremmo spontaneamente sottrarci. L’etimologia latina ci prende quindi per mano e apre una terza strada inesplorata. Ci presenta una terza corrente di pensiero, che potremmo definire i moda-tomisti (dal greco temno, “taglio”), secondo cui io non mi lascio dettare dall’esterno cosa indossare così come non lo scelgo nella mia fantasia: lo prendo dal reale, lo seleziono e quindi lo indosso.

Soffermiamoci sul processo della selezione e tentiamo di capire, o almeno intuire, quale molla ne fa scattare il meccanismo. A questo punto non possiamo più tacere le parole che sin dalla prima riga volevano uscire dalla penna: stile, gusto, ricercatezza, glamour. Esse rappresentano il linguaggio  della selezione; ne sottolineano indubbiamente il carattere soggettivo: “Avere un gusto anziché un altro”, “aderire al proprio stile” o “ricercare il proprio stile”, tutte espressioni che i moda-solisti potrebbero impugnare per ribattere la loro tesi. Li metteremo a tacere subito asserendo che queste stesse parole sono armi a doppio taglio, rappresentando in se stesse un vero e proprio limite allo slancio personale ed alla fantasia, poiché esse dicono, proclamano che esiste il gusto, esiste lo stile. Gusto e stile come disciplina, come codice di riferimento.

Avvicinandoci ancora di più alle parole, fino a vederne sfocati i contorni, guardando un po’ oltre, sullo sfondo prendono forma i contorni della parola-madre che li ha generati: il bello. Se da una parte i moda-solisti (ancora loro!) canticchiano: “Non è bello ciò che è bello, ma ciò che piace!”, gli ambasciatori del moda-tomismo avanzano coraggiosi sulla terza strada e gridano: “No, è bello ciò che è bello!”.

E’ in atto quindi una sfida non da poco, in cui il bello scuote il pensiero filosofico, strattonandolo per una manica, per un bavero, per la cravatta: gli indica che lui c’è, che lui è lì, che esiste prima ancora di essere cercato in un accessorio, in una rifinitura, nell’armonia di colori ben accostati.

Il bello chiede di essere colto, aspetta che qualcuno lo veda, magari per contrasto col suo contrario e, riconoscendolo, urli: “Eccolo, è lui!”. Il bello non si impone perché sa di non averne bisogno: sa che la ragione lo riconosce immediatamente e quando lo incontra vorrebbe averlo sempre. Il bello sa fare innamorare di sé la ragione, al punto da indurla a cercare le sue regole, a spacchettare la ruota dei colori per scoprire le corrispondenze felici e renderle intellegibili, accessibili, conosciute, sue: la ragione è pazza del bello, al punto da aver creato una disciplina che è l’eleganza e aver attratto a sé migliaia di persone, di occhi, di mani. Dire alla ragione che non è bello ciò che è bello è dirle che vive per il nulla, è dirle “Hai le traveggole”, “Ti sei innamorata di uno che non esiste”… è ferirla profondamente. Il bello invece esiste e si lascia trovare. Quale utilità, quale bene dalla moda per la vita umana? Nessuno in particolare, se non quello di ridestarsi di fronte alla bellezza, di essere svegliati ed invitati a scegliere, scegliere, scegliere.

Chi di verde si veste di sua beltà si investe, l’abito non fa il monaco, l’occhio vuole la sua parte: litanie meravigliose, misteriose, che qualcuno ci avrà pure insegnato.

Ma l’unica formula degna della ragione dell’uomo è quella che recita più o meno così: “Non potevo non sceglierlo, perché è bello”.

98 pensieri su “È bello quel che è bello

  1. Adriano

    Mi sembra fantasiosa l’idea che esista “il” bello, a livello assoluto: basta viaggiare un po’ per accorgersi che questa parola dovrebbe essere usata al plurale: abbinamenti che fanno ribrezzo in un luogo sono del tutto normali in un altro; tenute considerate ridicole da una nazione, sono quasi d’obbligo in altre…
    Poi, ognuno ha il diritto di credere/illudersi che il proprio concetto di “bello” sia l’unico dogma universalmente valido… Ma, appunto, si tratta di una mera illusione (e ci vuole poco per smascherarla e molto per continuare a crederci…)

        1. Sai cos’è, Adriano?
          C’è che l’ho ritrovato, sempre lo stesso, in posti molto diversi. Un po’ come la “nera signora” di Samarcanda: la fuggi nel diverso, ed è nell’identico; la schivi nel movimento e ti sorprende nella stasi. Ovunque ritrovi la bellezza (“ciò che piace”, concedo ad tempus) sei in un déja-vu, e hai a che fare con qualcosa che hai l’impressione di conoscere da sempre.
          In fondo non si tratta di negare che ci sia un “ciò che piace”, ma solo di spostarne umilmente il predicato fuori dal nostro solito insopportabile egocentrismo, ecco, direi con grazia estatica: “è il bello ciò che piace”.

          1. FilippoMaria

            Mi piace Cyrano! E che dire poi del “Bel Pastore” del vangelo di domani? 😀

          2. G

            Se la moda e lo stile italiano piacciono in tutto il mondo, un motivo in fondo in fondo ci sarà… Siamo il Paese che mette il bello al primo posto, in ogni cosa; basta passeggiare in una qualsiasi città italiana per accorgersene, dal modo di vestire delle persone agli stessi palazzi; armonia nei colori e senso estetico nelle forme difficile da ritrovare in altre città straniere. Ma questo è un mio parere personale e piuttosto generale, ci sono anche parecchie eccezioni. 🙂

            1. Adriano

              G scrive: ” Se la moda e lo stile italiano piacciono in tutto il mondo, un motivo in fondo in fondo ci sarà…” Dicono lo stesso di sé stessi i francesi e gli inglesi e pure i tedeschi (a proposito delle automobili).

              “Siamo il Paese che mette il bello al primo posto, in ogni cosa” a osservare i pugni in un occhio rappresentati da diversi casermoni (abusivi e no) in zone protette, da grattacieli vicino ai centri storici e da come sono tenuti molti monumenti, mi viene qualche dubbio…

              1. G

                In calce al mio commento ho scritto infatti: “Ma questo è un mio parere personale e piuttosto generale, ci sono anche parecchie eccezioni”.
                Lavorando all’estero, mi è capitato di essere chiamata per fare compere con le mie colleghe straniere, mi dicevano che mi vestivo bene; non che io sia una fashion victim, o che sia particolarmente ricercata nel vestire. Semplicemente mi sono accorta che abbino in un modo armonioso i colori e che era cosa piuttosto comune tra le mie amiche italiane all’estero anche da molti anni, quindi non credo che dopotutto la nazionalità di origine sia un caso; anche se un giorno avevo scarpe da ginnastica e jeans, erano abbinate con la maglietta, o con la cintura; lo facevo quasi senza rendermene conto talmente ci ero abituata, ma questi piccoli particolari possono fare la differenza.
                Andreas Hofer e Alessandro sono stati molto più completi di me nelle risposte, la mia è solamente un’esperienza diretta.

                1. Adriano

                  G, confermi quindi che altrove la moda e il modo di vestire sono diversi… Anch’io parlo per esperienza diretta e a me è successo esattamente il contrario rispetto a te, e non solo all’estero.
                  Quindi, ribadisco, mi pare fantasioso parlare a mo’ di dogma di un’idea assoluta di bellezza. Tutto qui.

              1. Adriano

                piacere [pia-cé-re] v.intr. (aus. essere) incontrare il favore di molti: un prodotto che piace.

                Quindi anche quando non è espresso, esiste un aspetto personale (piacere a molti). Questo dice il dizionario…

                1. Alessandro

                  Svolgendo considerazioni da un punto di vista meramente logico, si può evidenziare che
                  1) dire che “esiste un aspetto personale” del bello, e
                  2) dire che questo aspetto consiste nel fatto che qualcosa per essere bello deve piacere a qualcuno,
                  non è conferire al bello alcun connotato soggettivistico, relativistico.

                  Infatti, il dizionario, definendo “piacere” come “incontrare il favore”, può indicare genericamente che questo piacere è “di molti”, ma non può in alcun modo stabilire se sia di uno o di tutti. Non potendo il dizionario escludere che il piacere sia di tutti (cioè: universale), non si può nemmeno escludere, sulla sola base della definizione del dizionario, che il bello (e il relativo piacere) sia universale, tale per tutti.
                  Quindi l’argomento- dizionario è inservibile per propugnare una concezione relativistica, soggettivistica del bello

                  1. Adriano

                    Interessante risposta; molto più terra-terra, volevo solo dire che “è il bello ciò che piace” (come detto da Cyrano) implica, in base alla definizione del dizionario, che ci sia una persona/gruppo a cui la cosa piaccia. Andando per logica, questo piacere del bello, fino a prova contraria, non è universale, cosa che tra l’altro non credo possa essere dimostrabile (che facciamo? una ricerca di mercato che coinvolga tutti gli esseri umani?) mentre basta trovare una sola persona a cui non piaccia ciò che piace ad altri per dimostrare la non universalità dello stesso. La varietà della moda e di ciò che viene considerato bello in diverse nazioni dimostra quest’ultima affermazione… Fino a prova contraria. Ma ci vuole. La prova, intendo. :-):-):-)

                    1. Alessandro

                      Prendiamo la Divina Commedia: a chi non piace? Io non conosco persone in grado di leggere e capire la Divina Commedia (requisiti minimi perché sia emesso un giudizio estetico ammissibile) a cui non piaccia (non vale fingere che non piaccia: non vale cioè fare i bastian contrari per darsi un tono, per distinguersi a tutti i costi).
                      Ecco un esempio di bellezza universale. Fino a prova contraria: onere della prova che non incombe a chi ritiene la Commedia di una bellezza universale, giacché chi tale la considera ha dalla propria secoli e moltitudini di giudizi concordi e unanimi sull’inestimabile pregio dell’opera dantesca.

                    2. Alessandro

                      Aggiungo: considerate le ricerche sociologiche riportate da Samek, è proprio vero che “La varietà della moda di ciò che viene considerato bello in diverse nazioni dimostra la non universalità della bellezza”? Ossia: è proprio vero che le differenze culturali siano tali da impedire che ci sia qualcosa che universalmente sia stimato bello?

                    3. Adriano

                      ” Prendiamo la Divina Commedia: a chi non piace?”

                      Prova a porre questa domanda in un paio di scuole dove hanno dovuto studiarla… 🙂

                    4. Alessandro

                      ” Prendiamo la Divina Commedia: a chi non piace?”
                      Prova a porre questa domanda in un paio di scuole dove hanno dovuto studiarla”

                      Ti ho già risposto. Se uno studente non la legge e/o stenta a capirla non può emettere un giudizio estetico ammissibile, che faccia testo per degradare il valore dell’opera. Quindi se anche esistessero frotte di studenti che non si raccapezzano davanti a un canto dantesco, il loro disappunto non varrebbe come prova che la Commedia non sia bella.

                    5. “Prova a porre questa domanda in un paio di scuole dove hanno dovuto studiarla…”.

                      Ma certo, proviamo a domandare agli studenti di ingegneria quanta fatica hanno fatto a passare analisi e quanto gli sia “piaciuta”. Eppure senza sforzo, in qualunque campo, non si riesce non solo ad apprezzare ma nemmeno a edificare nulla. Ecco, direi che una simile risposta qualfica a sufficienza il livello della tua conversazione. E io a farmi prendere per i fondelli francamente non ci sto. Ho altro di meglio da fare che discutere con un sofista di quinta categoria.

                    6. Adriano

                      Se ‘sto fantomatico bello è universale, allora perché è necessario essere educati a esso?
                      Se ho capito bene, dici che non si può non apprezzare la commedia se la si capisce… Ma non è che succede il contrario, cioè che solo chi l’apprezza è spronato a capirla fino in fondo?

                    7. Adriano: perché anche il gusto estetico si può in certa misura “educare” e “disciplinare”. E più è educato, più saranno raffinate le sensazioni. Un sommeller percepisce sfumature nei vini che al “profano” rimangono ignote. Ciò non toglie che anche il profano sappia distinguere il vino buono dall’aceto. Et de hoc satis.

                    8. Alessandro

                      “Se ‘sto fantomatico bello è universale, allora perché è necessario essere educati a esso?”

                      Dove sta scritto che il bello cessi di essere universale se occorre applicazione e fatica per poterlo fruire? TUTTI (ecco l’universalità) coloro che facessero la fatica necessaria per fruirla potrebbero godere della bellezza della Commedia.
                      Se invece la Commedia fosse brutta, tutta la fatica del mondo non basterebbe a farne gustare la bellezza, perché da ipotesi non ne esisterebbe la bellezza.

                    9. Adriano

                      Andreas

                      Quindi il gusto estetico può essere educato e disciplinato… E seguendo quali linee guida? Non è che così viene imposto dall’esterno un gusto estetico, e che quindi questa universalità del bello non sia poi così spontanea?
                      Replicando all’esempio enogastronomico, certo anche un profano riesce a distinguere il vino dall’aceto; ma nulla toglie che possa preferire il secondo al primo. Così come per qualcuno lo squalo marcio è una leccornia (sì, esiste: si chiama hakarl ed è un piatto tipico islandese).

                      Alessandro,
                      Ho anche detto altro: mi chiedo solo se l’apprezzare la commedia sia antecedente (ed elemento necessario) per potersi poi applicarsi e capirla.

                    10. Alessandro

                      Adriano

                      “mi chiedo solo se l’apprezzare la commedia sia antecedente (ed elemento necessario) per potersi poi applicarsi e capirla”

                      No, è l’inverso. Applicarsi alla lettura e alla comprensione del testo è condizione previa e irrinunciabile per apprezzarlo. Come potrei d’altronde apprezzare (nel senso di: gustare la bellezza di) un testo che non mi sia ancora dedicato a comprendere, cioè che non abbia ancora compreso?
                      E ora saluto te e gli altri. Buon pomeriggio, ci rileggiamo in serata

                    11. @ Adriano

                      (della serie: “spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi d’estate”)

                      Certo, come no. Difatti le locande brulicano di avventori soliti snobbare il Barolo in luogo di una bella caraffa di aceto della casa! Li riconosci dalle labbra leggermente abbrustolite, questi avidi, raffinati palati che sono i devoti dell’aceto! Ma per favore… 😀

                    12. Adriano

                      Andreas

                      E a proposito dell’hakarl? Sguaineresti la spada per dimostrare che è una leccornia oppure una schifezza? E che faresti per la pizza? 🙂

                      Conosco persone a cui piace un vino dal sapore più forte, quasi acetoso, scartato invece da altri. No, non brulicheranno nelle locande (infatti sono una minoranza), ma ce ne sono. Ne trovi anche nelle acetaie di Modena (e tra loro potresti anche trovare chi preferisce l’aceto al Barolo 🙂 )

                      Alessandro

                      “Come potrei d’altronde apprezzare (nel senso di: gustare la bellezza di) un testo che non mi sia ancora dedicato a comprendere, cioè che non abbia ancora compreso?”

                      Ciò è vero. Ma si può anche restare colpiti da un dettaglio, una frase, come il sorriso che ti spinge a dedicare tempo e forze a conoscere una persona…

            1. Questo del bello è un tema su cui sono riempite biblioteche intere, per cui non si risolverà certo qui e d’altro canto solo un folle potrebbe avanzare una simile pretesa. Quel che è assolutamente certo è che non ci si può accontentare dei soliti, facili slogan del relativismo, questo il tipico equivoco in cui è destinato ad incorrere chi è incline a materializzare troppo i concetti in qualche specificazione troppo stringente. Se prendiamo per buono un relativismo come quello proposto da Adriano, allora tutto è bello. Vale a dire che nulla lo è, e lo scarabocchio di uno scimpanzé vale un quadro di Dalí o uno sputo sui muri di una latrina equivale, perché no?, a un affresco di Michelangelo. E anche questa mi sembra una illusione inaccettabile, destinata ad infrangersi contro ogni elementare buon senso.
              San Tommaso d’Aquino, uno che di moda-tomismo se ne intendeva, dice che bello è “id quod visum placet”, “pulchra enim dicuntur quae visa placent”: ciò che, visto, intuitivamente desta un piacere sensibile, dà gioia, bello è qualcosa di cui godiamo, desta stupore e ammirazione, è stimabile non per la propria utilità ma per il suo pregio. Il bello è bello perché è bello e proprio in quanto tale ci piace. Il bello supera la nostra comprensione ma non ci è alieno al punto di risultarci totalmente irriconoscibile. La bellezza è il fulgore della forma, come è stato detto, ma per la bellezza esistono un’infinità di modi diversi di risplendere. Più che di conformità a un modello o a un tipo ideale di bellezza, piuttosto direi che il bello si riconosce per la presenza di alcuni requisiti: completezza, armonia, chiarezza o splendore. Ma ognuno di questi elementi può essere espresso in milioni di modi diversi: una statua può essere un’opera compiuta e perfetta anche se mancante, che so, di un braccio o della testa. La proporzione e l’armonia dipendono anche dai differenti canoni stilistici, ecc. Per cui esiste un bello oggettivo ma infiniti modi di esprimerlo, come mostra la storia dell’arte.

              1. Alessandro

                “Che cos’è la bellezza? Una lunga tradizione filosofica ha riflettuto sulla bellezza, cercando di spiegare che cosa essa sia, come la conoscono gli uomini, come ne godono, approfondendo l’esperienza comune, che è il punto di partenza di ogni buona riflessione.
                Dalla riflessione emerge che la fruizione della bellezza, sia essa naturale che artistica, si caratterizza per un “piacere” che coinvolge non solo i sensi, ma tutta la persona: emozioni e passioni; ragione e intelletto; si tratta di un piacere non finalizzato all’utile, dunque, un piacere disinteressato, un piacere per piacere: cioè un provare piacere di fronte a qualche cosa che si conosce, senza volerla comprare, possedere, modificare, firmare.
                La bellezza intrattiene un particolare rapporto con la vista. San Tommaso con la sua celebre affermazione «Pulchrum est quod visum placet» (Summa Theologiae, I, q. 5, a. 4, ad 1um) indica che del bello conta l’apprensione e in modo speciale il godimento: il bello è “gradevole alla conoscenza” (Ibid., II-II, q. 27, a. 1, ad 3um), perché il bello richiede di essere “conosciuto”.
                La bellezza, inoltre, rivela delle caratteristiche costanti, quali l’armonia e la regolarità, che lo stesso san Tommaso rinviene nella “integritas sive proportio”, ovvero compiutezza, nella “debita proportio sive consonantia”, ovvero armonia proporzionale, e nella “claritas”, ovvero splendore, corporeo e spirituale: «La bellezza del corpo consiste nell’avere le membra ben proporzionate (debita proportio), con la luminosità del colore dovuto (claritas). La bellezza spirituale consiste nel fatto che il comportamento e gli atti di una persona sono ben proporzionati (proportio) secondo la luce della ragione (claritas)» (Ibid., I, q. 39, a. 8, resp.). Questa definizione della bellezza, che pure taluni tacciano di intellettualismo, costituisce l’analisi razionale di esperienze comuni, generali; a conferma di ciò, ci sono oggi svariate ricerche di ordine psicologico e antropologico che confermano come, fin da bambini e indipendentemente dalla cultura, si tenda a riconoscere come bello e piacevole ciò che è armonioso e proporzionato.

                Tuttavia, negli ultimi decenni, si è andata affermando una concezione della bellezza del tutto avulsa dalla conoscenza, sensoriale e razionale, del tutto staccata dal piacere estetico e dalla comune esperienza. Si tratta precisamente di un “concetto” di bellezza costruito da alcuni teorici senza alcun nesso con la realtà e con la visione. Sulla base di questo presupposto sono nate, nella contemporaneità, svariate tipologie di arte, accomunate da questa esoterica concezione della bellezza (bellezza come assenza, come disarmonia, come straniamento …). Di fronte a tali “oggetti” non si riesce in alcun modo a vederne la bellezza, però alcuni addetti ai lavori garantiscono che in esse la bellezza c’è.
                Accadono allora sconcertanti, ed esilaranti, situazioni, che, mi sembra, possono essere ben descritte dalla favola I vestiti nuovi dell’imperatore scritta da Hans Christian Andersen, ben noto autore danese vissuto tra il 1805 e il 1875. La favola narra di un imperatore molto vanitoso che viene ingannato da due frodatori, i quali inventano di possedere una stoffa così bella che solo gli stupidi non possono vederla. E così i due imbroglioni mostrano all’imperatore una stoffa inesistente, ma egli finge di vederla e finge di ammirarne la bellezza, temendo di essere considerato stupido. Chiede ai due imbroglioni di cucirgli un vestito con quella stoffa, e tutti i dignitari di corte e poi i cittadini fingono di ammirare quel vestito, pensando di non vedere la bellezza in quanto incapaci di fruirla. Solo un bambino ha il coraggio di esclamare che l’imperatore è nudo e solo allora tutta la folla ha il coraggio di credere ai propri occhi e di riconoscere di non vedere niente.
                Ebbene, sovente, passeggiando nelle sale di molti musei di arte contemporanea, accade di vedere imperatori vanitosi, cortigiani e cittadini, che fingono di ammirare una bellezza che pare essere riservata solo a menti superiori, finché qualcuno, con l’innocenza dei semplici, non ha il coraggio di dire che non c’è assolutamente niente.”

                http://www.zenit.org/article-25316?l=italian

                  1. Alessandro

                    “L’obiezione però è dietro l’angolo: il bello è soggettivo, quindi non ha molto senso legare la verità, che dovrebbe essere un qualcosa di oggettivo, al bello che è relativo alla persona. Il discorso meriterebbe ben altro spazio, ma potremmo rispondere a questa obiezione nel seguente modo: esiste un bello oggettivo e universale che poi fiorisce in modo differente a seconda dei costumi, del tempo, delle sensibilità personali, del grado di istruzione del singolo, etc. Insomma c’è una radice comune del bello.
                    La prova? E’ semplice: basta chiederlo agli eschimesi. Senza perderci troppo per le sconfinate praterie della filosofia estetica, possiamo riportare due esperimenti sociologici che Giacomo Samek Lodovici nel suo “Il ritorno delle virtù” cita e che sono pertinenti al nostro discorso.

                    In un caso il ricercatore Jean Briggs ha fatto ascoltare Verdi e Puccini agli eschimesi uktu. Ora dovrebbe essere evidente che le musiche di questi due autori nulla dovrebbero aver in comune con la cultura eschimese. Infatti cosa c’è di più lontano dal background culturale di un pescatore che vive tra i ghiacci dall’altra parte del mondo, del Trovatore di Verdi, opera scritta nell’Ottocento da un italiano nato in quel di Roncole? Eppure questo pescatore confidò al ricercatore che quel melodramma era “una musica che fa venir voglia di piangere”. Anche il grande violinista Uto Ughi qualche tempo fa andò in Amazzonia e fece ascoltare con il registratore un concerto per violino e orchestra alle popolazioni indigene che a malapena sapevano chi fosse l’uomo bianco. Pure in quel caso l’ascolto generò stupore e ammirazione.

                    Ma anche noi a volte siamo eschimesi. A parti rovesciate persino noi occidentali post-moderni ci commoviamo per opere scritte centinaia se non migliaia di anni or sono, da autori assai distanti dalla nostra sensibilità. Ecco infatti il secondo esperimento sociologico. La filosofa Martha Nussbaum racconta che “l’Iliade di Omero è stata usata con successo nel trattamento dei veterani della guerra del Vietnam che soffrivano di trauma da combattimento perché le sue storie di violenza e paura sono riconoscibili al di là delle differenze culturali”. Ve lo vedete un truce marine pluritatuato che invece di impugnare il suo fucile prende in mano l’Iliade e se la legge? Eppure è successo e i risultati ci sono stati. Anche il turpe mostro del film “Frankenstein Junior” d’altronde si commuoveva per le melodie del violino suonato dal suo padrone.”

                    1. Adriano

                      Avete mai ascoltato musica eschimese? Vi posso assicurare che viene ben poco apprezzata dai non eschimesi (almeno, ho provato con un gruppo sami finlandese…)

                    2. Alessandro

                      qui si sta parlando non di una produzione estetica che non merita la qualifica di arte, quale può essere una canzonetta sanremese, ma di capolavori artistici (Verdi, Puccini, Iliade, Odissea), ai quali per eccellenza conviene la qualifica di “belli”. Può essere che anche gli esquimesi abbiano l’equivalente delle nostre canzonette sanremesi… assai poco apprezzabili, poco belle (che piacciono poco, appunto, posto che pulchrum est quod visum placet)

                    3. Adriano

                      Alessandro

                      io non sostengo che lo sterco inscatolato sia o non sia un’opera d’arte. Semplicemente non mi piace, ma prendo atto che qualcuno la definisca e la tratti come se fosse un’opera (da cui il termine “cosiddetto”). Non lo considero bello. Così come non considero questo gran capolavoro il David di Michelangelo, (peggio ancora quello di Donatello), preferendo di gran lunga la scultura del Bernini. Altri sicuramente la pensano in modo diverso… A prova di un concetto relativo del bello.

                      “non dovresti spingerti a insinuare che non siano belli questi “manufatti””
                      E perché mai? Esprimo una mia opinione. Come ho appena fatto qui sopra. E come hai fatto anche tu, quando hai parlato di moda corismo per chi considera bello qualcosa che per te non lo è. A differenza tua, però, mi sono limitato a dire che non mi piace, invece di etichettare coloro che la pensano in modo diverso…

                      Andreas

                      Il giudizio che ho riportato a proposito della Tour Eiffel non è il mio ma di un comitato composto da una cinquantina tra artisti e architetti (gente che dovrebbe essere “educata” e “disciplinata” nel proprio gusto del bello), i quali sostenevano la necessità di smontare il “lampione decisamente tragico”, lo “scheletro di campanile”, la “ciminiera in costruzione” ecc.
                      Fatto sta che ora la Tour Eiffel è considerata dalla maggior parte dei parigini come un’opera bella (anche se c’è chi ancora la considera un”asparago di ferro”), tanto da essere diventata patrimonio mondiale.
                      Quindi anche allora si parlava di “brutto che avanza”, proprio come dici tu. E riferendosi a qualcosa su cui l’opinione della maggioranza (attenzione, non dell’unanimità) è poi cambiata. Così come potrebbe succedere (è già successo) alle opere di oggi, le quali, secondo te, testimoniano “la progressiva ascesa della bruttezza nel campo di tutte le arti.”
                      A riprova dell’aspetto non universale delle manifestazioni del bello. Tutto qui.

                    4. Adriano: non c’entra niente questo, non aggiunge nulla e non risponde alla mia obiezione.,Come ti ripeto non ho più molta voglia di buttare via il mio tempo con chi non fa altro che ripetere un mantra ed è incapace di seguire il filo logico non solo delle risposte altrui, ma perfino dei propri pensieri. Sempre che non sia una posa, ma in questo caso a maggior ragione non mi interessa.

                    5. Adriano

                      Ah, ora non seguo un filo logico… Ho riletto ciò che ho scritto e l’unica cosa illogica è la posizione del mio commento.
                      Chiedi se la Tour Eiffel equivale allo sterco inscatolato? Per me no. Una di queste due cose mi lascia perplesso, l’altra invece abbastanza indifferente. Hanno in comune, sempre per me, il fatto di non essere cose particolarmente belle. E tu? Che ne pensi?

                    6. Alessandro

                      Adriano

                      “io non sostengo che lo sterco inscatolato sia o non sia un’opera d’arte. Semplicemente non mi piace, ma prendo atto che qualcuno la definisca e la tratti come se fosse un’opera (da cui il termine “cosiddetto”). Non lo considero bello.
                      Così come non considero questo gran capolavoro il David di Michelangelo, (peggio ancora quello di Donatello), preferendo di gran lunga la scultura del Bernini. Altri sicuramente la pensano in modo diverso…
                      A prova di un concetto relativo del bello.”

                      Il fatto che non consideri un gran capolavoro il David di Michelangelo potrebbe semplicemente attestare che il tuo gusto estetico va affinato, e non che la scultura in parola non sia un capolavoro: quindi, non può essere addotto a prova “di un concetto relativo del bello”.
                      Aggiungo: da come parli, si vede che lo sterco inscatolato non lo giudichi bello, e che il David lo consideri non un gran capolavoro ma decisamente più bello dello sterco inscatolato. Non sei dunque molto distante dagli altri essere umani, che giudicano il David decisamente più bello della scatoletta suddetta. Vedi che tra te e gli altri uomini c’è un consenso di fondo tra ciò che è bello e ciò che non lo è?

                      “non dovresti spingerti a insinuare che non siano belli questi “manufatti””
                      E perché mai? Esprimo una mia opinione. Come ho appena fatto qui sopra. E come hai fatto anche tu, quando hai parlato di moda corismo per chi considera bello qualcosa che per te non lo è. A differenza tua, però, mi sono limitato a dire che non mi piace, invece di etichettare coloro che la pensano in modo diverso…”

                      Qui hai frainteso quello che dico. Dico che chi come te ritiene che non esista IL bello può certo dire che PER LUI non è bello A o B, ma non IN ASSOLUTO che A o B non sono belli. Essendo tu relativista estetico, dovresti sempre scrivere: “PER ME questo è bello”.
                      Inoltre: non sarebbe legittimo (sarebbe un’indebita squalifica dei giudizi estetici altrui) che io parlassi “di moda-corismo per chi considera bello qualcosa che per me non lo è”, certo, ma solo se qualcuno mi avesse mostrato che non esiste IL bello, e quindi che quelli che io chiamo moda-coristi non sono tali ma sono solo persone che, valendo una concezione relativistica del bello, hanno una valutazione sulla bellezza di alcunché legittimamente diversa dalla mia.
                      Ma né tu né altri mi hanno persuaso che valga questa visione relativistica del bello (argomenti stringenti non ne ho visti). Quindi mi tengo la mia concezione non relativistica del bello, e ritengo che chi giudica bello qualcosa che ai miei occhi è platealmente brutto non sia uno che esprime un’opinione che abbia lo stesso valore della mia, ma sia appunto un moda-corista, o un millantatore, o un ignorante; comunque, uno che dice (ne sia convinto o meno) essere bello ciò che bello non è punto, assolutamente (e non solo: non è bello a mio avviso).

                  2. Adriano: Hai fatto un esperimento anche tu? E in base a quali criteri scientifici? E poi che c’entra? Samek non ha mica detto che la musica degli eschimesi è orribile. Ha detto che il bello è universalmente riconoscibile. Ma rispondi tu a qualche obiezione: perché uno sputo sul muro non equivale a un affresco michelangiolesco? Magari a qualcuno “je piace” anche quello. Non è una forma d’arte anche quella? E perché no?

                    1. Adriano

                      D’altra parte c’è chi ha venduto i propri escrementi etichettandoli provocatoriamente come arte, e c’è stato chi non ha capito la provocazione e li ha comprati… E che dire dell’orinatoio di Duchamps? O dei corpi umani plastificati e messi in mostra? Solo alcuni esempi di come il bello sia alquanto relativo…

                    2. Benissimo, era la risposta che mi aspettavo, infatti: l’apogeo della banalità. Tutto è bello, dunque nulla è bello. La bellezza secondo i tuoi criteri, è esule e aliena all’umanità. Per cui l’unico criterio rimane quello quantitativo. Se c’è chi è disposto a pagare una somma in denaro, quello indica il bello. Dunque io domani potrei vomitare sul ciglio della strada e vendere il mio “prodotto” come la nuova frontiera “emetica” dell’arte. E sarebbe “bello” quanto la Venere di Milo se ci fosse qualche idiota provvisto di denaro pronto a venire con la paletta e il secchiello per portarselo a casa e incorniciarlo.
                      Inutile dirti che la mostra dei corpi plastinati nega il mistero della morte, come se volesse “dirci tutti” dell’interiorità umana mostrandoci che nella cavità delle viscere c’è il nulla. Concettualmente niente di originale, per altro. Insomma, il solito riduzionismo d’accatto: lo spirito è una semplice proprietà della materia. Il bello invece, proprio perché non avanza la pretese di “dirci tutto” ed esaurire ogni discorso nemmeno su se stesso, rimanda al mistero, alla meraviglia e alla stupefazione.
                      Come ripeto, materialmente il bello è certamente relativo, perché può estriorizzarsi in infinite maniere. Ma relative non sono le sue caratteristiche; splendore della forma sulla materia debitamente proporzionata. Altrimenti cadiamo nel nichilismo più totale. Come difatti testimonia la progressiva ascesa della bruttezza nel campo di tutte le arti.

                    3. Alessandro

                      Chi acquista sterco inscatolato lo sta facendo perché considera lo considera bello, o per ragioni economiche che sfuggono al giudizio di bellezza?

                    4. Alessandro

                      Esatto: per ragioni che non attengono al giudizio di bellezza, ma a ragioni economiche, al moda-corismo, alla fregola di sentirsi in pari con la moda del momento, al desiderio di non essere tacciati di misoneismo ecc. (tutte cose che niente hanno a che fare con un genuino e schietto giudizio di bellezza)

                    5. Adriano

                      Oltre a essere vendute e acquistate, queste cosiddette opere d’arte vengono esposte. La bruttezza che avanza? Simili parole erano state dette a proposito di un monumento appena terminato a Parigi: la Tour Eiffel. 🙂

                    6. Guarda Adriano, il problema è che in base al tuo criterio non ha proprio senso quel che dici ora. E il bello, è il caso di dirlo, è che non ti accorgi nemmeno di questa tua contraddizione. Se non esiste “il” bello, in base a cosa scrivi questo? Se il bello non esiste, non esisteva ieri come non esiste oggi e non esisterà domani. Dunque la Tour Eiffel equivale allo sterco inscatolato. O altrimenti spiegami perché non è così. Sono tutt’orecchi.

                    7. Alessandro

                      I fruitori che vanno a “rimirare” queste cosiddette opere d’arte appartengono a novero di quelli che sono proni – dicevo – al “moda-corismo, alla fregola di sentirsi in pari con la moda del momento, al desiderio di non essere tacciati di misoneismo ecc. (tutte cose che niente hanno a che fare con un genuino e schietto giudizio di bellezza)”

                    8. Alessandro

                      Adriano, parli di “cosiddette opere d’arte” quasi non fossero opere d’arte, cioè non fossero belle. Ma perché sostieni che lo sterco inscatolato non è opera d’arte, non è bello? Poiché ritieni che non esistano caratteri universali che il bello possiede, e che bello sia solo ciò che è tale per qualcuno e che per qualcun altro non lo è, per coerenza con i tuoi convincimenti dovresti parlare dello sterco inscatolato o dello sputo sul muro come di qualcosa che per te non è bello, ma che per altri è bello, e quindi non dovresti spingerti a insinuare che non siano belli questi “manufatti”: per taluni lo sono (a tuo avviso), e quindi rispetta i gusti altrui!

                    9. lidia

                      io – avendo vissuto in molti Paesi diversi – ho dovuto a lungo combattere col pregiudizio degli idioti (scusate l’espressione) che dicono “le lingue slave, così brutte e disarmoniose” o “la Bielorussia, un Paese così brutto” (in realtà è bellissimo, tutto laghi e prati verdi). Perciò spezzo una lancia in favore degli eschimesi 🙂 A me piace da morire la musica folk russa, che a certi miei amici fa schifo. Io credo cmq che un’idea di bello assoluto esista – magari Kate Moss presso gli Hawai’iani è orribile perché anoressica e invece negli USA è una top model, ma non c’entra, il bello esiste cmq a presicndere dalle sue manifestazioni. La Divina Commedia è bella secondo i canoni della cultura in cui è stata scritta, che sono i canoni secondo i quali deve essere giudicata. Il poema delle origini degli Indiani Cherokee va giudicato secondo altri canoni.
                      Gli escrementi in scatola sono semplicemente brutti ed è per questo che hanno fatto tanta scena 🙂

                    10. lidia

                      cioè idioti se lo dicono per partito preso; se poi a qualcuno la Bielorussia non piace (ci sono parti effettivamente scialbette, non è l’Austria, soprattutto a causa della povertà) o le lingue slave gli paiono disarmoniose, hanno tutto il diritto di pensarlo. Ma purtroppo c’è gente che dice “ah, le lingue slave (intendendo albanese e rumeno che NON sono slave), che brutte” (magari sono gli stessi che idolatrano Dostoevskij 😉 )”. Ecco queste affermazioni così sono idiote, secondo me.

              2. Francesca

                Grazie Andreas per il tuo contributo. Vorrei aggiungere, tra i requisiti che elenchi (completezza, armonia, chiarezza o splendore) come caratteristici di ciò che è bello, anche un termine già emerso negli interventi precedenti, ossia universalità. Forse questo termine va meglio interpretato: l’universalità non come banale livellamento del gusto (almeno in questo contesto), bensì come possibilità per tutti di poter percepire il bello a partire da qualunque situazione culturale e ambito disciplinare.

                1. Grazie a te per il post, Francesca. Sono perfettamente d’accordo. La bellezza è tale perché in qualche modo ha una corrispondenza intima in ogni essere umano, dunque in questo senso l’accesso ad essa è universale.

          3. Francesca

            Cyrano, grazie del prezioso contributo. Hai perfettamente colto il senso di quanto volevo esprimere.

  2. Alessandro

    “Ed ecco la terza finalità del vestito, donde più direttamente trae origine la moda, e che risponde alla esigenza innata, dalla donna maggiormente sentita, di dar risalto alla bellezza e dignità della persona, coi medesimi mezzi che provvedono a soddisfare le altre due. Per evitare di restringere l’ampiezza di questa terza esigenza alla sola bellezza fisica, e molto più per sottrarre il fenomeno della moda alla bramosia di seduzione quale prima ed unica sua causa, il termine decoro è preferibile a quello di abbellimento. L’inclinazione al decoro della propria persona procede manifestamente dalla natura, ed è pertanto legittima.

    Prescindendo dal ricorso al vestito per celare le imperfezioni fisiche, ad esso la gioventù chiede quel risalto di splendore, che canta il lieto tema della primavera della vita ed agevola, in armonia coi dettami della pudicizia, le premesse psicologiche necessarie alla formazione di nuove famiglie; mentre l’età matura dall’appropriato vestito intende ottenere un’aura di dignità, di serietà e di serena letizia. In ogni caso in cui si miri ad accentuare la bellezza morale della persona, la foggia del vestito sarà tale da quasi eclissare quella fisica nell’ombra austera del nascondimento, per stornarlo dall’attenzione dei sensi, e concentrare invece la riflessione sullo spirito…

    A dare risalto alla bellezza fisica accudisce espressamente la moda, arte antica, dalle origini incerte, complessa per i fattori psicologici e sociali che vi si mescolano, e che al presente ha raggiunto una indiscutibile importanza nella vita pubblica, sia come espressione estetica del costume, sia come desiderio del pubblico e convergenza di rilevanti interessi economici…

    Ora, di fronte a tanti e così elevati valori, chiamati in causa dalla moda e talora messi a repentaglio, quanti ne abbiamo qui enumerati con rapidi cenni, appare provvidenziale l’opera di persone, tecnicamente e cristianamente preparate, che si propongono di contribuire all’affrancamento della moda da tendenze non commendevoli; di persone che vedono in essa anzitutto l’arte del saper vestire, il cui scopo è bensì, quantunque parzialmente, quello di mettere in moderato risalto la bellezza del corpo umano, capolavoro della creazione divina, però in modo che non resti offuscato ma, al contrario, sia esaltato — come si esprime il Principe degli Apostoli, — « l’ornamento incorruttibile di uno spirito tranquillo e modesto, che è tanto prezioso agli occhi di Dio » (1 Petr. 3, 4).”

    (Pio XII, Discorso ai partecipanti al I Congresso Internazionale di Alta Moda, 8 novembre 1957)

  3. Velenia

    Mi piace,del resto “La Bellezza salverà il mondo”,io ,come ho già raccontato una volta,amo fare lo “shopping dello sguardo”,non potendo fare quello del portafogli,guardare vetrine,entrare nei negozi,anche i più costosi, quelli in cui è sicuro che in tutta la mia vita non potrò comprare neanche un laccio,ma entrarci senza complessi d’ inferiorità,con la coscienza di essere figlia del Re,provare qualcosa persino e poi andare via dicendo:-grazie,ci penserò-.Qualche amica,a volte mi chiede:-Ma non ti viene la tristezza a non poter comprare nulla?–E a te non viene la tristezza a non poterti comprare “La Gioconda”?-Nella moda,nell’oreficeria(sì guardo anche le vetrine dei gioiellieri),nell’arredamento,così come nell’arte,io ammiro la bellezza e il talento umano.
    Gli stili sono diversi,è vero come è diverso un Carvaggio da uno Chagall,per esempio,ma la Bellezza è una.Stamattina, mentre percorrevo a piedi la strada tra casa e ufficio, ho incontrato un gruppo di donne africa nei vestiti tradizionali,bellissime,oltre che nei visi,nella scelta dei colori,nella foggia dei foulard,dei turbanti,belle come una creazione d’alta moda.

    1. Francesca

      Ecco, ora vorrei salvarmi in corner, da vera bulletta, dicendo “ah, forse mi sono confusa con tomé = taglio”. In realtà ho soltanto fatto pigramente affidamento sul mio greco arrugginito 😀 Grazie per la correzione.

    1. zippy

      Una pietra miliare del nostro cinema. Sono cresciuta guardando i film di Sordi e questo in particolare. In famiglia era ed è tutt’ora un cult movie, lo citiamo spesso. Da vedere, rivedere, rivedere, rivedere, rivedere….

  4. Sono d’accordo, Grandissima scena quella della Biennale con Sordi!!!
    E prima, se non mi ricordo male, c’è quella dove vanno a ascoltare musica d’avanguardia (cosiddetta)
    Ma noi solo Mozart, ovviamente, e Pergolesi, e Bach, e il maestro di Cappella del vaticano, come si chiama,
    che la sua musica sembra quella dei Pooh?

  5. matrigna di cenerentola

    mentre noi conserviamo i monumenti antichi (e Roma non ha una metro decente anche per questo motivo), i cinesi li rinnovano di anno in anno ricostruendoli identici a come erano prima. Forse perché i materiali usati sono deteriorabili, ma certo la Città Proibita è tirata a lucido, e questo presuppone un concetto di arte -e forse anche di bello- diverso da quello del mondo occidentale. Io sarei favorevole all’idea che *il bello* è legato a tempi, luoghi e culture, ma direi che *il bello* è comunque una ricerca più o meno riuscita di verità, ed è sulla verità che si scornano i paradigmi moderni, non certo sull’estetica. Una forte indicazione in tal senso (bello=vero) è che i fisici, che uno a priori penserebbe dediti alla concretezza, giudicano spesso la validità delle loro teorie su una base di “bellezza”, cioè una teoria non deve solo fornire risultati corretti quando applicata al fenomeno che vuole descrivere, ma deve anche essere elegante. Per esempio, la teoria degli epicicli forniva una buona approssimazione del moto dei pianeti, ma Keplero otteneva lo stesso risultato in modo molto più elegante e più “bello”. E infatti la teoria della gravitazione di Newton è una descrizione migliore della *verità*. Ovvio che se per alcuni la verità non esiste ogni rappresentazione del mondo sia equivalente. O no?
    Sopra ho messo il link al pezzo “nu cesso scassato” di “Il mistero di Bellavista”, un classico sull’arte moderna, che, assieme alle teste di Modigliani falsificate, serve sempre a riconciliarmi col mondo.

    1. OVVIAMENTE sai bene che questo NON è “il maestro di cappella del Vaticano” (immagino intendessi “il Maestro della Sistina”)… però non posso negare che m’hai fatto spanciare dalle risate. E che hai ragione 😉

  6. Andreas Hofer:
    te dici, poco gentilmente, a Adriano:
    “non ho più molta voglia di buttare via il mio tempo con chi non fa altro che ripetere un mantra ed è incapace di seguire il filo logico non solo delle risposte altrui”
    Ma te, io, Adriano, e tutti quanti non facciamo altro che ripeterci, tra noi, ma chissà quante volte è stato già fatto questo discorso, che non c’è criterio di giudizio per il bello il brutto l’apprezzabile il disprezzabile, eccetra (in arte). Non c’è un canone (per usare questa parola)Magari esisterà la verità unica in materia teologica, ma non nell’arte. Potrà esistere il diritto naturale vero per tutti. Ma non il bello o il brutto. Siamo arrivati a questa conclusione.In quanto alla merda d’artista l'”opera” consiste prorio nello sberleffo all’opera d’arte (inflazionato nell’arte contemporanea, ma anche prima)merda di un artista, artista di merda, eccetra, tra l’altro qualchedune di queste scatole, ormai vecchie, corrose, ho letto, cominciano a perdere e chi l’ha comprate è nell’imbarazzo se buttarle via o se tenerle come “merda d’artista perdente”, con valore aggiunto.

    1. Adriano

      “potrà esistere il diritto naturale vero per tutti. Ma non il bello o il brutto.”

    2. Mein lieber Aloysius, per me potete ripetere quel che volete, come dischi rotti. Contenti voi… Il problema sorge quando assumete il piglio del “demistificatore” e cominciate a diffondere – con esiti piuttosto comici, in verità – pilloline di nichlismo. Putroppo anche il mestiere del demistificatore non si improvvisa, per cui è normale che alla lunga l’argomentare sgangherato metta a durissima prova la pazienza del vostro interlocutore. Io dopo un po’ mi stufo, non so che farci. Forse non dovrei neanche iniziare, in effetti. Ogni tanto Adriano le spara talmente grosse da indurmi in tentazione. È un probema mio, spero di risolverlo prima o poi… 😀

    3. Alessandro

      “Potrà esistere il diritto naturale vero per tutti. Ma non il bello o il brutto. Siamo arrivati a questa conclusione”

      “Siamo arrivati” chi? Io non ci sono proprio arrivato, lì.
      Tra l’altro, se “magari esisterà la verità unica in materia teologica”, se “potrà esistere il diritto naturale vero per tutti”, mi pare difficile sostenere che non possa esistere il bello universale.

        1. Alessandro

          ma non ti sembra che, al di là delle apparenze, su ciò che è bello e ciò che proprio non lo è ci sia un accordo di fondo? Pensi che qualcuno abbia mai considerato bello la “merda d’artista”? Nessuno. Qualcuno l’avrà considerato audacemente provocatorio, estroso, scandaloso, dissacratore ecc., ma bello proprio no, proprio nessuno.

          1. Adriano

            Lungi da me voler convincere chicchessia, ma se questo “accordo di fondo” è quello che chiamate “il” bello, be’ allora non sarebbe poi ‘sto gran che… Sempre se esistesse (e se fosse universale, come sostenete).

            Personalmente, tornando all’argomento del post, mi basta osservare i turisti stranieri in visita in Italia (ma anche gl’italiani all’estero, quando si notano meglio) per avere la prova che è bello ciò che piace… Il che, tra l’altro, è una fortuna, per i brutti come noi! 😉 😉

            7-3-5-1

            1. Alessandro

              L’accordo di fondo non è “il” bello, ma attesta che esistono caratteri costitutivi di ciò che è bello che sono universalmente riconosciuti. Cioè indica che un bello universale c’è.

              “Personalmente, tornando all’argomento del post, mi basta osservare i turisti stranieri in visita in Italia (ma anche gl’italiani all’estero, quando si notano meglio) per avere la prova che è bello ciò che piace…”

              Anch’io sostengo che è bello ciò che piace. A differenza di te sostengo però che ciò che è bello piace a tutti, cioè che esiste un bello universale che, una volta conosciuto, desta l’universale godimento dei fruitori suoi.

    1. Forse, anche, è la parola “bello” che è inadeguata. Potrebbe esserci, nel territorio dell’arte o della moda, geniale, profondo, originale, curioso, stravagante, brillante, sognante, affascinante, poetico, classico, nuovo, intelligente,
      e, naturalmente, i contrari. Bello, che vuol dire bello? Come il tempo, quando non me lo chiedono (Agostino, mi sembra) lo so, quando me lo chiedono non lo so. Ecco, lasciamo le cose così!!!

      1. Alessandro

        Eppure l’esperienza della bellezza è una esperienza elementare, basilare, universale. Quante volte pensiamo/diciamo: “sì, questo è bello”. Come rinunciare a una nozione così primordiale, fondamentale, senza mutilarci?
        Anche il tempo è difficile da precisare nel suo statuto, ma se rinunciassimo a usare la nozione di tempo che cosa potremmo capire della nostra vita quotidiana, che è tutta immersa nel tempo?

  7. purtroppo più vado avanti e più mi convinco che una “bellezza” oggettiva sia quasi impossibile da trovare..credo vada tutto a finire nel piacere e nel gusto.

    Molto bello questo articolo, e commenti molto stimolanti!

  8. Bell’articolo e bei commenti, e tuttavia e’ impossibile non confrontare tali e tante riflessioni con la sensazione che si ha passeggiando in un qualunque outlet di capi firmati, dove l’imperativo e’ “non potevo non prenderlo, e’ griffato”, e dove e’ praticamente impossibile – dico per esperienza – convincere qualcuno che un paio di mutande da uomo firmate D&G sono delle mutande con l’elastico piu’ alto delle altre.
    Il senso estetico nella moda dell’abbigliamento e’ un misto di gusto innato, convenzionale e pilotato, e molto ha a che fare con l’affermazione sociale in senso lato; la Divina Commedia e le melodie della Traviata hanno parte in altri aspetti della psiche.

    1. zippy

      Parole sante, Mauro Olivieri. Del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe altrimenti – per esempio – la tendenza diffusa, soprattutto fra i ragazzi, di portare i jeans con la vita appena appena un po’ bassa (più o meno all’altezza dei polpacci, per intenderci), giusto a mostrare meglio lo slip griffato… e per quanto mi renda conto di non essere, evidentemente, abbastanza trendy e aggiornata, esempi come questo mi sembrano la conferma che i dettami della moda non coincidano proprio sempre con dei criteri estetici… ma io ho ancora l’ardire di pensare che – senza riesumare i pantaloni ascellari alla Fantozzi – esista comunque un’alternativa migliore, per l’abbigliamento di un ragazzo, a una braga calata modello attacco di dissenteria improvviso… lo so, sono antica… bisognerà che mi aggiorni…

I commenti sono chiusi.