Brama, amore e gelosia

di Andreas Hofer

Guardatevi dalla gelosia, signore. È un mostro dagli occhi verdi, che prima si diverte a giocare col cibo di cui si nutre. Così Iago tenta, senza successo, di mettere sull’avviso Otello.

La concezione corrente sembra aver accolto questa esortazione: nella gelosia si vede un vizio, una deformità dell’amore. La sua essenza è identificata con manifestazioni deteriori come occhiuta sospettosità, asfissiante possessività, la sua radice rinvenuta di volta in volta nell’odio, nell’egoismo gretto e meschino, nel risentimento e nell’invidia. La riprovazione è tanta che ormai a struggersi per essa sembra essere rimasto giusto uno sconsolato e ciondolante Bobby Solo, e pure d’antan

Desta dunque un certo sconcerto la difesa della gelosia cui Pavel Florenskij, il sacerdote ortodosso vittima della ferocia bolscevica, consacra la dodicesima e ultima delle lettere contenute nel suo mirabile La colonna e il fondamento della verità.

È nel Settecento, ci dice questo geniale matematico, scienziato, teologo e filosofo, che si radica nel cuore dell’intelligencija rivoluzionaria una condanna senza appello della gelosia. A seguito di questa plurisecolare campagna denigratoria la confusione di gelosia e bramosia è oggi all’ordine del giorno.

E allora per quale motivo, si chiede Florenskij, le Scritture tutte sono sature della gelosia divina? Perché i Greci si spinsero fino a nobilitarla? Tutto ciò suggerisce che la gelosia non sia solo una escrescenza cresciuta abusivamente sul tronco dell’amore ma ne costituisca in realtà un tratto fondamentale, l’indispensabile base, lo sfondo stesso.

L’amore infatti è s-elezione libera ma esclusiva, è atto di selezione ed elezione. Il Chosen One è al tempo stesso The Only One e Special One (e chi più dei tifosi nerazzurri  ha appreso il significato della parola “insostituibilità”? Après Mou, le déluge!).

Tra i molti Tu, l’Io ne sceglie liberamente uno al quale conferire la corona regale. Questo Tu diventa l’unico, il prescelto, l’eletto col quale allacciare un insostituibile ed esclusivo legame d’intimità. Diventa unico perché amato. «L’Io – scrive Florenskij – vuole vedere in questa persona comune una persona straordinaria, in questa persona grigia una persona briosa, in questa persona feriale una persona festiva, una solennità».

Caratteristico dell’amore autentico è la coscienza dell’integrale unicità, non della totale immutabilità della persona amata.

«Amore è l’atto che trasforma il suo oggetto da cosa in persona», ha scritto Nicolás Gómez Dávila. Selettività e unicità fondano la natura personale dell’amore, senza la quale, ci dice ancora Florenskij, non avremmo altro che «brama reificata, indifferente alla sostituzione di una cosa bramata con un’altra pari ad essa». Avremmo, in questo caso, forse una res amata, non certo una persona amata.

Non esiste bramosia senza cupidigia. Condizione della brama è la genericità, è passare indifferentemente da un oggetto all’altro, sempre alla ricerca della stesso, sfuggente miraggio. L’Io bramoso oscilla tra la Scilla della Consumazione e la Cariddi della Reiterazione, salta di preda in preda per avidamente divorarla: è la trasmutazione del Tu in articolo di consumo…

È proprio questa avversione alla genericità inerte e indifferenziata a istituire un vincolo tra gelosia e fedeltà.

Come tutto ciò che si articola nel tempo l’uomo è un essere che reca in sé, sino all’ultimo istante di vita, potenzialità da realizzare, è soggetto cioè alla legge dello sviluppo e del mutamento. Per questo esiste una fedeltà di adattamento, una fedeltà creatrice. La fedeltà a noi stessi e alla persona amata non sta nella riproduzione costante nel tempo della medesima immagine esteriore. Finzione e simulacro… Un artista che si limitasse a riprodurre nelle fogge esteriori i propri lavori precedenti non potrebbe dirsi più tale, ricorda Gabriel Marcel. Se fosse incapace di rispondere alla propria vocazione interiore si muterebbe presto in artigiano; puro imitatore di se stesso, rinuncerebbe alla propria facoltà creatrice. L’artista autenticamente tale è capace invece di essere fedele a se stesso infondendo il medesimo spirito in stili diversi.

La vera fedeltà scaturisce da uno scambio vivente che non nega il mutevole in nome dell’eterno ma vuole invece insaporire ogni mutamento col gusto dell’eternità. La fedeltà è rinnovatrice, non consiste nella rigidità morta e fossilizzatrice che impedisce ogni cambiamento; sta piuttosto nella paziente coltivazione della simbiosi tra immutabile e mutevole. Solo l’idolo, qui sulla terra, è inesausta ripetizione di se stesso.

Tuttavia esiste anche un limite – che certo non può essere stabilito in astratto da uno sguardo esterno – oltrepassato il quale il cambiamento si muta in tradimento. Quando il Tu ha acconsentito, ha dato il suo “sì”, si è cinto sul capo la corona regale, l’Io chiede una sola cosa: il suo amore.

L’Io che ama parla solo il linguaggio dell’eternità, il linguaggio dell’elezione. Esige che il Tu rimanga l’eletto, non scenda da quel trono unico, singolare, esclusivo, e resti fedele alla sublime dignità cui, donando liberamente il suo consenso, è stato elevato.

È questo anelito interiore ad esprimersi come zelo o gelosia (dal greco zélos). Lo scambio d’amore è esposto al rischio di morte se il diletto Tu, per debolezza, insincerità o perché tentato da altre corti, da altre cariche e funzioni, assume una condotta infedele alla propria essenza. Il Tu viola così la posizione e la dignità liberamente assunte.

Se ciò accade, l’Io non può non reagire con vigore ardente e lottare per mantenere in vita e conservare, anzi rinsaldare e rinnovare quel patto amoroso unico e insostituibile. Questa reazione viva ed energica è la gelosia.

Per questo la  Scrittura attribuisce con ostinazione a Dio la gelosia. La gelosia segue la logica dell’Incarnazione. La sua presenza sancisce la volontà dell’Io di eternare il legame con quel Tu. Geloso è chi anela ad incarnare l’eternità nel tempo sotto forma di elezione dell’amato.

E il Tu, a questo punto, è posto dalla reazione dell’Io dinanzi a una scelta: rientrare in pieno possesso della propria regale dignità oppure abdicare e scendere dal trono per ritornare tra la ferialità degli individui comuni.

L’amore di un cuore forte, l’amore di profondità che non abbandona è necessariamente geloso custode dell’unicità del Tu amato. Non la presenza ma l’assenza di gelosia rappresenta un affronto verso la persona amata. La sua mancanza è una implicita degradazione, la condanna a non essere più l’unico, il prescelto, ma solo uno dei molti Tu. Rendiamo giustizia all’unicità di chi amiamo soltanto presidiando l’esclusività.

Solo occhi di cielo capaci di unire tenerezza e rigore hanno la forza di rammentarci la strada che conduce al vero, al bello e al bene. È il richiamo dell’eterno, nostra sola libertà.

58 pensieri su “Brama, amore e gelosia

  1. Bellissima riflessione, intensa e “tanta”, occorre tempo per digerirla, tempo che ora non ho. Spero di riuscire a tornarci nel pomeriggio

    Intanto segnalo sul tema della gelosia di Dio le prime cento pagine del capolavoro del rabbino americano HJ Heschel “Il messaggio dei profeti”. E’ un libro del ’46, ma confido che si possa ancora trovare in qualche riedizione. Se lo beccate fatevi un favore: leggetelo. E’ stabilmente nella mia top ten da almeno trent’anni

  2. P.S. Immagino che sia per questo che nella sua prima enciclica il Papa scrive che in Dio c’è la pienezza dell’eros e la pienezza dell’agape, così che in Lui la tradizionale opposizione tra le due forme di amore è superata… ma un uomo è capace di amare così? E una donna poi (forse) ancor meno… non è un’orizzonte troppo alto?

  3. Se abbiamo come primo comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» significa che possiamo amare così, partendo da Dio. Non è che non lo possiamo. Credo che la domanda sia: “lo vogliamo”? O no, don Fabio?

    1. Non lo so Karin, francamente non lo so… c’è sempre il peccato originale con cui fare i conti ed ho sempre in mente l’ammonimento di Tolkien che nel SdA fa dire ad uno dei personaggi, mi pare Balin, che un voto pronunciato affrettatamente può spezzare un cuore fragile

      1. 61Angeloextralarge

        don Fabio: uhm…uhm… osservazione non indifferente, anche se credo che il volerlo o meno sia già una componente altrettanto non indifferente. Ma l’importante non è “provarci”? Cioè “volerlo”? Poi, la fragilità umana, anche a causa del peccato originale, ci sta tutta. O no?

      2. E’ vero, don Fabio, c’è questo peccato originale, ma siamo anche dei originali redenti, giusto? La perfezione è pressoché impossibile ma se si cammina insieme e uno è il sostegno dell’altra e insieme si aggrappano a Cristo, la cosa dovrebbe funzionare, no?
        Credo che all’origine, oltre quel peccato, ci sia la nostra “brama” si seguire Cristo. A seconda di quanta determinazione ci mettiamo, quanto amore in questo cammino e quanto abbandono al nostro Padre, i risultati si vedranno, per forza. Ho spesso in mente la domanda di Gesù: “Ma tu mi ami?” e poi quella della pubblicità TIM “Ma quanto mi ami?” 😉 😉

        1. 61Angeloextralarge

          Karin: mi hai fatto pensare a cosa fa’ Dio ai tiepidi! Aiuto! Non voglio esserlo!!!!

  4. Adriano

    “La concezione corrente sembra aver accolto questa esortazione: nella gelosia si vede un vizio, una deformità dell’amore”

    Prendo atto dello slittamento che sarebbe avvenuto nel significato della parola gelosia. In ogni caso, nella mia esperienza personale ho trovato una difesa quasi all’unisono di questo sentimento: “ci vuole un po’ di gelosia”, “la gelosia fa bene all’amore” ecc. intendendo con gelosia proprio quelle manifestazioni di possesso dell’altro, di sospetto verso tutto e tutti (persona amata compresa), il significato comunemente dato a questa parola, insomma.

    Quello che osservo è che è il concetto di bramosia a essere nobilitato attraverso l’idea di unicità della persona amata, e non il contrario, come sostenuto nel post.

    “Condizione della brama è la genericità, è passare indifferentemente da un oggetto all’altro”

    Magari fosse così! Le vittime dei gelosi estremi tirerebbero un sospiro di sollievo se il loro ‘stalker’ cambiasse l’oggetto delle proprie, ossessive attenzioni bramose…

    1. Alessandro

      No, alla bramosia è per sua indole indifferente su quale oggetto esercitarsi, e pertanto la bramosia non può esercitarsi sulla persona rettamente intesa, ossia onorata nella sua intrinseca unicità/infungibilità: la bramosia che si abbatte sulla persona deforma e tradisce, della persona, l’unicità che compete alla persona.

      La gelosia invece, opportunamente intesa, non può far segno di “ossessive attenzioni”, di soprusi: la divina gelosia verso l’amato fedifrago non conduce Dio alla vendetta, o financo alla violenta soppressione di codesto amato, ma Lo induce a mandare il Figlio Suo unigenito per la salvezza dell’amato.

      1. Sì, è esattamente come dice Alessandro. Dio è geloso perché siamo infedeli alla nostra vocazione suprema. Ci ha creati come esseri unici e irripetibili e vuole celebrare nozze eterne con noi.

  5. E’ molto difficile restare fedeli a se stessi se si è vittime di persone molto gelose, per non parlare di stalker….
    La gelosia estrema è possesso, limitante la libertà della persona amata e l’amore vero, di per sè, lascia liberi.
    Forse perchè ‘la libertà è dei figli di Dio’ è una guida che mi ha accompagnato per molto tempo !
    Buona giornata a tutti!

    1. Adriano: come ripeto mia convinzione è che in un post non si “ammaestri” ma al massimo si possa sollecitare alla riflessione personale. Ho solo potuto cercare di compendiare il pensiero di Florenskij, al quale rimando. Gli esempi che adduci sono rubricabili come bramosia e c’entrano poco o nulla con la gelosia com’è intesa nel post. Se poi vuoi continuare a perpetrare questa confusione, fai pure. Ma non attribuirmela, per favore. Quella di Florenskij è un’analisi metafisica della gelosia, cerca di circoscriverne l’essenza, non si sofferma molto sul lato psicologico né sulla casistica dei comportamenti dettati dalla bramosia. E tanto meno desidero farlo io.
      Le vessazioni dello stalker si fondano proprio sulla “cosificazione” della persona, considerata in quanto oggetto di propria proprietà che si è “spossessato” del “padrone”. Onde per cui “deve” ritornare in possesso del “legittimo proprietario”. Senza contare quando lo stalking ha come movente la vendetta. Non c’entra nulla la percezione dell’unicità della persona, non si può parlare di amore. La persona è soggetto, dunque capace di decisioni autonome e libere, cercare di piegarne la volontà con la violenza e la vessazione equivale a renderla un oggetto. Al massimo si può parlare di una gelosia degenerata in bramosia, ma le due dimensioni non sono affatto equivalenti più di quanto lo siano amore e odio.
      Il declino della gelosia nel nostro tempo non è stato rilevato solo da Florenskij, ma anche da alcuni sociologi. Su questo si possono vedere Christopher Lasch, “La cultura del narcisismo” e Willard Waller, “The Old Love and the New”.
      In uno più post successivi cercherò di soffermarmi su questo aspetto. Sintetizzando al massimo dico che si sta imponendo un modello relazionale tra gli esseri umani secondo il quale la relazione deve essere indifferenziata, desostanzializzata e spersonalizzata, senza impegni e conseguenze, “ipotetica” e revocabile, con data di scadenza. Vale a dire che gli attori delle relazioni intime sono prodotti intercambiabili, come articoli di consumo. Ci viene spacciata come “libertà”, ma la libertà di scegliere tra prodotti intercambiabili è una libertà solo formalmente tale, una libertà che nega se stessa e riduce la persona ad oggetto (a questo più che altro accennavo quando ho legato bramosia, genericità e “liquidità” relazionale). Questo per altro lo dice Lasch, cioè un sociologo di sinistra (ma non liberal). Ma spersonalizzare tutti i rapporti intimi (genitore A e B) equivale a ridurli a funzione astratta, assolvibile teoricamente anche da un funzionario pubblico. In altri termini, assistiamo alla progressiva sostituzione della socialità primaria, tipica delle relazioni più strette e imperniata sul dono, con la socialità secondaria, astratta, funzionalistica e utlitaristica, tipica delle relazioni tra sconosciuti. Dunque declino dell’unicità della persona e conseguente declino non solo della gelosia, ma anche delle altri dimensioni che caratterizzano l’univocità dell’individuo: pudore e silenzio.

      1. Grazie! E’ già molto che qualcuno se ne accorga …
        P.s. secondo me l’utilizzo dei social network e di un certo tipo di internet, ha reso esponenziale questo atteggiamento di relazionarsi come ologrammi, anche per molti sfruttano il web per alterare la propria personalità con tutte le conseguenze del caso.
        Concordo totalmente sul pudore e silenzio.
        Il che equivale ad autoescludersi dalla società 😉 ma almeno si è ‘coscienti’.

        1. jepitiegrace: sono totalmente d’accordo: questa degradazione della persona, ridotta a bene di consumo intercambiabile, è esattamente alla base di quel meccanismo di “autorèclame”, come accade con i prodotti commerciali. Essendo tutti sostanzialmente identici, l’unico modo di venderli diventa reclamizzarli a più non posso. E così il narcisismo va alle stelle.
          Sì, in effetti ci si sente degli alieni a volte. Ma d’altro canto è meglio così se il prezzo da pagare è essere fagocitati dal collettivo… (perché è a questo che conduce l’assottigliamento dello “spessore interiore” della persona).

      2. Adriano

        “mia convinzione è che in un post non si “ammaestri” ma al massimo si possa sollecitare alla riflessione personale”

        Ecco.

  6. Bellissimo post. Ottima riflessione, non solo teorica, ma piena di esperienza. A parte quel “triste” riferimento allo Special One. Ciao
    Stefano

    1. Grazie Stefano. Mi fa piacere quel che dici perché in effetti non c’è post che non abbia “impastato” con esperienze di vita molto concrete, anche se non esplicitamente menzionate per ovvi motivi.

  7. Erika

    Concordo totalmente con Andreas.
    Nell’amore tra uomo e donna ci si elegge reciprocamente come essere unico e insostituibile nella vita dell’altro.
    Come potrebbe, dunque, non esserci gelosia?
    Semmai possono essere sbagliati i modi con cui questa gelosia si esprime: se tengo “segregato” l’altro, ecco che non gli lascio più la libertà di “scegliermi”.
    Se, al contrario, lo lascio libero, rassegnandomi a provare un po’ di questo strano sentimento che è la gelosia, avrò la gioia di essere scelto continuamente, nonostante tutte le seduzioni esterne.
    (Se parliamo di amore autentico, of course…)

  8. Pingback: F I L S B E N I E

  9. Erika

    Altro argomento che trovo fantastico: la fedeltà a se stessi.
    E’ una gran brutta (e subdola) forma di tradimento, quella che si mette in atto quando, per pigrizia, per egoismo, smettiamo di essere il “principe”, o la “principessa”, che eravamo.
    In virtù di questo “rango” siamo stati fatti re, o regina, ma quante volte veniamo meno alla “nobiltà ” che questo richiede?
    Non parlo, ovvio, dei cambiamenti, sia fisici che di indole, che intervengono col tempo e che si deve essere pronti ad accogliere.
    Ma se, ad esmpio, ho sposato un uomo tenero e protettivo, che a un certo punto non mi chiede più neanche come sto, oppure una ragazza dolcissima che dopo le nozze si trasforma in una strega…bè, non sono queste forme di tradimento, oltre che un (vigliacco) venir meno al proprio dovere?

    1. Erika: sono d’accordissimo: quello della fedeltà a se stessi è un punto assolutamente fondamentale e mai abbastanza richiamato. Ed è vero, per molti sembra che il matrimonio sia il punto d’arrivo, non invece il punto di partenza. Tanto che di fronte a simili voltafaccia può legittimamente insorgere il dubbio che la fase precedente le nozze fosse caratterizzata da una sorta di abile dissimulazione, come se l’altro avesse indossato una maschera che ora si può tranquillamente levare. Inutile dire che effetti devastanti possono avere un simile “cambio di rotta” e il conseguente sospetto di essere stati ingannati.

  10. 61Angeloextralarge

    Andreas: bel post! L’ho dovuto rileggere perché l’argomento lo richiedeva, ma concordo sulla tua meditazione. 😉
    “L’amore di un cuore forte, l’amore di profondità che non abbandona è necessariamente geloso custode dell’unicità del Tu amato” come sarebbe bello sentire così l’amore di Dio! Come sarebbe bello riamarlo così!
    “Essere custodi”: questo è l’aspetto che più mi piace. Essere custodi e veramente un salto di qualità che supera ogni forma di gelosia umana, ogni forma di gelosia spirituale (c’è anche questa, sigh!).
    Credo che la gelosia umana sia una forza incredibile: è l’uso che ne facciamo che spesso è sbagliato, soprattutto quando diventa ossessiva e quando limita la libertà del “soggetto amato”. E’ un peccato, è vero, ma solo se non riusciamo a dominarla. Se riusciamo ad incanalarla in qualcosa di costruttivo, può diventare un bene. E’ anche una malattia, quando è eccessiva, e per questo occorre farsi aiutare. Quante vittime della gelosia! E quanta violenza può generare!

    1. 61Angeloextralarge

      Alvise Maria Vincenzo: sarebbe la prima volta! Quasi quasi mi monto la testa! 😉

  11. Il possesso, più che la gelosia, mi sembra essere il male e il problema è appunto quando la gelosia si unisce al possesso, mentre la “gelosia disinteressata” (ossimoro solo apparente) è invece la forma virtuosa dell’amore, come mirabilmente detto da Florenskij e ripetuto da Andreas.
    Il possesso distrugge l’amore nella sua essenza, perché l’amore, che dice all’altro “non posso vivere senza di te” è in radice il gesto più umile che un uomo possa compiere nella sua vita. In quanto nell’istante in cui è preteso è negato l’amore non può che essere mendicato e ci lascia quindi in una trepidante attesa e giacché la persona amata non è Dio onnipotente, ma un essere umano comunque segnato dall’egoismo e dal peccato originale, un’attesa che è destinata inevitabilmente ad essere frustrata, come mirabilmente detto da geniocosmico nel post su Adele nessun uomo e nessuna donna può colmare fino in fondo il nostro vuoto.
    Questo dolore è in parte l’inizio della gelosia, sentimento che anche Dio prova non perché in lui ci sia un vuoto da colmare, ma perché appunto tradendo Lui è noi stessi in realtà che stiamo tradendo. Sentimento che quindi è nobile e giusto, fintantoché non uccide l’amore trasformandolo da supplica in possesso.
    C’è anche un’altra forma di gelosia, quella che ci porta a custodire nel partner (ommamma come mi sento strano a usare questa parola) la sua propria verità. Anni fa mi accadde di confessare un sacerdote che si era preso una sbandata per una suora senza però cadere nel peccato, e ricorderò sempre (perché mi sembra bellissima) la cosa che lui disse a lei, nel momento in cui entrambi decisero di fare un passo indietro: “non ti permetterò di tradirmi con me”. Che significa: se mi sono innamorato di te è per ciò che sei, non ti permetterò di diventare altro da questo nemmeno se tu lo facessi per avermi.

    1. Sì, concordo con don Fabio. Proprio perché in certo qual modo siamo soggetti moralmente degni di Lui, Dio non può violare la nostra libertà. Ognuno di noi è un “pezzo unico”, irreplicabile e insostituibile. Ma in quanto dotato di libertà l’eletto, il prescelto, l’erede insignito della carica regale può anche abdicare. Quando ciò accade, nell’amore umano, è come se ci si strappasse un lembo di carne, un braccio, una porzione del proprio corpo. Rimane una ferita sanguinante. Per questo amare, come si è detto tante volte, comporta sempre l’esposizione al rischio della ferita, implica sempre il sacrificio. È un impegno assolutamente coinvolgente, come quello del soldato disposto a morire in battaglia. Non ci sono assicurazioni o “posti sicuri” in battaglia, non si bleffa più, il tempo delle parole è finito e ognuno dà ciò che ha, coraggio o viltà. Togliere l’elezione, levare l’amore all’essere cui l’avevamo conferita è qualcosa di realmente lacerante, perfino innaturale, visto che l’amore è pienezza traboccante che tende a uscire dal sé. Riassorbila dentro di sé può tramutarla in veleno.
      Gomez Davila, cito a memoria, da qualche altra parte nelle migliaia di pagine degli Escolios scrive anche che amare è intuire la ragione per cui Dio ha creato la persona che amiamo. Dunque sempre la coscienza della sua radicale unicità. Ecco perché l’amore autentico, come la fedeltà, ha qualcosa dell’eternità ed è sempre contemplativo, cioè presenza viva di un mistero ineffabile (ma questo è un altro post…. ;-)).
      La gelosia si tramuta in quel bramoso e avido “mostro dagli occhi verdi” quando compie il cammino inverso: se amare è l’atto che trasforma l’oggetto amato da cosa in persona, la bramosia è l’atto che trasforma l’oggetto da persona in cosa. La bramosia è modellata sull’avere e sulla cupidigia, l’oggetto del desiderio è assimilato a un bene da consumare avidamente. L’amore invece esige anche pudore e distacco, in caso contrario dimentichiamo che l’altro, come noi, in ultima istanza è un mistero che non può essere interamente detto e tanto meno posseduto. E guarda caso, pudore e gelosia sono sottoposti entrambi a un tiro incrociato.

  12. P.S. è interessante notare che zeleuo in Greco non vuol dire solo essere gelosi, ma anche applicarsi a un lavoro in modo meticoloso, oppure appassionarsi a qualcosa, amare appassionatamente

  13. Alessandro

    L’amore di Dio per il popolo è paterno e materno insieme, ed è tale che Dio non lo revoca nonostante le infedeltà di Israele.

    “La paternità divina nei confronti d’Israele è caratterizzata da un amore intenso, costante e compassionevole. Nonostante le infedeltà del popolo, e le conseguenti minacce di castigo, Dio si rivela incapace di rinunciare al suo amore. E lo esprime in termini di profonda tenerezza, anche quando è costretto a lamentare l’incorrispondenza dei suoi figli: “Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore: ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare . . . Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? . . . Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11, 3s.8; cfr Ger 31, 20).

    Persino il rimprovero diviene espressione di un amore di predilezione, come spiega il libro dei Proverbi: “Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto” (Pr 3, 11-12).

    4. Una paternità così divina e nello stesso tempo così “umana” nei modi con cui si esprime, riassume in sé anche le caratteristiche che solitamente si attribuiscono all’amore materno. Anche se rare, le immagini dell’Antico Testamento in cui Dio si paragona ad una madre sono estremamente significative. Si legge ad esempio nel libro di Isaia: “Sion ha detto: ‘Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 14-15). E ancora: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò” (Is 66, 13).

    L’atteggiamento divino verso Israele si manifesta così anche con tratti materni, che ne esprimono la tenerezza e la condiscendenza (cfr CCC, 239). Questo amore, che Dio effonde con tanta ricchezza sul suo popolo, fa esultare il vecchio Tobi e gli fa proclamare: “Lodatelo, figli d’Israele, davanti alle genti: Egli vi ha disperso in mezzo ad esse per proclamare la sua grandezza. Esaltatelo davanti ad ogni vivente; è Lui il Signore, il nostro Dio, lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli” (Tb 13, 3-4).”

    (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 20 gennaio 1999)

  14. Mi sono andato a rileggere le pagine originali di Florenskij e ho notato che lui applica questo discorso della gelosia non solo all’amore sponsale, ma anche all’amicizia, affermando apertamente che l’amicizia è esclusiva.
    Che ne pensate? A me sembra un’esagerazione, anche perché se uno applicasse alla lettera ciò che dice Florenskij 1) non potrebbe avere che un solo amico 2) dovrebbe scegliere: o si sposa o ha un amico, le due cose sarebbero incompatibili. Insomma alla fine dei conti una concezione dell’amicizia così mi sembra assai poco sana e poco cattolica, perché finisce nei fatti con il rendere impossibile la comunità

    1. Alessandro

      No, l’amicizia non può essere esclusiva, anche se deve essere fedele. Il legame d’amicizia per autenticarsi esige fedeltà ma non esclusività. Anzi, l’ideale a cui tendere è che ciascuna persona faccia tutti destinatari del proprio “amor amicitiae” (per dirla con Tommaso), cioè dell’amore propriamente donativo/oblativo (l’amore che vuole senza riserve il bene dell’amato). Anche il coniuge è destinatario dell’amor amicitiae, ma il matrimonio conferisce a questo nesso una peculiare esclusività.

      1. D’accordo, ma allora filosoficamente in cosa l’amore sponsale si distingue dall’amor amicitiae? Quali sono le sue peculiarità?

          1. Non mi convince. Anche Samek Lodovici identifica l’amore coniugale nel “volere il bene dell’altro”, ma questo non lo differenzia in essenza dall’amore di amicizia, né è fondamento all’esclusività: perché non potrei volere il bene di più di una persona?
            A costo di sembrare banale invece io credo che il proprium dell’amore coniugale sia nel biblico essere una sola carne, ricordando che “basar” in ebraico significa molto più che carne in italiano, sostituisce anche il termine persona, che l’ebraico antico non conosceva.
            Il proprium dell’amore coniugale cioè mi sembra la fusione di due che diventano uno, fusione che nell’amicizia è “vietata”, perché anzi l’amicizia gode della diversità dei due e quindi in un certo modo deve mantenere una distanza, se quindi l’amicizia diventa fusione perde il suo carattere amicale per mutarsi in altro.
            Per questo l’amicizia non è esclusiva, perché gode della diversità, per questo “più siamo meglio stiamo”. E il matrimonio? E’ stato detto che l’amore se non trova uguali rende uguali, mi sembra molto vero. Gli sposi forse non sono pienamente una cosa sola, ma tendono ad esserlo, è questo il desiderio fondamentale che li unisce (in italiano ad esempio abbiamo quella bella espressione “la mia metà” per indicare il coniuge) così che l’un l’altro si confessano la loro incompiutezza senza l’altro.
            A un amico non mi verrebbe mai in mente di dire “senza te non posso vivere” mentre se avessi una sposa glielo direi ogni giorno 😉

          2. Alessandro

            Aggiungo: al coniuge doni la tua intimità profonda, tutto te stesso, senza residui (l’atto propriamente sponsale è dedizione integrale). E accade il reciproco. Il terzo (il figlio) è frutto delle due intimità, ma non si identifica con nessuna delle due. Quasi a testimoniare che quando due intimità si donano così profondamente giungono a trasfigurarsi, fino al punto che ciascuna diventa (quasi) una intimità che non coincide né con l’una né con l’altra intimità degli sposi. Talmente profondo e senza riserve è l’incontro/compenetrazione dei corpo e degli spiriti, che ciascuno dei coniugi, congiuntosi all’altro, rimane certo sé stesso, rimane quell’intimità ultimamente irriducibile inconfondibile e immoltiplicabile che era prima del coniugio, ma non è più solo quell’intimità: è come se (e il figlio, il terzo, è per così dire la personificazione di questo accadimento portentoso) la sua intimità fosse rinnovata, non soppressa ma modificata, tanto da essere certo ancora “l’intimità di Tizio”, ma anche ormai “l’intimità di Tizio congiunta all’intimità di Caia”.
            Orbene, come potrebbe disposarsi, congiungersi carnalmente con altri che con Caia Tizio, la cui intimità, ossia la cui stessa identità più profonda è ormai “intimità di Tizio congiunta all’intimità di Caia”? Sarebbe un tradimento della propria identità, che l’unione con la sposa non ha estinto (né ha reso confondibile/identificabile con quella di Caia) ma ha rinnovato indelebilmente, con una profondità e radicalità quasi-ontologica (per così dire).

            1. Alessandro

              Don Fabio, ho scritto questo senza aver letto quello che hai scritto tu qui sopra. Pur non essendoci messi d’accordo, mi sembra che le nostre considerazioni muovono nella medesima direzione…

    2. 61Angeloextralarge

      Concordo sull’esagerazione, anzi aggiungo che a volte “il migliore amico” e “la migliore amica” di un uomo/donna sposati sono dei bastoni tra le ruote e motivo di gelosie… ne conosco tanti! 😉

      1. 61Angeloextralarge

        Soprattutto se la storia è del tipo “lo/la conosco meglio io perché siamo amici da prima che conoscesse te!”

    3. Anche a me qui Florenskij non ha affatto convinto. Decisamente meglio C.S. Lewis che nei “Quattro amori” parla dell’amicizia come il «meno geloso degli affetti». Due amici, a differenza di due coniugi, sono ben lieti che se ne aggiunga un terzo, a patto che abbia le «carte in regola per essere un vero amico». Lewis poi cita Dante e dice che nell’amicizia «condividere non significa perdere».

  15. nonpuoiessereserio

    Amici, che ricchezza questo post e i vostri commenti pieni di riflessioni ispirate. Chi ha voglia di prendersi la briga di raccogliere tutto in un libro?

I commenti sono chiusi.