Sogni e miracoli

di Gerardo Ferrara    lacapannadellozioblog

Rimango sempre colpito nel pensare alla millenaria attesa messianica del popolo ebraico, alle preghiere instancabili e a quel senso di appartenenza, di comunità che lo caratterizza. Sia nei brani dell’Antico Testamento che in quelli del Nuovo, nelle preghiere come nelle benedizioni, è facilissimo riscontrare un anelito continuo, quasi una fissazione, per la liberazione dalla schiavitù e dall’oppressione, per l’amore verso Gerusalemme e la Terra Promessa, per il ritorno a Dio e alla patria perduta. In tutto questo, vedo sempre una costante: i sogni, i desideri e le preghiere sono quasi sempre collettivi, per il popolo, per “noi” .

Rispetto agli ebrei, noi cristiani, che celebriamo in questi giorni la Settimana santa e commemoriamo la Pasqua di Gesù Cristo, Dio incarnato, divenuto il cuore della nostra fede al posto della Legge e di Gerusalemme, abbiamo forse perso un po’ l’abitudine di pregare per il nostro popolo, la Chiesa, di desiderare qualcosa che sia “nostro” e non solo “mio”. Eppure, quanta forza e quanta vita acquista un sogno se questo coinvolge anche le persone che amiamo, non solo noi.

Ultimamente, si è risvegliata in me una strana voglia di sognare che credevo fosse tipica dell’adolescenza. La differenza, rispetto ad allora, è che i miei desideri, a volte impossibili, altre ancora delle vere e proprie utopie che avrebbero bisogno di un miracolo per realizzarsi, mi sembrano molto più concreti, belli, reali, utili, puri perché alimentati da qualcosa che li rende potenzialmente veri: essi non sono solo i miei. E’ strano a dirsi, ma il sostegno, la preghiera, la partecipazione delle persone che mi sono vicine può trasformare un sogno in realtà ed il modo in cui il sogno nasce, si definisce, si sviluppa e, magari, si realizza è ancora più bello di un miracolo, perché condiviso, perché arricchito dal continuo apporto di idee, contributi, opinioni, spunti creativi, nuovi punti di vista che aiutano a conoscere meglio me stesso, ciò che voglio, ciò di cui ho bisogno e quello che posso fare.

Dalla mia meta, dalla mia terra promessa, dal mio sogno mi separa il Mar Rosso e mi trovo ancora nel bel mezzo del deserto, ma non sono solo, c’è il mio popolo, i miei amici: siamo tutti uniti nel camminare nella stessa direzione, verso il medesimo obiettivo ed è, forse, più bello per noi costruire insieme una diga che contenga le acque e ci permetta di attraversare il mare piuttosto che aspettare un fuoco dal cielo che venga ad aprirle miracolosamente e ci consenta il passaggio. Intendiamoci, l’aiuto di Dio è necessario, richiesto, gradito, di per sé miracoloso, ma essere suoi collaboratori, anziché marionette che attendono di essere collocate in un punto o in un altro, è decisamente più affascinante.

Per me, la Pasqua di quest’anno è segno non solo del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla vita eterna, dal dolore alla risurrezione. Essa mi ricorda che, se Qualcuno è morto da solo per me, è perché io avessi la vita e la vivessi con e per il mio prossimo, i miei amici, per cui sono chiamato anch’io a dare la vita e che sono chiamati, a loro volta, a dare la vita per me. Che cosa significa questo? Morire, essere crocifissi? Non necessariamente. Amare, dare la vita in questo caso significa, altresì, rendere l’esistenza di una persona degna di essere vissuta, alimentare i suoi sogni, quelli buoni, veri e utili, partecipare alle sue gioie (non soltanto alle sofferenze), darle speranza, godere del dono di noi stessi a quella persona e di quella persona a noi stessi, essere felici insieme facendo qualcosa di bello.

Questa Pasqua rappresenta, dal mio punto di vista, la (ri)scoperta di quanto io e i miei amici, familiari, fratelli e sorelle siamo un corpo e un’anima sola: se non posso contare sulle mie gambe per attraversare il deserto, so che quel mio amico, più forte e atletico di me, mi darà una mano; se mi sento solo, posso contare su un’altra amica, dolce e materna, che sa sempre come prendermi; se, nell’attraversare il Mar Rosso, avrò paura, sono certo che sarò circondato da persone che mi incoraggeranno ad andare avanti e saranno pronte persino a prendermi in braccio, quando non ce la farò; se sarò triste, ci sarà chi saprà farmi ridere; se sarò malato, avrò chi mi curerà; se sarò nudo, qualcuno mi vestirà e, se avrò fame, mi daranno da mangiare. Mi sono stati donati mille occhi, di tutti i colori, e senza bisogno di lenti a contatto; braccia femminili, maschili, forti e virili, abili e sensibili; ho tante voci che raggiungono tutte le tonalità; infinite possibilità e capacità, nell’arte, nella musica, nella vita, tante quante sono le persone che mi sono accanto. Io sono loro e loro sono me.

Del libro della mia vita, posso dire di essere lo scrittore, ma i volti dei miei cari sono le parole su ogni pagina, i paesaggi, le sensazioni, le emozioni. Per questa ragione, posso affermare che la parola che accompagnerà le festività pasquali sarà per me “comunione”: un solo corpo, un solo spirito, una vita da condividere.

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39 pensieri su “Sogni e miracoli

  1. Che bello!!!!!
    Grazie di questo post pieno di gioia e di voglia di vivere!
    Per me questo blog mi ha aiutato molto nel senso di appartenenza ad una chiesa cattolica, cioè, che abbraccia tante realtà e carismi diversi. Dal mio punto di vista, il fatto che sia ancora in piede una baracca così grande con sotto persone così diverse è in sé una prova che ci sia davvero Gesù a sostenerci. Basta vedere i nostri amici protestanti, che si sono staccati dopo e ora sono “le chiese protestanti”.
    Io la mia comunità di fede non virtuale l’ho già, ma il confrontarmi con tutti voi, capire la diversità nell’unità, capire che ci sono tanti modi di essere Cattolici Apostolici Romani e che sono tutti belli, ricordare che faccio parte di una cosa enorme e bella che è questo popolo che cammina mi ha dato tanta gioia.
    Grazie Costanza che ci ospiti così bene e ci ha permesso di incontrarci, a volte un poco troppo a lamentarci, ma anche a scambiare idee e, soprattutto, a pregare.
    E’ la Pasqua de Signore!
    Alleluia!
    Buona Pasqua a tutti!

  2. Anche io sono una sognatrice, e sono sogni ampio raggio, che coinvolgono le persone a me vicine.
    Ultimamente purtroppo mi trovo ad affrontare una grande prova e anche se mi sento schiacciare dal più “forte” devo resistere. Quelli che faccio ultimamente sono solo INCUBI e provo tanta TRISTEZZA, proprio incubi e tristezze è il titolo del mio ultimo post: http://mogliemammadonna.blogspot.it/2012/04/incubi-e-tristezza.html.
    L’opposto del tuo di oggi!
    Ma la speranza è con me e come si cantava ieri a messa qui da me… LOTTA PER UN MONDO NUOVO, LOTTA PER LA VERITà.
    La mia preghiera per questa Pasqua e che nelle persone cattive ed arroganti risorga quel poco di buono che ancora hanno dentro.
    Auguri a tutti!

  3. Alessandro

    Un po’ OT, ma stamattina il Papa alla Messa Crismale ha tenuto un’omelia intensa e vibrante, riferendosi esplicitamente alla disobbedienza di sacerdoti austriaci, e domandandosi se la disobbedienza al Magistero possa rendere migliore la Chiesa.
    Ha detto che 1) occorre essere obbedienti come Cristo obbedientissimo al Padre; 2) è fuorviante la convinzione che l’obbedienza sia foriera di fissismo, rigidità opprimente, ripetizione sclerotizzata e soffocante di rituali e formule e abitudini obsolete: è proprio Cristo obbedientissimo al Padre, infatti, che fa nuove tutte le cose, che a tutti gli uomini dona gioia intramontabile e vita piena, senza ombra di stanchezza e senza insidia di morte.

    “Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

    Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

    Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

    Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento.”

    1. Alessandro

      Nell’omelia della S. Messa in coena Domini, il Papa ha idealmente proseguito e concluso il discorso svolto nell’omelia della Messa Crismale: non c’è contraddizione tra libertà e obbedienza a Dio, la disobbedienza snatura la libertà, l’obbedienza la alimenta e la invera.

      “Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà.

      Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi.”

      http://magisterobenedettoxvi.blogspot.it/2012/04/il-papa-quando-luomo-si-mette-contro.html

  4. OT ma, a proposito di cose antiche e nuove (“pulchritudo tam antiqua et tam nova”) si sono imbattuta in una ricostruzione virtuale dell’abbazia di Cluny.
    http://www.lucisullest.it/dett_news.php?id=7466

    Non c’è bisogno di ricordarvi cosa sia stata Cluny per la Cristianità medievale: un faro di fede e di cultura. Spogliata, devastata e adeguata al suolo tra il 1789 e il 1813 (tanto ci volle per eliminarla definitivamente…).

  5. Ho letto oggi un articolo di MESSORI!!! Inserto corriere della sera (arriva anche a firenze, purtroppo)
    Parla anche lui della resurrezione e poi della scommessa pascaliana (non pascoliana!)
    A me questo discorso della scommessa mi sembra il più lontano possibile dal credere e scomparire in questa credenza.
    Una scommessa mi suona come dire “o la va o la spacca” si starà a vedere, non può funzionare spiritualmente.
    Non ci vedo nulla di “pneumatico”!!!

    1. sono totalmente d’accordo: la scommessa pascaliana non regge, in sé e per sé. Del resto, non in tutte le pagine di Pascal che ho letto ho trovato esemplato questo paradigma di fede.
      Sono sicuro che trascorrerai un Venerdì Santo degno dell’uomo sensibile e di pensiero che sei. Possa tu lasciarti interpellare dal Crocifisso, e possa tu vedere il Cristo rialzarsi trionfante dal sepolcro della nostra incredulità. Santa Pasqua.

  6. Alessandro

    Adriano Bausola scrive: “Ma – è stato giustamente affermato – non ci si apre a un Dio d’amore, come quello dei cristiani, con un calcolo, con una scommessa. Questo è vero: ma se rileggiamo il frammento [pascaliano], nell’ultima sua parte, vediamo che si riconosce come la fede e l’amore per Dio non si guadagnino certo per calcolo […] Pascal invita a vivere praticamente come se Dio esistesse […] questo tentativo può disporre l’uomo a ricevere, poi, la grazia, e con la grazia l’amore salvifico; esso deve mettere in una condizione favorevole alla ricezione della fede portando a compiere gli atti della vita cristiana che, ripetuti, producono un atteggiamento della volontà disponibile ai valori cristiani, e alle prove storiche del cristianesimo esplicitamente richiamate bella seconda pare del fr. 451, e alla comprensione […] del Dio-amore, di Gesù Cristo mediatore e salvatore.” (Pascal, Pensieri Opuscoli Lettere, Rusconi 1978, p. 827).

    Insomma, il “pari” pascaliano può infondere in chi scommette un atteggiamento di apertura incoativa all’influsso della Grazia, atteggiamento che taluni uomini non riescono ad assumere altrimenti, poiché non sono persuasi né da argomentazioni razionali sull’esistenza di Dio né dalla testimonianza delle Scritture.

  7. 61Angeloextralarge

    Tiziano, il bimbo di 10 anni con un tumore alle ossa, per il quale avevo chiesto preghiere, non ce l’ha fatta. E’ tornato in Cielo martedì 3 aprile. Mi dispiace molto!

    1. E’ andato dal Padre a festeggiare la Pasqua! Che Dio assista i suoi genitori in un momento di dolore così profondo. Che colei che ha avuto una spada che le trafisse il cuore possa assistere questo cuore di madre infranto.
      Requiem aeternam.

  8. 61Angeloextralarge

    Ragazzi (come direbbe paperella) TANTISSIMI AUGURI!

    “Non lasciare mai
    che le tue preoccupazioni
    crescano fino al punto di farti dimenticare
    la gioia del Cristo risorto.
    Tutti noi aneliamo al Paradiso,
    ma possiamo essere sin da ora con Gesù
    e comunicare la sua gioia.
    Questo significa:
    amare come Lui ama;
    aiutare come Lui aiuta;
    dare come Lui dà;
    servire come Lui serve;
    salvare come Lui salva.
    Significa essere con Lui ventiquattro
    ore al giorno e toccarlo
    nel suo aspetto più malandato.”

    Madre Teresa di Calcutta, Il Risorto

  9. Maxwell

    TI ADORO O CROCE SANTA

    Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Corpo Sacratissimo del mio Signore,coperta e tinta del Suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me.
    Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che è il mio Signore. Amen.

    (Recitata 33 volte il Venerdi Santo, libera 33 Anime del Purgatorio.
    Recitata 50 volte ogni venerdi ne libera 5. Venne confermata dai Papi Adriano VI, Gregorio XIII e Paolo VI ).

  10. Alessandro

    “Scrive san Marco, come abbiamo ascoltato: «Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (15,34)…

    Ma che significato ha la preghiera di Gesù, quel grido che lancia al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»? il dubbio della sua missione, della presenza del Padre? In questa preghiera non c’è forse la consapevolezza proprio di essere stato abbandonato? Le parole che Gesù rivolge al Padre sono l’inizio del Salmo 22…

    Ripetendo dalla croce proprio le parole iniziali del Salmo, “Elì, Elì, lemà sabactàni?” – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46), gridando le parole del Salmo, Gesù prega nel momento dell’ultimo rifiuto degli uomini, nel momento dell’abbandono; prega, però, con il Salmo, nella consapevolezza della presenza di Dio Padre anche in quest’ora in cui sente il dramma umano della morte […]; fa suo l’intero Salmo 22, il Salmo del popolo di Israele che soffre, e in questo modo prende su di Sé non solo la pena del suo popolo, ma anche quella di tutti gli uomini che soffrono per l’oppressione del male e, allo stesso tempo, porta tutto questo al cuore di Dio stesso nella certezza che il suo grido sarà esaudito nella Risurrezione: «il grido nell’estremo tormento è al contempo certezza della risposta divina, certezza della salvezza – non soltanto per Gesù stesso, ma per “molti” » (Gesù di Nazaret II, 239-240).

    In questa preghiera di Gesù sono racchiusi l’estrema fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, anche quando sembra assente, anche quando sembra rimanere in silenzio, seguendo un disegno a noi incomprensibile.”

    (Benedetto XVI, Udienza generale. La preghiera di Gesù di fronte alla morte (Mc e Mt), 8 febbraio 2012)

  11. Alessandro

    “La preghiera di Gesù, in questo momento di sofferenza – «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» – è un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio. Tale preghiera esprime la piena consapevolezza di non essere abbandonato.
    L’invocazione iniziale – «Padre» – richiama la sua prima dichiarazione di ragazzo dodicenne. Allora era rimasto per tre giorni nel tempio di Gerusalemme, il cui velo ora si è squarciato. E quando i genitori gli avevano manifestato la loro preoccupazione, aveva risposto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (Lc 2,49). Dall’inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesù, la sua parola, la sua azione, è la relazione unica con il Padre. Sulla croce Egli vive pienamente, nell’amore, questa sua relazione filiale con Dio, che anima la sua preghiera.

    Le parole pronunciate da Gesù, dopo l’invocazione «Padre», riprendono un’espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). Queste parole, però, non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano una decisione ferma: Gesù si «consegna» al Padre in un atto di totale abbandono. Queste parole sono una preghiera di «affidamento», piena di fiducia nell’amore di Dio. La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui.

    Nel Getsemani, quando era entrato nella lotta finale e nella preghiera più intensa e stava per essere «consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44), il suo sudore era diventato «come gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,44). Ma il suo cuore era pienamente obbediente alla volontà del Padre […] Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare «nelle mani degli uomini», ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; così – come afferma l’Evangelista Giovanni – tutto è compiuto, il supremo atto di amore è portato sino alla fine, al limite e al di là del limite.”

    (Benedetto XVI, Udienza generale. La preghiera di Gesù nell’imminenza della morte, 15 febbraio 2012)

  12. Alessandro

    “Sopra la croce di Gesù – nelle due lingue del mondo di allora, il greco e il latino, e nella lingua del popolo eletto, l’ebraico – c’è scritto chi è: il Re dei Giudei, il Figlio promesso di Davide. Pilato, il giudice ingiusto, è diventato profeta suo malgrado.
    Davanti all’opinione pubblica mondiale viene proclamata la regalità di Gesù.
    Gesù stesso non aveva accettato il titolo di Messia, in quanto avrebbe richiamato un’idea sbagliata, umana, di potere e di salvezza. Ma adesso il titolo può stare scritto lì pubblicamente sopra il Crocifisso.
    Egli così è davvero il re del mondo. Adesso è davvero “innalzato”. Nella sua discesa egli è salito. Ora ha radicalmente adempiuto al mandato dell’amore, ha compiuto l’offerta di se stesso, e proprio così egli ora è la manifestazione del vero Dio, di quel Dio che è l’amore.
    Ora sappiamo chi è Dio. Ora sappiamo com’è la vera regalità.

    Gesù prega il Salmo 22, che comincia con le parole: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Sal 22, 2). Assume in sé l’intero Israele sofferente, l’intera umanità sofferente, il dramma dell’oscurità di Dio, e fa sì che Dio si manifesti proprio laddove sembra essere definitivamente sconfitto e assente. La croce di Gesù è un avvenimento cosmico. Il mondo si oscura, quando il Figlio di Dio subisce la morte. La terra trema. E presso la croce ha inizio la Chiesa dei pagani. Il centurione romano riconosce, capisce che Gesù è il Figlio di Dio.
    Dalla croce egli trionfa, sempre di nuovo.”

    (Joseph Ratzinger, Meditazione della dodicesima stazione (Gesù muore sulla Croce), Via Crucis del Colosseo, 2005)

  13. Alessandro

    “Il cammino della Via Crucis, che abbiamo spiritualmente ripercorso questa sera, è un invito per tutti noi, e specialmente per le famiglie, a contemplare Cristo crocifisso per avere la forza di andare oltre le difficoltà.

    La Croce di Gesù è il segno supremo dell’amore di Dio per ogni uomo, è la risposta sovrabbondante al bisogno che ha ogni persona di essere amata. Quando siamo nella prova, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione, guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per continuare a camminare; lì possiamo ripetere, con ferma speranza, le parole di san Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35.37).

    Nelle afflizioni e nelle difficoltà non siamo soli; la famiglia non è sola: Gesù è presente con il suo amore, la sostiene con la sua grazia e le dona l’energia per andare avanti. Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l’unità della nostra vita e della famiglia.

    Il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo incoraggia a camminare con speranza: la stagione del dolore e della prova, se vissuta con Cristo, con fede in Lui, racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del mondo risorto, la pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola.”

    (Benedetto XVI, Saluto del Santo Padre, Via Crucis 2012)

    1. 61Angeloextralarge

      Paolo: visto che non riesco a lasciare commenti da te, te lo lascio qui! 😉
      Il post sui sedici anni mi è piaciuto particolarmente perché mi hai trasmesso quello che avrei voluto che mio padre mi trasmettesse quando avevo quell’età. Non so se mi spiego! Smack! 😀
      Su questo post avrei voluto lasciarci queste parole:
      “anche io, senza lasciarmi condizionare, “studio” il comportamento degli altri in base anche ai commenti ed altro. Più per crescere che per farmi venire le paranoie. La cosa bella è comunque e sempre essere sé stessi. quindi la spontaneità dei tuoi post, come quella che trovo in Costanza, don Fabio, Karin, Andreas ed altri è talmente fresca che vale proprio la pena di continuare a “posteggiare”. Qualcuno che vedrà qualcosa di diverso in quello che è stato scritto, ci sarà sempre. ma so per certo che ognuno vede e vedrà quello che in realtà ha dentro sé stesso: se c’è malizia vedrà malizia, se c’è negatività vedrà negatività, se c’è positività vedrà positività, etc.”
      Buona Pasqua anche a te e famiglia! Continua così che la strada è quella giusta. Smack! 😀

  14. “Noi sappiamo che per coloro che amano Iddio, egli coopera tutto al bene, per coloro (cioè)che secondo il suo disegno sono chiamati. Coloro infatti che Egli preconobbe, li ha pure destinati ad essere conformi all’immagine del suo figlio, affinché egli sia il primogenito fra molti fratelli. Quelli che ha predestrinati, li ha pure chiamati, e quelli che ha chiamati, li
    ha pure giustificati, e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati”
    Rom 8, 28-30

  15. Alessandro

    “Il mistero del Sabato Santo”

    “Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.

    In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui.

    Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli.

    Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione.”

    (Benedetto XVI, Venerazione della Santa Sindone nel Duomo di Torino – Meditazione del Santo Padre, 2 maggio 2010)

  16. Alessandro

    Il Sabato Santo

    “Ritorniamo ancora alla notte del Sabato Santo. Nel Credo professiamo circa il cammino di Cristo: “Discese agli inferi”. Che cosa accadde allora? Poiché non conosciamo il mondo della morte, possiamo figurarci questo processo del superamento della morte solo mediante immagini che rimangono sempre poco adatte.

    Con tutta la loro insufficienza, tuttavia, esse ci aiutano a capire qualcosa del mistero. La liturgia applica alla discesa di Gesù nella notte della morte la parola del Salmo 23 [24]: “Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!” La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea.

    Cristo, però, ne possiede la chiave. La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta. L’amore di Colui che, essendo Dio, si è fatto uomo per poter morire – questo amore ha la forza per aprire la porta. Questo amore è più forte della morte. Le icone pasquali della Chiesa orientale mostrano come Cristo entra nel mondo dei morti. Il suo vestito è luce, perché Dio è luce. “La notte è chiara come il giorno, le tenebre sono come luce” (cfr Sal 138 [139],12). Gesù che entra nel mondo dei morti porta le stimmate: le sue ferite, i suoi patimenti sono diventati potenza, sono amore che vince la morte.

    Egli incontra Adamo e tutti gli uomini che aspettano nella notte della morte. Alla loro vista si crede addirittura di udire la preghiera di Giona: “Dal profondo degli inferi ho gridato, e tu hai ascoltato la mia voce” (Gio 2,3). Il Figlio di Dio nell’incarnazione si è fatto una cosa sola con l’essere umano – con Adamo. Ma solo in quel momento, in cui compie l’atto estremo dell’amore discendendo nella notte della morte, Egli porta a compimento il cammino dell’incarnazione. Mediante il suo morire Egli prende per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa e li porta alla luce.”

    (Benedetto XVI, Omelia della Veglia Pasquale nella Notte Santa, 7 aprile 2007)

  17. Alessandro

    Il Sabato Santo- 3

    – «Santità, che cosa fa Gesù nel lasso di tempo tra la morte e la Risurrezione? E visto che nella recita del Credo si dice che Gesù, dopo la morte, discese negli Inferi, possiamo pensare che sarà una cosa che accadrà anche a noi, dopo la morte, prima di salire al Cielo?».

    – “Innanzitutto, questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro. È un viaggio dell’anima.
    Dobbiamo tener presente che l’anima di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato.

    Questa parola della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi. I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto. E crea così l’accesso a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio. Lui stesso, essendo uomo, prendendo in mano l’uomo, apre l’accesso, apre cosa? La realtà che noi chiamiamo Cielo.”

    (Intervista a Benedetto XVI, 22 aprile 2011)

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