Bilanci, giudizi e salami

di Costanza Miriano

“Come è difficile capirsi, mio caro” – ho detto ieri sera appunto al mio caro, dopo un banalissimo malinteso, indossando un sorriso da mogliettina anni ’50. “Cosa esattamente non capisci?” – mi ha stroncato lui, marito anni 2000 impermeabile a ogni moina (è un genio). E’ perché ho un marito che mi risponde così, e nonostante questo non volevo né andare in analisi né prendere a craniate la credenza lillà che mi sono risolta a scrivere un libro. Per imparare la lingua maschile. E’ evidente che non ci sono riuscita.

E per di più la cosa ha avuto degli effetti collaterali, non tutti necessariamente positivi. Voglio dire, ventimila copie, sì, un sacco di riconoscimenti, inviti, attestati di stima, molte nuove amicizie preziosissime, alcune diventate fondamentali. Ma da un punto di vista spirituale, mi chiedo, cosa ha significato questo ciclone che è entrato nella mia, anzi nella nostra vita?

A questo punto il bilancio diventa troppo intimo, quello che riguarda me, e troppo privato per quello che riguarda la famiglia, per poterne parlare qui. Mi sono accorta – sono lenta di comprendonio e ci ho messo un po’ a capirlo – che la rete esacerba gli animi, e che a volte fa sentire le persone libere di roteare la mazza chiodata ed emettere giudizi netti e severi e a volte anche cattivi, giudizi a cui non si azzarderebbero parlando con qualcuno in carne ed ossa, osservandone le movenze e gli accenti.

Ma il cuore del ragionamento non è questo. E’ piuttosto il fatto stesso di giudicare. La Sapienza eterna ci dice di non farlo. Non perché non ci sbilanciamo, e neanche per una sorta di legge del taglione che ci permetta di non essere giudicati, né, infine, per ipocrisia, no di certo. Ma proprio, profondamente, veramente, perché non ne siamo capaci.

Io personalmente sono certa di non essere in grado di giudicare neppure me stessa. Di certo non lo sono gli altri: mi rendo conto di godere di una stima esagerata, ma niente in me è cambiato rispetto a quando mi sono sentita incompresa e sottovalutata. Anzi, forse ci sono stati anni di servizio silenzioso ai figli piccoli, alle fatiche quotidiane (quelle di tutti, per carità) in cui, chissà, magari ero più vicina al Signore. Davvero non lo so.

Penso che nessuna delle nostre azioni sia totalmente pura, neanche le più buone agli occhi degli altri (vanagloria, compiacimento, emulazione, perfezionismo, invidia, competizione possono sempre mettersi in mezzo). Senza lo Spirito Santo nulla è nell’uomo, nulla senza colpa. Per questo c’è tanto bisogno di pregare, anche quando ci sembra di stare a posto con le azioni.

Questo tempo quaresimale è propizio alla conversione profonda del cuore, alla consegna totale, alla resa. Sapendo che ci si arrende a Dio che è amore totalmente misericordioso, che ci aspetta paziente per anni, solo per dirci che ama ognuno di noi come un figlio unico. E’ questo il messaggio di alcune grandi sante degli ultimi anni: di santa Teresina di Lisieux, che ha tracciato la piccola via, di Madre Speranza, instancabile apostolo dell’amore misericordioso, di Santa Faustina Kowalska (Enrica, hai visto?: ho ascoltato il tuo consiglio…), tanto cara a Wojtyla che nella festa della Divina misericordia è salito al cielo. La festa cade la domenica dopo Pasqua, ma già quest’ultima parte di quaresima è propizia, molto propizia a riprendere in mano la coroncina e il Diario di Faustina (io amo in particolare i testi della Via crucis).

L’insegnamento che traggo da tutti i testi di meditazione sulla divina misericordia, e sulla sproporzione con la nostra finitezza, è che nulla di solo umano è profondamente, veramente, totalmente buono. Nulla, chiaro, tranne il pane umbro sciapo cotto a legna, con il salame. (Ho pochi capisaldi di teologia, ma su quelli non ho dubbi).

66 pensieri su “Bilanci, giudizi e salami

  1. angelina

    Non conosco il torcolo, credo sia dolce. Il salame però è solo Ciauscolo, ovviamente.
    Bello, molto bello veder citate tante cose a me care (sì, pane sciapo incluso, ma tutto il resto anche di più).
    Complimenti Costanza, davvero l’unica cosa desiderabile è essere vicini al Signore. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio…

  2. In effetti il ciauscolo è marchigiano, ed è morbido. Quello umbro è ben stagionato. Ma sui salami non vado per il sottile, soprattutto per quelli dell’Italia centrale (vogliamo parlare della finocchiona?).

  3. angelina

    ‘ho un marito che mi risponde così, e nonostante questo non volevo né andare in analisi né prendere a craniate la credenza’

    Per anni ho vissuto qualcosa di simile, volevo dirtelo. Ah, naturalmente scrivere un libro non era tra le mie possibili soluzioni.

  4. Il punto è che il Signore ci ha rifilato una bella fregatura, per così dire, un compitino mica da ridere se è vero che le azioni vanno giudicate ma le persone no. Perché le prime sono negative e portano diritte al male in terra e all’inferno, le seconde sono figlie di Dio.
    Ora questo secolo le cose ce le ha complicate ancor più, da un lato gettando prime e seconde in pasto alla rete, che è bella e buona e utile, ma anche maliziosa e feroce, come Costanza spieghi bene; dall’altra impastando tra loro persona e azione col farci credere che siamo ciò facciamo e ciò che pensiamo, data l’assenza di una regola esterna e quindi spingendo sul pedale che confonde errore ed errante.
    Che oggi emettere un giudizio sull’azione viene percepito come attacco personale. Anche perché la vita complicata che tutti abbiamo viene eletta a regola per tutti: per cui invece di uniformare la nostra esistenza ai valori, si plasmano valori sul nostro vissuto che essendo nostro non può essere sbagliato, semmai sono gli altri a sbagliare nel negare certe possibilità.
    E ciò che scrivi brucia, Costanza mia, perché è vero.
    Hai ragione, basta un po’ di esperienza mediatica, oggi i nostri 14 minuti si sono dilatati grazie al web, per trovarsi squartati in due, manco fossimo visconti dimezzati: da un lato chi ti beatifica (e hai voglia a dirgli: vacci calmo, che se mi conoscessi come il mio coniuge…) dall’altro chi ti demonizza usando mezzi spesso se non illeciti per lo meno scorretti (unfair) per cercare di distruggerti. Perché per distruggere le tue idee necesse est spazzarti via. Ridicolizzarti. Coprirti di vergogna.
    E se questo capita a noi, poveri costruttori di capanne dello zio blog (bello, complimenti a Ferrara), figuriamoci a chi come te mette insieme più click in un giorno che noi insieme in un anno. E condito con interviste radio, video e in lingue straniere.
    Difficile tornare indietro.
    Ma i tuoi marines sono sempre intorno a te.

  5. Io posso prendermi (spesso) la libertà di andarmene via da luoghi che stanno diventando fonte di amarezza e forse anche di peccato per me, giudicando a mia volta coloro che mi giudicano. Tu no, Costanza, non puoi scappare. Ed è il sacrificio che il Signore ti sta chiedendo perché sa quanto bene fa la tua limpidezza (non è un complimento, è vero!) in un mondo tanto sudicio.
    Ti offro la mia preghiera quotidiana, ti includo nel mio cuore pregando per te e la tua famiglia, altro non posso fare. Mentre leggevo il tuo articolo mi è venuta in mente una che amo in modo particolare e che mi riporta con i piedi per terra e con il cuore in paradiso:

    “Padre, mi abbandono a Te, fa’ di me ciò che ti piace.
    Qualsiasi cosa Tu faccia di me, Ti ringrazio.
    Sono pronto a tutto, accetto tutto,
    purché la Tua volontà si compia in me,
    e in tutte le tue creature: non desidero nient’altro, mio Dio.
    Rimetto l’anima mia nelle tue mani,
    Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo.
    È per me un’esigenza di amore,
    il donarmi a Te, l’affidarmi alle tue mani,
    senza misura, con infinita fiducia: perché Tu sei mio Padre.”
    Charles de Foucauld

    Un abbraccione di cuore! 🙂

  6. Francesca Romana

    Ho sempre amato questa preghiera perché sa entrare nel profondo della mia anima, anche il canto che ne è stato tratto, ogni volta che lo ascolto, o lo canto, mi commuovo…
    Eppure quando dice “Te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo”, ecco… lì mi inchioda, perché io non ho mai amato così tanto Dio, nonostante i cammini di fede, i pellegrinaggi, le catechesi, le ore di preghiera, i Rosari, poi in concreto, nella vita di ogni giorno, sento di non amarlo così profondamente, e mi sento misera, nelle mie fragilità, tanto misera…

    1. Anch’io, Francesca, ma spero di migliorare man mano che continuo a pregarla.
      Ma non conosco il canto, me lo potresti indicare? Mi faresti un gran favore!

  7. Mario G.

    E che dire della crescia di Pasqua (quella con il formaggio, per intendersi) o la piadina sfogliata?! W le Marche..

    Ed a tutti voi segnalo questa bellisima preghiera di padre De Grandmaison:

    Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo,
    puro e limpido come sorgente.

    Ottienimi un cuore semplice,
    che non si ripieghi sulle proprie tristezze;
    un cuore generoso nel donarsi,
    pieno di tenera compassione;
    un cuore fedele e aperto,
    che non dimentichi alcun bene,
    e non serbi rancore di alcun male.

    Formatemi un cuore dolce e umile,
    che ami senza esigere d’essere riamato,
    felice di sparire in altri cuori
    sacrificandosi davanti al Vostro Figlio Divino.

    Un cuore grande e indomabile,
    che nessuna ingratitudine possa chiuderlo
    e nessuna indifferenza stancare.

    Un cuore tormentato
    dalla gloria di Gesù Cristo,
    con piaga che non rimargini se non in cielo.

  8. Roberto

    Bhe, ma cosa c’è che non va nella frase “Cosa esattamente non capisci?”… ??
    Cioè, ci si presta servizievolmente a spiegare il punto non chiaro, e neppure questa munifica disponibilità preserva dalla lamentela, ecco. Bha 😀

      1. Roberto

        Ma sì, è un po’ come quando la mia collega mi dice qualcosa del tipo “no, su questo punto la vediamo in modo diverso.” e io le rispondo “E’ perché io ho ragione e tu hai torto.” Non mi è ancora del tutto chiaro per quale ragione questa cosa la indispettisca…

        1. Perché a nessuno piace avere torto 🙂
          d’altro canto – l’abbiamo ripetuto fino alla noia – se la verità non la diciamo con l’umiltà di chi è stato trovato da lei sul ciglio del marciapiede… difendersi sarà sempre più immediato che arrendersi.

          1. Roberto

            E’ vero, la prossima volta le dirò anche che deve essere più umile! (no eh? 😀 )

  9. Come il solito: La rete esacerba gli animi? e che si fa? si seguita a scrivere sulla rete!(e parlo di TUTTI)
    Ci si sente indegni, miseri, inadeguati?e poi un minuto dopo si continua a fare e a dire le stesse cose.
    Ma noi, dicono alcuni, ci affidiamo, ci affidiamo a Dio, allo Spirito Santo, alla Madonna, e intanto stanno dentro alla massa immane del popolo, insieme, che impesta l’aria di parole e di spazzatura di roba mangiata adoprata consumata.
    Ma il Signore vede nei nostri cuori, Lui sa che ci sentiamo fango che preghiamo e che….
    E intanto la gente seguita a penare nello stesso modo di sempre (e a gioire, insieme)
    Ma la nostra vita, si sente, è diversa, noi abbiamo non solo un punto di arrivo,ma la speranza ci nutre e ci fortifica.
    E intanto….

  10. lidiafederica

    La fama porta sempre con sé degli strascichi negativi, si sa. Soprattutto quando è dovuta non a un “fare” (tipo:essere un bravo regista che fa bei film, essere un bravo attore che recita bene, essere un bravo scrittore che scrive bene) ma a delle idee (come quelle che Costanza ha difeso nel suo libro – talento scrittorio a parte, ovvio, non credo che questo sia mai stato messo in discussione 🙂 ). è ovvio che gli animi non si scaldino più di tanto davanti a Hugh Grant o Steven Spielberg, ma davanti ad un’idea di famiglia, o di religione sì. E anche questo è bene (se non altro, il mondo non è del tutto rincretinito).

    Io però non mi farei troppi pensieri sulle azioni umane limpide o non limpide, sante o non sante, pure o non pure…il libro c’è, il blog pure, hanno sicuramente delle pecche ma anche sicuramente tante cose belle, e soprattutto la buona volontà. Sicuramente non sono “santi”, ma sono santificabili, perciò direi che è inutile stare a farsi problemi su “che intenzione e che azione”, è un modo come un altro per entrare nel circolo vizioso dell’auto-introspezione, che davvero toglie pace e serenità.
    Una cosa che ho imparato anni fa è che è inutile dirsi “eh ma io mentre facevo la carità al povero pensavo a me stessa…eh ma io mentre lavoravo bene pensavo alla mia gloria…”: e chisseneimporta! L’importante è che il povero stia meglio e che il lavoro sia ben fatto. Il resto è vento, basta uno sguardo a Dio dicendogli “guarda, scusa, pensavo a me mi spiace, adesso penso a Te”, e non pensarci più. Tempo sprecato, altrimenti, credo.
    E, appunto: Costanza non “è” il suo libro, è molto di più. Può essere un esempio per qualcuno, il che è bene, Dio si serve sempre di esempi umani, ma come dico sempre, va bene la lotta per essere esemplari e non scandalizzare, ma sempre con relax.
    L’importante è non confondere i piani, nessuno può giudicare Costanza, ma solo le sue idee: purtroppo è questo ciò che molta gente non fa. Un po’ è normale, ma un po’ è ricercato, come dice Paolo. E allora niente, bisogna imparare a conviverci, purtroppo…ma appunto, c’è tanta gente che stima Costanza (per quanto poco la possa conoscere) e sicuramente stima le sue idee, per quanto possa criticarle, e c’è gente che è arrivata a volerle davvero bene, come persona, conoscendola attraverso il blog e il libro, e questo è ciò che conta e ciò che rimarrà 🙂
    Quanto agli altri..male fa male, ed è un peccato, ma magari appunto pensare che qualcuno che ci critichi lo si trova sempre, l’importante è trarre giovamento dalle critiche e saper distinguere dalle critiche da buttare via nel cestino dei rifiuti e quelle da tenersi. Però capisco faccia male…. Io personalmente dopo innumerevoli confessioni di mancanze di carità internettiane ho deciso di cercare di astenermi da critiche personali (cioè rivolte a persone e non alle loro idee), anche quando penso peste e corna di qualcuno.
    Noi cmq ti sosteniamo Costanza! Soprattutto nel tuo diritto di essere stimata sempre e comunque (la stima è per qualunque essere umano, tranne che per coloro che volontariamente fanno di tutto per essere disstimati) e nel tuo diritto di essere come sei e di provare a essere come vorresti essere, e non come chissà chi pretende che tu sia 🙂 Su con la vita!

  11. Erika

    Purtroppo quello che dici, Costanza, è vero.
    Questa specie di anonimato che ci ammanta sul web, stimola la nostra vigliaccheria e tranciamo giudizi con inusitata facilità.
    Ciò che spesso mi ha fatto riflettere, su questo blog, è il tentativo, giustissimo e sacrosanto, di scindere il peccato dal peccatore: siamo sicuri di saperlo/poterlo fare?
    Io non sono tanto brava, in genere assimilo l’azione e il pensiero alla persona. Se il pensiero mi disgusta, se trovo l’azione gretta, stupida, cattiva o sbagliata, in genere prendo le distanze anche dalla persona, faccio fatica ad amarla.
    Ma se Dio ci guarda come un padre guarda i suoi figli, magari qualche azzuffatina di minore importanza, tra fratelli che in fondo si vogliono bene, magari la tollera…

    P.S. Pur essendo marchigiana di origine, con tanto di casetta nel Parco dei Sibillini, patria del ciauscolo, ammetto di preferire quello stagionato umbro, cui faccio onore in occasione di favolose gitarelle a Castelluccio di Norcia.
    E dopo questa, spero di poter mettere ancora piede nella mia casetta di montagna, quest’estate, senza che i vicini cerchino di punire il mio tradimento a colpi di ciauscolate….
    😉

  12. Io ho sempre detestato le lodi, come Costanza. Questo per due buone ragioni, la prima è che so di non avere nessun merito in ciò che sono faccio o dico, se non per quel pizzico di disponibilità di lasciarsi usare, ma poi che merito è? Come se la terra si vantasse di essere calpestata da un principe o l’acqua del Nilo di portare in salvo Mosè e la seconda che lodi e complimenti, nonostante tutto, simolano la mia vanità, suscitando quindi in me reazioni difensive, in passato ancor più di oggi, che ho imparato a prendermi le misure e forse, ma solo forse, sono un po’ più saggio.
    Per questo motivo fino a qualche anno fa reagivo in malo modo. Ricordo ancora la faccia di una signora che una quindicina di anni fa mi si accostava in sacrestia con uno sventolar di ciglia dicendo “Ah don Fabio, ma che bella omelia che ha fatto…” ed io gelido “lo so, me lo ha detto anche il diavolo appena ho finito”.
    Ecco, diciamoci la verità, non è carino trattare la gente così, anche perché la signora in questione non aveva affatto cattive intenzioni, era il suo modo di lodare Dio, un po’ goffo d’accordo, ma dopotutto forse non si può cavar sangue da una rapa.
    Così pian piano ho imparato a deviare le lodi, a reindirizzarle verso quello che è il vero artefice del mio relativo successo. Non è facile però, ci vuole una assoluta dimenticanza di sé, per il bene e per il male, quasi al limite del non essere, uno scomparire, un farsi sfondo, paesaggio, tappezzeria…
    Un giovane pittore di cui ho avuto l’onore di essere il confessore per un certo tempo mi diceva una volta una cosa di grande sapienza: “umiltà è saper godere del quadro di un altro come se fosse mio”. Verissimo, il che implica saper guardare l’opera nostra come fosse di un altro.
    Non giudicarsi, né per il bene né per il male, dimenticarsi, fino ad essere totalmente assorbito dalla propria vocazione, finché identità e funzione coincidano… questa è la mia ascesi

    1. …”E come il vento
      odo stormir tra queste piante, io quello
      infinito silenzio a questa voce
      vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
      e le morte stagioni, e la presente
      e viva, e il suon di lei. Così tra questa
      immensità s’annega il pensier mio:
      e il naufragar m’è dolce in questo mare»

      1. E’ proprio così, è la sola speranza che abbiamo di dimenticarci, essere talmente assorbiti dal gigantesco TU che ci sta davanti (che a scanso di equivoci non è per me l’infinito leopardiano, visto che si è degnato di farmi sapere il suo nome e cognome) da non avere più tempo o spazio per se stessi… magari ci fossi!

    2. lidiafederica

      Ma don Fabio io ho una domanda:non pensi che a volte tutto questo stare a combattere contro le lodi, la vanità e quant’altro sia un po’ fare il gioco del diavolo?
      Cioè, la superbia a me pare un nemico troppo pericoloso per affrontarla di petto. A me le lodi piacciono un sacco, soprattutto quando mi dicono “che bella tesi di dottorato!” (spero che la Commissione lo dirà, ti prego Commissione dillo dillo… 🙂 ) oppure “che bell’articolo!” o “che bel vestito!”.E sono felice che il mio lavoro sia stato fatt bene, perché è dare gloria a Dio. periò mi godo la lode per quello che ho meritato, giro al Signore ilringraziamento e cerco di non montarmi la testa. Il pericolo maggiore direi che non sono le lodi (perché uno lo sa bene in quale misura sono meritate e in quale no) ma le critiche (perché lì sì c’è il pericolo di sentirsi smontato, fallito, disperato…e anche questo è male).
      per le lodi, io penso che, appunto, innanzi tutto l’importante non è come tu ti senti dopo aver fatto l’omelia, ma che l’omelia sia stata fatta, nei limiti del possibile, bene (o il quadro ben dipinto, etc.), cioè la realtà oggettiva.
      Poi è importante saper godere anche del ebne fatto da altri.
      però io – non sono certo una guida spirituale, questo è un mi dubbio come tanti altri- suggerirei di non perdere tempo a dirsi “devo essere umile! devo indirizzare le lodi al Signore! Oddio mi sono compiaciuto della lode!” …è tempo buttato al diavolo.
      Piuttosto direi che è bene ringraziare il signore dell’aiuto nell’aver fatto bene ciò per cui si è lodati, in caso chiedere scusa per aver pensato troppo a se stessi, chiedegli aiuto per non passare la notte a ripetersi i complimenti (anche se in certi casi VA fatto, direi: se dopo una festa in cui ti dicono “come sei carina!” passi la notte a pensarci direi che è sano – basta, ecco non cadere in depressione la volta in cui ti dicono “come ti sta male il vestito” e ringraziare Dio dell’esserti divertita, per esempio).
      Boh, non so se si capisce quello che voglio dire 🙂 Insomma,cercare la lode a tutti i costi e deprimersi delle critiche va evitato, ma godere delle lodi – ringranziandone Dio – va bene, secondo me.

      1. Premesso che ognuno conosce i diavoli suoi e quindi evidentemente tu sei meno vanitosa di me, questo è più o meno quello che cercavo di dire, giunto alla maturità ho smesso di combattere contro le lodi e cerco invece di lasciarmene attraversare, come fossero neutrini…
        Chiaro che questo non ha niente a che vedere con il piacere di un lavoro ben fatto, solo che il più delle volte sono io il solo giudice del mio lavoro quindi sta a me imparare a goderne o dolermene, appunto cercando di mantenere quell’oggettività che te lo fa valutare come fosse quello di un altro.

        1. lidiafederica

          oh io invece il mio lavoro lo guardo sempre soggettivamente…il che un po’ aiuta (tipo: tante volte ho preso 30 e lode per pura fortuna, e so bene che davanti a Dio la preparazione dell’esame era da 18 appena, visto il poco impegno) e un po’ no, perché, appunto mi pare sempre che la mia tesi, per es., sia, alternativamente, uno schifo totale ( e non è vero) o un capolavoro (pure falso). Mmh…dovrei proprio imparare a guardarla oggettivamente!
          Non è che io sia meno vanitosa, anzi, è che proprio per l’esserlo molto penso che mi convenga usare un’altra strategia che non sia quella diprendere la vanità di petto e farsi mille scrupoli. usare tattiche un po’ più terra terra, tipo non andare per forza a rileggere dieci volte dei bei commenti che fanno di me o negativi per lagnarmene.
          Io penso che prima di arrivare a quello ceh dici tu dei neutrini ci metterò tanto tanto tempo…però una cosa la so, cioè che le persone che fanno come te e ci riescono alla fine a disinteressarsi davvero delle lodi sono quelle con cui si sta meglio: perché non dicono ogni due per tre né “ma quanto cucino male!mi vesto male!sono disordinato!” né “ma come cucino bene!mi vesto benissimo!sono puntualissimo!” etc. è bello stare con persone così!

    3. Sta bene per le lodi, don Fabio, concordo.
      Ma un incoraggiamento, un complimento, una parola di consenso “hai fatto bene!” ci incita a fare ancora meglio. E’ chiaro per noi credenti che tutto ciò che facciamo o siamo dobbiamo a Dio e tocca a noi rispedire i complimenti a Chi ci ha donato le capacità ed i talenti.
      Ma anche noi, che ogni minuto della nostra vita pronunciamo i nostri piccoli “si” alla volontà di Dio e che si compia anche attraverso di noi l’opera di bene, qualche merito ce l’abbiamo, appunto il nostro “si”.
      Conosco delle persone che sono talmente rigorosi o meglio: ghiacciati nei rapporti con il prossimo, pensando di fare la volontà di Dio (tanto i nostri meriti avremo in paradiso) che non sanno più testimoniare la carità. Sono imbalsamati.
      Quanto invece ci può tirare su di morale un piccolo: sei stato bravo!
      Ovviamente, l’osannare, no.

  13. Ieri sera ho ripreso in mano dopo un paio d’anni (il primo impatto non era avvenuto al momento giusto) il diario di Santa Faustina; stamattina leggo questo post. Beh beh, i “casi” della vita… 😉 Direi che il post mi trova pienamente d’accordo. La distanza internettiana fomenta una violenza verbale che di persona non sarebbe mai possibile; speriamo che non si traduca in una violenza anche materiale, anche se il male parte sempre da dentro i nostri cuori, per cui il rischio è concretissimo; anche la riflessione sul peccato che si “impasta” anche con le nostre migliori azioni è molto molto azzzeccata. Grazie Costanza!!! Facciamo tutti il poco che possiamo, posso assicurarti che in materia tu te la cavi parecchio bene! Dio ti benedica.

  14. Alessandro

    “Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale.

    E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna.
    Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo.

    Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s).
    Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana.

    Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene.

    Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello.
    L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore.
    C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.”

    (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2012)

  15. Buon Giorno Ragazzi, lo ammetto sono giovane e ogni tanto nelle lodi ci gongolo. Il giorno della tesi a tavola ho chiesto a mio padre ” papà mi porti il chinotto?”. Lui si alza alle 5 e torna alle 10 o anche più tardi tutti i giorni. Non credevo lo avrebbe ricordato. La mattina dopo apro il frigorifero, il chinotto è lì. Allora scoppio a piangere e chiamo i miei genitori per ringraziarli, perchè al di là dei meriti personali, non facciamo mai questa strada da soli. E mi sono ricordata di ringraziare anche un Padre molto più in alto di me, ma anche tanto vicino.

  16. “Chi si loda si imbroda” diceva la mia maestra alle elementari… “Fai il bene e dimenticalo” dice la mia mammina… ma al tempo stesso qualcuno mi disse “Chi non sa accettare un complimento non sa accettare una correzione”… Non ho molto tempo e mi limito a lanciare questi sassi, vediamo un po’…
    (chiedo scusa, posso sembrare noioso, ma il mio hard disk mentale funziona così: ho salvato file di piccole dimensioni ma importanti…)

  17. Erika

    @Lidiafederica: concordo con quanto dici sul fatto che godere di un lavoro (o di qualsiasi cosa ) ben fatta, non è disdicevole.
    Personalmente, però, mi sono accorta di una cosa: quando indulgo (e capita anche troppo spesso) nell’autocompiacimento sterile, o addirittura mi compiaccio di me stessa a discapito di qualcun altro, poi sento un leggero senso di disgusto…come quando si mangia troppo e si avverte un po’ di nausea…
    Quello che ha detto a don Fabio il giovane pittore, invece, è meraviglioso: quant’è bello riuscire a gioire sinceramente di qualcosa di bello, o di buono, fatto da un altro?

  18. “Se si predica dunque che Cristo è risuscitato da morte, come mai alcuni di voi dicono vhe non esiste la risurrezione dei morti? Ma se non cìè risurrezione dei morti nemmeno Cristo è risorto. Ora, se Cristo non è stato resuscitato, vana è dunque la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede. anzi noi risultiamo falsi testimoni d’Iddio, perché abbiamo testimoniato per Iddio che Egli ha risuscitato il Cristo, mentre non l’avrebbe risuscitato, se i morti non vengono risuscitati, perché se i morti non vengono risuscitati, neppure Cristo è stato risuscitato.”
    prima lettera ai Corinti 15, 12-16

    1. Alessandro

      “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede… e voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Cor 15,14.17).
      Con queste forti parole della prima Lettera ai Corinzi, san Paolo fa capire quale decisiva importanza egli attribuisse alla risurrezione di Gesù. In tale evento infatti sta la soluzione del problema posto dal dramma della Croce. Da sola la Croce non potrebbe spiegare la fede cristiana, anzi rimarrebbe una tragedia, indicazione dell’assurdità dell’essere. Il mistero pasquale consiste nel fatto che quel Crocifisso “è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1 Cor 15,4) – così attesta la tradizione protocristiana.
      Sta qui la chiave di volta della cristologia paolina: tutto ruota attorno a questo centro gravitazionale. L’intero insegnamento dell’apostolo Paolo parte dal e arriva sempre al mistero di Colui che il Padre ha risuscitato da morte. La risurrezione è un dato fondamentale, quasi un assioma previo (cfr 1 Cor 15,12), in base al quale Paolo può formulare il suo annuncio (kerygma) sintetico: Colui che è stato crocifisso, e che ha così manifestato l’immenso amore di Dio per l’uomo, è risorto ed è vivo in mezzo a noi…

      Perciò con la risurrezione comincia l’annuncio del Vangelo di Cristo a tutti i popoli – comincia il Regno di Cristo, questo nuovo Regno che non conosce altro potere che quello della verità e dell’amore. La risurrezione svela quindi definitivamente qual è l’autentica identità e la straordinaria statura del Crocifisso. Una dignità incomparabile e altissima: Gesù è Dio!

      Per san Paolo la segreta identità di Gesù, più ancora che nell’incarnazione, si rivela nel mistero della risurrezione.”

      (Benedetto XVI, Udienza generale, 5 novembre 2008)

        1. Alessandro

          E che c’è da dire sul passo di Paolo che hai messo tu? Mi pare che si spieghi da sé. Se Cristo NON fosse risorto 1) fede e predicazione vuote, 2) false le testimonianze di chi lo dice risorto.

          Ma Cristo è risorto. Infatti

          1) testimoni autorevoli lo attestano:

          “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.
          Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.” (1Cor 15, 3-7)

          2) Paolo stesso ne è testimone, come racconta egli stesso:

          – “Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1Cor 15, 8)

          – “Non ho veduto Gesù, Signore nostro?” (1Cor 9,1)

          – “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco” (Gal 1,15-17).

          3) Paolo stesso ne è testimone, come narrano gli Atti degli Apostoli (cfr 9,1-19; 22,3-21; 26,4-23).

          L’ultimo di questi passi merita essere qui riportato:

          “Perché è CONSIDERATO INCONCEPIBILE fra di voi che Dio RISUSCITI i morti? Anch’io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l’autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch’io ho votato contro di loro. In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all’eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere. In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio.
          Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo.
          E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: IO SONO GESU’, che tu perseguiti. Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.”

          1. Ma, “…Egli ha risuscitato il Cristo, mentre non l’avrebbe risuscitato, se i morti non vengono risuscitati, perché se i morti non vengono risuscitati, neppure Cristo è stato risuscitato.”
            Che significa?

            1. Alessandro

              Significa che SE fosse impossibile che i morti vengano risuscitati, sarebbe impossibile che Dio Padre (o chi per Lui) abbia risuscitato Cristo.

            1. Alessandro

              Vuoi dire che chi gli è apparso ha mentito? Ha detto di essere Gesù (“Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: IO SONO GESU’, che tu perseguiti”), ma non lo era? E chi sarebbe stato, allora?

              1. Non lo so!!! In quanto ai morti-risuscitati, Gesù non era un morto “normale ” era Dio: è risorto perchè era Dio, era Dio perché è risorto. Solo un altro caso è raccontato nel Vangelo di morti resuscitati, Lazzaro, e poi si racconta genericamenti di altre resucitazioni eseguite di Gesù e poi degli apostoli (o mi sbaglio?)

                1. Alessandro

                  Che Gesù non fosse un morto “normale” non toglie che anche morti “normali” possano essere risuscitati.

                  1. Alessandro

                    E non toglie che anche morti “normali” possano essere risuscitati come Gesù, cioè risuscitati in modo da non morire più.

  19. Francesca Miriano

    Spesso le motivazioni per compiere ‘egregie cose’ (si scrive con la i?) sono la sublimazione di bassezze ben incanalate, A volte persone discutibile compiono azioni altissime ed eroiche; è umanissimo godere dell’approvazione e della stima di molti.E anche una sana autostima penso tenga lontana l’invidia che è uno dei vizi che più detesto.
    Totalmente d’accordo sul pane sciapo aggiungo corteccioso fuori e morbido dentro, e poi assolutamente quoto le salsicce dello zio Nicola.

  20. Bisogna contentarsi di essere come si è. Ci vuole modestia. C’è bisogno di non “aspirare” a questo o a quello.
    Basta non essere stronzi con gli altri, in nessun modo, economico, psicologico o altro. Non approfittarsi di nessuno.
    Forse, chi crede in Dio, vule dire che non è contento del poco (e tanto) che è la vita, del sole, del mare, del vento, la notte, le donne, gli omini, l’arte, la conoscenza (pur nfima)eccetra. Chi crede in Dio non è capace di vivere in maniera umile quella vita che gli è toccato di vivere. Ha bisogno di qualcos’altro. O gli è capitato, piovuto dal cielo! (ma questo è un altro discorso!)Me, per esempio, anche io, nel mio piccolo, work in progress, o in regress, non ho mai avuto la ricchezza, la fama, la bellezza, eppure mi contento, fo il mio lavoro, mangio, bevo, dormo, mi considero fortunato a avere dove stare, del pane o toscano, o umbro, o marchigiano, o casentinese, o romano (perfino)) ora, guardo, stasera, in cielo, la luna crescente e penso: non va bene così?

    1. Alessandro

      No, non basta. Voglio essere amato e amare con intensità infinità e senza termine. Questa vita finita e mortale non ne è capace.

  21. Più coerente, invece, che ci credano, in Dio, i più poveri, i miserabili, gli sfortunati, che ci abbiano, almeno, la speranza nell’aiuto di Dio, e nel paradiso futuro, non ci essendo il contributo politico.

  22. Roberto

    Tema prezioso, quello di oggi. Ne prendo una costola per rilanciare il mio ritornello (ognuno, si sa, ha le proprie specializzazioni).
    Rinviando intanto al messaggio di Papa Benedetto XVI postato da Alessandro più su, ci aggiungo una considerazione in nota a piè di pagina del Cardinal Biffi, dal libro che mi è già capitato di citare (La Bella, la Bestia e il Cavaliere):

    cit:
    “Bisogna distinguere tra l’errore e l’errante” Principio giustissimo, ma da applicarsi con due avvertenze: che di fatto l’affermazione non si traduca nel non distinguere più tra l’errore e la verità; che ci si renda conto che, se la condanna dell’errore non deve restare un’inutile astrazione, il popolo cristiano va messo in guardia anche da colui che di fatto semina l’errore, naturalmente senza cessare il suo vero bene e lasciando sempre a Dio il giudizio sulle intenzioni profonde delle persone.

    Sottolineerei “inutile astrazione” e “vero bene”.

    Cos’è il vero bene? Volere il bene del mio prossimo è volere che giunga alla visione beatifica di Dio, che giunga al paradiso e non caschi all’inferno. Notare anche: è buona cosa voler bene al maggior numero di “miei prossimi” possibile.

    Allora, proviamo a ragionare sui vari generi di ammonimenti fraterni, sempre tenendo a mente che ce ne sono di infiniti possibili e perciò c’è un’infinità di modi diversi di esprimerli.

    E’ chiaro, e banalissimo, che diverso sarà il modo in cui dovrò fare notare mancanze a chi so, o percepisco, sincero nella sua ricerca e nella sua strada, e a chi so o percepisco come capzioso o in mala fede.
    Altro sarà avere a che fare con colui che sbaglia facendo “male” soprattutto a se stesso, altro è chi fa del male anche al prossimo. E di nuovo, potrei stupirmi della banalità di quel che scrivo.

    Ciò che è di gran lunga più grave, tra i danni inflitti al prossimo (così dovremmo credere noi), è il danno causato da colui che semina confusione nella Fede e cattiva dottrina, dato che noi siamo invitati a essere fermamente convinti che costoro mettono ostacoli alla salvezza eterna, nostra e anche dei nostri fratelli più piccoli. Sono costoro, a cui Gesù si riferiva quando invitava a calzare una bella pietra da macina al collo e fare un bel tuffo, secondo la concorde interpretazione di sempre.

    E’ naturale che per far ciò ci vuole una certa preparazione, ma una volta che la si possiede, non si può più far finta di trovarsi nell’ignoranza.
    Se, tanto per fare un esempio, c’è chi sa dell’esistenza di una eresia che, a differenza di tutte coloro che le hanno precedute, vuole “fare la Riforma non contro Roma, ma con Roma” per giungere alla dissoluzione interna della Chiesa, ebbene: sarebbe bello che ogni tanto questo qualcuno lo ricordasse, magari accantonando toni troppo vellutati, perché nel voler sempre… “astrarre”, come dice bene il Cardinal Biffi, voler sempre soffocare in una cappa di parole, precisazioni, chiose, dettagli, sottolineature… insomma, c’è anche chi ci muore soffocato, sotto certe cappe.
    Carità è amore per la Verità, e quando non si tratta solo della salute dell’anima del peccatore, ma c’è uno “scandalo”, allora arriva il tempo della fortezza.
    Perché ritengo che sia questa la miglior Carità?
    Facile, perché serve a porre ostacolo a colui che insegna cose cattive (non ha alcuna importanza quali siano le sue motivazioni, magari è proprio convinto che sia il modo per ‘traghettare la Chiesa nel terzo millenio’ e quant’altre fesserie – chi se ne importa delle motivazioni, quel che conta sono i risultati), serve a mettere in allarme e magari indurre a informarsi “di prima mano” i credenti tiepidini, serve, come dire, a lanciare dei segnali luminosi, come dei razzi che squarciano le tenebre per qualche istante. Per coloro che sono come “pecore senza pastore”, a volte questo può far la differenza tra vedere un fossato all’ultimo istante o caderci dentro. Serve perché noi siamo chiamati non solo a fare il bene (primo compito) ma anche a opporci al male. Quest’ultima necessità è più brutta, meno gratificante… eppure, noi siamo chiamati a esercitarla. Siamo all’altezza di farlo? Assolutamente no! Siamo chiamati a farlo, nella misura delle nostra capacità? Sì.
    Questo comporta di imprimere una certa forza in alcune circostanze? Certo, perché i primi destinatari di questa forma di Carità *non* sono coloro che spargono l’errore ma, come scrive il Cardinal Biffi “il popolo cristiano”.
    Quando l’attacco è ai fondamenti della Fede (mi sembra improbabile il nostro Papa abbia indetto per questo 2012 l’anno della Fede per caso… ), la mitezza male-intesa può essere non già cosa apprezzabile e buona (come spesso, ma *non* sempre, è per le ‘cose del mondo’). Può addirittura diventare un peccato d’omissione.

    Per mitezza male intesa mi riferisco – spero di non offendere nessuno 🙂 – a quella sensazione che mi davano molti cattolici (di sesso maschile in particolare)… come se si fossero fatti espiantare la spina dorsale per farsi sostituire le vertebre con stringhe di liquirizia (mollicce, appiccicose, zuccherose). Ma ho già visto bene che non è il caso di chi gironzola da queste parti.

    Tra l’altro, questo è un argomento “a latere” molto interessante. La Chiesa in terra era sempre stata chiamata “Militante”. Vigore, virù, lotta (prima di tutto interiore, e questo è imprescindibile, ma non solo) le qualità a cui si ambiva, e che si ricercavano.
    Poi la Chiesa, ho come questa sensazione, fatemela passare, si è come… femminilizzata. Nel senso deteriore del termine, s’intende. Al tempo stesso, c’è stato un progressivo spostamento nell’educazione del maschile. Si è sempre più teso, in questi decenni, a delegare l’educazione del maschile in esclusiva (o quasi) al femminile, che come spiega Costanza (ma è vero, non c’era bisogno che ce lo dicesse lei!) tende all’iper-controllo. Incrociando questa inclinazione del peccato del femminile, con la deriva ideologica femminista (femmina è meglio / ma non ci sono differenze tra sessi – strana contraddizione…) si assiste a una pericolosa deriva: perché lasciare l’educazione del maschile nelle mani esclusive del femminile, peggio se influenzato ideologicamente, è un pericolo. In quanto nel maschile c’è una maggior carica di aggressività verso l’esterno: volerla negare/correggere/reprimere/toglierne legittimità, invece di educarla, comporta il rischio di innescare bombe più o meno piccole.

    Ebbene perciò, per tornare a bomba (appunto!): noi abbiamo il deposito della Fede e il Magistero. Forse non ci rendiamo conto della ricchezza che questo comporta. Questa è davvero la spina dorsale della civiltà, perché è il principio che ha sempre dato vita (anche) alla norma di legge. Il principio di diritto che sta alle spalle della norma, la ‘ratio’ (che è infatti quel che nel diritto positivo si sta smarrendo sempre più in fretta) è l’unica cosa che preserva dall’arbitrio.
    Non c’è sacramento dell’Ordine che tenga, neppure ai più alti livelli: il fedele che sa a sufficienza, fino al limite possibile dalle proprie capacità intellettive (e Pio XII ricordava che non farlo era un peccato grave per il cattolico) può tenere testa a chiuque. Non è meraviglioso? E’ anche doloroso, e chi lo nega? Lo sapeva anche il nostro buon Qoelet: “Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perchè molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore.” Ma se non volevamo la Croce, dovevamo prenderci un’altra religione.
    Certo sarebbe meraviglioso non essere costretti a tanto: ma c’è un problema, che forse non è nuovo in duemila anni di Chiesa, non lo so. E’ successo questo fatto: molte pecore sono state abbandonate dal pastore che, credendosi buono, nel vano tentativo di acciuffarne di quelle che non ce ne hanno neppure per l’anticamera del cervello di farsi riprendere, si è dimenticato l’ovile chiuso e senza foraggio, a far morire di fame quelle che non si erano perse. Non è tanto bello che la pecora debba fare un “mestiere” che non è il suo, ma ecco, qui calza proprio bene quel vecchio proverbio che dice… “si fa di necessità virtù”.

  23. didi

    Complimenti Costanza, anche per il post di oggi, che capita proprio a fagiolo! E sì “a fagiolo” perché ti ritengo responsabile di un litigio con il mio grande amore. Ed eccoci qua, è arrivata la resa dei conti. Non avrei mai pensato di scriverti, cara Costanza, anche se ti leggo sempre, ma son tre giorni che ci e ti penso.
    Ti stimo tantissimo come donna, mamma, moglie. Se sapessi parlare parlerei come te, se sapessi scrivere scriverei come te; ma i miei pensieri, ora per fortuna, c’è chi li mette nero su bianco e io ne approfitto…così tanto che ho consigliato al mio compagno di “leggerti” per capirmi di più. Bellissima idea fino a quando pochi giorni fa dopo un banale litigio, mi dice la frase che ci ha fatto allontanare: “non voglio dire nulla, bisogna parlare per forza? faresti bene a fare silenzio anche tu a volte, come dice Costanza Miriano, di cui sei fan”. Udite queste parole (anzi lette, era un sms) sono scoppiata in un pianto ininterrotto e sono tre giorni che non gli parlo. Mi ha ferita tremendamente!
    Il colmo dei colmi è che a lui ti ho presentata io, ha letto il tuo libro, frequenta questo blog e ora, sei proprio tu, la mitica Costanza, il mio modello, la causa della nostra lite.
    Ora…io so che questa non è la posta del cuore, ma “pretendo” tu faccia qualcosa.
    Magari finendo prima del previsto di scrivere il secondo libro per gli uomini, affinché possano capire come prendere le proprie donne, come parlare loro, come non ferirle anche con semplici parole (le stesse, per esempio, che ha detto il tuo uomo stroncandoti) perché se il risultato è questo, meglio parlare, sbraitare, lanciarsi due piatti addosso e subito dopo far pace. Così ancora in silenzio, io non resisto!

    ps: magari adesso che è tardi, lui non leggerà…non so se è meglio, ma spero legga tu, Costanza. Grazie di cuore.

  24. carissima Didi, non vorrei mai alienarmi una fan, ma… vediamo. Se io mi fossi offesa per tutte le volte che mio marito mi ha risposto così me lo sarei giocato da un pezzo ! (è qui accanto a me, e non si offende, lo sa che è così). Mi dispiace, non so cosa ci sia stato prima di quella frase, se c’è stata una grave mancanza o una piccola disattenzione. Quindi non posso entrare nel merito. Parliamo invece di linguaggio. Uno dei più grandi equivoci tra uomo e donna è quello di pensare che si sappia parlare la stessa lingua. Un uomo magari fa tante cose concrete, fattive per te, ma non ha voglia di farlo a parole. Una donna crede di essere devota perché dice parole meravigliose, ma magari non sa rispettare i tempi e i silenzi e i desideri inespressi di lui. Un uomo non capirà mai una donna, potrà solo imparare a cavarsela con lei. Abbiamo un linguaggio intuitivo, allegorico, inconscio che l’uomo non sospetta neanche. Se tu non rinunci ad essere sempre capita dal tuo compagno (ehm, non è marito? lo sarà? perché questo fa la differenza…) andrai incontro a tante sofferenze. C’è solo uno che ti capisce sempre e comunque, ed è Dio. E’ lui che cura le tue ferite, colma le tue attese, intuisce i tuoi bisogni. Con un uomo invece è un lavoro continuo di venirsi incontro, e la simbiosi è un’illusione. Il mio come sai, comunque, non è un manuale, dovrei sapere di più della situazione per dare altri consigli: non ho risposte pronte per ogni cosa. dico solo che una donna deve imparare un atteggiamento di accoglienza a prescindere, un’apertura di credito illimitata: mi fido di te, anche se non vuoi parlare, anche se mi hai ferita, credo che ce la stai mettendo tutta ma che questo proprio non riesci a darmelo. Vedrai che se gli dici così, lealmente, con il desiderio sincero di perdonare e di chiedere perdono per le tue attese che a volte forse lo stressano, lui non ti resisterà. E per parlare, lamentarsi, dubitare, analizzare, sminuzzare, beh, per quello ci sono le amiche. io mi candido!

    1. didi

      Leggo la tua risposta e…piango. Sono diventata una piagnucolona e non mi sopporto. Grazie Costanza per le belle parole e per esserti candidata mia amica. Mi fai felice anche se ti ritenevo già tale.
      Per quanto riguarda il mio compagno, di vita (potrei dire fidanzato ma lo sminuisce, è tanto di più), non si fa ancora sentire, e se ho capito bene dovrei chiamarlo io, dicendo più o meno “mi fido di te, anche se non vuoi parlare, anche se mi hai ferita, credo che ce la stai mettendo tutta ma che questo proprio non riesci a darmelo…” e ancora “ti perdono, ecc…) lo farei cara amica mia, ma è pur vero che ho sempre fatto io il primo passo in situazioni simili. Per questo non ho mai in fondo saputo se lui prima o poi avrebbe fatto il primo passo nei miei confronti, arrivandoci sempre io per prima. Non so se sono stata chiara (in testa ho ancora più confusione). Immagino cosa diresti, che in amore non conta chi fa il primo passo, se si ama viene da sé ecc…ti conosco bene, ma aiutami tu. Perché difendi sempre l’uomo? Perché solo l’uomo ha bisogno di comprensione? Cavoli, a volte è così bello sentirsi amati fortemente con tutti i sensi, anche con le orecchie.
      Dio è per me sempre presente e se anche questa volta ha capito di cosa ho bisogno, non tarderà a darmi un segno e a colmare le mie attese.
      Considerando tutto questo, io aspetto domani. Forse sia Lui che lui avranno i loro buoni motivi per non farsi vivi.
      Io comuque, oltre che fare la preziosa, sto facendomi violenza per non avvicinarmi nuovamente. Una volta queste cose funzionavano. L’uomo di un tempo se ti facevi desiderare, ti veniva dietro, ti corteggiava (almeno fino al matrimonio).
      Ora invece l’uomo fa la donna…si lascia desiderare tanto da cambiare strada se dopo un po’ non fai come vuole lui. Non è il mio caso. Lui mi ama, io lo so, e forse gli sto dando una lezione che non merita, però mi aspetto da un momento all’altro il suo “amore” (come di solito fa) che tutto appiana.
      Intanto…grazie tesoro!

      1. G

        Ebbene, cara Didi, posso dirti.. che mi trovo in una situazione per certi versi simile alla tua.. E la risposta di Costanza a te io l’ho presa come un segno di Dio su cosa fare o meno… Come ha detto anche lei, tu dovresti essere per lui una banca dell’amore dal credito illimitato… Nessuna tattica, ma apertura leale e sincera. Noi donne siamo bravissime a fare giochetti, ma alla lunga non pagano.
        Poi la tua situazione non la conosco bene, per carità, ma mi sentivo di dirti questo.. Preghiere e abbracci!

        1. Didi

          Grazie di cuore G! Avete ragione sia tu che Costanza…quasi quasi faccio finire il gioco stasera senza aspettare domani 🙂 ci penso

  25. Mi è tornato in mente san Bernardino

    LA TENTAZIONE DI S. BERNARDINO
    Vôvi dire il primo miracolo ch’io facesse mai, e fu innanzi ch’io fussi frate….
    Elli mi venne una volontà di volere vivare come uno angelo, non dico come un uomo. — Deh, state a udire, che Iddio vi benedica! — Elli mi venne uno pensiero di volere vivare d’acqua e d’erbe, e pensai di andarmi a stare in uno bosco, e cominciai a dire da me medesimo: “Che farai tu in un bosco? Che mangerai tu?” Respondevo così da me e me, e dicevo: “Bene sta, come facevano e’ santi padri: io mangiare dell’erba quando io avrò fame; e quando avrò sete, berò dell’acqua.” E così deliberai di fare; e per vivare sicondo Iddio, deliberai anco di comparare una Bibbia per lègiare e una schiavina per tenere indosso. E comparai la Bibbia, e andai per comparare uno quoio di camoza, perché non passasse l’acqua dallato dentro, perché non si mollasse la Bibbia. E col mio pensiero andava cercando dove io mi potesse appollaiare, e deliberàmi d’andare vedendo in sino a Massa; e quando io era per la valle di Bocheggiano, io andavo mirando quando su questo poggio quando su quell’altro; quando in questa selva, quando in quell’altra; e andavo dicendo da me e me: “Oh, qui sarà il buon essere! Oh, qua sarà anco migliore!” In conclusione, non andando dietro a ogni cosa, io tornai a Siena e deliberai di cominciare a provare la vita che volevo tenere. E andàmi costà fuore dalla Porta a Follonica, e incominciai a cogliere una insalata di cicerbite e altre erbuccie, e non avevo né pane né sale né olio; e dissi: “Cominciamo per la prima volta a raschiarla, e poi 1’altra volta e noi faremo solamente a raschiarla senza lavarla altromenti; e quando ne saremo più usi, e noi faremo senza nettarla, e dipoi poi e noi faremo senza cògliarla.” E col nome di Jesu benedetto cominciai con uno boccone di cicerbita, e messamela in bocca cominciai a masticarla. Mastica, mastica, ella non poteva andare giù. Non potendola gollare, io dissi: “Oltre; cominciamo a bere uno sorso d’acqua.” Mieffe! 1’acqua se n’andava giù, e la cicerbita rimaneva in bocca. In tutto, io bebbi parecchi sorsi d’acqua con un boccone di cicerbita, e non la potei gollare. Sai che ti voglio dire? Con un boccone di cicerbita io levai via ogni tentazione; che certamente io cognosco che quella era tentazione. Questa che è seguitata poi, è stata elezione, non tentazione. Oh, quanto si vuole bilanciare, prima che altri seguiti quelle volontà che talvolta riescono molto cattive, e paiono cotanto buone!

  26. Vedi l’importanza delle mogli? Io non avrei mai capito il tuo articolo, Costanza, almeno nel suo contenuto più denso, se non avessi sposato una ragazza di origini umbre: dunque viva il pane di Parrano ma con l’olio nuovo di mio suocero (per cui ti aspetto per novembre prossimo a casa mia!)

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